X- il rapimento.

Quella stanza grigia era ancora più opprimente del solito.
Alyssa fece scattare la serratura e si gettò a capofitto sopra il materasso, affondando la testa nel cuscino. Cercare di vincere la noia, in quel momento, si rivelò essere l'impresa più ostica di sempre. Amber non si era fatta sentire da quella mattina, da quando avevano avuto quell'assurda conversazione al lago, e non si era fatta viva nemmeno a scuola. La cosa le era parsa talmente insolita che l'aveva chiamata, più e più volte, senza mai ricevere una risposta. Quello le era sembrato ancora più strano.

Con il cuscino ben premuto contro la faccia si girò su un fianco e allungò il braccio verso il comodino, afferrando il telefono e inviando l'ennesimo messaggio ad Amber. "Dove sei?"
Ne aveva mandati all'incirca una decina, di quei messaggi, e mai una volta aveva ricevuto una risposta. Nemmeno stavolta se ne aspettava una, ma ci provò lo stesso. Non riusciva proprio a capire dove fosse finita, Amber non ignorava mai un messaggio o una telefonata.

Gettò il cuscino dall'altro lato del letto, esasperata. Poi decise che se avesse immerso la testa in una lettura sarebbe riuscita a sciogliere quella matassa di dubbi che sentiva gravare sul proprio cuore, e a cui non sapeva dare una spiegazione. Si issò in punta di piedi, scegliendo un libro tra i volumi della sua piccola e preziosa libreria; dopo aver trascorso minuti abbondanti a decidere quale fosse quello che faceva al caso suo, notò l'ombra del vento intrappolato tra altri due volumi giganteschi. Lo sfilò delicatamente, lasciandosi ricadere contro il materasso, con le ginocchia sollevate. Pensò, o forse sarebbe meglio dire sperò, che la storia di Daniel Sempère avrebbe domato nuova luce a quella tetra giornata.

Lo aprì all'introduzione e cominciò a scorrere la pagina con lo sguardo, immergendosi completamente nella lettura, fino a quando, dopo sole tre pagine, qualcosa, un movimento, attirò la sua attenzione sulla maniglia della porta. Non avrebbe saputo dire perché l'istinto le avesse suggerito di distogliere lo sguardo dalle pagine del libro per portarlo su quella porta. Forse la presenza del male si avverte sulla pelle come il contatto con la lama gelida di un coltello, o forse...
La chiave stava girando a scatti intermittenti nella toppa. In quel momento udì delle voci, più forti del frastuono del silenzio di quel pomeriggio di maggio, provenienti dai piani inferiori. Voci di uomini.

Un cieco terrore si impadronì di lei, di ogni suo movimento, pensiero, molto simile a quello che aveva provato solo pochi giorni prima, quando aveva udito quella voce torturarle la mente. Quando scattò in piedi, il libro cadde sul pavimento con un tonfo, ma lei non se ne accorse; afferrò il bracciolo della sedia accanto al letto e la trascinò contro la porta, bloccandola. Sapeva che, chiunque fosse, quella stupida sedia non sarebbe stata sufficiente a fermarlo, ma quantomeno lo avrebbe rallentato. D'un tratto le sue orecchie captarono un suono, una voce a lei familiare, graffiante e... colma di paura. La voce di Luthien.
-Vi supplico!- gridava dal piano inferiore, -Vi supplico, è solo una bambina!-

Anche a distanza di metri percepì i singhiozzi di sua sorella, il dolore di quella supplica, e poi sentì quella voce, ancora una volta, la stessa che aveva infestato le sue notti in quei sedici, lunghi anni.
Una fitta gelata le attraversò i polmoni, facendole mancare l'aria. Non è possibile. Osservò, incapace di muovere un passo, la chiave forzare sempre più insistentemente la serratura, mentre dall'altra parte della porta una voce femminile imprecava riempiendo l'aria di sibili malvagi.
Alyssa maledisse il proprio corpo, perché incapace di muoversi, e fu solo quando un violento colpo rischiò di mandare in frantumi quella porta che raccolse il coraggio e spalancò la finestra. In preda al panico si sporse oltre il davanzale per valutare l'altezza che la separava dal terreno.

Era piuttosto ridotta e valutò che le sarebbe bastato ideare un prototipo di corsa per calarsi di sotto, ma doveva farlo subito. Frugò alla svelta all'interno dell'armadio in cerca di qualche indumento che facesse al caso suo, e trovò due paia di jeans, una felpa e una sciarpa. Cominciò a intrecciarli gli uni agli altri, legandoli stretti affinché tenessero la presa.
-Dannata porta!- ruggì all'improvviso una voce femminile, dando sonore spallate contro la superficie. Quando la chiave cadde con un tonfo sul pavimento, Alyssa sgranò gli occhi dal terrore.

