8."But tonight I think I lost the plot instead"


Entro in aula di informatica e prendo posto in uno dei banchi della prima fila.

Sistemo il mio quaderno sul ripiano e tiro fuori qualche matita e penna, preparandomi psicologicamente ad affrontare l'ennesima lezione che non capirò.

Non è che parta sconfitta, ma sentir parlare di tutti quei meccanismi, quei numeri e quelle regole mi fa soltanto venire un gran mal di testa.

Probabilmente capirei più l'aramaico antico che questa materia.

Non sono decisamente fatta per le materie scientifiche. Quando andavo al liceo il mio peggior incubo era la matematica, ma non immaginavo che avrei incontrato un gigante a tre teste di questo tipo proprio qui al college.

Non voglio fare l'informatica o niente di questo genere, ma suppongo che mi serve sapere almeno le basi e non sembrare una deficiente ogni volta che il professor Tarner inizia a spiegare per superare gli esami.

Sospiro, mentre proprio quest'ultimo fa il suo ingresso in aula.

«Buongiorno a tutti, ragazzi.» la sua figura, snella e alta, si avvicina alla grande scrivania il legno. Ci appoggia sopra la sua valigetta, tirandone fuori il computer e collegandolo alla grande lavagna multimediale dell'aula.

«Bentornati. Mi auguro che le vacanze estive siano state rigeneranti, perché è ora che vi rimettiate a studiare.» accenna un sorriso, per poi trasmettere delle immagini alla lavagna.

Solo a leggerne il titolo avverto un conato di vomito risalirmi lungo l'esofago, ma scuoto il capo e mi concentro sulle sue parole.

«Oggi, in particolar modo, andremo ad analizzare la-» Tarner non riesce però a concludere la frase, poiché la porta dell'aula si apre all'improvviso, rivelando la figura di...

Sospiro.

Non ci credo, mi perseguita.

Duke.

Entra infatti in classe con assoluta impassibilità e si mette seduto proprio in prima fila, a qualche banco di distanza da me. Non sembra avermi vista, ma mi irrito comunque per averlo così vicino.

Di nuovo.

«Buongiorno, signor Adams.» lo saluta Tarner con un sorriso cordiale. «È un piacere rivederla.»

Aggrotto le sopracciglia.

Rivederla?

Le mie domande però trovano risposta non appena ricordo che Duke frequentava già il college prima di andare in prigione. In fondo il signor Tarner insegna in questa università da quasi quindici anni, perciò probabilmente Duke deve essere stato un suo studente.

Uno dei migliori, forse. Data la sua capacità così spiccata e assolutamente illegale di hackeraggio.

Rilascio comunque un sospiro e tento di non pensare alla sfacciataggine con cui due sere fa ha rivelato di essere entrato nel mio telefono, oltre che nel server della polizia.

Ancora non riesco a credere a quanto sia stato supponente, prepotente e -

«Piacere mio, signor Tarner.» risponde Duke, interrompendo il flusso dei miei pensieri.

Il professore, comunque, gli fa un cenno col capo e inizia: «Oggi andremo ad analizzare un argomento molto importante e delicato: Strutture dati avanzate.»

Scrivo il titolo sul quaderno e cerco di forzare ogni mio neurone a captare le informazioni e capirle senza troppe difficoltà. Eppure il mio tentativo fallisce nel momento in cui continua:

«Le strutture dati avanzate sono anzitutto modi per organizzare e memorizzare i dati, così che che possano essere utilizzati in modo efficiente. Sono fondamentali in informatica come sappiamo per ottimizzare le operazioni di ricerca, l' inserimento, la cancellazione e l'aggiornamento dei dati.»

Aggrotto la fronte.

«Tra gli esempi principali possiamo distinguere: alberi, grafi, tabelle Hash, heap...» Tarner continua a spiegare, ma la mia mente si isola totalmente.

I disegni che fa alla lavagna sono talmente intricati da fondermi il cervello. Ogni mia capacità cognitiva si spegne, e tutto il tempo in cui quegli argomenti lasciano la sua bocca e si disperdono nell'aula, non faccio altro che guardarlo come se fosse un alieno appena atterrato.

