C a p i t o l o d e c i m o

                         Luthien

Quando riaprì gli occhi, la tempesta si era placata. Il cielo era ancora coperto dalle nuvole, ma non c’era più la pioggia. Luthien si portò una mano dietro la nuca e quando la ritirò, vide che era zuppa di sangue. Le sfuggì un gemito. Aveva la faccia insanguinata e incredibilmente gonfia. Un suono strozzato le mozzò il fiato in gola quando realizzò ciò che era accaduto, scorgendo tutti i quaranta corpi ammassati a terra, l’uno sull’altro. Non pensò neanche un minuto a quello che doveva fare. Scattò in piedi, ignorando il dolore che le bloccava il corpo, e cominciò a correre.                                               

                        

                            Alyssa

Si svegliò per un’ improvvisa frenata che le fece battere la testa. Quando riuscì a recuperare il senno, si accorse del formicolio alle membra e di un tocco pungente alla nuca. Un gemito le sfuggì dalle profondità della gola. E allora si rese conto di cosa stava succedendo. Aveva le mani e i piedi legati, intrappolati da orride corde consunte e una benda le copriva gli occhi. Faticò a tornare alla realtà; l’avevano stordita, ricordò. Ed era stato quell’uomo. L’uomo che aveva visto nel giardino. Si trovava in un’auto, forse un furgoncino che puzzava di fumo, e sembrava essere piuttosto vecchio. Si diede un’occhiata intorno, dimenticandosi di essere bendata, e riuscì a scorgere solo un fitto nero. Cercò di sfregare le corde le une contro le altre, ma quando il bruciore ai polsi divenne troppo intenso da sentire il sangue sulla pelle, fu costretta a smettere. L’uomo al volante stava fumando una sigaretta, no, forse dell’oppio, dall’odore. Abbassò la visiera e sorrise. 

  «Ah, sei sveglia. Buongiorno, Mezzosangue» sibilò con dolcezza fasulla. Alyssa venne percorsa da lunghi brividi di freddo. Il sudore le si era congelato sulla pelle.

  Cercò di pronunciare delle parole, ma si accorse con orrore di non riuscire a spiccicarne nemmeno una.  

  «Tua sorella non ti aveva avvertito del mio arrivo, vero? No, di certo, come avrebbe potuto … » continuò l’uomo. Sua sorella? Cosa c’entrava Luthien in tutto quello?

«Chi .. chi sei tu? Che cosa vuoi da me?» riuscì ad articolare lei, mentre la paura si faceva strada nel suo giovane corpo. «Oh, lo scoprirai presto» rispose molto lentamente l’aguzzino.  

Alyssa prese ad ansimare. Sentiva la testa pulsare in un punto dietro la nuca e le faceva male la gola.

«Dov’è mia sorella? Che cosa le hai fatto?» Per tutta risposta l’uomo abbassò la visiera sghignazzando. Allora, Alyssa tacque. Doveva riflettere. E se le avesse fatto del male? Come si sarebbe difesa? Doveva fuggire di lì, ma non sapeva come fare. Per prima cosa sapeva di dover tagliare le corde. Ostacolata dalla benda agli occhi cercò di muoversi lentamente; l’unica cosa che trovò, però, fu la marmitta di una macchina coperta dalla polvere, e un’altra corda attorcigliata. Maledizione. Era preda di un’agitazione frenetica e non riusciva quasi a respirare. Tutto ciò che percepiva era quel maledetto odore di fumo che la faceva tossire ogni due secondi. La testa le faceva male e non aveva la forza di alzarsi. Prese a divincolarsi, con la speranza di allentare i nodi che le bloccavano polsi e caviglie ma non aveva la forza sufficiente. Le sfuggì un'imprecazione. Un istinto irrazionale le solleticò i muscoli delle gambe; guidata dalla rabbia calció la marmitta contro la testiera di metallo, lottando contro l'impulso di piangere e urlare.

