12 - L'uragano Sam


Qualche anno fa, l'uragano Sam si è abbattuto sui Caraibi e nel suo percorso ha raggiunto il grado quattro, con venti oltre i duecentodieci chilometri orari. Le acque calde dell'oceano Atlantico e del Mar dei Caraibi hanno svolto il ruolo di carburante per alimentare la tempesta. È stato un uragano piccolo, ma intenso e potenzialmente pericoloso per l'uomo. Bene, è sicuramente prematuro pensarlo, ma io sono l'oceano e lei l'uragano. Devo calmarmi.

Calco le scarpe da ginnastica nella sabbia bagnata dalla pioggia che aumenta d'intensità e intanto penso a Sam. Non riesco a evitare di paragonarla a una calamità atmosferica: l'uragano piccolo, ma potenzialmente pericoloso.

Il vento mi scompiglia i capelli e le onde sono sempre più alte. Sono le cinque del mattino, dovrei rientrare e cercare di dormire qualche ora. Le gocce offuscano la luce incerta dei lampioni oltre la spiaggia e mi costringono a socchiudere gli occhi.

Spero che lei sia rientrata, sono sicuro che mi abbia seguito sulla spiaggia, ma non mi sono voltato a guardarla. Ero troppo arrabbiato. Soprattutto con me stesso, così tanto che non ho neanche capito cosa sia successo in cucina e perché avessi quel desiderio di spaccare tutto e di stringerla. Sam mi restituisce qualcosa che da tanto tempo ho perduto.

A tormentarmi più di tutto è l'ultima frase che ha detto. Così strana, giusta e fastidiosa. Pronunciata nel vento a fior di labbra, neanche un bisbiglio. Eppure le sue parole erano chiare e si sono insinuate nel mio cervello come aghi. La vedo ancora, appoggiata allo stipite; le braccia strette al petto sulla maglia a maniche lunghe che usa per dormire. La pelle increspata di brividi. Gli occhi immobili e le labbra socchiuse. «Oscurità che collidono creano scintille».

«Tu non sai niente dell'oscurità» ho detto. Le ho voltato le spalle con la consapevolezza di sbagliare e lei ha seguito i miei passi fino alle dune di sabbia.

Il mio grido di rabbia si perde nelle raffiche forti di vento che mi sbattono addosso schizzi di pioggia salata. I jeans e il maglione sono incollati al corpo e quando mi giro per tornare indietro sento un oggetto sbattermi contro il fianco. So di cosa si tratta. Sam l'ha agganciato mentre mi abbracciava. Porto una mano a stringere il portachiavi di Lucia e riprendo la strada verso casa.

In cucina Zanna prepara la colazione con due ore di anticipo e Sam, accanto a lui, scalda il latte. «Sei pronta per domani?» le chiede.

Lei si volta a guardarmi mentre entro e formo subito una pozza d'acqua sul pavimento. Nei suoi occhi leggo il sollievo. «Direi di sì» risponde.

«Ti sei accorto che c'è un temporale fuori?» domanda mio padre secco.

Passo veloce tra loro e il tavolo per non bagnare tutto e salgo a cambiarmi senza rispondere. Lo sento parlare di nuovo a Sam. «È un bravo ragazzo, sai. Solo che è anche svitato».

La risata di lei mi arriva cristallina e pulita.

***

La pioggia non smette di cadere da due giorni. Io e Sam non parliamo da quella mattina in cucina. Lei fissa il paesaggio liquefatto fuori dal finestrino dell'auto e stringe sulle ginocchia lo zaino di Lucia neanche fosse la sua ultima àncora di salvezza. Vorrei chiederle come sta, dirle che non sarà sola: la mia classe è solo due porte più avanti della sua.

Zanna ha insistito per accompagnarci, ha detto che vuole parlare con il preside per l'inserimento di Sam. Sono seduto nel posto del passeggero mentre guida in silenzio senza mostrare alcuna emozione. È bravo a mascherare quello che prova, ma anche in lui si è annidato un affetto che lo farà soffrire parecchio, quando alla fine gli assistenti sociali si porteranno via Samantha da casa nostra. Ha la stessa espressione di Vanessa, quando la guarda. Lei non ha sostituito Lucia. Al contrario, si è integrata nella nostra famiglia come se ne avesse fatto parte da sempre. Piano, con rispetto e in silenzio. Il destino è davvero imprevedibile.

Mi volto verso il sedile posteriore nel tentativo di allentare la tensione di Sam che mi preme sulla nuca, e le sorrido. «Non stai mica andando al patibolo». Potevo scegliere qualcosa di più intelligente, ma in questi giorni il mio cervello sembra essersi preso una lunga vacanza.

Lei fa una smorfia. «Sembra la stessa cosa».

