2 - ✨ Una casa normale

Dicono che sognare la propria morte allunghi la vita. Non credo che per me sarà così.

Spalanco gli occhi e le ombre degli alberi secolari lungo il viale del parco si proiettano sul soffitto creando strane forme inquietanti. Dalla finestra socchiusa entra un vento caldo, sposta le tende e mi passa addosso. Si chiama vento di levante: spira dalla terraferma, sa di polvere e di pulito. Qui da noi lo chiamiamo brezza di terra e preannuncia sempre una perturbazione.

Quando sogni di morire, riaddormentarsi non è mai semplice, soprattutto se devi andare in bagno. Con un sospiro butto da un lato le coperte e mi alzo. C'è vita all'interno delle pareti di questa casa. Abitiamo qui da sempre. La villa è di mia madre, appartiene alla sua famiglia da generazioni. Le assi del parquet scricchiolano sotto i miei passi e le pareti fanno rumori di assestamento, ma sono abituato ai gemiti di questa vecchia casa.

Esco in corridoio e giro a sinistra, devo superare la porta della stanza dei miei e quella che era di mia sorella, prima di arrivare al bagno. Faccio qualche passo, poi mi blocco con gli occhi spalancati nel buio e il cuore che spara a mille. C'è un rumore nuovo. Un singhiozzo basso che viene da un angolo del corridoio. Premo l'interruttore e le luci sfarfallano piano, prima di gettare luce bianca sulle pareti celesti e sulle nostre foto appese al muro. La familiarità degli oggetti che mi circondano mi aiuta a calmarmi abbastanza da normalizzare il respiro, invece di gridare, quando vedo un mucchio di stracci neri in un angolo. Mi avvicino piano e mi accorgo che in realtà è la vecchia tuta di mia madre. A indossarla è una ragazzina, gettata in un angolo a tremare. Dalle ginocchia, abbracciate strette, solleva un viso appuntito. Due occhi scuri mi guardano senza davvero vedermi. L'assenza d'espressione in quello sguardo mi colpisce più della strana situazione in cui mi trovo, anche perché mi sono convinto che sia un altro sogno, non può esserci spiegazione diversa. Cosa ci farebbe una ragazza a tremare in terra, nel corridoio di casa mia? Allungo una mano verso di lei e mi abbasso.

Da quel momento in poi è tutto così veloce che non so bene cosa sia davvero successo. Lei grida fortissimo: uno stridio agghiacciante che se ci penso mi rintrona ancora le orecchie. Quando la afferro dalle spalle per calmarla, mi graffia la faccia come un gatto selvatico. La porta alle mie spalle si spalanca e mio padre si getta in corridoio, controlla con uno sguardo veloce che io stia bene e mi spinge indietro. Si ferma di fronte alla pazza che grida ancora.

Tengo le orecchie tappate con le mani mentre mia madre compare sulla soglia. Scuote la testa e lancia uno sguardo di rimprovero a mio padre. «Hai portato un uragano in questa casa» dice. Si avvicina senza toccare la ragazza e lei si calma. «Vieni con me, bambina. Sei spaventata, lo so, ma va tutto bene. Ricordi? Per questa notte dormirai da noi. Domani mattina presto il mio signor marito ti troverà una sistemazione migliore».

La ragazza ha smesso di gridare. Il suo sguardo è luminoso e sveglio ora, si sposta da mia madre a me, poi torna su di lei. «Lui è mio figlio. Non devi avere paura».

La pazza annuisce appena, segue mia madre lungo il corridoio e si fermano di fronte alla stanza di Lucia. So che è sbagliato tenere la camera pulita e in ordine come se mia sorella fosse ancora qui, ma mi ha sempre dato un senso di conforto. Posso pensare che sia solo andata da qualche parte e abbia un posto dove tornare, quando vuole. Per questo, quando vedo mia madre portare quella ragazza nella stanza di mia sorella provo un senso di ingiustizia.

Una mano si appoggia sulla mia spalla. «Stai bene, Mic?»

Passo la mano tra i capelli e cerco di ritrovare la calma. «No, non sto bene, papà. Chi è quella? Perché gira per casa nostra? E perché usa la stanza di Luce?»

«Sono troppe domande da fare alle cinque del mattino. Quella è una ragazza che ha bisogno di aiuto. Rimane fino a domani e la stanza di Luce era già pronta. Sai che mamma la tiene sempre pulita».

