16b - Pittura Bianca
For all those born beneath an angry star
Lest we forget how fragile we are.
Fragile - Sting
Il rumore che fa un corpo morto che cade al suolo è terribile.
Mic si alza in piedi, barcolla in avanti e crolla di colpo senza una parola. Due secondi dopo è lì a terra, immobile. Faccio fatica a tirare il fiato, mi sposto in ginocchio accanto a lui. Lo scuoto, ma non risponde.
«Mic».
Mi punto sui piedi e tento di girarlo a pancia in su. È molto più grande di me, lo spingo dalla spalla e da un fianco, ma è troppo pesante. Alla fine ci riesco e lui segue il mio movimento inerte. «Mic, ti prego».
Il panico mi afferra alla gola. Siamo lontani dalla villa e anche se gridassi non ci sentirebbero. Trascinarlo fin là è impossibile. L'unica cosa che posso fare è lasciarlo qui e correre a chiamare aiuto. È la cosa migliore.
Mi giro a guardarlo e tutta la mia sicurezza scompare, non voglio lasciarlo così. Mi chino su di lui e gli appoggio l'orecchio al petto. Ha il respiro veloce e superficiale e sento il cuore battere piano. Tiro un sospiro di sollievo e la sua mano si appoggia leggera sulla mia schiena. Mi sollevo e incontro il suo sguardo ancora smarrito ma di nuovo presente. «Sam... La mano... Mi stai facendo male». La sua voce è poco più che un sussurro nell'aria tersa del tardo pomeriggio.
Mi rendo conto solo in quel momento che ho intrecciato le dita con le sue e stringo con tutta la mia forza. «Mi hai fatto morire di paura. Sei un idiota!»
Mic tenta di rispondere, ma l'affanno nel respiro non l'ha ancora abbandonato. Ha la pelle pallida sotto l'abbronzatura e la sua mano, stretta nella mia, è ghiacciata. «Mi sono alzato troppo in fretta» sospira alla fine, con fatica.
È crollato come capitava a mia madre quando era così fatta da non ricordare neppure più il mio nome. Non è stato un calo di pressione. Mi allontano di pochi passi e afferro un vecchio lenzuolo che volevo usare come protezione per il pavimento in pietra durante la pittura interna. Lo piego e lo infilo sotto alla sua testa, mi aiuta ma non è ancora del tutto presente. Vederlo così inerme, proprio lui che finora mi è sempre sembrato invincibile, seppur ferito, fa nascere in me una strana paura. «Ti capita spesso?»
I suoi occhi diventano scuri quando capisce che non mi sono bevuta la scusa del giramento di testa. «Ogni tanto».
«Chiamo qualcuno. Te la senti di rimanere qui?»
Mi afferra entrambe le mani e si tira a sedere. «Non devi dirlo a nessuno. Se lo sa Vanessa mi ricoverano. È normale, Sam, te lo giuro. Sto già bene. Ogni tanto succede, ma non è niente».
Non è niente. Tu non sai con chi stai mentendo, ragazzo di buona famiglia. Io conosco i peggiori bugiardi della città e la loro gestualità. Ce l'ho stampata in testa come uno dei primi insegnamenti di mio padre. «Se vuoi essere abile a mentire, devi conoscere i bugiardi» diceva.
Mic però non è un abile bugiardo e non è neanche abituato a mentire. I suoi occhi sfuggono ai miei ed è a disagio. «Per questo motivo sei andato in ospedale l'altro giorno?»
«Solo un controllo. Possiamo smettere di parlarne?» È agitato e ancora non ha ripreso colore. Si percepisce tanta paura nella sua voce.
«Solo se oggi ti riposi» gli concedo.
Lui si alza in piedi, con più calma questa volta, e mi lascia la mano. Lo controllo con la coda dell'occhio mentre mi avvicino alla serra. L'abbiamo lasciata spalancata e l'odore di marcio è sparito. Alla luce del giorno, l'interno sembra una foresta in degrado. Le piante più resistenti sono sopravvissute e hanno preso possesso delle pareti. Entro e lui mi segue, lo sento alle mie spalle come un brivido. In fondo al lungo corridoio tra lame di luce polverosa scappate da rami intrecciati di glicine, dove si è annidato il calore della giornata, c'è un vecchio dondolo arrugginito a due posti. Sfilo dalla mano di Mic il telo che gli avevo messo sotto la testa e lo stendo sul dondolo. Lui mi aiuta a sistemarlo e si siede. Le giunture cigolano come se stessero per rompersi, ma quando spinge piano con un piede dondola. Prendo posto accanto a lui e guardo le nuvole che corrono rapide attraverso i vetri sopra di noi. Uno è rotto e le punte sembrano affondare nel tramonto. Scivolo piano al suo fianco e siamo tanto vicini che lo sento tremare. «Hai freddo?»
