51 - Allungare la mano

«Ti trovi più a tuo agio se non la chiami mamma?»

Annuisco.

«E qual è il motivo, secondo te?»

Sono seduta sul bordo del divano morbido nello studio, troppo profumato di vaniglia, dello psicologo. Non mi piace essere guardata. Non mi piace essere analizzata. E lo odio.

«Forse perché si drogava?» rispondo, tanto per dargli qualcosa da sminuzzare nel suo cervello acuto.

«Forse. O magari perché non è riuscita a fare davvero la mamma?»

«Mi occupavo di tutto io perché lei era sempre fatta».

«Non è facile uscire da una dipendenza. Lo sai, vero?»

«Soprattutto se lo spacciatore vive con te».

«Era tuo padre a fornirle il Nod

«Faceva gli esperimenti su di lei ancora prima di metterlo in circolazione. L'ha rovinata».

«Allora non credi che sia il caso di perdonarla?»

Odio quest'uomo. Odio il mio vecchio mondo e odio parlarne. Un groppo in gola mi blocca il respiro. Lo ingoio come se fosse un boccone amaro.

«Non le devo perdonare niente. Lei era quel che era. Lui è un uomo nero e presto verrà a prendermi».

«Non hai bisogno di difenderti da me, Samantha».

Lo guardo negli occhi per la prima volta dopo un'ora intera di terapia. È sincero, preoccupato, e vuole davvero aiutarmi. Il problema è che sono io a non sapere come aiutare me stessa.

Alla fine gli concedo un sorriso. «Lo so, dottore».

***

Sam dice che sul fiume c'era una donna che abitava nell'ultima baracca prima dell'autostrada, lei era speciale.

«Mi ha detto che ci sarebbe stato un buco profondo nella mia vita e che sarebbe durato a lungo. Secondo lei, sulla mia mano c'è scritto che la fiamma arde veloce e quando muore resta solo cenere, ma che la scintilla si ferma sempre negli occhi di chi sa guardare il buio senza avere paura».

È capace di calamitare la mia attenzione, le rare volte che decide di raccontarmi qualcosa di suo. «E cosa significa?»

Solleva le spalle e fa una smorfia strana, stringe le labbra e poi mi sorride.

«Cosa ne so? Era lei che doveva spiegarmelo, ma non l'ha fatto mai».

Sono seduto alla scrivania di Lucia, Sam è in piedi di fronte a me. Di colpo si china, trascina la mia sedia in avanti e mi fa appoggiare il braccio al ripiano di legno.

«Samantha, cosa stai facendo alla mia mano?»

«La copro d'inchiostro».

«Inchiostro delle penne? Quello che non si toglie più?»

«Niente è eterno, prima o poi si toglie».

Niente è eterno. Che buffo sentirlo da lei.

«Attenta, macchia la scrivania...»

«...sai che sei proprio un rompipalle? Ti vuoi rilassare?»

Mi ferma il polso con la mano fredda e mi obbliga ad aprire la mia sul cartone che ha steso sulla scrivania di Lucia. A volte mi illudo che Sam non sia del tutto pazza, poi devo ricredermi. L'inchiostro mi scorre sul palmo, ha rovesciato una boccetta intera.

Sgrano gli occhi e cerco il suo sguardo, ma è concentrata su quello che fa su di me. Perché le ho lasciato fare questa cosa? Perché su di me lei può fare qualsiasi cosa.

«Lei leggeva la mano in questo modo». Punta il dito, poi mi fa chiudere e a aprire il pugno sette volte. Alla fine osserva i disegni creati dall'inchiostro. Ride, poi diventa seria e passa la mano sulle mie dita per aprire meglio il palmo. Lo fa piano, con dolcezza.

«La vita è fatta di dolori, che passano e insegnano, e di sofferenze che invece non passano mai. Di amori che superano qualsiasi ostacolo. La morte per te è una compagna difficile, scaltra, infallibile...» Alza gli occhi nei miei e mi blocco. «Inevitabile...»

«Adesso basta...»

Mi lancia uno sguardo triste e sento il cuore perdere un battito. Sta scoprendo tutte le carte, anche quelle che avrei voluto nascondere nella manica e tenere per me.

«La linea dell'amore attraversa la tua mano come una grossa corda, tesa a portarti lontano e in alto, sempre più in alto». Appoggia il suo palmo sul mio e si sporca d'inchiostro fino al polso. «La linea della vita è sottile, quasi invisibile, attraversa quella dell'amore, si interrompe per valicarla, e per un po' svanisce».

Trattengo il fiato. Lo so, Sam, che la mia linea della vita svanisce presto.

