59 - Inchiostro
La tempesta è capace di disperdere i fiori, ma non è in grado di danneggiare i semi».
Hope - Kalil Gibran
«Dici che ci proveranno ancora?»
«Non subito, forse». Mio padre si gratta la barba ispida sul mento. Mi ha raccontato dell'attentato a mia madre e mi ha parlato delle sue condizioni. La pelle non tornerà quella di prima e in certi punti resteranno delle cicatrici, ma lei sta bene e presto le permetteranno di venire a trovarmi in reparto.
«Abbiamo bloccato gli accessi dal fiume, ma fanno entrare il Nod per un'altra via» continua lui.
Chris è fermo sulla porta ad ascoltare e interviene: «Passa sottoterra».
«Quando potrò andarmene?»
«Quando starai bene».
Penso all'esito dei miei esami di questa mattina e al cardiologo che scuote la testa. Ragiona a voce alta, come se io non fossi presente, e dice che, se anche si poteva pensare a un pace maker prima di questo attacco, ora il cuore è così ingrossato che l'unica strada è il trapianto.
«Mai più, quindi?»
Christian ride. «Quando riuscirai a restare cosciente per più di due minuti».
«Sono sveglio da stamattina!» protesto.
Mi indica con il mento. «Quello lo chiami essere sveglio?»
Chris è capace di farmi arrabbiare anche se non parla, ma quando lo fa in quel modo vorrei poter scendere dal letto. Mi stacco dallo schienale e lascio cadere fuori le gambe. «Così va meglio?»
«Lo sanno fare tutti. Devi stare in piedi e abbandonare la faccia da malato terminale».
Zanna gli lancia un'occhiata di fuoco. «Lascialo perdere, Mic. Ti hanno detto che non puoi ancora alzarti».
Un pugno precordiale è un colpo dato a mano chiusa sotto lo sterno, all'altezza del cuore. Si usa in alcuni casi di arresto cardiaco, ma Chris non ne aveva mai sentito parlare prima di praticarlo senza cognizione di causa. Era solo tanto arrabbiato con me, ha detto, come lo è sempre. E mi ha fatto ripartire il cuore.
Christian fa le boccacce mentre Zanna non guarda. È incredibile, neanche fosse tornato bambino. «Ti fa male stare con Aria» borbotto.
Lui mette su il ghigno da piccolo mostro. «Sto anche con Sam, visto che tu sei fuori uso».
«Che brutto stronzo!»
Mi alzo in piedi e l'allarme inizia a suonare come un ossesso. Chris solleva le mani per calmarmi e fa un passo indietro. Questa volta però sono più veloce di lui, strappo il filo e il rumore si spegne nel silenzio.
Zanna scuote la testa spazientito. Mi strappo il misuratore di saturazione dal dito e mi trascino dietro la flebo.
E Sam è lì. Sulla porta. Trattiene il respiro e mi guarda immobile, come se fossi la cosa migliore della giornata. Non devo essere proprio un bello spettacolo in questo momento.
Zanna, che si era alzato per farmi sedere, cambia idea. «Vado da Vanessa e poi al lavoro. Ho bisogno che uno di voi passi da lei più tardi».
Chris solleva un sopracciglio e annuisce. «Vengo con te adesso».
Zanna resta poco in ospedale. Da quando Vanessa è qui, lui passa tutto il suo tempo in centrale.
In uno dei miei momenti di lucidità l'ho sentito parlare al telefono. Diceva che devono far partire l'operazione lieto fine, lo ricordo perché mi ha fatto sorridere, non sembra affatto una cosa seria, invece a quanto pare è su questa che Zanna fonda ogni speranza di beccare Frog.
«Hey piccolino. Vedi di non farti male mentre sono via» mi deride Chris dalla porta.
«Tu sei quello che mi ha tirato un pugno sullo sterno mentre stavo morendo?»
Sam sussulta a quella parola, lo vediamo bene sia io che lui, ma Chris non perde la sua lingua lunga e biforcuta. «Voleva farlo lei» dice, e la indica con il pollice all'indietro: «ma non credo avrebbe avuto lo stesso effetto».
Sam lo spinge fuori prima che dica altro, e chiude la porta. Nello sguardo che lui le rivolge prima di uscire c'è qualcosa di disturbante, pericoloso e definitivo. La rabbia mi chiude lo stomaco e me la prendo con l'unica persona che c'è nella stanza, la ragazza che aspetto quando sono sveglio e sogno nei miei momenti di assenza. Quella per cui sono ancora qui.
