3 - ✨ Una vita banale
Avete mai avuto un oggetto che vi fa sentire a casa in qualsiasi circostanza?
Quand'ero una bambina, mia madre mi leggeva le fiabe da un logoro libro grigio che porto con me ovunque vado. Incisa sulla copertina c'è una scritta in oro che dice solo Fairy Tales. Ho sempre creduto che la storia di Cenerentola fosse una stucchevole farsa, e lo penso ancora. Eppure, a dispetto di tutto, qui c'è un incanto.
Vivo in una casa che sembra un castello, circondata da un parco che ho girato in lungo e in largo, ma non ho ancora visto per intero. E, come in ogni favola classica, sul castello e sui suoi abitanti è sceso un incantesimo potente come quello del sonno per la bella addormentata, sfuggente come l'amore di una sirena, misterioso come un'antica dimora dispersa nel bosco e circondata da cespugli di rose, dove non dare ascolto agli occhi, ma solo al cuore.
Oltre il parco, divise da un basso cancello, ci sono la spiaggia e uno spicchio di mare. Tutte le mattine, quando il sole sorge alle spalle della casa e getta la sua ombra sul prato, Michele si alza. Lo sento muoversi nella stanza accanto alla mia, cercare i vestiti, a volte urtare qualcosa e mormorare una protesta. Queste pareti sono fatte di carta. Scende per andare a correre e io lo seguo. Non sono abituata a dormire tanto, alle case sul fiume c'era sempre qualcuno che gridava o che piangeva. Il mormorio basso dell'acqua che scorre mi trascinava in un sonno leggero, dato dalla spossatezza del mio corpo e della mente, ma mai davvero riposante. Qui invece di notte ci sono solo i bassi rumori della casa, ma sono amichevoli e non mi spaventano. Dormo così profondamente che quando lui inizia a muoversi nell'altra stanza sono già sveglia.
Aspetto di sentire la porta della cucina aprirsi e richiudersi, poi scendo piano, preparo il caffè e attraverso il parco con la tazza stretta tra le mani. Mi siedo su uno dei primi scogli a ridosso della battigia e fisso il mare. Resto così finché non vedo Michele tornare verso casa, allora rientro. Oggi è una settimana che sono qui con loro.
Le ferite sulla schiena hanno cicatrizzato e non sanguinano più, ma Vanessa continua a cambiarmi la medicazione tutte le sere. Il primo giorno non volevo che mi toccasse, ma le cinghiate arrivavano fino al sedere e bruciavano troppo. Ho pensato che avessero fatto infezione. Nella stanza di Lucia c'è uno specchio a figura intera e quel primo giorno, subito dopo la colazione, sono tornata in camera, ho tolto la felpa e la maglietta che indossavo e ho cercato di controllare. Riuscivo a vedere solo una parte delle ferite: la pelle era rosso fuoco intorno ai tagli e non mi serviva un medico per intuire che si stavano infiammando.
Tre colpi alla porta mi avevano fatto sobbalzare e, prima che potessi rimettere la maglia, Michele aveva socchiuso l'uscio.
«Di solito, quando bussi, aspetti di ricevere una risposta». Ero stata più dura di quanto avessi voluto, del resto non era il primo che mi vedeva in reggiseno e non ero stata molto amichevole, con lui, la notte precedente.
Non aveva risposto, si era limitato a fissare la mia schiena nello specchio; dalla sua faccia potevo dedurre che lui la vedeva per intero e che la situazione non era delle migliori.
Si era girato verso il corridoio con un improvviso imbarazzo. «Vanessa mi ha mandato a chiederti se stai bene».
Mi ero infilata la maglietta. «Sto bene».
Lui aveva richiuso la porta senza rispondere. L'avevo sentito scendere le scale in fretta e dopo pochi minuti sua madre era salita per controllare la mia schiena.
Aveva disinfettato e coperto le ferite senza parlare, ma piangeva piano. Le ho detto di non preoccuparsi, che non faceva tanto male e che già mi avevano aiutato molto. Lei aveva scosso la testa. «No, non è per quello. Non del tutto».
Non ho chiesto altro. Ha finito di sistemare la fasciatura e si è guardata intorno come se per un momento si fosse staccata dal presente per tornare a un vecchio ricordo. Alla fine aveva detto una cosa che mi aveva messo una grande tristezza. «Avere un'altra ragazza in questa stanza è strano».
«Me ne andrò presto» mi ero sentita in dovere di dire. Lei mi aveva preso le mani e io avevo usato tutto il mio autocontrollo per non sottrarmi da quella stretta.
«È strano. Non brutto, solo strano. Quando una ferita si chiude fa male, brucia e spesso prude, ma sta guarendo e, anche se vorresti che non lo facesse, a un certo punto arriva il momento».
