45 Brucia l'anima
Sono fradicio di sudore e il sole mi batte a picco sulla testa. Ho lavorato sulla moto, perso nei ricordi più belli, per due ore piene. Finisco di avvitare l'ultima copertura e ci sono due piedi nudi, fermi di fronte a me sul sentiero rovente. Alzo gli occhi su Sam. «Sei allergica alle scarpe?»
Lei accenna un sorriso e mi allunga un bottiglia d'acqua, poi mi guarda mentre la svuoto quasi tutta. «Mi sento più libera senza».
«Il sentiero dev'essere bollente».
«Vieni all'ombra con me».
Ci sediamo sotto un albero poco lontano. «Tu sai perché Mic si è chiuso in camera sua? Non dovevate lavorare insieme?»
«Non gli piace quello che dico».
Non voglio mentirle e quella che le rifilo è in fondo una mezza verità. Mi sfilo la maglietta fradicia e Sam mi osserva con attenzione, il suo sguardo scivola su di me e si ferma al filo di inchiostro che mi circonda il braccio. La vedo indecisa. Vorrebbe domandare senza ferirmi. Nonostante quello che le stavo per fare, non mi teme, come se leggesse sotto alla mia ostilità, sotto l'ironia di certe frasi. E vedesse qualcosa di salvabile che si nasconde sotto strati di melma.
«È per lei?» chiede.
Ci passo sopra un dito e me ne pento subito. La pelle di Lucia, il suo calore, il suo profumo, la sua voce. Cazzo, tutto. Mi sposto indietro i capelli che sono scesi sulla fronte e appoggio le braccia alle ginocchia piegate. È ancora qui con me e, Sam, fidati, non innamorarti di quello stronzo che si è chiuso in camera. Non farlo. Lascialo a morire da solo. La scintilla è viva, e brucia per sempre. Calma, Chris, respira. È solo un tatuaggio. Devi dire, sì, è per lei. Per ricordarla. Come sarebbe semplice.
Sam mi anticipa e, come sempre, non solo mi spoglia di ogni difesa, registra le mie espressioni. «Ti brucia parlare di Lucia».
Guarda la casa come se vedesse un miraggio di speranza per se stessa. Io sospiro. «Tutto quello che respiro è la tua vita» dico. Stringo le gambe al petto e cerco di controllare la voce. «La traduzione di quella strofa dice così ed è quello che ho fatto per i quindici mesi che siamo stati insieme. Mi seguiva dappertutto, mi portava qui come se anche io appartenessi a questo mondo». Allargo il braccio a indicare la casa.
«Chris, tu appartieni a questa famiglia...»
«Vengo dalle baracche sul fiume, Sam, non prendermi in giro. Tu sai come siamo noi. Lei mi ha inserito a forza, come un pezzo di un incastro che proprio non si conforma al resto. Le ho parlato di me come non ho mai fatto con nessun altro e lei ha continuato a dire che avevo dentro qualcosa che chiamava il suo nome e sai una cosa?»
Sam mi osserva e poi abbassa gli occhi, incapace di guardare il tormento che c'è dentro.
«C'era davvero qualcosa, ad agonizzare nel buio, e chiamava solo lei. Continua a farlo, in ogni istante» concludo con amarezza.
Sam si muove a disagio e cerca di dirottare i miei pensieri. «Come ha fatto tuo padre a finire per lavorare con Zanna?»
Mi scappa una risata carica di sdegno. «Gli voleva dare una possibilità. Un giorno Jack è tornato a casa e Lucia era da me. Era ubriaco fradicio e voleva soldi che non avevo. Tutto quello che guadagnavo, eccetto il poco che riusciva a tenerlo buono, lo nascondevo dove lui non potesse trovarlo. Comunque ha iniziato prima con le parole, poi con le mani. Mi ha colpito forte e, anche se eravamo usciti, lei ha visto e si è messa in mezzo. Te lo giuro, Sam, non ho mai risposto alle botte di Jack, ma non avrei mai permesso che mettesse le mani su di lei. Era l'unica cosa pulita in tutta quella merda».
«Ti sei difeso solo per proteggere lei».