«Vai con lui, Sam. Sto bene».
Lei mi guarda senza capire, appoggia lo zaino sul comodino e sistema le cose che mi ha portato. Tira fuori il computer, mette in carica il mio telefono e ripone i vestiti nello sportello in basso. Guardarla muoversi vicino a me è come ricevere una delle medicine più potenti del mondo. Sono costretto a sedermi perché, anche se non lo ammetto, il medico ha ragione quando dice che non sono pronto ad alzarmi. Lei mi lancia uno sguardo preoccupato.
Io riesco solo a vedere gli occhi di Chris su di lei. «Dico davvero. Non ho bisogno di niente. Vai con Chris».
«Perché dici così?»
«Non vedi come ti guarda? Non vuoi una storia d'amore che duri più di un mese? Vuoi tutto questo?» Indico la stanza con un gesto di rabbia. Non mi ero reso conto di quanto fosse pesata la sua assenza di questi tre giorni. «Vai con lui. Adesso».
«Non sai quello che dici». Parla con la voce assente, più piatta di quando stava per finire di nuovo nelle mani di suo padre.
«Tu e lui siete simili. Venite dallo stesso posto». Respiro, cerco di calmarmi. Cosa sto dicendo? La spingo tra le braccia di Chris? «Non dirmi che non ci hai pensato. Potrebbe funzionare, no?»
Sta male e le tremano le mani, ma non lo nasconde. «È il cuore malato che ti rende così cattivo o l'ospedale?»
«Sei tu» soffio fuori.
«Non posso amare una persona solo perché siamo vissuti nello stesso posto» balbetta.
«Potresti mai amare un cuore come il mio?»
Si volta verso di me e non si muove. «Dimmelo tu».
Si aspetta una risposta che non ho, mi sento sempre sul punto di affogare e mi è mancata, ma invece di dirglielo la sto mando via. «Non lo so, Sam. Non lo so più».
«Elena è venuta a trovarti? A lei racconti le tue paure e gli incubi, lei sa tutto di te».
Adesso la rabbia vibra anche nella sua voce. I suoi occhi mi corrono addosso e mischiano desiderio, amore, disprezzo, mancanza e una sofferenza che non posso arrivare a raggiungere, se non la stringo a me. Siamo troppo distanti, non solo fisicamente.
«Non stiamo parlando di lei».
«No, infatti, parli di me. Di quanto io e Chris siamo uguali, di quanto io e te siamo distanti e diversi. Siamo così diversi, Mic? Ti risparmio il resto. Ho mandato all'aria la vostra famiglia, tua madre rimarrà sfigurata per colpa mia, abbiamo rischiato tutti la vita...» Si gira per andarsene.
«Aspetta...»
«Chris sbagliava, tu non hai bisogno di me».
Esce tirandosi dietro la porta. Passano i minuti e io continuo a guardare in quella direzione nella speranza che torni indietro. Le cose che ha detto non sono vere, anche se è caduta nella mia vita come un uragano, non la incolpo di quello che è successo a mia madre. Il suo arrivo nella nostra casa è stato un miracolo.
Mi sento un idiota e a sollevare il mio umore ritorna Chris. Entra come una furia, poi si rende conto che sono bloccato in un letto d'ospedale e trattiene a stento la rabbia dietro un espressione incredula. «L'ho portata da te dopo tre giorni che aspettava fuori da questa stanza. Non riusciva neanche a entrare. E tu? Cosa fai? La mandi via?»
«Dov'è andata?»
«In camera di Vanessa. Intreccia i capelli a tua madre, così le sta alle spalle e lei non vede le lacrime che non riesce a trattenere. Accidenti, Mic, cosa ti succede? Tu sei il principe, non il pirata. Tu salvi le ragazze, sono io che attento alle loro virtù».
«Cos'è successo tra voi due? Perché è chiaro che gli equilibri sono cambiati, lo vedo anche adesso sulla tua faccia».
Ho ricollegato il filo e il mio battito cardiaco è quasi al limite, farà scattare di nuovo l'allarme. Devo darmi una calmata, ma non è facile. Anche Chris lancia un'occhiata al monitor e cambia tono.