Si affacciò dal davanzale e gettò la corda di vestiti dalla finestra, con il cuore che pompava rapidamente contro lo sterno, e ne legò un'estremitá al pomello dell'anta. -Fa che regga- implorò sottovoce, prima di issarsi sopra il davanzale. Rischiò di perdere l'equilibrio, per un attimo, ma si stabilizzò subito dopo. Con le unghie graffiò la parete vecchia di anni, aggrappandosi all'angolo. Saggiò la forza della treccia di vestiti dandosi un paio di spinte verso il basso e, proprio quando fu certa che avrebbe retto il suo peso, la porta della camera venne sfondata e sradicata ai cardini, rivelando la figura di una donna vestita di una divisa nera. Non appena si rese conto di quello che stava succedendo corse verso il davanzale, estrasse un lungo pugnale dalla cintura attaccata alla vita e prese a segare il nodo, con un'espressione sadica impressa sul volto.
-Vediamo quanto andrai lontano, mezzosangue- sibilò, mentre la stoffa cominciava a sgretolarsi in fili molteplici.

Alyssa strisciò contro la parete esterna, le sue scarpe stridettero contro la vernice, mentre si rendeva conto che la corda stava cedendo. Con un grido di terrore si lasciò cadere sul prato, rotolando sulla schiena. L'impatto col suolo le tolse il fiato, batté le palpebre per cancellare le stelle che vorticavano sopra la sua testa. Sentì le suppliche di Luthien provenire dalla sala da pranzo, e il proprio cuore esplodere nel petto, i polmoni andare a fuoco.
-Luth!- sussurrò, gli occhi che bruciavano per il piango. -Luthien!-

Non riusciva a respirare, a parlare. Con la coda dell'occhio vide la donna atterrare al suolo grazie a un agile balzo, la vide avanzare verso di lei, verso il suo corpo rannicchiato a terra, accompagnata da uno sguardo allucinatamente feroce. Con tutte le forze che le erano rimaste, Alyssa si alzò in piedi e, gemendo per il dolore alla schiena, si mosse nella direzione opposta, oltrepassando il cancello e sbucando nel viale lungo e deserto. Poi, all'improvviso, una mano dotata di lunghe unghie appuntite le artigliò il gomito, strattonandola e attirandola contro il proprio petto.

-Lasciami!- Alyssa tentò di gridare, ma il fiato rimasto nella sua gola non fu sufficiente. La mano della donna si chiuse sopra la sua bocca, mentre con forza disumana la trascinava indietro, le scarpe che stridevano contro il selciato. -Non provarci mai più- la minacciò stringendo la presa contro la sua bocca, mentre Alyssa tentava in tutti i modi di divincolarsi. Sentì la testa pulsare violentemente, per un terribile istante credette che sarebbe esplosa. Stava andando a fuoco. Temeva per la propria vita, ma soprattutto per quella di Luthien. Sua sorella non conosceva l'uomo, né il potere che la sua voce possedeva.
La donna la trascinò fino alla soglia della casa, scavalcando il legno che era andato in pezzi, trasportandola verso la sala da pranzo, come un peso morto. Una volta lì Alyssa poté percepire più distintamente le parole dell'uomo che stava inveendo contro sua sorella. -Magari dovremmo portarti con noi a Deifán, potresti tornarci utile in qualche modo.-

Gli occhi di Alyssa si spalancarono: il braccio dell'uomo era premuto contro la gola di Luthien, la sua schiena era schiacciata verso la parete.
-Luthien!- urlò, scrollandosi di dosso la mano della donna, che gli rifilò una gomitata nello stomaco. Alyssa tossì, piegandosi in due dal dolore, mentre l'uomo si voltava, lentamente, verso di lei. La ragazza colse lo sguardo terrorizzato di Luthien, alle spalle di lui.
-Finalmente- sibilò con un sorriso meschino. -Ti ricordi di me, mezzosangue?-
Alyssa strinse i denti, ansimando. Come poteva non ricordarsi di chi le aveva rovinato la vita?
-Tu... tu mi...-
-Sì, mezzosangue- la interruppe lui, con un gesto della mano. -Anche tu mi disgusti, ma non posso farci niente. Purtroppo quell'idiota di Thomas mi ha rifilato questa missione ingrata e devo portarla a termine.
Alyssa assunse un'espressione confusa, piena di terrore.
-Ti supplico...- sentì la voce di Luthien, appena percettibile, venata di sofferenza. -Risparmiala, ti supplico.
L'uomo la ignorò, puntando lo sguardo su Alyssa. -La tua puzza è disgustosa. Carne marcia, non capisco come voi esseri immondi siate oggetto di cotanto apprezzamento da parte sua. -

La ragazza assotigliò lo sguardo, sollevando il mento. -Che cosa vuoi da noi? Non ci conosci nemmeno.-
La risata sardonica che seguì le parole di Alyssa la fece rabbrividire.
L'uomo scosse la testa, per poi tornare serio in un battito di ciglia, mentre piantava il suo sguardo da falco nel suo. -Sei piuttosto ignorante in materia.-
Il suo tono era beffardo, amaro, derisorio. Vide le sue dita abbandonare il collo di Luthien per scendere lungo la scollatura della sua maglietta e un istinto primordiale la fece gridare.
-Lasciala in pace.-