Cosa vuol dire tutta questa roba?

Cerco di seguire e di tradurre le sue parole nel modo più semplice di cui sono capace, ma... non ci riesco.

Non ci capisco niente e non faccio altro se non rilasciare uno sbuffo arrendevole e accasciarmi sulla sedia.

Non riesco neppure a concentrarmi sulle sue parole, perché la vocina fastidiosa nella mia testa che mi ripete di non star capendo nulla e la figura di Duke a pochi metri da me non aiutano di certo. Vederlo infatti tranquillamente seduto mi fa uscire fuori di testa.

Soltanto due sere fa ha ucciso una persona a sangue freddo e mi ha puntato una pistola contro. Dovrebbe sentirsi in colpa o quantomeno chiedermi scusa, quando invece non fa altro che starsene tranquillo e impassibile.

Dio, mi aspettavo che in questi giorni si sarebbe scusato per la scena traumatica a cui mi ha fatto assistere. Invece, no. Niente. Mi ha completamente ignorata.

Dovevo aspettarmelo, però. In fondo chiedere scusa è proprio delle persone civili, mentre lui non è altro che un uomo di Neanderthal.

Vorrei andare lì e schiaffeggiarlo.
Non ho chiuso occhio per due sere e ogni volta che ripensavo al corpo di quel ragazzo che si accasciava ai miei piedi con un buco in fronte, non facevo altro che... vomitare. Eppure, nonostante questo, lui non si è preoccupato di niente. Non gli è importato chiedere scusa, sapere come stessi, almeno giustificare ciò che aveva fatto. Non ha fatto niente di tutto ciò, perché la verità è che non gli interessa altro se non proteggere quell'ego smisurato e quell'arroganza che si ritrova.

Passo comunque due ore a pensare e ripensare a tutto ciò che è successo due sere fa. Rivedo quelle immagini nella mia testa in un loop tortuoso per tutta la lezione, fino a quando la voce del signor Tarner non mi riscuote dai pensieri e domanda:

«Signorina Richards, va tutto bene?»

La mia mente si risveglia all'improvviso dallo stato di trance in cui ero entrata e sbatto più volte le palpebre, cercando di riconnettermi con la realtà.

Cosa succede?

Punto quindi lo sguardo su Tarner e noto che i suoi occhi sono puntati sulla mia mano e, in particolare, sulla matita che sto facendo sbattere furiosamente sul banco da chissà quanto.

Oh cazzo.

Sgrano gli occhi e abbozzo un sorriso imbarazzato. «Mi scusi, va tutto bene.» mi gratto la nuca a disagio, mentre desidero solo di sprofondare seduta stante.

Gli sarò sembrata una pazza a picchiettare in quel modo la matita.

Rilascio comunque un sospiro e mi concentro sulle sue parole, conclusive della lezione:

«Per farvi assimilare ancora di più quanto spiegato oggi, ognuno di voi realizzerà, insieme a un compagno di corso, un progetto sulle strutture dati avanzate.» afferra quindi un foglio con sopra scritti probabilmente i nomi degli studenti e continua: «Stevenson lo svolgerà con Hellis.» ; «Smith con Jones.» ; «Richards con...» fa una breve pausa, per poi pronunciare: «Adams.»

Il mondo si ferma un attimo.

La mia mente si ferma un attimo.

Il mio respiro si ferma un attimo.

Il mio cuore si ferma un attimo.

Tutto si ferma per un solo fottuto attimo nel momento in cui quel cognome esce dalle labbra di Tarner.

Richard con... Adams?

Stiamo scherzando?

Dovrei fare questo progetto con Duke?

Un'intensa frustrazione inizia a farsi largo dentro di me e mi porta a sbuffare.

Non sarebbe potuta andare peggio.

Un progetto della materia che odio di più con la persona che odio di più.

Il destino deve odiarmi proprio tanto.

Passo una mano tra i capelli.

Non può essere vero.

