1 - ✨ Seconda opportunità
Quando sfondano la porta sono nuda e legata alla testata del letto con un lenzuolo arrotolato intorno ai polsi. Stavolta pensavo davvero che sarei morta. Di solito Frog interviene se la situazione precipita, ma questa volta no: è scappato perché ha sentito arrivare la polizia. Noi, nella stanza, non ci siamo accorti di nulla. Penso che l'abbia avvertito l'uomo che fa il palo all'angolo della strada: un tizio allampanato con il naso così lungo che non capisco come faccia ad avere una visione unica del mondo. Frog se n'è andato senza preoccuparsi di me, né di quello che sarebbe successo dentro. Non me ne stupisco. Non si è curato di sua figlia per una vita, perché dovrebbe farlo ora?
Perché sono una fonte di guadagno. Fino a poco tempo fa, prima che il giro di prostitute e soprattutto quello della droga lo facesse diventare ricco, ero l'unica. I clienti pagano molto per stare con me, lo faccio da quando avevo quattordici anni e tra una settimana ne compirò diciassette.
L'uomo fermo sulla soglia si massaggia la spalla con cui ha sfondato la porta, dalla sua espressione sembra che cerchi di dare un senso a quello che vede. È imponente, con un viso squadrato e profondi occhi blu puntati su di me. Dietro di lui c'è un secondo agente che lo supera, salta la finestra e insegue il cliente. Un povero diavolo con una vena sadica che per eccitarsi mi ha colpita con la sua cintura: alla trentesima cinghiata ho perso il conto, e forse anche i sensi, per un tempo indefinito. La schiena, premuta contro alla testata in legno del letto, brucia come se avessi ferri incandescenti piantati tra le costole. Se Frog non fosse scappato, non avrebbe mai permesso che quell'idiota mi sfregiasse così. Il mio corpo gli serve integro.
Quando il poliziotto si avvicina, mi ritraggo. Mi hanno toccata abbastanza uomini per questa notte e indossare una divisa non lo rende certo migliore, ai miei occhi. Loro sono tutti uguali, guidati da una brama di possesso e dominio. Deboli che si fanno forti con la violenza. Si allunga sul letto e, senza smettere di guardarmi in faccia, mi libera i polsi con un gesto secco. Mi sposto lontano, gemo per il dolore alla schiena, infilo l'unico indumento che mi trovo a portata di mano, una sottoveste leggera, e mi rannicchio in un angolo della stanza. Sto cercando di capire se sarei abbastanza veloce da scappare attraverso la finestra, quando la sua voce bassa attira la mia attenzione. «Come ti chiami?»
Resto in silenzio.
«Hai qualcuno che possiamo chiamare? Un genitore...»
Lo fisso con aria di sfida e la mia bocca resta chiusa.
Si toglie la giacca e me la mette addosso, non riesco a smettere di tremare e le cose intorno a me si sfuocano di nuovo. Chiudo gli occhi, li riapro e incontro il suo sguardo preoccupato. «Ce la fai ad alzarti?»
«Fottiti» rispondo.
In quel momento, dalla finestra, rientra l'altro poliziotto: «È scappato giù alle baracche sul fiume».
Quello accanto a me sospira e mi indica con un cenno del mento. «Portiamola in centrale».
Finirò in galera. Frog mi ha sempre detto che, se la polizia l'avesse beccato, mi avrebbero spedito in un riformatorio, che è peggio della prigione, dove mi sarebbero successe cose orribili. In confronto, fare sesso con uomini diversi ogni notte mi sarebbe sembrato il paradiso. So ben poco del paradiso, ma in quel posto non ci voglio andare.
L'uomo di fronte a me sorride e sento un verso simile a una risata trattenuta da quello fermo vicino alla finestra, che dice: «Andiamo, dai. Non credo che il protettore si farà vivo. Se l'è data a gambe ben prima che arrivassimo». Mi solleva in piedi afferrandomi un braccio, con una stretta sicura ma leggera. Lo seguo senza oppormi, tanto non saprei cos'altro fare. Le farfalle che mi coprono la visuale non sono ancora svanite e penso che a breve crollerò a terra.