Annuisco piano. «Ma Lucia continuava a parlarne, diceva che non mi avrebbe lasciato vivere in una casa dove, in qualsiasi momento, Jack avrebbe potuto ammazzarmi di botte. Così ne ha parlato a Zanna e lui credo abbia lo stesso codice morale della figlia. Per sopravvivere prova a lasciar correre certe cose, ma non sopporta le ingiustizie».
«Dovrebbe essere sempre così».
Sollevo un labbro in un ghigno. «Ma non lo è. Lui gli ha offerto un posto, dopo che l'avevano messo a riposo dalla vigilanza privata perché l'avevano beccato ubriaco fradicio, ma dal momento che non si fidava per niente di mio padre, ha deciso che avrebbero fatto coppia. Sai cosa significa avere un compagno inaffidabile, quando ti trovi in situazioni di pericolo?»
Lei si sposta i capelli dietro l'orecchio e si gira. «È peggio che uscire di pattuglia da solo».
«Eppure lo ha fatto e così mi ha protetto senza che neanche io me ne rendessi conto. Jack è rimasto pulito per un breve periodo, poi ha ricominciato, ma al lavoro era sempre a posto. E mi picchiava meno, in posti più nascosti, come se provasse ad essere corretto e non ci riuscisse comunque del tutto». Mi scappa un sorriso che pizzica le labbra al pensiero di mio padre. Non l'ho mai amato e non sono mai riuscito ad odiarlo come avrei voluto. E ora non c'è più.
Sam sfiora il tatuaggio, osservo le sue dita piccole percorrere la linea intrecciata delle lettere e vorrei che non lo facesse. Risveglia sensazioni instabili, incomplete, desideri mai del tutto svaniti e la presenza di lei si fa forte, viva, insostenibile. La desidero e mi distrugge.
Le fermo la mano e me la porto sul petto, le mostro il nero inchiostro dietro ai miei occhi verdi e lei non si tira indietro. Non ha paura neanche adesso.
Non riesco a trattenermi, come se tutto il male cercasse una via per uscire e lo facesse attraverso i miei occhi, le mie mani e le mie parole. Le sposto i capelli dal viso e lei diventa seria.
«Sei la creatura migliore che le baracche sul fiume abbiano mai partorito» le dico. Lo penso davvero, se c'è qualcuno che può salvarsi da quello schifo è Sam, ma ha la sfortuna di essere nata dal peggiore tra gli uomini. Frog cercherà di riprenderla a ogni costo perché nessuno si prende gioco di lui. Le mie mani le accarezzano il viso, scendono al collo e senza rendermene conto mi avvicino troppo.
Mi ferma quando le nostre labbra quasi si toccano. «Io non sono lei, Chris. Mi dispiace» sussurra piano. Non vuole ferirmi più di quanto non sia già.
Stacco le mani da lei e mi sento un idiota. «Scusami. Mi... dispiace. Io, non so, davvero, cosa mi sia preso...»
«È il caldo...» sorride lei.
«Sì, ho preso un'insolazione».
«Ecco, forse». Mi alzo in piedi per andarmene a testa bassa, ma lei mi ferma.
«Chris, cosa succede?» Scava dentro di me senza neanche saperlo e io sto per crollare. Le ho raccontato cose di cui non ho parlato neanche con Michele perché lui è troppo coinvolto e gli farebbero male. «Ho paura che tutta questa felicità abbia un costo troppo alto» butto fuori in un fiato.
Sam, alle mie spalle, resta in silenzio e ne approfitto per dirottare la conversazione. «Aria?»
«Mentre mangiava le crollava la testa sul piatto e Vanessa l'ha portata a letto».
«Non ho mai avuto così tanti aiuti, con lei. Mi sembra di respirare meglio da quando sono qui».
«È l'incanto di questa villa bianca».
Le guardo il viso, è lei la magia qui, e l'espressione di fiducia che si affaccia tra la sua solita diffidenza mi fa paura. Resterà delusa, non solo, ferita. La sua stessa illusione metterà i denti e la azzannerà. Perderà così tanto sangue che... Ho bisogno di spegnere quella scintilla, devo calpestarla fino a ucciderla. «Ricorda che dietro a ogni incanto c'è una pesante maledizione».
Sam mi tira per un braccio di nuovo a sedere. «Sei un soggetto strano, Christian. Lo sai, vero?»
«No». Scuoto la testa. «Sono un rifiuto umano uscito da un buco di periferia che puzza di letame. Ecco, questa è una buona definizione».