«Cerca di calmarti, Mezzosangue» sbottò l'uomo, e Alyssa non riuscì mai a capire in che modo avesse fatto a vederla con la visiera abbassata.

                                  *

                          Luthien

Era la paura a farle muovere le gambe più velocemente, la paura di perdere la cosa più importante. Luthien afferrò le chiavi e accese il motore. Aveva preso con sé giusto i soldi necessari a pagare la notte in albergo. La macchina sfrecciò sull'asfalto umido e percorse il sentiero a velocità sorprendente. Mise una mano sul volante e con l’altra si asciugò le lacrime che le bagnavano le guance.
Sto arrivando, Aly. Eccomi, sto arrivando.   Poche ore dopo stava  pagando il pernottamento in albergo. Luthien si precipitò fuori, correndo verso il parcheggio. Con gli occhi ancora assonnati accese il motore e ripartì alla ricerca di sua sorella. C’era qualcosa, dentro di lei che la spingeva a  continuare, qualcosa che non aveva mai provato prima e che era orribile. Stropicciandosi gli occhi di tanto in tanto si ripromise una meta precisa: il villaggio dei Quissew. Erano anni che non ci tornava, per via di antichi problemi del passato, ma quella volta era necessario. Il sole tergeva il cielo di vari colori, eppure quel mattino Luthien non se ne curò. La sua testa era altrove. Pensava ad Alyssa, a come doveva sentirsi, e a quel maledetto di Reeg. Avanzava lentamente anche se aveva fretta. Ma il villaggio dei Quissew non si trovava lontano, forse una decina di chilometri più avanti. E lei ci sarebbe arrivata a tutti i costi. Perché le serviva aiuto. Perché da sola non ce l’avrebbe fatta.

                           

                            Alyssa

  Furono il suono del motore che si spegneva e il rumore di una porta di lamiera che si apriva e si chiudeva che la fecero svegliare. Quella mattina, al contrario del pomeriggio precedente, c’era il sole. Era alto nel cielo, ed era cocente. Con un sospiro, Alyssa si  rese conto che non aveva più né mani e né piedi legati; le corde avevano lasciato i segni, rossi e roventi. La benda agli occhi però c’era ancora. Che senso aveva liberarla delle corde ma non della benda? 

Procedendo tastoni, arrivò all’altra parte del furgoncino. Era abbastanza grande, eppure il senso di oppressione lo faceva apparire minuscolo. Pallida come un cencio, si  rannicchiò su se stessa, mentre l'uomo che l’aveva rapita apriva lo sportello e di peso la trascinava fuori. 

«Lasciami! Lasciami!» gridò, cominciando a sferrare calci e pugni, ma Reeg non ci badò e rinsaldò la presa sui suoi polsi. Alyssa venne investita da un fiotto di luce; era tutto scuro intorno a lei, per via della benda agli occhi. Una manciata di secondi e venne trasportata dentro un edificio, non avrebbe saputo specificarne il nome. Nonostante fuori il sole fosse cocente e lei grondasse di sudore, lo spazio era freddo, e non appena entrarono la sua schiena venne attraversata da lunghi brividi di freddo. Dietro di lei, sentì l’uomo sghignazzare con quella voce aspra e beffarda di chi si è preso gioco di qualcuno indifeso. 

«Beh, è un po’ piccola come nuova casa. Ma ci starai bene, Mezzosangue. Dopotutto, non hai bisogno di particolari cure, no?» Senza darle il tempo di voltarsi, Reeg richiuse la porta pesantemente, e lei avvertì il chiaro click di un lucchetto che si sigillava. Maledicendo l’uomo con tutta sé stessa, decise sarebbe stato meglio fare conoscenza con il posto per riuscire a escogitare la fuga. All’apparenza sembrava un piccolo casale di campagna. Anche lì, c’era puzza di fumo. Le fece venire i conati, ma li represse. Era angosciosamente vuoto.

