4 - ✨ Due condizioni
Mi sono svegliato a terra vicino al letto. Non so come ci sono arrivato, ma questa notte il mio cuore ha di nuovo sfarfallato. Fibrilla in cortocircuito, allora mi convinco che da un momento all'altro succederà e mi sento meglio. Mi calmo. Come se potessi guardarmi da fuori. È meglio vederla arrivare, la fine, piuttosto che attenderla dietro l'angolo a ogni curva.
Infilo la tuta, le scarpe da ginnastica e chiudo la cerniera fin sotto al mento. Scendo le scale senza fare rumore, salto il quarto gradino, che cigola, e passo dalla cucina per uscire in spiaggia. Alle mie spalle risuonano i passi ormai familiari di Sam. Lei cammina in punta di piedi e veloce. Sembra in prestito in questa casa, ma con il passare dei giorni certe cose sono migliorate. Non trasale più ogni volta che sente un rumore, ci guarda in faccia, negli occhi, mentre i primi giorni restava sempre a testa bassa. In una settimana è diventata una presenza familiare. Rifletto su questo mentre le scarpe da ginnastica battono il ritmo sulla sabbia, e anche su quanto sia piacevole sentire di nuovo qualcuno che si muove nella stanza accanto. Non che Sam possa in alcun modo sostituire la mia sorellina, ma averla in casa è come prendersi cura di Luce.
Per quel motivo, o forse perché sono curioso, questa mattina le ho chiesto di nuovo come si chiama. E lei ripete la stessa frase che dice ogni volta: «Non importa». Fa male sentirla. Come può non essere importante il suo nome? Toglie importanza anche a se stessa. Sono riflessioni troppo profonde, per me, alla domenica mattina, ma lo stesso mi trovo a bisbigliare: «A me importa». Accidenti, è con noi da una settimana! Voglio davvero conoscerlo.
Mio padre dice che gli assistenti sociali le stanno cercando una famiglia, ma Sam continua ad essere parte di questa casa e per adesso a me va bene così. Se devo essere sincero, spero che non la trovi, un'altra casa. Mi stringe la mano quando ci presentiamo e io mi sento bene come l'anno scorso, partecipavo alle gare di atletica e vincevo una competizione. Sono soddisfatto di me stesso e di lei. Non so perché, in fondo è solo una stretta di mano, ma mi sembra un grande traguardo.
Elena ci raggiunge mentre rientriamo in casa. Io e lei stiamo insieme da poco più di un anno, ma ci conosciamo da quando eravamo bambini. È sempre stata al mio fianco, in ogni prova, in ogni occasione, in tutti i momenti belli e brutti della mia vita. Anche quando Lucia se n'è andata, lei mi ha riportato a galla da un posto buio. Non ne sarei mai uscito da solo.
Questa volta però vorrei che mi lasciasse in pace e capisse se non voglio vedere nessuno, se voglio restare nella mia stanza ad ascoltare le dita scheletriche del tempo battere sui tasti del mio corpo o soffocarle con la musica per fingere di non sentire più niente.
Iniziamo a discutere mentre Sam ci aspetta poco più avanti: il cancello tenuto aperto dal piede nudo. Elena entra in casa arrabbiata, come ogni volta che mi rifiuto di uscire con lei. La prende male, come se rifiutassi lei. Non sei ancora morto. La sua frase preferita, in questo periodo.
Mi lacera dentro.
Fisso i piedi nudi di Samantha e per una ragione inspiegabile mi viene da sorridere. Quando le passo accanto, lei crede che il mio grazie sia perché mi ha tenuto aperto il cancello, invece è per i suoi piedi nudi che mi hanno distratto dal nodo che sento crescere nel petto. Vorrei piangere, ma non l'ho più fatto dopo Lucy. Con lei ho usato tutte le lacrime che avevo a disposizione.
Elena mi trattiene per un gomito prima che segua Sam in cucina. «Chi è quella?»
