C a p i t o l o p r i m o

Alyssa

Spense la lampada e chiuse gli occhi. Intorno a lei c'era solo il silenzio del vuoto. Alyssa amava quel suono: la cullava nelle ore di sonno e al mattino le dava il buongiorno con grazia. Eppure c'era qualcosa che non andava; quel ronzio impercettibile che avvertiva dietro il silenzio, quello strano rumore che le dava fastidio alle orecchie. Per quanto ci provasse, non riusciva a prendere sonno. Era una notte fresca. Il che avrebbe dovuto contribuire al suo riposo , ma sembrava che invece ci fosse qualcosa che non volesse farle prendere sonno. Rimase a occhi chiusi, in silenzio, per parecchi minuti, cullata dall'oscurità, e attese che il ronzio si placasse. Niente. Continuò, ancora e ancora, e divenne più intenso, fino a quando la ragazza non fu costretta a spalancare di nuovo gli occhi. Scostò bruscamente le lenzuola e, stropicciandosi gli occhi, si diresse alla finestra.

La luna illuminava le vie e le strade di Dublino con eleganza, e le sue figlie, le stelle, brillavano come di rispetto nel cielo scuro. Erano stelle opache, come velate da uno strato di vetro appannato. In quel pezzo sperduto di Dublino, la notte ospitava sempre le stelle opache.

Cosa insolita per la maggior parte degli abitanti, ma per i vecchi, quelli che abitavano la città da più anni, il cielo dalle stelle opache non era affatto una novità. Esso rimaneva tale in qualsiasi occasione; sia che splendesse la luna, sia che la sera promettesse pioggia. Le stelle opache regnavano indiscusse solo su quella parte di Dublino. Il che era una stranezza, ma anche un attraente mistero, in fondo.

In un attimo, tutto il rancore che Alyssa provava verso il ronzio, scomparve per lasciare posto al benessere; ciò che adorava di più al mondo erano le stelle. Anche se quelle nuove stelle erano piuttosto strane. Prima di coricarsi, infatti, rimaneva ad osservarle per ore, fino a quando la stanchezza non prendeva il sopravvento e la costringeva a rientrare. Erano come una calamita; l'attraevano in modo irresistibile e lei non poteva far altro che rimanere incollata all'immagine. Anche se le aveva già abbondantemente osservate due ore prima, Alyssa fu di nuovo loro schiava e solo il bussare delle nocche sul legno della porta parve riscuoterla, riportandola alla realtà. Si voltò, indispettita, immaginando che fosse sua sorella che veniva a darle la buonanotte.

-Alyssa?- udì la sua voce infatti. La porta si spalancò senza attendere una risposta e Luthien Jefferson apparve sulla soglia in vestaglia e pantofole a coniglietto.

-Stavo per andare a letto, Luth- disse Alyssa richiudendo la finestra e avviandosi verso il letto.