Si tolse  la benda dagli occhi e  sbatté le palpebre un’infinità di volte, prima che la vista le tornasse alla normalità. Guardandosi intorno, con una morsa allo stomaco, si rese conto che il casale era più piccolo di quanto avesse immaginato, e che c’era un'unica finestra, da cui filtravano i raggi del sole di quel mezzogiorno cocente. Nemmeno una nuvola copriva il cielo; era limpido e azzurro, e un venticello leggero imperversava sulle imposte vecchie di qualche decennio. Si avvicinó lentamente alla finestra, e, appoggiando le mani sui vetri, notò che il furgoncino non c’era più. Un velo di polvere però, si alzava sopra il terreno, segno che l’uomo se ne era andato da poco. Anche il vetro della finestra era impolverato. Come tutto, là dentro. Si staccò per un attimo e tornò a osservare il luogo in cui si trovava; un’infinità di ragnatele agli angoli delle pareti, la muffa che si ergeva sopra di lei e un baule impolverato erano le uniche cose che popolavano il casale freddo e inquietante. Il cuore non aveva smesso un minuto di battere all’impazzata; l’agitazione era cresciuta ogni secondo di più, e il torpore alle membra sembrava non riuscisse a farle muovere un passo. Dov’era capitata? Perché quell’uomo l’ aveva portata lì? Dov’era Luthien e che cosa le aveva fatto quel bruto?

Non era paura, il sentimento che si era impossessato di lei, ma terrore. Un terrore come nessun altro. Se le avesse fatto del male, come si sarebbe difesa? Ripensò a Luthien, a come si era sentita negli ultimi tempi, e al compleanno di Harry. Se non fosse andata in bagno, forse tutto questo non sarebbe successo. E’ sempre colpa mia. Un pallore spettrale le colorò il volto. Si accasciò a terra e infilò la testa fra le gambe. Cominciò a canticchiare, l’unica cosa che le venisse in mente, per scacciare l’assurdo pensiero che le ronzava in testa, ma che sapeva, se ci avesse provato, le sarebbe costato la vita: il modo di fuggire da lì. 

                             Luthien

 

  L’auto appostò proprio davanti al cancello.  Luthien era sfinita eppure il pensiero di Alyssa  in pericolo la spronò ad andare avanti. Scese dall’auto e si avviò con passi incerti, trascinando i piedi sul selciato. I vestiti le si erano incollati al corpo, e qualcosa aveva cominciato a tormentarla, forse la sua coscienza. Si scostò una ciocca di capelli dal viso, e procedette lentamente, come se avesse paura di quello che stava per fare. Come se non fosse sicura di fare la cosa giusta. Attraversò la vecchia inferriata e fece un profondo respiro; chiuse gli occhi per qualche secondo, e poi li riaprì. Era ancora lì. La guerra ormai era iniziata, e qualcuno doveva vincerla. Determinata a salvare sua  sorella continuò imperterrita, senza dare ascolto alla vocina che dentro di lei diceva: è troppo rischioso, torna indietro. «E’ mia sorella» sussurró contro quella voce, che in fondo era la sua coscienza. I grandi salici piangenti si ergevano maestosi di fronte alla grande casa dei Quissew. Il cortile era immerso nell’ombra, e i colori un tempo vivaci della grande casa erano sbiaditi. Salendo gli scalini di pietra, Luthien si apprestò a suonare il campanello; divorata dalla stanchezza, si voltò indietro, e implorò Dio che avrebbe ricevuto l’aiuto sperato. Una manciata di minuti, e il grande portone d’entrata cigolò lungo il cardine. Era un ragazzo quello che andò ad aprire, dai biondi capelli dorati, e un mento spigoloso. Era alto, dagli occhi

verdi, un verde quasi magnetico, e tendenti al blu. Quando le apparve davanti, Luthien gli buttò le braccia al collo, e scoppiò a piangere, come mai aveva fatto prima, vergognandosi di se stessa.      «Shay … » mormorò tra i singhiozzi. «Shay, l’ha...l’ha presa!» Il ragazzo le scostò una ciocca di capelli corvini dal viso e sospirò, prendendole il viso tumefatto fra le mani.  