«Te l'ho detto, è Sam».
«Mi prendi per cretina? Chi è Sam? Vive qui?»
Chi è Sam? Non lo so. Quale vita abbia fatto prima di finire qui, chi sia stata, perché abbia così terrore della gente che la circonda. Non so niente di tutto questo perché non ho domandato e comunque mio padre non parla del suo lavoro. Mi limito a riportare la scusa che ci ha detto di rifilare a chi chiedesse qualcosa: «Sam... è una parente di mio padre. Ha bisogno di un posto dove stare per un po' di tempo. Tutto qui.»
«Tutto qui?» È furiosa e non capisco davvero perché. «Quindi siete parenti?»
«Non proprio».
«Quindi vivi con una ragazza che non ho mai visto e non siete parenti?»
«Elena, dove vuoi arrivare?»
«Quante cazzate mi stai dicendo?»
Mi libero infastidito dalla sua stretta ed entro in cucina. Ci sono giorni in cui è davvero insopportabile. Di cosa si preoccupa? Con Sam non potrebbe mai succedere niente, è più piccola di me e comunque non si fa neanche avvicinare. La sua mano nella mia e quel senso di pace... No, non succederà niente con lei.
Che problema potrebbe mai creare una ragazza di quel tipo, in questa casa? Mentre la guardo sorridere timidamente ai miei in cucina, mi tornano in mente le parole che mamma ha detto a papà la prima notte in cui è arrivata. Hai portato un uragano in questa casa.
***
C'è elettricità tra i miei, hanno litigato di nuovo. A volte discutono su di me: i medici, le visite, i trapianti di cuore, impossibili senza un donatore. Di recente l'argomento è Sam, di questo devo esserle grato perché distrae l'attenzione morbosa dei miei verso la mia salute.
«Ciao ragazzi» dice mio padre. «Tutto bene?»
Domanda retorica perché le nuvole nere che escono dalla testa di Elena invadono la cucina. Mia madre si rivolge proprio a lei, seduta di traverso sullo sgabello alto del bancone dove facciamo colazione. «Ciao cara, vuoi un toast?»
«Sì, grazie, signora Gredi».
Mia madre tocca come sempre il tasto dolente: «Avete programmi per oggi? È una splendida giornata».
«Devo studiare, mamma».
Lei mi guarda di sfuggita, a volte preferisce non vedere, mentre Elena sbuffa, finisce in fretta il suo toast e si alza subito per andarsene. «Se cambi idea mandami un messaggio» dice volgendo il viso verso di me.
Annuisco senza ricambiare. Lei dà un bacio su una guancia a mia madre e saluta mio padre con un cenno. Lancia uno sguardo strano a Sam. «Piacere di averti conosciuta». Lei alza un lato della bocca in un mezzo sorriso incerto. Immagino abbia capito di non essere piaciuta molto a Elena, ma del resto non ne ha colpa.
Quando sente la porta di casa chiudersi, mio padre alza lo sguardo dal giornale che finge di leggere. «Vorrei parlarti, Sam».
Mi alzo per lasciarli soli, ma lui mi ferma. «Vorrei che restassi anche tu, Mic».
«Come vuoi».
«Gli assistenti sociali hanno detto che pensano di avere un posto per Sam».
Cerco di non cambiare espressione, so che lei è qui da una sola settimana, che era previsto stesse ancora meno e che non dovrebbe importarmi niente di dove va, né di quando. Nonostante questo, la notizia mi mette di cattivo umore. «Pensi che sia una buona idea?» sbotto prima di riuscire a trattenermi.
Sia mio padre che Sam si voltano verso di me, ma è lui a parlare. «Pensano di avere un posto libero tra un paio di settimane. Nel frattempo hanno valutato che per lei possa essere positivo restare con noi. Sono venuti a vedere la casa e avrebbero voluto parlare anche con te, Sam, ma ho pensato che non ti fosse utile. Spero di non aver sbagliato».