Tarner finisce comunque di elencare tutte le coppie e dare tutte le indicazioni necessarie per i progetti, per poi dichiarare la lezione conclusa.

Mi alzo quindi dalla sedia senza esitare un attimo di più e mi fiondo fuori dall'aula. Il mio umore è completamente sottoterra.

Dopo ciò che aveva fatto in quel garage mi ero completamente ripromessa di star lontana da Duke il più possibile, mentre ora devo farci un intero progetto insieme.

Sospiro irritata.

Sta calma, Elle. È per il college. Un mero compito per il college.

Tento di caricarmi quindi di quanto più ottimismo possibile e mi dirigo in mensa, avvicinandomi al tavolo di Emma, Juliet, Rory, Amy e Lia.

Sono tutte sedute là, perciò riempio il mio vassoio con un hamburger e delle patatine e prendo posto accanto a loro.

«Dicono che contare faccia sbollire la rabbia, allora perché sono arrivata a duemilacentotredici e sono più nervosa di prima?» domando semplicemente, addentando con fin troppa foga una patatina.

Gli sguardi di tutte si posano su di me, divertiti, ma è Emma in particolare quella a domandare: «Fammi indovinare... Il motivo della tua rabbia inizia per "D" e finisce per... "uke"?»

I suoi occhi vengono attraversati da una scintilla di divertimento, mentre i miei da ulteriore fastidio. «Si vede tanto, vero?» sbuffo. «Dio, mi farà impazzire.» presso le tempie con le dita e chiudo gli occhi, cercando di calmarmi.

«Sì, ti capisco amica.» pronuncia quindi Juliet, sorridendo. «Devi solo imparare a... gestirlo.»

Sollevo le sopracciglia. «Sì, oppure posso fingere che non esista.» scrollo una spalla e abbozzo un sorriso rassegnato.

«Okay, parlando di qualcosa di più divertente.» Emma batte le mani sul tavolo, guardando ognuna di noi con entusiasmo. «Festa. Sabato. Ci andremo tutte, vero?»

«No.» risponde subito Rory, con tono annoiato.

Amy sposta però lo sguardo sulla sua ragazza e rotea gli occhi al cielo. «Sì invece, verremo.»

Mia sorella punta gli occhi su di lei, fissandola ardentemente e comunicandole forse silentememte il suo disaccordo.

«Avanti Rory, non fare la guastafeste.» pronuncia Emma, dandole una pacca sulla spalla.

«Sì, infatti... Fallo per me.» Amy le sorride dolcemente, per poi avvicinarsi al suo viso e posarle un bacio sotto l'orecchio.

Questo sembra abbastanza per far crollare qualsiasi remora di Rory e farla sospirare.

«Siete delle rompicoglioni.» dice semplicemente questo, prima di afferrare il viso di Amy con una mano e stamparle un bacio sul viso.

Rory non è una persona molto affettuosa, ma la dolcezza di Amy sembra farla sempre vacillare. È così innamorata di lei che non riesce a resisterle, e finisce inesorabilmente per ammorbidirsi ogni volta.

«Lia, Elle, voi?» domanda in seguito Emma.

Ci rifletto su qualche secondo, indecisa se accettare o meno. Non è che sia una grande fan delle feste, soprattutto in queste occasioni in cui tutti saranno talmente ubriachi da non distinguere neppure una finestra da una porta, ma forse potrei divertirmi. Ci sarebbero le mie sorelle, Juliet, Amy. E magari svagare un po' potrebbe aiutarmi a togliermi dalla testa le immagini di quel magazzino.

Perciò, senza attendere un secondo di più, afferro la mano di Lia e rispondo: «Ci saremo.»

La rossa al mio fianco aggrotta le sopracciglia e mi guarda confusa.
«Cosa ti fa pensare che io voglia venirci?» domanda infatti.

Scrollo una spalla. «Hai detto che ti sei divertita tanto al Crave, e sabato dovrai aiutare me a farlo.»

Rotea gli occhi al cielo.

«Possibilmente senza l'aiuto di nessun drink, però.» aggiungo, scherzosamente.

Queste mie parole sembrano convincerla, poiché sospira e accetta.