Ho detto che c'è un sortilegio su questa casa, ma non vi ho detto che c'era anche una sirena che si è trasformata in spuma di mare, come nella storia del mio libro. Non ne parlano, ma la sua mancanza si sente, nell'aria di questa casa. Lei è una delle tante cose non dette.
Una mano mi sottrae dai pensieri e mi riporta al presente. Quando mi volto, Michele mi sta guardando, gli occhi celesti piantati nei miei; è così strano che mi rivolga la parola, che sobbalzo.
«Scusami, non volevo spaventarti».
Ha il fiato corto e i capelli umidi che gli cadono sopra gli occhi, li sposta con il dorso della mano. La maglia è fradicia, inizia a fare caldo anche di prima mattina. Gli sorrido e mi alzo dallo scoglio.
«Non mi hai...»
È fermo di fronte a me e per guardarlo in faccia devo alzare il viso verso il sole. Socchiudo gli occhi e lui si sposta per farmi scudo. «Stamattina, mentre ti sentivo scendere le scale dietro di me, ho pensato che non so ancora il tuo nome».
«Me ne andrò tra qualche giorno». Il mio nome non è mai stato utile, di solito lo è il mio corpo e la mia remissività. Abbasso lo sguardo sulla sabbia. «Non importa...»
Me ne andrò. Dove? E con chi? Potrei amare questa casa? Queste persone? Lo sguardo pulito di questo ragazzo?
Lui avvicina la mano al mio viso senza toccarlo. «Importa a me» dice.
Torno a perdermi in quello strano celeste così sfuggente e mi rendo conto di aver smesso di respirare. Butto fuori l'aria e faccio un passo indietro. «Mi chiamo Samantha».
«Michele». Allunga la mano per prendere la mia e la guardo, immobile, neanche fosse un serpente a sonagli. Mi odio quando faccio così. «Solo Mic. Gli amici mi chiamano così».
Afferro la sua mano, mentre dentro tremo, e un brivido mi risale lungo la schiena. «Sam».
Ci separiamo quasi subito. La strana elettricità creata da un banale scambio di parole si spegne e ci avviamo verso la sua casa. Stringo gli occhi guardando i miei piedi nudi avanzare nella sabbia. Lui, accanto a me, ha le scarpe da ginnastica nere incrostate di granelli. Andiamo allo stesso passo.
«Mic!» Una voce squillante ci fa fermare e Michele mi lancia un'occhiata in tralice quasi di scusa, prima di essere travolto da una ragazza che gli salta addosso e gli getta le braccia al collo. Lui si sbilancia per non cadere e lei si allontana appena, senza liberarlo dalla sua stretta.
Socchiudo le palpebre mentre la fisso. Se lanciassi fiamme dagli occhi potrei incenerirla con un solo sguardo. Mic la allontana di poco. «Elena, lei è Sam».
La ragazza mi lancia un'occhiata stupita, come se non si fosse accorta che ero lì dall'inizio!
«Piacere. Sono Elena, la sua fidanzata». Lo bacia sulla bocca e lui ricambia. Mi sento un'intrusa e riprendo a camminare verso casa con lo sguardo di Michele puntato sulla schiena.
Ritorno invisibile ed Elena parla con lui. «Ho pensato di farti una sorpresa. E' domenica, potremmo fare qualcosa di bello».
Lui finge di non aver sentito la proposta, accelera fino a raggiungermi, si volta verso di me e mi guarda in faccia con un mezzo sorriso. «Oggi no. Devo studiare».
Non è vero e Elena lo sa meglio di me. Non sono la sola ad averlo capito. Si blocca e grida. «Sono stufa, Mic. È domenica e non è vero che hai da studiare. Ti chiudi in camera».
Sono quasi al cancello, mi giro per aspettarli, indecisa se andarmene in casa o meno. Sono fermi poco lontano. Lei gli stringe un braccio e lo guarda in modo strano. C'è rabbia, di sicuro, ma anche qualcos'altro. Non li conosco abbastanza per capire cosa si stanno dicendo senza parlare. Vorrei amare anch'io qualcuno così tanto da esprimermi senza parole.
«Vuoi abbassare la voce?» ribatte lui stizzito.
«Non sei già morto» sibila lei abbassando il tono, poi gli molla il braccio, mi passa davanti ed entra nel parco. Sento il suo respiro concitato allontanarsi insieme a due gambe mozzafiato fasciate in shorts bianchi cortissimi.
Non so se seguirla o aspettare Mic, che rimane congelato, si gira a guardare il mare e alla fine, stanco di farmi tenere aperto il cancello, si decide a entrare.
«Grazie, Sam» mormora mentre mi passa davanti. La sua voce è bassa e trema, come se volesse piangere e non sapesse farlo. L'espressione sul suo viso la conosco bene: è la stessa che ho sempre visto sul mio quando non sapevo se sarei sopravvissuta a un'altra notte.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top