«Non è così».
«Non capisco neanche come mai tu sia così gentile con me. Ti ho insultata, ingannata, quasi distrutta. E poco fa...»
Sam mi colpisce con un pugno al braccio che da poco si è sistemato. Trattengo un gemito di dolore. E ride di gusto. «Sai cosa vedo, quando ti guardo?»
Abbasso la testa tra le braccia per evitare di vedere la sua espressione.
«Tu sei la vetrata di una cattedrale. In frantumi, certo, ma quando raccogli i pezzi, uno per uno, e li rimetti insieme...» Aspetta di incontrare il mio sguardo e qualcosa mi brucia dentro, tanto da far male. «Viene un disegno meraviglioso».
***
Diciotto mesi prima
Dalla morte di Lucia non mi sono più avvicinato alla villa bianca, troppo dolore, troppi ricordi. Al funerale mi sono tenuto lontano e Michele non ha capito che non avrei saputo controllare le mie reazioni. Si è avvicinato in silenzio. Gli ho gettato addosso accuse assurde per liberarmi del senso di colpa ingiustificato che mi porto dentro, gli ho gridato sottovoce, e alla fine l'ho colpito. Mi ha lasciato fare, come se fosse una punizione minima per le sue colpe, ha perfino allontanato suo padre che era venuto a separarci.
Da quel giorno non ci siamo più visti. A scuola ci evitiamo così bene che, nonostante le nostre aule siano vicine, non ci vediamo mai. Gli Zanardi continuano a pagare la mia retta, mi sento in debito con loro, ma per me sarebbe impossibile proseguire la scuola, se dovessi finanziarla con gli incontri clandestini. Come se non fosse sufficiente, i risparmi li avevo affidati a Lucia perché mio padre non li trovasse. Sono annientato, distrutto e rovinato. Tutte le sere partecipo a tre o quattro incontri nella speranza che qualcuno mi fracassi finalmente questa testa di cazzo che mi ritrovo. Invece vinco. Sempre. E nella mia testa vive solo lei, Lucia, non riesco a farla uscire. Una dolce e bellissima maledizione dagli occhi celesti.
Un'ambulanza mi passa accanto a sirene spente mentre rientro a piedi da scuola, alzo lo sguardo distratto. In quel momento sono sicuro che la mia vita non possa fare più schifo, ma sbaglio.
La porta di casa mia è spalancata.
La stanza da letto è schizzata di sangue, le lenzuola ne sono zuppe, e mia madre non c'è più. Il suo corpo nell'ambulanza che ho visto passare. Il resto, chissà, forse esiste un paradiso anche per quelli delle baracche... La vicina di casa si affaccia sulla soglia, stringe tra le braccia mia sorella, che in quel momento è la causa principale per cui mi ritrovo senza una madre.
«Ha perso troppo sangue» dice.
Lo vedo, cazzo. È dappertutto. Intanto la mia mente ha smesso di ragionare. Non ho l'età per affrontare una cosa del genere. Non so cosa fare. Nulla mi lega più a questo posto di merda. Dormirò sotto i ponti, in ripari di fortuna, ma posso andarmene. Rimanevo solo per mia madre, che non era capace di fuggire da un uomo violento, stavo lì a prendermi le botte al posto suo, ma adesso sono libero. Lo stomaco mi si stringe di colpo e devo correre a rimettere in bagno.
«Ti posso aiutare, Chris. Ce la farai» tenta di nuovo lei quando mi sono ripreso. Mi mette tra le mani quella bambina che non la smette di urlare. Un dolore sordo mi stringe di nuovo le viscere. Non mi farò coinvolgere. Lei non fa parte delle mie responsabilità, non mi legherà qui.
La guardo solo un istante. È un brutto fagotto con il viso viola, che fa fatica a tirare il fiato dal tanto che strepita. «Forse ha fame» tenta la vicina.
Scuoto la testa e le metto di nuovo la bimba tra le braccia. «Aspetti mio padre. È figlia sua». Afferro lo zaino di scuola e ci infilo dentro un ricambio di vestiti, poi infilo la porta e lascio le baracche sul fiume senza voltarmi indietro. Il grido sfiatato di mia sorella mi segue come una persecuzione, ma dopo un po' di spegne lontano.
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