«Lo sapevi che doveva succedere, Luth»  sussurrò. Lei scosse la testa che aveva cominciato a farle male.  

  «No Shay, se gliel’avessi detto, forse … »  «Era destino, non potevi evitarlo» ribatté lui, con dolcezza. Eppure in un qualche modo, Shay era anche duro. E lei non l’aveva mai conosciuto, uno Shay così. Si asciugò le lacrime fredde che erano scese a rigarle le guance e i loro sguardi s’intrecciarono.     

«Dimmi che mi aiuterai.  Ti sto supplicando.» Lui annuì,deciso.   

«Sai che puoi contare su di me. Sempre.»  Lei lo strinse forte, bagnandogli la felpa con le proprie lacrime. «Ho bisogno di te» singhiozzò. «Ora più che mai»

«Sono qui, Luth. Non vado da nessuna parte» Shay le accarezzò i capelli con dolcezza. «Su, vieni dentro. Vediamo di ripulirti queste brutte ferite.»

                                  *

                            Alyssa

La notte arrivò presto. Alyssa aveva dormito tutto il tempo. I suoi sogni erano stati vuoti e neri. Il pallore si era attenuato, ma la testa le doleva ancora.  Riuscì ad alzarsi a fatica, tastando la parete ammuffita e rabbrividì ancora una volta. Andò alla finestra, appoggiando i gomiti contro il davanzale impolverato.

Chiuse gli occhi ancora assonnati, e cercò di non pensare a ciò che stava succedendo.     

«Non può essere vero … » mormorò, la voce un sussurro. Stava per raggiungere i livelli più alti di pazzia. Aveva paura. Perché era da sola; perché quel Diavolo l’aveva rapita e portata chissà dove. Perché era buio e perché non c’era Luthien. Io impazzirò qui dentro. Morirò. Si prese la testa fra le mani chiedendosi se per caso l'uomo fosse stato così sciocco da lasciarle polsi e caviglie liberi. Forse non aveva calcolato che sarebbe potuta scappare? Ma certo che l’ha calcolato. Non è mica così stupido come sembra. Poi ad un tratto udì il rumore di un’auto che parcheggiava e la sua voce sibilante. Stava confabulando qualcosa fra sé.   Alyssa si affrettò a spostarsi dalla finestra e a rannicchiarsi sul pavimento. Una manciata di secondi dopo Reeg spalancò la porta, senza richiuderla dietro di sé. Era malandato; un lieve accenno di barba si stagliava sul suo mento, la carnagione scura. Con un sorriso da tipica canaglia le si avvicinò; lei lo fissò spaventata. Il Diavolo si inginocchiò, le prese il mento fra le mani, e la guardò. Gli occhi di Alyssa riflettevano la paura di qualcosa che non era ancora successo, questo lui lo vedeva, eppure non sembrava curarsene.

«I tuoi occhi» sussurrò. C’era una sorta di finta adorazione in quella voce glaciale. Alyssa cominciò a tremare. Reeg avvicinò il volto al suo e inspirò con il naso, chiudendo gli occhi. Poi un sorriso sghembo gli affiorò sulle labbra. Il cuore di Alyssa batteva all’impazzata, tanto da farle male. Reeg riaprì gli occhi. Erano rossi, notò lei, rossi come il sangue. Desiderò di chiudere i suoi. Ma qualcosa glielo impedì. Il Diavolo si abbassò all’altezza del suo orecchio e le sussurrò con aria di finta dolcezza: «Sarai al sicuro con me» Furono le ultime parole, prima di lasciarla sola in una stanza fredda e austera, una stanza che perfino la morte avrebbe rifiutato di abitare. Pochi minuti dopo, sentì il rumore dell’auto che ripartiva.

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