Scendiamo dall'automobile sotto al diluvio e ci rechiamo insieme nell'ufficio del preside. È una stanza piccola, occupata da una grande scrivania ordinata e pile di libri accumulati su uno scaffale. L'uomo che ci accoglie ha i capelli bianchi e occhi sottili dietro a spessi occhiali senza montatura. Gli stringono ai lati del viso come se fossero infilati a forza. L'ho visto raramente in questi cinque anni, di solito sempre ai discorsi di inizio o fine anno. Su un viso che potrebbe sembrare simpatico, ha un'espressione tesa e guardinga che lo rende ambiguo ai miei occhi.

«Agente Zanardi, la stavo aspettando. Accomodatevi».

Entriamo nell'angusta stanza. Io e Sam prendiamo posto sulle due sedie davanti alla scrivania, mentre mio padre resta in piedi. Il preside sposta lo sguardo su di noi e sorride.

«Samantha. Siamo contenti di averti nella nostra scuola. Abbiamo deciso di inserirti nella stessa sezione di Michele in modo che tu possa avere vicino qualcuno che conosci, ma confido che farai presto molte amicizie anche nella tua classe. Per la tua età dovresti essere al quarto anno, ma so che ti sei fermata alla fine della scuola primaria di secondo grado».

Sam stringe forte lo zaino, ma parla con la voce ferma. «Mia madre mi ha portato a scuola finché ha potuto. Ho frequentato fino ai tredici anni. Non ho mai iniziato la scuola secondaria. Era lontano dalle baracche e a quel punto vivevo con mio padre...» si blocca come se fosse necessario aggiungere qualcosa di scomodo, per essere totalmente sincera.

Mio padre fa un passo verso la scrivania e il preside diventa piccolo di fronte alla sua imponenza. «In questa scuola Samantha è figlia di una mia cugina. La sua vita prima di oggi è oggetto di indagine. Non le sarà chiesto niente in merito, in questa sede. Ci siamo intesi?»

Il preside di sistema gli occhiali. Dalla sua espressione si evince che si sente minacciato nel suo stesso territorio. «Chiaro. Alla fine dell'anno scolastico però mancano poche settimane. Se la ragazza non sarà in pari, non so come potremo ammetterla alla quinta».

«Di questo mi occuperò io. Lavorerà d'estate con un insegnante privato per allinearsi il più possibile con i compagni. Non dovrà in nessun modo essere trattata in maniera diversa dagli altri».

Difficile. Ci troviamo in una scuola di gente ricca. Sono sicuro che Sam saprà farsi dei veri amici, ma nel branco incontrerà anche ragazzi nati nel denaro, che non conoscono il significato della privazione e fiutano la miseria a distanza di chilometri. Sarà molto dura.

Senza pensare allungo una mano a stringere la sua e lei risponde subito, come se fosse ciò che aspettava. «Andrà tutto bene» bisbiglio.

Stringe le labbra. Ha indossato un paio di Jeans e un maglione celeste che le sta molto bene. Dev'essere parte dei vestiti che ha comprato l'altro giorno perché sembra nuovo. Ci alziamo insieme al preside che ci accompagna alla porta. «Ti auguro una buona permanenza nel nostro liceo» dice, rientrando poi in fretta nella sua tana.

Zanna mi trattiene per un braccio mentre imbocchiamo il corridoio. È teso come se l'incontro non avesse avuto l'esito che lui sperava. Mi fermo accanto a lui. «Ragazzi, io vado. Non va bene che Sam entri in classe con uno sbirro. Non è davvero il caso. Cosa dici, Mic?»

Sollevo un sopracciglio. «Ci devo convivere da una vita, con l'ansia del padre poliziotto. La accompagno io, papà».

«Starai bene, qui, Sam. Tranquilla».

In realtà sembra lui il meno tranquillo. Lei sorride e mi colpisce con un gomito tra le costole. «Sono in buone mani con Mic» dice.

Zanna se ne va e restiamo soli nel corridoio, mentre il vociare esterno si fa più vicino e i primi studenti entrano nelle aule. «Vieni».

Camminiamo vicini fino alla quarta. Samantha si sposta per far passare altri compagni. Le appoggio una mano sulla spalla e la sento tremare. Non è una prova, è una tortura. Mi guarda, poi sposta gli occhi alle mie spalle e vi noto una scintilla di fastidio prima che Elena infili le dita tra le mie e stringa la mia mano tirandomi via. «Chi non muore si rivede, eh, Mic?»

Non credo scelga le parole di proposito, ma pesca sempre le peggiori. «A quanto pare...» rispondo mentre le poso un bacio sulle labbra. Lei mi infila la lingua in bocca. Mi stacco subito, ma quando mi volto per salutarla, Sam è già entrata in classe.

Elena mi tira il braccio. «Andiamo? Sei sparito per due giorni. Tutto bene? Stiamo insieme oggi?»

Annuisco senza staccare gli occhi dalla porta dove Samantha è appena sparita. Mi affaccio all'interno della sua aula e la vedo seduta in uno dei banchi d'angolo. Una ragazza che non conosco le sta di fronte e parla con ampi gesti delle braccia. Sam mi nota, fa un gesto di saluto e un cenno di assenso. Se la caverà.

E nel caso andasse storto qualcosa, io sarò qui per lei.

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