«Proprio per questo...» Stringo i denti. Mio padre sa essere davvero ottuso, quando vuole. Mi domando se con mamma abbiano già litigato o se lo faranno appena la situazione si sarà placata.

«Domani se ne andrà e quella stanza non può diventare un monumento memoriale. Discorso chiuso».

Sbatto un pugno contro il muro. Lui mi guarda con rimprovero, poi la tristezza copre ogni cosa e non dice niente. Sospira. La sua mano gigante mi guida nel bagno e disinfetta i segni rossi che ho sulla guancia. Mi ha graffiato per davvero, quella tizia, quattro segni rossi che corrono diagonali dallo zigomo all'orecchio. Neanche fosse un animale selvatico.

Mio padre, con la sua stazza e il portamento eretto, incute timore anche in casa sua, con indosso solo i boxer e una canottiera. Mi guarda per troppo tempo e so bene a cosa sta pensando. Spero che non mi chieda di nuovo se sto bene: è una domanda che odio. «Ti sei spaventato?»

Scuoto la testa e mento. Se gli dico di sì comincerà a provarmi la pressione, a misurare i battiti e proprio non ce lo vedo nella veste di infermiere premuroso.

«Mi dispiace».

«Era proprio necessario portare quella...» pazza «...ragazza qui?»

Mi guarda con tristezza e non oso immaginare la storia che non mi sta raccontando. Abbasso gli occhi sui disegni esagonali delle piastrelle sul pavimento del bagno; lui è capace di farmi sentire in difetto con un solo sguardo. «Ne parliamo domani mattina. Vai a letto ora» mi dice mentre ritorna verso la camera.

Obbedisco controvoglia e mi stendo sul letto a guardare il mare. Fuori dalla finestra socchiusa, il rumore mi trascina nel sonno. Il vento, quando tocca le onde, produce il suono di un violino eterno. Il vento di Levante annuncia sempre una perturbazione, la sento dentro le ossa come un'infiammazione e mi addormento pensando alle parole di mia madre. «Ha portato un uragano in questa casa». Gli occhi della ragazza in corridoio, così irraggiungibili, coprono tutto. Una forte perturbazione. Un uragano.

***

«Come ti è saltato in mente di portarla qui?»

«Vanessa, calmati» tenta mio padre senza sollevare la testa, appoggiata alle braccia incrociate sul tavolo. Ha smontato stamattina alle tre e poco dopo c'è stato il nostro teatrino in corridoio. Sono solo le sette del mattino e fuori, il rettangolo di cielo che si vede dalla porta della cucina, è grigio piombo. Mia madre urla e questo è il mio risveglio della domenica. Mi fermo sulla soglia per non interrompere un così favoloso scontro tra titani.

«Ti sembra che a Mic serva tutto questo?»

«Cosa c'entra lui, adesso?»

«Ci hanno detto di non turbarlo. E tu, cosa fai? Porti una spiantata in casa nostra e mi chiedi di farla dormire nella stanza di Lucia».

«Van, non puoi pensare solo a noi. Quella ragazza non aveva un posto dove andare e non potevo lasciarla nella cella della centrale».

«Perché no?» sbotta lei.

Mio padre la prende per la vita e la fa girare. Lei gli lancia uno sguardo di fuoco, ma non riesce a reprimere un sorriso. «Non lascio una ragazzina di diciassette anni in mezzo agli spacciatori e agli alcolizzati del sabato notte». Prima che lei possa rispondere le chiude la bocca con un bacio e la spinge verso il lavandino. Decido che ho visto abbastanza e mi volto per andarmene, ma devo fermarmi di botto.

La pazza è ferma dietro di me, con le mani nascoste dentro le maniche della felpa nera, fa un passo indietro quando mi giro. Fissa i segni rossi sulla mia guancia.

«Ciao» dico, per rompere quel silenzio inquietante.

Lei solleva appena un lato della bocca in un sorriso forzato. «Mi dispiace».

Sollevo un sopracciglio senza capire. Lei indica il mio viso, avvicina le dita senza toccarmi, e sento un brivido freddo che subito se ne va.

«Per stanotte».

È pallida e su uno zigomo spicca un livido scuro. La felpa di mia madre le sta larga sul collo e lascia scoperta una spalla. Anche lì c'è una macchia viola scuro, quasi nera. Non riesco a staccare gli occhi da quella pelle che pare così delicata e devo forzarmi per restare lucido. «Nessun problema. È solo un graffio, passerà presto».

In cucina i miei genitori pare abbiano deciso di fare l'amore sul tavolo e la ragazza si lascia sfuggire un sorriso.