«Vedi qui? È il punto dove la tua linea della vita si scontra con l'amore. Lui è più forte. La ferma. Invece qui...» Tocca un punto alla base del pollice e un brivido mi sale fino alla spalla. Mi allungo per baciarla, ma lei mi ferma. «Qui è dove la tua vita ricomincia. Proprio dopo l'incidente con l'amore».

Rimango a fissarla, i nostri visi sono vicini e sento il suo respiro sul collo. Un impulso irresistibile mi trascina a sfiorarle di nuovo le labbra.

Sam si tira indietro e si alza in piedi come se la mia bocca l'avesse in qualche modo ferita.

«Adesso lavati quella mano che l'inchiostro non viene più via».

***

Sento un botto venire dalla stanza accanto e salto in piedi spaventata. Senza darmi tempo di pensare, corro da Mic con il cuore in gola. Ho sempre paura, in questi giorni. Se di notte Mic si lamenta io resto a fissarlo per ore, se non lo fa, sto sveglia accanto a lui e ascolto il suo respiro. Ho paura di non vederlo arrivare quando lo aspetto sullo scoglio alla mattina. Come se l'ansia mi prendesse alla gola. È il terrore di qualcosa che sento arrivare, ma non posso vedere. Un po' come mi succede se penso a mio padre e a questo strano periodo di pace che ci concede, in attesa che questa casa, e la famiglia che mi ospita, restino scoperti e senza difese.

Spalanco la porta che va a sbattere contro il muro. «Cosa succede?»

Lui è in piedi in un angolo della stanza e mi indica una cosa nera che cammina lenta sul suo letto. E' uno scarafaggio e non è neanche enorme.

«Mi hai fatto spaventare!» sbotto.

«Non eri arrabbiata con me?»

Non proprio. Litighiamo per cose banali, una parola storta, una frase fuori posto, ma soprattutto per l'elettricità che corre in casa, dove siamo tutti nervosi. Chris non dorme bene, dice che è Aria a tenerlo sveglio perché si lamenta di qualcosa, ma credo sia paura. Zanna rientra a orari impossibili, sempre più stanco, sempre più abbattuto. Vanessa cerca di tenere insieme questa strana famiglia e di proteggerci come meglio può. Ogni tanto, però, mi guarda in modo strano e spesso lo fa con Mic, con la malinconia negli occhi, come se si aspettasse di vederci svanire. 

«Sì, sono ancora arrabbiata, ma se sento una bomba esplodere nella tua stanza, vengo comunque a tirarti fuori!»

«Molto gentile...» Si passa una mano sulla faccia stanca, e sorride. «Non era una bomba, se lo vuoi sapere. Era il casco della moto».

«L'hai lanciato sulla povera creatura che ti zampetta sul letto?»

«Non dire zampetta. Mi vengono i brividi». Si addossa di più al muro, con addosso solo i pantaloncini, e mi fa una gran tenerezza. «Non vedi quanto è grosso?»

Mi guardo intorno in cerca di qualcosa per aiutare la povera bestiola a riguadagnare la libertà prima che lui le lanci addosso una lampada. Nella stanza di Mic regna un caos organizzato, in cui sono sicura che lui saprebbe trovare ogni cosa. Fogli sparsi, quaderni, penne, evidenziatori sbucano da posti impossibili. Un libro aperto è voltato a faccia in giù sul copriletto. Sbircio il titolo, ma la mia mente si rifiuta di elaborare l'informazione. La morte amica. Lezioni di vita di chi si avvicina alla morte.

Prendo un bicchiere vuoto che è rimasto sul comodino e lo appoggio sopra allo scarafaggio. Mic mi allunga un quaderno e cerca di non guardare l'insetto che si arrampica sulle pareti del bicchiere. Mentre lo appoggio sulle tegole fuori dalla finestra, mi raggiunge il rumore del mare. Non ci farò mai l'abitudine. È una magia, questo suono, e porta via i brutti pensieri. Quasi tutti.

«Alle case sul fiume c'erano i ratti, erano grossi come gatti, con la coda tutta rosa e grandi occhi neri» dico. Respiro l'aria salata che viene dal mare.

«Davvero?»

Annuisco. Non l'ho mai considerata la mia casa. Era piuttosto il luogo dove vendevo me stessa per pagare da mangiare a me e a Frog.

«Un scarafaggio, in confronto, deve sembrarti una deliziosa farfalla...» riflette lui. Si siede sul letto e mette il segno al libro che stava leggendo. Lo fa sparire sotto al cuscino.

«Cosa leggi?»

«Niente di importante».

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