35 - Black Bridge
Guardo Sam allontanarsi per mano con Aria. Mic mi sbatte contro e corre dietro di lei. Farsi beccare a baciare Elena, dopo quello che con evidenza prova per Sam, non è stata una mossa brillante, ma dalle occhiaie e dal viso pallido non sono neanche sicuro che sia in grado di ragionare con lucidità. «Non fare l'idiota con lei, Mic».
«Non sono affari tuoi» sbotta in un ringhio mentre passa senza voltarsi.
Elena si allontana lungo la spiaggia a testa bassa.
Senza un motivo particolare mi torna in mente Geordie, del Black Bridge. Lui era incaricato di seguire la sperimentazione del Nod e avviare chi frequentava il locale a farne un uso sempre maggiore, sempre più sregolato. Non capisco ancora come il peggiore dei bastardi in circolazione abbia saputo essere, per me, un così buon amico. Devo essere nato con qualcosa di marcio dentro, come ha sempre detto mio padre. Geordie era un soprannome, al Black Bridge nessuno usa il suo nome vero, lo chiamavano così gli altri spacciatori perché aveva origini inglesi da parte di madre e per una vecchia canzone. Dicevano che, in un modo o nell'altro, il cappio al collo non glielo avrebbe evitato nessuno e immagino che alla fine sia andata proprio così. Quelli come noi fanno sempre una brutta fine. Io e te, Sam, non facciamo eccezione.
3 anni prima
Il Black Bridge è il nodo nevralgico del giro di spaccio della zona e si trova nascosto nella parte industriale del distretto sud che, durante la notte è deserta. Sorge in un edificio diroccato, interamente coperto da graffiti fluorescenti, sia all'esterno che all'interno. L'accesso avviene dopo un accurato esame dei documenti, veri o falsi che siano.
Ancora oggi, dopo tanto tempo, mi chiedo come abbia fatto lei a entrare.
La luce stroboscopica e gli ultravioletti mi feriscono gli occhi a intermittenza mentre scarto a destra il gancio potente, ma troppo lento, di un uomo robusto, che a occhio potrebbe avere una decina di anni più di me. Non mi prende neanche di striscio, sono sempre stato troppo veloce. L'uomo si lascia sfuggire un grugnito di frustrazione. Mi vergogno a pensare che la mia rapidità sia maturata per sfuggire alle botte di mio padre ubriaco. Ora però mi torna utile. I soldi sono finiti e Jack continua a bere. Accumula debiti e dopo piange. Si è giocato la nostra casa, se così possiamo chiamarla, e ho cercato un modo per fare soldi facili. Qui al Black Bridge, se sei disposto a sporcarti le mani, puoi guadagnare bene, ma le attività principali sono lo spaccio e le lotte clandestine. La prima non mi piace: ho perso troppi amici a causa del Nod. Combattere invece mi riesce naturale, sono arrabbiato, veloce e preciso nei colpi. La gente paga bene e scommette tanto quando ci sono io sul ring.
Il club è di Frog, lo conosco di fama, ma non l'ho mai visto. Ha affari più grossi altrove. Io tratto solo con Geordie, che nel tempo libero mi dà qualche dritta sulla boxe. Dice che gli piace la mia faccia e non vuole che me la rovinino troppo. Quando ho iniziato a salire sul ring erano convinti che il primo incontro mi avrebbe ucciso, invece non è andata così.
Il mio avversario è stanco e arrabbiato. Ho una naturale capacità di fare incazzare chi mi trovo di fronte. Non ne capisco proprio il motivo.
«Senti un po', bufalo, hai finito di fare il balletto? Mi vuoi colpire, o no?»
E lui si scaglia contro di me senza neanche ragionare sui tempi. Ho un secondo per trovare il punto morto, schivare il suo attacco e colpirlo in una delle zone sensibili che mi ha mostrato Geordie. Si piega in due e finisce sfiancato contro le corde.
Mi guardo intorno nella penombra del locale saturo di fumo, la musica tecno è assordante e ci sono i soliti gruppi, più qualche disperato che si aggira furtivo tra le poltrone. La barista mi saluta alzando un bicchiere, ricambio e, mentre mi giro a fronteggiare il mio avversario, vedo che Geordie ha puntato una nuova vittima. Mi si stringe lo stomaco. Sembra molto giovane. Solleva, dal bicchiere che lui le porge, due occhi celesti che punta su di me. Non è solo giovane, è proprio una bambina. Perdo il mio secondo di vantaggio sull'avversario e lui mi colpisce lo zigomo con una forza spaventosa. Il dolore mi esplode nel cervello e non riesco a rispondere alla scarica di colpi che segue. Il sapore del sangue mi riempie la bocca e rotolo da un lato prima che mi massacri. Mi alzo e salto oltre le corde. L'arbitro fischia, ma io lo ignoro.
«Che cazzo fai? Torna sul ring» sbotta Geordie quando mi vede arrivare.
Lo fulmino con un'occhiata e la ragazza accanto a lui mi fissa in silenzio.
«Niente Nod alle bambine» gli urlo, attaccato all'orecchio perché riesca a capirmi bene.
«Ha già bevuto, idiota» replica lui tranquillo.
È una scena che si ripete ogni sera: Geordie punta il soggetto più debole, di solito di sesso femminile, e le offre un drink. Funziona quasi sempre. Ci scioglie dentro quantità minime di polvere solubile. In questo, il Nod somiglia molto alla droga dello stupro. È insapore, inodore, e dà un principio di eccitazione. Alla fine ti stordisce e il giorno dopo non ricordi niente.