«Non tanto». Pessimo bugiardo. Mi allungo e faccio un gesto che non mi appartiene più da tre anni, supero la barriera che mi divide dagli altri. Sono io a decidere di farlo e non il contrario. È la prima volta che mi succede. Il contatto con il corpo di Mic non lo subisco, lo cerco. Mi giro verso di lui, mi libero dalle scarpe e sollevo le gambe. Sfioro il suo fianco sinistro mentre le porto al petto. Allungo un braccio a prendere un vecchio telo che giace abbandonato sul bracciolo di metallo e, quando lo scrollo per coprirci, si alza una nebbia di polvere. Tossisco e Mic mi guarda divertito. «Sei sicura di metterti quello addosso?»
Lo stendo su di noi e restiamo lì, vicini, a prenderci un tempo che forse non abbiamo. «Stai meglio?»
Lui mi guarda in un modo strano e si gira, il viso a un respiro dal mio. «Con te sto bene».
Ha le braccia ghiacciate, ma il respiro è più lento. A battere forte per entrambi è il mio cuore, me lo sento anche in testa, e spero che lui non se ne accorga. Mic sfila il cellulare dalla tasca: ci sono venti messaggi di Elena e due di Zanna. Allungo lo sguardo sopra la sua spalla per vedere.
Sam è con te? Dove siete?
E poi, dopo altre due ore:
Sarà meglio che mi rispondi prima che venga io a cercarti.
Zanna incute timore anche via messaggio, niente da dire. Mic digita con tranquillità sui tasti:
Stiamo lavorando alla serra. Lei è con me.
«Vuoi restare qui?» chiedo senza muovermi. Io vorrei restare tutta la notte così.
«Solo un attimo. Poi torniamo a casa, altrimenti mio padre finisce per mandarci le squadre speciali». Mic chiude gli occhi e sospira. Non ha neanche aperto i messaggi di Elena.
Siamo soli, nel silenzio immobile della serra. All'esterno posso sentirlo, il giardino notturno che si sveglia e respira. Tra la meraviglia e i fiori celesti, per sempre immobile, c'è il pensiero di Lucia. Invece di mettermi disagio o tristezza, mi dà un senso di protezione.
A volte, quando andavo a trovare Trilly, mi piaceva modificare la nostra quotidianità allucinata e inventare realtà che prendevano forma sotto i nostri occhi. Lei diceva che solo io la facevo sognare. All'alba, quando spegneva la luce sul buio che aveva accolto dentro di sé, le forme e i personaggi dei miei racconti la accompagnavano dove poteva essere quello che voleva: una principessa, un drago a tre teste, un falco, alto sopra cieli lontani. Una normale ragazza di diciott'anni che non vende il suo corpo per mangiare.
Allora lo faccio anche con lui, gli racconto una storia e senza accorgermene lo porto con me nei luoghi dove ho vissuto, senza mostrargli l'immondizia che si cela negli angoli bui.
«Anni fa, nell'ultima casa che vedi quando scendi lungo il fiume, niente più che una baracca di lamiera, c'era una donna speciale. Viveva nel disordine, e in quel caos aveva attirato un uomo molto cattivo. Lei diceva che alla fine avrebbe fatto anche lui qualcosa di buono, ma non è mai successo. Mi ha insegnato tutto quello che so. Era speciale».
«Vive ancora là?» chiede lui senza aprire gli occhi.
«Se n'è andata». Era da dire che una persona così speciale avrebbe dovuto prima o poi combattere un male altrettanto ostinato. «La sua casa adesso è abitata da un uomo nero».
Mic si solleva dallo schienale e mi guarda. Gli appoggio un mano sul petto e lo spingo giù, allungo le gambe sulle sue e mi volto per poterlo guardare in faccia. Vorrei sfiorare le sue labbra socchiuse, ma resto ferma. «Lei sapeva riconoscere i rumori del bosco, era in grado di raddrizzare ogni situazione. La gente le chiedeva aiuto quando era in difficoltà e lei era sempre disponibile. Mi ha insegnato a sentirmi libera quando ero prigioniera. E anche questo...»
Mi allungo verso di lui e adesso i nostri corpi non solo si toccano, fanno scintille. Mi passa un braccio dietro le spalle e io gli appoggio la mano aperta sul petto, dal lato del cuore. Lui trattiene il fiato.
«Sam». La sua voce è bassa, raschia dal fondo della gola. Poi butta fuori l'aria che stava trattenendo, e spalanca gli occhi. Cerca di spostarmi la mano. «Brucia, cazzo. Toglila!»
Mi appoggio contro di lui, la bocca sul suo collo e la mano ancora ferma. «Non dimenticarti di respirare».
Il suo cuore accelera, poi torna a calmarsi. I muscoli del petto si rilassano sotto la mia mano e il respiro rallenta. «Brucia ancora?»
«Sì, ma è sceso più giù. Non fa più male».
«È l'ultima cosa che vorrei farti». Lascio la mano su di lui e chiudo gli occhi. Passano i minuti, la mia mente torna alla donna che mi ha insegnato queste cose. Una luce che si è spenta molto presto.
La mano di Mic mi accarezza distrattamente i capelli, percorre il viso, poi scende sul collo. Ha chiuso di nuovo gli occhi. «Hai detto che non ti piaceva essere toccata» mi ricorda. È la verità, non mi sono mai lasciata toccare così da nessuno.