-A tempo debito- la ignorò l'uomo con freddezza, -verrai a conoscenza di ogni cosa e allora sarai tu a chiedermi di farla fuori.-
Indicò Luthien con un gesto sprezzante della testa per poi scambiare un'occhiata di complicità con la donna che teneva prigioniera Alyssa.
-Portala fuori- ordinò in tono categorico. -Ho una faccenda da sbrigare con lei.- passò lo sguardo su Luthien, mentre Alyssa tornava a divincolarsi. Questa volta, però, non poté gridare, perché la mano della donna si premette di nuovo sulla sua bocca, mentre veniva trascinata via.

-Lo sai- disse l'uomo, rivolto a Luthien, che aveva girato lo sguardo dall'altra parte, gli occhi arrossati e colmi di lacrime.
-Saresti stata un ottimo diavolo se non fossi stata così stupida da tradirci. La tua bellezza è sempre sconvolgente.-
-Reeg... - ansimò lei, -ti prego, ti imploro, lasciala libera.-
Il sudore le incollava i capelli alla fronte, dall'angolo della sua bocca sgorgava un rivolo di sangue.
Lui sorrise, amareggiato. Poi estrasse il pugnale che teneva agganciato alla cintura. -So cosa significa perdere una sorella. Ricordi? -
Luthien mugolò qualcosa nel suo stato di terrore. Reeg avvicinò la lama del coltello al suo volto, scostandole una ciocca di capelli umidi con la punta gelida.
-Sai, io ti amavo davvero.- sussurrò con lo sguardo ipnotico, -purtroppo per te, però, non hai fatto altro che sbagliare, nella tua vita. Non meritavi il mio amore.-

Fuori dalla finestra le nuvole lasciarono spazio a un timido sole.
Con la mano ben salda intorno all'elsa del pugnale, Reeg si chinò su di lei e sfiorò le sue labbra con le proprie, donandole un bacio corroso dall'inferno e che l'avrebbe marchiata per sempre, anche nella morte.
Luthien non ebbe alcuna reazione se non un fremito che le scosse la schiena. Le sue braccia pendevavano ai lati della vita, quasi privi di anima.
Reeg sfiorò la sua pelle di porcellana, contraendo le labbra in una smorfia amara.

-Eri davvero sprecata per questo mondo, Luth- sollevò la mano che stringeva il pugnale sopra la sua testa, percependo il lieve tremore dell'arma tra le dita. Improvvisamente cominciò a sudare.

La sua mente riassaporò i ricordi, mettendo a fuoco l'immagine di due bambini che giocavano a rincorrersi lungo un'estesa prateria, delle risate cristalline di lei, delle sue trecce che le sfioravano il fondoschiena. Ricordò la prima volta che si era scoperto a fantasticare su sua sorella, di quando a sedici anni aveva scoperto di esserne innamorato, e di come lei non lo ricambiasse. Era sbagliato, diceva, contro natura. Luthien aveva fatto parecchie scelte sbagliate nella sua vita. La più grande era stata rinnegare la sua natura di diavolo, tradire il suo popolo e unirsi agli umani sulla terra. Aveva scelto di abbandonare suo fratello, quel fratello che l'aveva amata con tutto se stesso, nonostante avesse sempre saputo che fosse sbagliato. Reeg non glielo avrebbe mai perdonato.

In quel momento, mentre la guardava con lo stesso ardore di tanti anni prima, con le lacrime che minacciavano di appannargli la vista, il volto di Luthien tornò ad essere quello di una ragazzina: fresco, ingenuo, di una bellezza devastante. E ricordò, con dolore e nostalgia, delle sere d'inverno passate a leggersi e raccontarsi storie a vicenda, degli sguardi che lui le lanciava ma che lei non aveva mai compreso, dell'unico bacio che Reeg le aveva strappato quando la sorella era addormentata. Tutti i ricordi lo sommersero come un'onda in pieno, travolgendolo.
Ormai era troppo tardi.

Reeg batté le palpebre per scacciare quelle dannate lacrime, preparandosi a contare mentalmente fino a tre. Nella mano destra, quella che stringeva il pugnale, l'arma tremava violentemente.
La guardò ancora, per l'ultima volta, e la baciò, di nuovo, catturando il suo sguardo che andava pian piano spegnendosi. Le sue labbra furono attraversate da uno spasmo, forse nel tentativo di dire qualcosa, ma lui non glielo permise. Lentamente, chiudendo gli occhi, il braccio che stringeva il coltello si abbassò.
E la lama rifletté il volto contratto dal dolore di Reeg, gli occhi screziati di rosso, il sudore che gocciolava copiosamente lungo la fronte, nell'attimo in cui si conficcò con dolcezza nel petto di Luthien.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top