La guardo bene, le pupille iniziano a dilatarsi. «Sei uno stronzo. Avrà sì e no dodici anni».
«Quasi quindici» obietta lei afferrandomi un braccio. «Saresti carino, se non ti avessero appena massacrato la faccia».
Lancio uno sguardo eloquente a Geordie che non mi sembra affatto turbato. «Gli organismi giovani reggono meglio e ne comprano di più» commenta con un'alzata di spalle.
Dal ring gridano il mio nome.
Mi rendo conto che ragionare con lui non è utile, allora mi volto verso di lei e spero che sia ancora in grado di capirmi. «Aspettami qui. E non bere più niente».
Lei annuisce, poi avvicina il viso al mio con un'espressione sospettosa, che sarebbe anche divertente in un altro momento. «Io non ti conosco».
«Dovevi dirlo all'imbecille che ti ha sciolto la droga nel bicchiere, bimba».
Mi volto verso Geordie. «Io vinco. Scommetti alto. In cambio, lei è mia».
Lui sorride. «Bravo il nostro ragazzino, stai imparando in fretta» commenta compiaciuto.
Non riesco ad amare nessuna delle persone che mi orbitano intorno, a partire da mio padre, ma sono incapace di odiarli del tutto. Mi muovo in un tiro alla fune che dentro di me crea una sorta di buco nero che mi divora.
Salto le corde, mi pulisco senza pensare il sangue che mi cola dal naso e attacco. Dopo cinque minuti il mio avversario crolla a tappeto e io torno da Geordie. Il bastardo conta i soldi che ha tirato su con il mio incontro e la ragazza non c'è più. «È incredibile. Nessuno crede che un ragazzino della tua età possa mandare a tappeto un gigante del genere...»
«Ho chiuso per stasera. Dov'è la bambina?»
«Ha la tua età Chris, e se la cava benissimo».
Lo fisso immobile. «Avevamo un accordo».
«E va bene. È in un box con Kappa».
«Cazzo».
Inizio a correre verso il retro del locale e spalanco i box uno a uno. Kappa è nel terzo e preme una mano sulla bocca della ragazza mentre le slaccia i pantaloni. Lo spingo via e la faccio alzare, le prendo la mano e la porto verso l'uscita.
«Cosa fa, una come te, in un posto di merda così?»
«Perché non ti fai i cazzi tuoi?»
«I tuoi genitori sanno che sei qui?»
Solleva le spalle. «Mi padre è uno stronzo. Sono scesa dalla finestra...» ride, poi di colpo smette e diventa se possibile più pallida di quando non sia già. «Ecco, ci mancava il fratellone. Digli di andarsene. Non voglio tornare a casa».
Arrivo appena allo sterno del ragazzo che mi si pianta di fronte. «Lucia» dice lui guardando la ragazza. Poi si accorge che ha i pantaloni slacciati e mi inchioda con gli occhi dello stesso azzurro di quelli di lei.
«Non è come pensi tu» mi affretto a dire. Lui non ascolta, mi spinge indietro e la prende per un braccio. Da come cammina so che sta per collassare, infatti dopo un paio di passi lui è costretto a sorreggerla quasi di peso.
«Come hai fatto a uscire di casa?»
Lei non risponde. Apro la porta per farli uscire e lì lui si rende conto di essere a piedi e che la sorella non riuscirà mai a farcela.
«Ti vuoi fermare?» gli grido. «Le hanno dato il Nod. Non è in grado di seguirti».
«La dovrei lasciare qui con te?»
«Dove abitate?»
Mi ride in faccia. «Sì, certo. Lo vengo a dire a te. Perché non torni dentro dai tuoi amici?»
Sto per piantare lui e la sorella in mezzo al piazzale. Ha ragione, non sono affari miei. Il ragazzo la sostiene delicato con un braccio dietro la schiena. Lei è cosciente, ma si appoggia a lui di peso. La osservo meglio, i tratti da bambina sono mascherati sotto uno strato sapiente di trucco e i capelli biondi fermati dietro la nuca le danno un'aria più matura di quanto non sia. Ha tratti armoniosi e un'espressione curiosa. «Tu sei quello di prima?» chiede.
Annuisco sorridendo e mi giro per andarmene.
«Grazie per avermi tolto quel bestione puzzolente da dosso» grida. «Come ti chiami?»
«Christian».
Non so come abbiano fatto a tornare a casa quella sera, immagino che Mic abbia chiamato un taxi, ma per qualche tempo non ho saputo più niente di Lucia. Un giorno però è tornata al locale, scappava dalla finestra, e Mic la seguiva sempre. Lui mi ha detto che quella prima notte era stata molto male e in effetti da quella volta era sempre attenta a quello che beveva e a non assumere alcun tipo di sostanza. Assisteva ai miei incontri e mi aspettava fino a tardi. Stavamo insieme in ogni momento libero e al locale presto si era sparsa la voce che Lucia andava lasciata stare. E chi non lo sapeva, lo imparava presto, da me.
Ci misi poco ad attaccarmi a lei. Quando suo padre scoprì che usciva di nascosto e che andava nel peggiore locale della zona sud, le impedì di continuare, così iniziai ad andare io da lei. Stonavo in quella zona e in quella casa come un ratto in una sala da ballo piena di specchi, ma lei non se n'è mai accorta. Viveva della mia presenza, mi respirava con una libertà che non avevo mai notato in nessuna ragazza. Mi è entrata dentro di forza con la sua luce abbagliante e non ha mai avuto paura del mio buco nero. Nessuno mi poteva impedire di averla sempre intorno e se avessi saputo del suo cuore, avrei trovato il modo di far battere il mio per entrambi.
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