«Non ci fare l'abitudine» rispondo, appoggio la testa alla sua spalla e chiudo gli occhi.
Lui non risponde. La luce cala e il profumo di Michele mi riempie anche i pensieri. Com'è facile perdermi, quando sono con questo ragazzo fragile. La sua mano si ferma, si fa pesante e scivola lungo la mia spalla. Non mi muovo per paura di svegliarlo. Il suo cuore sotto al palmo bollente della mia mano batte un tempo regolare. Non so per quanto sarà così, ma sono abituata a vivere il presente e allontano le domande. Quando il suo abbraccio mi stringe, lascio che quel calore mi entri dentro. Mi piacerebbe tanto essere una ragazza come tutte le altre e poterlo amare senza ombre.
***
Apro gli occhi nel letto di Lucia. Mic sorride, seduto alla scrivania, e fuori è buio. «È ora di cena. Scendiamo, bella addormentata?»
Di sotto, Vanessa e Zanna sono seduti a tavola. Hanno preso le pizze. Quando mi vede mangiare la terza fetta, Mic sorride. Si è seduto di fronte a me e spero non l'abbia fatto per controllare se mangio senza che me ne accorga.
Come stai? mimo con le labbra.
Meglio. Lui mi indica. Grazie a te.
In realtà lo sto solo facendo preoccupare e con quel pensiero in testa afferro la quarta fetta. Non ho più la nausea e il profumo di Mic mi è rimasto addosso come una seconda pelle.
Siamo nel giardino dietro alla villa e in fondo, oltre il prato, il mare è nero e immobile. Sottili strie d'argento si stendono sull'acqua. «Come abbiamo fatto a tornare dalla serra?»
«Avevo paura che Zanna mandasse i cani alla nostra ricerca e tu non ti svegliavi. Dormivi davvero bene» mi lancia un'occhiata divertita. «Allora ho pensato che fossi leggera e ti ho portata indietro in braccio».
«E non lo sono?»
«Leggera? Per niente. Alla fine ti ho trascinata su per le scale facendoti sbattere la testa contro i gradini».
«Che bugiardo!» Mi fingo offesa, ma l'idea che mi abbia portata in braccio fino al letto mi fa arrossire.
Michele diventa serio. «Sei bellissima, Sam». Un pensiero improvviso gli fa contrarre il viso. «Hai il cellulare che ti hanno regalato i miei?»
Lo sfilo dalla tasca e lui quasi me lo strappa di mano. Inizio a protestare, ma lui alza una mano e mi blocco. Gli vado vicino per vedere cosa fa. Il suo cercare frenetico nelle impostazioni mi mette ansia. Comincio a pensare che con Mic ogni momento di felicità sia sempre scandito da qualche catastrofe.
«Guarda come faccio».
Non capisco niente di quell'affare, non ne ho mai avuto uno e so appena digitare i messaggi a Frida. Hanno sempre errori di battitura e c'è un'impostazione che mi cambia le parole: inserisce cose assurde. Poi so fare le chiamate, quelle sì.
«Vedi questa impostazione?»
Sullo schermo si legge famiglia e non riesco a fermare un brivido di felicità, ma Mic mi riporta al presente e richiama la mia attenzione. «Sei inserita in famiglia con me, Zanna e Vanessa. Ci sei?»
«Ho capito».
Dalla porta Vanessa si affaccia e ci chiama per il dolce. «Veniamo subito, mamma» risponde Mic secco. Trattiene il mio braccio finché sua madre non rientra. «Questo non lo devi modificare mai. Poi c'è questo». Punta il dito su un triangolo e lo tocca. Condivisione della posizione.
«Mi stai spaventando». Mi terrorizza, in realtà. La mia mente è allenata a individuare il disastro che si avvicina e quello che sta facendo Mic, con gli occhi resi enormi dall'ansia, non è per pura sicurezza. È per qualcosa che sta per succedere.
«Guardami, Sam». Si china perché i nostri visi siano alla stessa altezza. «Ti ho fatto una promessa, ricordi?»
Annuisco. Non andrai da nessuna parte. E comunque riuscirei a trovarti.
«Devi farti trovare».
«Se mi portano via è per non mettere in pericolo voi».
«Non stacchi un pezzo di una famiglia per salvarla» riflette lui, in maniera così naturale che per un attimo non colgo il significato delle sue parole. Affondano le radici in un'anima che credevo di non avere. Mi volto e corro in casa prima che lui possa dire altro. Sulla soglia mi fermo.
«Stai scappando?» mi chiede lui appena mi raggiunge.
«No, ma non voglio piangere ogni volta che parliamo».
Mi appoggia un bacio sulla testa. La sua mano è ancora sulla mia spalla quando premo il tasto che mi ha indicato. C'è un solo nome con cui ha condiviso la posizione del mio cellulare: Michele Zanardi.
🦋 🖤Spazio Fede 🖤 🦋
Perché Michele condivide la posizione del cellulare di Sam? Teme che presto gli assistenti sociali la portino via a causa delle parole di suo padre?
E questa precauzione lo aiuterà a trovarla?
Lo scopriremo presto perché i guai sono proprio dietro l'angolo...
Fede
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