Sorrido e non so perché. Anche lei sorride. Sembra sollevata. «Mi piace stare con voi, se non vi creo troppo disturbo». È la frase più lunga che le ho sentito pronunciare.
«Non dirlo neanche per scherzo» sbotta mia madre.
Ma mio padre alza la mano per interromperla. «Hanno posto delle condizioni».
«Quali?» Sam pare spaventata. Forse dipende dalla situazione o dall'età simile, ma certe sue espressioni sono proprio uguali a quelle di Lucia. La ruga sulla fronte quando pensa a qualcosa di complicato, difficile o doloroso. Mi domando se, quando ride, anche a Sam si formino delle fossette sulle guance, e non mi rendo conto che stanno continuando il discorso mentre io mi sono perso nei miei pensieri e sulle labbra di lei. Mamma passa una mano davanti alla mia faccia e mi riscuoto.
«So che per te può essere difficile», inizia papà «ma le condizioni che hanno posto sono due: che tu vada da uno psicologo ogni settimana e che frequenti la scuola».
Sam scuote piano la testa e diventa bianca come la parete alle sue spalle. Scende dallo sgabello e si appoggia al tavolo per non cadere. L'impulso di andare da lei è fortissimo, ma non credo la prenderebbe bene. I tagli sulla mia guancia bruciano ancora come monito a non avvicinarmi troppo.
Mia madre si allunga verso di lei. «Stai bene?»
Sam ci guarda, uno alla volta, sembra si vergogni di quello che prova. «Non posso. Non ci riuscirei. Io non...» Chiude gli occhi, ha il respiro accelerato.
Mi alzo per afferrarla prima che crolli a terra.
«Non mi toccare». Lo dice sottovoce ma con un tono che è come se me lo avesse gridato in faccia. Non riesce neanche più a guardarci. Si volta, lascia la stanza, e poco dopo la sento correre su per le scale, inciampa su uno degli ultimi gradini e si chiude nella stanza di Lucia.
Cerco di seguirla, ma mio padre mi ferma. «Lasciala andare, Mic».
Mi volto risentito verso di lui. «Lo sapevi che era una pazza furiosa, quando hai deciso di portarla qui?»
Lui stringe i denti, un muscolo guizza sulla mascella. «Sapevo che non sarebbe stato facile, ma ti renderai conto che per certe persone ne vale la pena». Mi guarda fisso negli occhi.
«Lei vale la pena?»
«Nessuna ragazzina merita la vita che faceva».
«Chi era, Sam, prima di arrivare qui?»
Mio padre spalanca gli occhi e ignora la mia domanda. «Ti ha detto come si chiama?»
«Samantha».
«Come hai fatto?» Sollevo le spalle per la strana piega che ha preso la conversazione. Le ho detto che a me importa. «Gliel'ho chiesto».
«A me ha risposto fottiti». L'espressione sul viso di mio padre mi fa scoppiare a ridere.
Mia madre ci passa davanti per salire da Sam. «Vado a vedere come sta. Mi è sembrata sconvolta».
Penso a quella ragazzina, seduta sullo scoglio, che era girata verso casa nostra invece che verso il mare, quasi non credesse di aver avuto una simile fortuna. Mi guardo il palmo e ripenso alla stretta delle nostre mani, alla fiducia che ha riposto in me quando mi ha detto il suo nome. Come se fosse un segreto. No, come se fosse cosa di poco conto. Il piede nudo di Sam che tiene fermo il cancello.
Mi scappa un'altra risata.
I miei genitori mi studiano come se fossi impazzito. Non mi ricordo da quanto tempo non mi scappava da ridere in questo modo e faccio fatica a smettere. «Penso sia meglio che salga io, mamma» dico appena riprendo il controllo.
Li lascio in cucina a fissarmi la schiena e salgo verso la stanza di Lucia. Un uragano.
Sam è l'uragano che mi serve e non credo che la lascerò andare via.
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