«Si è distrutta la pelle delle braccia, ieri sera. Ha fatto un disastro. Ho avuto paura che non bastassero gli asciugamani per fermare il sangue. L'ho trovata semisvenuta». Chris fissa il pavimento, poi me, e si lascia cadere sulla sedia.
«Mi aveva promesso di non...»
«Non lo controlla, Mic. Ha bisogno di te allo stesso modo in cui tu ne hai di lei».
Non se la caverà così. «Cos'è successo ieri sera?»
Non può mentire, non a me. Si avvicina, mi si pianta davanti e alla fine me lo dice con il suo solito tono. «L'ho portata in camera e l'ho baciata».
Mi alzo a sedere. «Ti avevo avvertito».
Lui perde sicurezza. «Sam non era cosciente, non ne ha colpa. Non so cosa mi succeda quando sono con lei».
Non gli do il tempo di dire altro e faccio quello che non ho mai fatto. Lo colpisco dritto in faccia e lui crolla a terra. Il suo sguardo ferito mi entra dentro, non dovrei sentirmi in colpa.
Si alza in piedi. «Mandala via, Mic, ma io non la porterò più da te. Se verrà a cercare consolazione tra le mie braccia, la troverà. Non sai che fatica ho fatto stanotte a trattenermi».
«Non hai mai saputo tenerlo nelle mutande, Chris».
Come siamo finiti a questo punto? Poi penso alle labbra di Chris su quelle di Sam e mi prudono di nuovo le mani. «Sparisci».
Quando se ne va mi rimetto a letto. Ho esaurito energie che non pensavo neanche di avere. Il battito galoppa irregolare e mi sento uno schifo. Era mattina ed è di nuovo buio. Non ne posso più di avere questi buchi temporali, momenti di assenza che mi lasciano stordito. Ricordo quello che è successo con Sam e con Chris. E li vorrei di nuovo con me.
Accendo la luce da lettura sul comodino e vedo il portachiavi con il soffione di Lucia. Deve averlo lasciato Sam. Appoggiato accanto c'è il bracciale nero con la goccia appesa. Me l'hanno tagliato quando hanno attaccato la flebo e lei lo stringeva in mano quando eravamo in ambulanza. Come ho potuto dirle quelle cose terribili? Lei è l'unica mia vita e non lo sa. Chiudo gli occhi e il sonno mi porta di nuovo via.
Una mano accarezza il braccio libero dalla flebo e la spalla; un corpo minuto aderisce al mio alla perfezione. Tutto si calma, tutto va al suo posto.
Socchiudo gli occhi per essere sicuro che non sia un sogno e incontro il suo viso stanco. «Perdonami, Sam».
«Ho portato la devastazione... sei tu che devi perdonarmi, e i tuoi genitori».
«Sei un uragano, ma non fai del male alle persone, solo a te stessa».
Appoggia la testa contro il mio petto e singhiozza. Mi sento strappare dentro. «Ho trovato il tuo quaderno nel cassetto del comodino».
Le prendo il viso tra le mani. «Le ho scritte perché non restassi sola, nel caso...»
Altro buco temporale. Il letto è freddo e Sam non c'è. Sono solo. «Non si può amare un cuore nero» dico alla stanza vuota, ma quando allungo la mano per prendere le cuffie vedo, annodato al mio polso, il bracciale nero. L'ha legato lei mentre dormivo.
Passano i giorni e Sam va e viene. Quando è da Vanessa mi sembra di non respirare. Chris invece non si fa più vedere. Non l'avevo mai colpito e so cosa significa per lui. Ho rovinato qualcosa di speciale che non concede a nessuno.
I giorni diventano settimane. Vanessa è stata dimessa perché Sam ha imparato a cambiarle le medicazioni. Viene a trovarmi spesso e mi parla sempre di Chris. Lei sente le crepe che si aprono tra di noi e le vuole richiudere, ma non sempre si può.
***
«Posso accompagnarti a casa io, se vuoi».
Elena è appoggiata allo stipite della porta, Sam si è chiusa nel silenzio da quando è entrata lei che si è chinata a baciarmi su una guancia in un gesto plateale. Mi è sembrato di sentir crepitare l'aria. Non ho scelta. Zanna è bloccato al lavoro, sembra che abbiano tra le mani informazioni importanti per incastrare i complici di Frog e forse arrivare fino a lui. Vanessa non può guidare e a Chris non l'ho chiesto.