Subito dopo iniziamo a scherzare sulle lite che Rory e Amy hanno avuto qualche giorno fa, prendendo in giro mia sorella per l'eccessiva permalosità.

Passiamo quindi circa un'ora a conversare di tutto e a ridere, fino a quando Emma, Juliet e Lia non si dirigono a lezione.

Le lezioni mie, di Rory e Amy sono invece finite, perciò torniamo a direttamente a casa. Una volta arrivate, loro si dirigono direttamente in camera di mia sorella, mentre io entro in cucina per bere dell'acqua.

Lì però - con mia grande sorpresa - trovo mio padre. È infatti seduto a uno sgabello e sta mangiando della carne, mentre scruta attentamente dei fogli.

Gli occhi mi si illuminano quando lo vedo e mi precipito da lui per salutarlo. Di solito non torna mai a pranzo, perciò sono felice di vederlo.

«Ciao, papà! Tu che ci fai qui?» gli avvolgo le braccia intorno al collo e lo abbraccio, mentre lui fa la stessa cosa e mi stringe a sé.

«Avevo dimenticato dei documenti importanti qui a casa e ne ho approfittato per mangiare qualcosa.»

Mi siedo sullo sgabello accanto a lui, rubando il suo bicchiere d'acqua.

«Hai finito le lezioni?» domanda in seguito.

Annuisco.

«Le tue sorelle?»

«Lia ed Emma sono ancora alla Brown, mentre Rory è di là in camera.»

«Passerò a salutarla prima di andare, allora.»

A quel punto incastra i suoi occhi azzurri nei miei e resta a guardarmi per diversi secondi, in maniera riflessiva. Sembra infatti star pensando a qualcosa, che non riesco però a decriptare fino a quando non domanda:

«Come stanno andando questi primi giorni di convivenza, tesoro?»

Se non considero il fatto che uno dei figli della tua compagna ha minacciato di uccidermi con una pistola puntata alla tempia...

«Bene. O meglio, normale. Non sono ancora volati coltelli.»

Ma pistole sì. Mi corregge la mia vocina interiore.

E per un attimo mi convinco a rivelare a mio padre tutto ciò che è successo l'altra sera al garage. Nonostante non ne abbia le prove materiali so bene che lui mi crederebbe ciecamente, eppure non... voglio.

Voglio dire, accusare quella faccia tosta di Duke per quello che ha fatto mi soddisfarrebbe certamente, ma non so quanto questo potrebbe far bene al rapporto di mio padre con Lily e la sua famiglia.

Era da tempo che non lo vedevo così felice con una donna e Lily, da quel poco che ho visto in questi ultimi giorni, sembra essere davvero dolce e alla mano con tutte noi. Quando sono insieme risplendono entrambi e riescono a creare attorno a loro una strana elettricità di... amore.

Sospiro silenziosamente.

Mio padre è visibilmente felice, e non so se voglio rovinargli questo momento.

In fondo Duke ha detto che quel ragazzo non era innocente e che meritava di morire... Forse era davvero un criminale.

Sì, ma ti ha comunque puntato una pistola contro, Elle.

Scuoto però il capo e accenno un sorriso. «Impareremo a conoscerci.»

Queste mie parole sembrano realmente rincuorare mio padre, poiché sorride affettuosamente e mi lascia un bacio sulla fronte.

«Sai che con me puoi sempre parlare, pulcino.» mi accarezza il viso con due mani. «Se c'è qualcosa che non va dimmela. La risolviamo insieme.»

Mi porge il mignolo, in attesa di pronunciare il mantra che ripete con ognuna di noi da quando siamo piccole. Porgo quindi anche il mio dito e, annuendo, pronuncio con lui:

«Noi contro il mondo.»

Gli lascio quindi un bacio sulla guancia, per poi scompigliargli i capelli sempre perfettamente acconciati.

Lui sgrana gli occhi a questo gesto e finge di sistemarseli con accurata precisione, mentre io non posso fare a meno di ridere.

Al mondo esterno sembra sempre formale e risoluto, mentre per me sarà sempre l'uomo buffo e goffo che mi ha cresciuta.