-'Notte Aly. Ah, non aprire le finestre stanotte. Fa freddo.- disse, poi si diresse alla porta, la infilò e sparì in corridoio. Alyssa rimase a fissare il punto, ora vuoto, in cui lei era sparita, aggrottando le sopracciglia. Che strano, pensò avviandosi alla porta e chiudendola. Ma Luthien e sempre strana ultimamente. Si infilò sotto le coperte e spense la lampada. Cercò di riprendere sonno in tutti i modi possibili; aspettandolo senza fare nulla, dando credito a quella stupida leggenda di contare le pecore, o semplicemente contando fino a cento. Ma il ronzio divenne più brusco e, dietro il silenzio della notte, sembrava sentirsi ancora più potente. Alyssa spalancò gli occhi e strinse a pugno le coperte. Maledizione. Odiava quando non riusciva a prendere sonno. Scostò le coperte bruscamente e, a piedi scalzi, si diresse al davanzale della finestra. Luthien aveva detto di non aprire le finestre perché faceva freddo. Ma non era vero. Non faceva freddo. E poi, aveva voglia di guardare le stelle e sentire la brezza notturna sulla pelle. Spalancò le ante e l'aria fresca della notte la investì, avvolgendola come una coperta. La notte era fresca e ventosa, però il tempo non prometteva niente di buono. Forse ci sarebbe stato un diluvio entro breve. Sembrava che le foglie mormorassero qualcosa mentre venivano sollevate dal vento, qualcosa di magico. Qualcosa che somigliava tanto a quelle storie che Luth tirava fuori dai libri, quando erano bambine. Qualcosa che l'attraeva in modo irresistibile. Tese le orecchie ad ascoltare il canto delle foglie. Era un canto sommesso, lieve e dolcissimo che incantava la ragazza praticamente ogni volta che il vento penetrava il passaggio. Il mormorio delle foglie ballerine era l'apice della notte, quella notte che prometteva pioggia, la notte in cui la vita di una sedicenne cambiò per sempre. Chiuse gli occhi e inspirò a fondo come a scacciare i pensieri di quel giorno, poi li riaprì e si soffermò a guardare la sua mano. L'anellino che le aveva regalato suo padre luccicava al pallido chiarore della lampada. Era così semplice, eppure ai suoi occhi era il più splendido di tutti... Una lacrima scese lungo la guancia e zampillò sul cerchietto che portava al dito. Quello era stato l'ultimo regalo di suo padre. Si scostò una ciocca di capelli ramati dal viso, ricacciando indietro i singhiozzi e fece per chiudere la finestra. Si stava davvero facendo tardi.

Fu in quel momento, in quell'attimo che bastò a sconvolgerle la vita per sempre, che lo vide per la prima volta. Un istante prima non c'era e ora eccolo lí. L'immagine non era chiara, quasi sfocata, eppure Alyssa riconobbe in quel viso con i capelli scarmigliati dall'estate quasi finita e solo una giacca a vento, un individuo dai tratti familiari. Le braccia erano ripiegate dietro la schiena e una sorta di cintura argentata gli cingeva la vita; c'era una fibbia, sul davanti, che ritraeva un paio d'ali. Nere, o almeno le parve di distinguere, nel buio della notte. I calzoni erano di cuoio, aderenti al corpo, e gli stivali gli arrivavano fin sopra il ginocchio. Alyssa era immobile con lo sguardo fisso su quella che appariva come un'ombra; lo scrutava con un'intensità tale che perfino lei non riconobbe come sua. D'un tratto lo sconosciuto le sorrise e tese un braccio nella sua direzione, muovendo piano prima l'indice, poi il medio e infine l'anulare. Lei, colta alla sprovvista, sussultò richiudendo di scatto la finestra. Pensieri cupi l'assalirono. Si morse un labbro fino a sentire in bocca il sapore del sangue e indietreggiò, andando a sbattere contro la testiera del letto. Chi diavolo era quello sconosciuto e che ci faceva lì? La paura aveva cominciato a prendere il sopravvento e il cuore cominciò a correre sfrenato, ad un ritmo incessante, talmente forte, che per un attimo ebbe paura che le sarebbe esploso in petto, se non si fosse fermato. Col respiro affannato, si decise ad accendere la luce, che illuminò la stanza, come l'alba rischiara il giorno. Lentamente avanzò verso l'imposta e scrutò fuori. Ma lui non c'era più. La sua ombra era svanita, lasciando un'aura di mistero aleggiare nell'aria. Premette i palmi delle mani contro i vetri ormai rigati di pioggia e attese in silenzio. Un'attesa assurda, fuori controllo, priva di qualsiasi spiegazione. Perché avrebbe dovuto attendere il ritorno di qualcuno che la stava terrorizzando a tal punto? Lo sconosciuto non tornò. Con uno strano senso si oppressione nel petto, Alyssa si rimise sotto le coperte, cercando risposte e perché che nemmeno lei conosceva. Fu solo intorno alle tre del mattino che riuscì ad addormentarsi. Ma non fece bei sogni. Il protagonista era l'uomo con la cintura d'argento. La chiamava per nome e sorrideva con quei suoi denti bianchi come la luna, in una notte d'estate.

Spero che la mia storia vi piaccia e come sempre vi chiedo di commentare e votare! Grazie a tutti ;)

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top