«Andiamo, dai».
Sam mi sfila di mano lo zaino con la mia roba prima che possa caricarlo in spalla. Camminiamo in silenzio fino all'auto di Elena. Sam sale dietro.
«Come ti senti?» domanda appena partiamo.
«Alla grande». Sembra una battuta, ma è proprio così. Quando Sam mi gira intorno sto bene.
«Ah, capisco. Non ne vuoi parlare».
«No, davvero. Sono felice di tornare a casa».
«E cosa è successo con Chris?»
«Abbiamo visioni differenti della realtà».
Elena lancia uno sguardo a Sam e annuisce. «Avete visioni uguali su di lei» sibila.
Quando arriviamo a casa l'aria nell'abitacolo è così irrespirabile che pensavo di morire soffocato. Sam aspetta che l'auto si allontani, poi lascia cadere lo zaino davanti alla porta e senza una parola scende in spiaggia.
***
«Guardami, Sam».
Non riesco ad alzare gli occhi su di lui. Incontrare il celeste con cui mi pugnala. Non ce la faccio.
«Non volevo che lo sapessi così. Non da lei».
Deglutisco e finalmente alzo la testa. Era meglio se continuavo a guardarmi le scarpe sporche di sabbia. «Volevi dirmelo tu? Avrebbe cambiato la situazione?»
Lui fa un passo indietro. «Mi dispiace».
Mordo il labbro cercando di pareggiare il dolore fisico con quello che mi squassa dentro e non ci riesco. Ingoio il dolore come ho sempre fatto insieme al sangue che esce dalle labbra spaccate, ma questa volta le lacrime scendono senza riuscire a controllarle. Non le sento neppure scivolare dalle guance e cadere a perdersi tra la sabbia. Tornare a casa in macchina con Elena ha riaperto la ferita dell'attesa, ha riportato in primo piano la sua morte. Lei fa così.
Mic allunga una mano. Io faccio un passo indietro.
«Dovevo dirtelo prima...» Alza il braccio e spazia da me, alla casa, a... cosa? Il nostro rapporto? La nostra vita? Il legame che ha creato da egoista, vincolandomi a vivere in ogni suo respiro, dentro una gabbia che batte un tempo sbagliato e da cui non voglio più uscire?
«Prima di cosa?» scatto.
Viene avanti e mi stringe tra le braccia prima che possa impedirglielo. Cerco di resistergli, ma so che quello è il mio posto. L'unico in cui mi sento a casa, ormai.
«Prima di tutto questo».
Singhiozzo contro il suo petto. «Non è giusto».
«No». Mi accarezza i capelli e mi posa un bacio sulla testa. «Avrei dovuto evitarti nuove ferite. Volevo vederti sorridere. Invece ti ho fatto solo male. Avrei dovuto fermarmi prima che ti legassi a me».
Alzo la testa per incontrare di nuovo i suoi occhi. Gli dispiace davvero. Lui ha un cazzo di cuore che funziona come un ingranaggio inceppato e gli dispiace per avermi fatta piangere.
«Non ci saresti riuscito. A partire dal graffio sul viso. Quando ti sei chinato accanto a me quella notte e hai cercato di calmare la mia paura...» Mi asciugo gli occhi con la manica della maglia, lui fruga nella tasca dei jeans e mi allunga un fazzoletto.
Perfetto, Mic, davvero perfetto in tutto. Eccetto che in qualcosa di insignificante e vitale.
«Avresti dovuto evitarmi sempre. Non toccarmi mai. Non guardarmi neppure...»
Lui stringe le labbra e trattiene il fiato. E io sorrido. Farò così, da oggi in poi, gli sorriderò finché non sarà più in grado di vedermi. «Ti avrei amato lo stesso».
Ho sempre pensato che avessi dentro qualcosa che era come me. È il tuo cuore nero. Quello mi somiglia più di ogni altra cosa. Affascinante di sicuro, ma malato, che degenera. Proprio come sono io.
Mic aggancia una pietra rosso scuro, a forma di cuore, al mio bracciale. «Lo lascio a te» dice prima di chinarsi a baciarmi le labbra.
Appendere al polso il suo cuore è la vittoria più dolorosa e difficile. La più importante di tutte.
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