Dopo pochi minuti, comunque, si alza per andare a salutare Rory e tornare in ufficio. Io invece mi dirigo in camera mia e ne approfitto per cercare di fare un pisolino. In queste notti non sto dormendo affatto a causa di tutte le immagini che mi riaffiorano in testa, perciò non appena mi appoggio sul letto crollo immediatamente, lasciandomi andare alle braccia di Morfeo.

Una strana musica rock mi sveglia all'improvviso, facendomi sbarrare gli occhi di soprassalto e riportandomi nel mondo reale.

Ci metto qualche secondo a collegare nuovamente la mia mente, e cercare di capire cosa sia questa dannata musica.

Mi concentro perciò ad ascoltarla meglio, fino a quando non riconosco le note di una delle canzoni che sta scrivendo Rory.

Sospiro e passo una mano tra i capelli, rigettandomi per un attimo sul materasso in cerca di un attimo per riprendermi.

Controllo la sveglia presente sul mio comodino.

5:45 p.m.

Ho dormito tre ore.

Emetto uno sbadiglio, mentre pian piano realizzo realmente che ore siano.

Tento infatti di ricordare cosa avrei dovuto fare questo pomeriggio, fino a quando un'immagine precisa non mi riaffiora in mente e mi porta a sgranare gli occhi.

Il progetto di informatica.

Mi alzo di scatto dal letto, andando però a sbattere il ginocchio contro lo spigolo del comodino per la fretta.

Impreco sottovoce.

Non infilo neanche le ciabatte e, uscendo dalla stanza con solo i calzini addosso e i vestiti di questa mattina, attraverso l'intero corridoio.

Devo andare da Duke. E, anche se odio ammetterlo, è la mia unica possibilità di fare un progetto decente.

Mi avvicino quindi alla porta della sua stanza, che è a una sola camera di distanza dalla mia, e busso.

Fa' che non sia uscito. Fa' che non sia uscito.

Aspetto qualche secondo, ma non sento alcuna voce gridare "avanti" e nessuno che venga ad aprire la porta.

Forse non mi ha sentita.

Riprovo quindi altre due volte e rilascio un sospiro, ma la porta resta chiusa, ancora.

Non dirmi che non c'è.

Decido perciò di cedere alla curiosità e aprire la porta da sola.

Mi aspetto di non trovare nessuno, eppure - nel momento in cui i miei occhi si posano sull'interno della stanza - ecco che rimango letteralmente sbalordita.

La figura di Duke è stesa sul letto, con la schiena poggiata allo schienale e una sigaretta in mano.

Aggrotto le sopracciglia.

È stato dentro per tutto questo tempo.

Avverto la mia rabbia fluirmi sempre più prepotentemente nelle vene. Eppure questa viene interrotta per un solo singolo istante da un'altra vista...

I miei occhi si posano infatti sul corpo di Duke, notando che è... a petto nudo. Il torace allenato, le braccia muscolose, gli addominali scolpiti e le spalle ampie sono infatti completamente visibili.

Deglutisco.

Non lo avevo mai visto senza maglietta, ma devo ammettere che... Dio. È perfetto.

Il suo fisico sembra essere stato letteralmente scolpito dagli Dei e questo, chissà perché, mi provoca un formicolio al basso ventre.

Le lunge gambe sono fasciate invece da un pantalone della tuta nero, perfettamente in pendant con i capelli scuri e gli occhi corvini, ora puntati su di... me.

Oh cazzo.

Mi schiarisco quindi velocemente la voce e richiamo all'appello la rabbia provata solo qualche secondo fa.

Fortunatamente questa torna alla carica da sola nel momento in cui Duke domanda: «Ti serve qualcosa?»

Quel tono.

Sprezzante, freddo.

Serro la mascella e affondo i miei occhi nei suoi, rispondendo: «Ho bussato tre volte, perché non mi hai aperto se eri dentro?»

«Perché non volevo farlo.» pronuncia con totale nonchalance, facendo un tiro dalla sigaretta.

