10 - Una cascata di farfalle turchesi
Stamattina, quando mi sono svegliata, Vanessa e Mic erano già usciti. Mi dispiace non averlo sentito vestirsi nella stanza accanto, come se questa giornata rompesse una routine ancora troppo instabile. Trovarmi da sola nella loro immensa villa mi mette disagio e ansia. Non ho la possibilità di ricompensare Vanessa e Zanna per avermi accolto e non so neanche se siano consapevoli del pericolo che la mia presenza qui rappresenta per la loro serena realtà. Sono una famiglia travagliata e non hanno bisogno di altri problemi.
Le due condizioni imposte dagli assistenti sociali mi sembrano inattuabili, ma il motivo principale per cui ho tentato di andarmene ieri è Michele. Non merita che la mia presenza gli mandi all'aria la vita e la famiglia. Per scherzo della sorte è sempre lui ad avermi vincolata a restare. Ho promesso e non me ne andrò, almeno per questo mese. Affronterò tutto quello che mi si presenterà davanti, nel miglior modo possibile e lo farò per lui. Da quella notte, nel corridoio buio, davanti alla sua stanza, non riesco a fare a meno di pensare ai suoi occhi spaventati. Quei bellissimi occhi blu.
Vanessa mi ferma mentre sto per bussare alla stanza di Mic. Ho il petto stretto in una morsa dolorosa e un forte desiderio di vederlo. Sono rientrati da poco. Ho preparato il pranzo per tutti e ho cercato di rendermi utile pulendo casa. Vanessa ha detto che non era necessario, ma io credo lo sia. Almeno per spiegare quello che a parole non riesco a dire. Non so quanto durerà questo stato di grazia, ma la notte che mi hanno aperto le porte di casa loro, mi hanno salvato la vita.
«Non credo che oggi sia un buona idea» dice e mi ferma la mano.
«Sta male?»
«Non peggio del solito, ma queste giornate sono faticose per lui. È meglio lasciarlo solo».
Non ne sono così sicura. Ieri lui non ha lasciato sola me. Non mi sembra giusto. Sfioro con la punta delle dita il filo d'argento che mi circonda il polso e mi faccio coraggio. Vorrei sapere il perché di tutte le giornate che Mic passa nella sua stanza, senza vedere nessuno, senza uscire. «Come mai...» comincio, ma Vanessa mi ferma.
«Vorrei darti una cosa. È da quando Zanna ha detto che dovrai andare a scuola che ci penso e credo sia arrivato il momento di farlo usare di nuovo a qualcuno».
Senza dire altro si avvia verso la stanza di Lucia. Lancio un'ultima occhiata alla porta chiusa di Mic e sospiro, alla fine la seguo.
Vanessa entra in quella stanza con cautela, come se ci fosse qualcosa che ancora si può rompere anche nell'assenza. Si muove delicata, sfiora le superfici e mi fa sentire partecipe di un tempo passato. Quando spalanca l'armadio lo fa con forza, impiegando tutta la sua volontà per quel semplice gesto. Dentro ci sono molti vestiti appesi in disordine e alcuni piegati sul ripiano, oggetti, collane, una bambola. L'armadio di una bambina che stava diventando donna e non ce l'ha fatta. Ferma sulla porta, stringo lo stipite per impedirmi di scappare. Lei mi guarda e mi fa segno di entrare, sale in piedi su una sedia e prende uno zaino nero tempestato di farfalle turchesi dal ripiano più alto. Sembra molto pesante e la aiuto a posarlo a terra.
«Non ho mai avuto il coraggio di svuotarlo» mormora la donna.
Non ce l'ha neanche adesso, secondo me.
«Se rimane così, pensavo, lei tornerà. È un pensiero folle, lo so».
«No, non lo è». Vanessa alza gli occhi lucidi nei miei e mi chino accanto a lei.
Le sue parole non mi sembrano affatto strane. Quando mia madre è morta non eravamo a casa nostra. Mi aveva portata verso la ferrovia, all'ingresso di un boschetto di castagni. La foresta degli spacciati, così la chiamavano. Lei non sapeva di esserlo, spacciata, non fino a quel punto, e mi ha detto di attenderla lì. Non è più tornata e sono rimasta ad aspettarla per tutta la notte. Se ci penso, ricordo ancora il freddo umido che usciva dal bosco e fomentava la paura, mentre capivo che doveva essere successo qualcosa. Solo all'alba ho trovato il coraggio di inoltrarmi tra i tossici per cercarla.
«Va tutto bene, Sam?»
Mi riscuoto dai ricordi e annuisco. Sento i brividi. Per la seconda volta cerco conforto nel bracciale di Mic. Il mio dito indice lo percorre piano, e penso che nello strano incanto che copre la loro casa, questo sia il mio talismano. Mi proteggerà dal futuro e dal passato.
Vanessa appoggia lo zaino sul letto e la mano le trema. Si ferma.
«Non è necessario. Posso mettere i libri in una borsa».
«Devo farlo».
«Non per me» protesto, sentendomi ingiustamente colpevole.
«No, infatti, per me».
Apre la cerniera e all'interno ci sono quaderni, libri, un astuccio consumato di un arancio scolorito. Vanessa vuota con cautela la tasca principale, poi appoggia il contenuto sulla scrivania. «Puoi usare anche l'astuccio, controlla che funzionino le penne altrimenti le sostituiamo. Metti qualche quaderno nuovo. Per i libri, ti diranno gli insegnanti quali comprare, immagino». Per lei questo gesto è stato uno sforzo immenso. Si appoggia alla porta e la apre.
Stanno tutti facendo davvero troppo per una sconosciuta. «Non serve che mi compriate dei libri».
«Finché sarai affidata a noi, provvederemo a tutto quello che ti serve, compreso il materiale di studio. Non è un peso, né un impegno. È un piacere e vorrei che non pensassi più di essere un'ospite, in questa casa». Non aspetta la mia reazione, si gira e se ne va. Credo che non avrebbe resistito un secondo di più in questa stanza con lo zaino di Lucia aperto sul letto.
Sarebbe tanto facile appoggiarmi a tutti loro e accendere la speranza. Troppe volte sono stata quasi libera, sono sfuggita al controllo di Frog per poco tempo. Lui mi ha trovato sempre e stavolta non sarà un'eccezione. Coltivare questa favola farà solo più male quando la bolla d'illusione esploderà e mi vomiterà nella mia realtà di letti sporchi e fame. Quando questa cupola fantastica esploderà, spero che non colpisca nessuno di loro. Preferisco che ferisca me, magari a morte, piuttosto che tornare dov'ero. Mentre il morale scende sotto i piedi, apro la tasca piccola dello zaino: contiene un solo oggetto. Mi blocco con la mano a mezz'aria.
Si tratta di un pacchetto piccolo, incastrato nell'angolo destro e l'ho notato solo per il riflesso della luce sulla confezione argentata. Allungo le dita e lo afferro tra indice e medio; bloccato dal nastro celeste che lo circonda, c'è un biglietto arrotolato. Ho una strana sensazione, tra lo stupore e l'impossibile, che mi fa formicolare le mani. Lo srotolo tra le dita come un foglio antico sul punto di disintegrarsi. Il cuore mi batte nelle orecchie. Un regalo impossibile che attende al buio da un anno. Lascio la stanza di corsa.
***
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