58 - Un Luogo al quale Tornare

Quando mi sveglio ho ancora la sensazione della ceramica dura del piatto doccia che mi preme sulla schiena. Il viso di Trilly, così reale, è impresso dentro di me. Riemergo da un sonno forzato, profondo, che mi lascia stordita e sento il materasso morbido sotto al fianco. Sono nella stanza di Lucia. Sollevo un braccio e sento qualcuno muoversi dietro di me. Mi volto.

Chris indossa i vestiti di ieri sera. La maglietta è schizzata di scuro e immagino sia il mio sangue. Dorme su un fianco e mi tiene con un braccio contro il suo petto. Non lo sposta neanche quando mi giro verso di lui, anzi aumenta la stretta. Ha paura che mi faccia del male e forse ha cercato di non addormentarsi, ma era troppo stanco.

Sposto piano il suo braccio per alzarmi, lui irrigidisce il corpo e socchiude gli occhi. «Resta qui».

«Dormi, Chris» rispondo e cerco di liberarmi dalla sua stretta.

«Non ci pensare neppure». Le iridi verdi nella penombra degli occhi socchiusi sembrano quelle di un predatore. «Rimettiti a dormire».

Sono in pigiama. Deve essere stato lui. «Mi hai cambiato i vestiti?»

«Erano da buttare e se pensi che mi sia piaciuto spogliarti... hai ragione». Sorride e mi viene da spingerlo giù dal letto, ma se muovo le braccia sento un dolore terribile fino al cervello. Mi studia con attenzione, senza perdere l'espressione scanzonata delle labbra. «Nella mia fantasia non lo facevo certo immerso nel sangue e tu eri sveglia».

La sua mano mi accarezza la schiena e non riesco a non di lasciarmi andare contro di lui.

«Non è stato molto sensuale e neanche piacevole» borbotta.

Il suo respiro caldo mi sposta una ciocca di capelli. «Mi hai medicato tu?»

«No, è stata la fatina di Peter Pan». Sgrano gli occhi e lui continua, arrabbiato. «Continuavi a ripetere a Trilly che era morta e che tu non volevi andare in fondo al fiume con lei». Rabbrividisce mentre lo dice e sento un tremore che gli attraversa il braccio.

Ricordare Trilly mi fa molto male.

«Intanto eri in un bagno di sangue» continua lui e il braccio mi stringe di più. Parla come se mi raccontasse una qualsiasi serata tra amici e sul suo viso si legge un'angoscia infinita. Come fanno a convivere due anime così differenti dentro di lui? Ha paura e ci gioca sopra, tutto quello che ha di più caro gli crolla intorno e lui si scherma dietro pareti indistruttibili. Di colpo diventa serio e mi solleva il viso portandolo a un sospiro dal suo. «Se dobbiamo essere una squadra, Sam, tu devi essere sincera con me. Parlami. Sfogati. Picchiami, se vuoi. Ma non farmi più entrare in una doccia piena del tuo sangue. Ti prego. Non sapevo come tirarti fuori. Eri crollata contro la parete e non sapevo come fermarlo. Hai tagliato in profondità».

«Non volevo farmi del male, ho solo spinto troppo con la scheggia. Dovevo stare più leggera».

«Stare più leggera? Stavo per chiamare Zanna, hai idea di cosa avrebbe combinato?» Spalanca gli occhi. Immagino che in questo momento sarei ricoverata in un reparto psichiatrico se Mic e Chris non avessero sempre coperto le mie crisi. Solleva un sopracciglio. «La scheggia?»

«È della clessidra di Mic. L'ho spaccata contro la parete».

«Hai fatto bene». Appoggia la fronte contro la mia e questo semplice gesto mi fa sentire protetta. «E Trilly l'ho conosciuta anch'io. Chi se la scorda quella. Ha lavorato per qualche tempo al bar del Black Bridge con Candy. Poi è sparita. Adesso, grazie a te, so anche dove sia finita, ma ne facevo volentieri a meno».

«Come fai a scherzare su ogni cosa? A non avere paura di niente?»

«Sono nato nella paura, Sam. Ci nuoto. Ho così tanta paura che non la vedo neanche più. E ieri sera mi hai dato un altro pensiero. Ti ringrazio».

Sorrido. «Non c'è di che».

Gli occhi di Chris sono quasi gialli nella debole luce che filtra dal corridoio, si spostano a fissarmi la bocca. Un lampo gli attraversa lo sguardo e si stacca da me. Alle sue spalle la finestra è rimasta aperta su un cielo di stelle.

«Se fossimo come loro, non moriremmo mai».

Lui si gira senza lasciare la presa sul mio corpo. «Dici?»

«Distanti, ma al sicuro».

«Sai che alcune di loro sono già morte? La loro luce impiega tanto tempo a raggiungerci, ma loro si sono già spente». Penso a Lucia.

Mi giro, prendo il portachiavi di Lucia dal comodino e glielo metto in mano. I filamenti dentro alla piccola sfera brillano fluorescenti nel buio. Sono semi di soffione. «Ci sono stelle che ci mandano luce anche dopo essere morte».

Christian lo stringe tra due dita. «L'ho comprato con lei. Mi sono chiesto spesso se avesse fatto in tempo a darglielo».

«È arrivato con due anni di riparto, forse quando era più necessario».

«I semi del dente di leone sono attaccati con forza al centro, poi capiscono che devono staccarsi, maturare e lasciare il luogo d'origine per poter fiorire. Lei diceva che Michele era così protettivo perché aveva paura di staccarsi».

«Io l'ho visto fiorire e poi appassire».

«No, Sam. Tu l'hai fatto fiorire, con i tuoi casini. Adesso appassisce perché è senza acqua».

Mi accarezza i capelli con un sospiro carico di frustrazione e ci nasconde il viso dentro, li annusa, e allora ricordo le sue mani che lavano via il sangue e fasciano le mi braccia, poi le sue labbra premute sulle mie quando mi ha portato in camera di Lucia, mentre cercavo di tornare alla realtà. «Chris».

«Lo so, Sam. Di solito mi prendo quello che voglio senza chiedere e faccio fatica a controllarmi. Sono uno stronzo, ma puoi fidarti lo stesso di me. Adesso dormi».

Chiudo gli occhi con i suoi addosso e prendere sonno è ancora più difficile.

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