«Avete finito?» dico entrando.

I due si staccano all'istante e, con una velocità impossibile, fingono di non aver tentato l'accoppiamento solo pochi secondi prima. «Mic».

Poi entrambi guardano la ragazza ferma sulla porta.

«Vieni» dice mia madre. «Ho preparato la colazione. Mangia quello che vuoi».

Lei si siede sulla punta della sedia, a disagio in quell'ambiente luminoso, e mi domando da dove venga. Allunga una mano e rosicchia una fetta biscottata. Mio padre si schiarisce la gola e richiama la sua attenzione. «Ho informato gli assistenti sociali che sei qui da noi. Al momento non ci sono famiglie con posti liberi, ma contano a breve di trovarti una sistemazione».

«Anche perché non puoi restare qui. Non è legalmente corretto» si sente in dovere di specificare mia madre. Vanessa Gredi è avvocato d'ufficio e spesso lavora su casi di minori costretti a lasciare le loro famiglie. Ma, come stanotte non ha mancato di far notare a mio padre, non se li porta certo tutti a casa. Ne hanno discusso poco prima di alzarsi, e le pareti di questa villa meravigliosa sono davvero tanto sottili. Lei gli ha detto che avrebbero potuto denunciarlo, se fosse successo qualcosa mentre lei era da noi.

La ragazza sembra assente, non li ascolta. Ha gli occhi puntati sulla finestra aperta sul prato esterno, come se volesse assorbire la bellezza di quell'immagine. Respira a fondo e il suo viso si illumina. Poi gira gli occhi su di me e distolgo lo sguardo in imbarazzo. Non mi ero reso conto di quanto tempo fossi rimasto immobile a fissarla mentre era distratta. «Me ne vado. Non voglio crearvi altri fastidi».

«Sei minorenne» interviene mia madre. «Non puoi... andartene e basta. Hai bisogno di qualcuno che si prenda cura di te».

«Nessuno si cura di me da quando avevo quattordici anni. Non vedo perché le cose debbano cambiare ora».

Mia madre si appoggia al ripiano della cucina, con il caffè tra le mani e lo sguardo perso in un ricordo doloroso. Stamattina indossa un completo marrone che le sta molto bene. Se il suo viso fosse più felice sarebbe una delle donne più affascinanti del mondo.

«Non sappiamo neanche il tuo nome» interviene mio padre raddrizzando la schiena con un tono un po' infastidito.

«Non vi serve». La ragazza si alza e sistema la sedia sotto al tavolo. «Sparirò, posso lavorare in un ristorante, in un albergo. So fare un po' di tutto».

«Sai dove finirai...» Il tono di mio padre da infastidito si fa duro. Non riesco a capirne il motivo, ma ora è molto arrabbiato.

«No. Cambierò città. Non mi troverà più...»

«Chi? Chi non ti troverà?»

A questo punto la tranquilla colazione in famiglia è diventata un interrogatorio serrato. Provo un po' di pena per la ragazza. Con mio padre è normale, basta che sospetti di qualcuno o di qualcosa e si trasforma in un mastino. Non molla la preda finché questa non capitola. Meno male che i dottori si sono raccomandati che io viva in un ambiente sereno.

La ragazza lascia cadere la fetta, mangiata per metà, sul piatto e risponde sottovoce. «Frog. Lo chiamano così alle case sul fiume, ma non riuscirete mai a trovarlo. Lo proteggono, lo nascondono, ed è molto furbo».

«Come sei finita lì?»

«Lui è mio padre».

🖤🦋 Spazio Fede 🖤🦋

Siete arrivati qui. Ormai avete conosciuto sia Sam che Mic. Sembrano entrambi bombe pronte a esplodere. Hanno problemi che non si vedono, ma non per questo sono trascurabili, soprattutto lui nasconde molto bene quello che lo consuma. Spero che deciderete di accompagnarmi ancora lungo la loro strada e di conoscerli meglio, hanno molto da raccontare.

Mi fa molto piacere se esprimete le vostre opinioni sulla storia anche nei commenti, mi aiuta a migliorare e crescere. Vi aspetto qui e anche sulle mie pagine social. Mi trovate come Redspiderlily1983 sia su Tiktok che su IG.

Seguitemi anche qui per gli aggiornamenti sulle storie.

Grazie di cuore, davvero, vedere così tante letture su Fit in mi riempie di gioia.

Con tutto il mio cuore

Fede

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