Invece riesco a raggiungere l'auto di pattuglia: mi caricano dietro. Fisso il mio quartiere allontanarsi dal lunotto e mi chiedo cosa mi aspetta. Non sarà niente di buono. Non lo è mai, quella lezione l'ho appresa. Mentre le luci si muovono sempre più veloci dietro al finestrino, sento il mio corpo cedere, diventare pesante, e le parole dei due uomini seduti davanti mi giungono confuse.
«Centrale, rientriamo con una ragazza».
Un gracchiare strano. L'uomo davanti sbatte la mano sul volante e l'auto accelera. «Devono per forza prenderla. Non può restare qui... Minorenne? Certo che è minorenne!»
La voce dalla radio è di una donna, me la immagino con una nuvola scompigliata di capelli rossi che somigliano al cotone. «Genitori? Parenti? Sai almeno il nome, Zanna?»
Vedo la figura enorme dell'agente girarsi verso di me, ma i contorni sono imprecisi. Torna a guardare la strada. «Non è in grado di dirmi niente, adesso. Trovale un posto per passare la notte, lontano dalle baracche. Dove non possano trovarla».
«Nessuno la accoglierà alle tre del mattino» borbotta l'uomo dal lato passeggero.
La radio gracchia di nuovo. «La teniamo noi qui in centrale».
Il buio si chiude su di me con implacabile puntualità e mi porta via, dentro un'incoscienza fatta di ombre grigie e posti con sbarre alle finestre, uomini ubriachi e strafatti, odore di urina e vite perdute. Proprio come la mia.
***
Il vento solleva la tenda accanto al letto. Bianca. È tutto chiaro in questa stanza, reso celeste dalla prima luce dell'alba che filtra dalla finestra. Le lenzuola in cui sono arrotolate le mie gambe odorano di lavanda e di pulito. Mi alzo e avverto la prima fitta di dolore alla schiena, non ricordo quando ho tolto la vestaglia e indossato questa tuta. Vado alla finestra e la spalanco. Soffia un vento che sa di primavera, tiepido, come una carezza. Sotto di me c'è un parco immerso nel buio e, poco oltre, il mare. Non l'avevo mai visto. Solo il fiume, quasi in secca, che scivola pigro e verde accanto alle baracche dove abito, ma non è la stessa cosa. Guardare il mare è sempre un'attesa; il mormorio delle onde nel vento è una promessa a cui non posso credere.
Dev'essere per forza un sogno. Esco dalla porta su un corridoio buio: il silenzio è interrotto dai gemiti della casa, rumori che mi sono nuovi. Dove sono? Supero altre stanze chiuse, giro l'angolo e il corridoio termina su una portafinestra con il balcone, anche questa spalancata sul buio. Un grosso ramo gratta lo stipite. Mi volto e subito dopo perdo l'orientamento. La stanza bianca da cui sono uscita non c'è più: è una delle tantissime porte chiuse alle mie spalle.
Sento salire l'ansia e il respiro mi si blocca in gola. Dove accidenti mi trovo?
Ricordo che ero in auto coi due poliziotti, ma dopo c'è solo il buio, un dolore terribile alla schiena, che ancora mi pulsa e mi lascia sfinita, e un uomo orrendo, con la cinghia tra le mani, che... mi appoggio al muro e mi lascio scivolare a terra. Mi rannicchio in un angolo e le immagini mi esplodono in testa. Stringo gli occhi, incapace di fermare il tremito che scuote il mio corpo da dentro.
Un respiro veloce si mescola al mio e una figura mi sovrasta. So solo che mi devo difendere. Non c'è nessuna promessa, in questo vento, nessuna nel mare. E nessuna seconda opportunità per Sam, non per me.
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