Incasso il colpo e cerco di tenere a bada il fastidio che sta montando dentro di me. Mi serve per questo progetto, perciò - mettendo per un attimo da parte il mio nervosismo - continuo:

«Dobbiamo fare il progetto di Tarner.»

Queste mie parole inducono le sue sopracciglia ad aggrottarsi per un attimo. «No, ho da fare ora.»

Non è vero, non sta facendo niente.

«A me pare che ti stia solo autointossicando inalando quelle stupide sostanze tossiche.» increspo le labbra in un finto sorriso e incrocio le braccia al petto, facendo riferimento alla sigaretta nella sua mano.

«Lo faremo più tardi.» pronuncia comunque, con voce profonda e baritonale.

«È già "più tardi". Ti ho dato tre ore per... riposarti.» rispondo con un cenno della mano.

Beh, in realtà sono stata io a riposarmi, o meglio a dormire come un sasso per tre ore, ma questo non conta.

«Lo faremo tra altre tre allora.»

La rabbia bolle dentro di me con sempre più intensità, ma cerco di contenerla e di rilasciare un sospiro. Probabilmente mi prende un tic all'occhio per il nervosismo represso, ma non me ne curo e increspo le labbra in un sorriso... calmo.

«Tra tre ore dovremo cenare, Duke. Non vorrei mai privarci di mangiare tutti insieme come una bella famiglia.» mento spudoratamente.

Mi osserva per qualche secondo con le sopracciglia lievemente aggrottate e pronuncia con tono neutro: «In questo momento sembri una psicopatica.»

Oh, davvero? Cosa te lo fa pensare?

Gli occhi sgranati, il tono calmo e tagliente, il sorrisino inquietante e il tic nervoso che ha appena colpito la mia palpebra destra?

«Lo diventerò se non facciamo questo progetto. Adesso.»

Prego silentememte che si sia convinto.

Lui rimane a guardarmi per una manciata di secondi, riflettendo forse se accettare o meno. Alla fine, però, - non so grazie a quale Dio - si alza dal letto con un sospiro.

«Che rompicoglioni.» borbotta sottovoce.

Faccio finta di non sentirlo e mi avvio all'interno della stanza.

Finalmente.

Una volta dentro, vengo investita dal suo profumo, dalle note di menta e muschio.

Mi guardo intorno e osservo le pareti grigio scuro, che si accostano all'armadio del medesimo colore, alla scrivania nera e al letto King size. Davanti a esso è presente un mobile scuro con sopra un televisore abbastanza grande.

Inarco le sopracciglia.

Questa camera non era così prima, deve averla riarredata lui.

La indico quindi con un braccio e domando: «I mobili li hai comprati con i soldi delle tue attività illegali?» uso un tono scherzoso, o meglio, sarcastico, ma lui annuisce semplicemente e risponde:

«Esattamente.»

Schiudo le labbra, ma, quando sto per ribattere, ecco che la mia vocina interiore mi ferma.

Lascialo perdere, Elle.

Inspiro quindi quanta più aria e pazienza possibile, per poi avvicinarmi alla scrivania, davanti alla quale Duke posiziona uno sgabello. Penso che lo abbia preso per me, ma - sorprendentemente - si ci siede lui, lasciando a me la sedia.

Do una breve occhiata alla sua figura a petto nudo e domando: «Tu resti così?»

I suoi occhi si posano su di me, mentre un lampo di confusione gli attraversa lo sguardo. Viene comunque spazzato via da un sorrisino derisorio e di scherno.

«Perché? Ti senti a disagio?»

Inarco le sopracciglia e sbuffo con sarcasmo.

«Ma per favore. È solo per... professionalità.» rispondo, senza però crederci neanche io.

Non ribatte oltre. Rotea infatti semplicemente gli occhi al cielo e si avvicina all'armadio. Lo apre e prende una t-shirt nera.

Sbircio però all'interno di esso e per poco non scoppio a ridere: tutti i suoi vestiti sono praticamente... neri.

C'è infatti un solo e unico colore, con qualche macchia di grigio e di bianco.

Sollevo velocemente le sopracciglia, ma non faccio in tempo a domandare niente, poiché la mia attenzione viene catturata dal modo in cui si infila la maglietta. Lo fa con rapidità, ma chissà perché un gesto tanto banale risulta così attraente.

Sospiro e scuoto la testa, mentre si risiede sullo sgabello.

«Cerchiamo di non perdere tempo.» pronuncia con tono serio. «Allora, cosa vuoi fare?»

Resto in silenzio per qualche secondo.

Non so neanche di cosa stiamo parlando, figurati se posso proporre delle idee.

Gratto quindi la nuca e scrollo le spalle.

«Non lo so, va bene tutto.»

Duke solleva per un attimo le sopracciglia, sorpreso. «Per una volta sei accondiscendente, bene.»

Roteo gli occhi al cielo, ma lo lascio continuare: «Potremmo costruire un dizionario autocompletante, oppure un sistema che utilizza una heap per simulare una coda prioritaria...» divarica le gambe e poggia i gomiti sulla scrivania, mettendo in mostra i bicipiti contratti.

Dio, sono il triplo dei miei.

«o anche un editor di testo.» punta lo sguardo si di me. «Che dici?» domanda con tono impassibile.

Inarco le sopracciglia e ci rifletto su qualche istante, per poi però rispondere: «Qualcosa di più... semplice?»

Non è che capisca molto di informatica, e di certo le parole arabe che ha appena pronunciato non aiutano.

«Più semplice? Questi erano dei modelli base.»

Ed ecco che mi sento improvvisamente una stupida priva di qualsiasi ingegno.

Dio, ho voti ottimi in praticamente tutte le materie, ma ogni volta che mi ritrovo la parola "informatica" davanti o tutto ciò a essa riferita divento una... menomata.

Sì, una menomata.

Rilascio quindi un sospiro e scelgo di essere sincera, seppur mi pesi tremendamente con lui qui davanti a me.

«Senti, Duke, quello che tu in informatica definisci "facile" o "basilare" per me è letteralmente incomprensibile. Mi è più facile tradurre un testo in sanscrito antico che capire queste cose.»

Le sue sopracciglia si aggrottano all'istante. «Stai dicendo che non ci capisci proprio niente?»

Scuoto il capo in segno di diniego. «Niente di niente.»

Posso giurare di vedere la sua espressione farsi persino schernitrice non appena pronuncio queste parole, ma non me ne curo e sollevo il capo con sicurezza.

«Sai almeno cos'è un Hardware o un software?» domanda con tono roco.

Serro però le labbra e scuoto il capo in segno di diniego.

Questo sembra sconcertarlo, poiché si affretta ad aggiungere: «Un Byte? Un algoritmo?»

Non rispondo, e il mio silenzio gli vale da risposta. Solleva infatti velocemente le sopracciglia e sospira, sussurrando un «Cristo Santo».

Sembra riflettere comunque qualche secondo sulle mie parole, per poi pronunciare: «D'accordo. Potremmo... creare un sistema per la gestione di una playlist allora.»

Annuisco e sistemo una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Subito dopo, prendiamo ognuno i nostri computer e ci mettiamo a lavoro.

Fortunatamente non mi assegna un compito troppo complicato, e riesco a svolgerlo senza particolari problemi. È però nel momento in cui i miei occhi si posano accidentalmente su di lui che la mia concentrazione diminuisce notevolmente.

Mi soffermo infatti per chissà quanto tempo a osservare a fondo la sua figura: la sua espressione è concentrata, le sopracciglia scure sono corrucciate, gli occhi fissi sullo schermo del computer, la mascella definita, le braccia muscolose coperte dalla t-shirt, e le mani che...

Schiudo le labbra.

Le sue mani sono... Dio, sono affascinanti, virili, sensuali.

Sul dorso sono infatti presenti diverse vene in rilievo, le dita sono ornate da alcuni anelli in acciaio e un singolo braccialetto in cuoio nero gli contorna il polso destro.

Digita comunque con velocità e maestria diverse parole incomprensibili e altrettanti numeri, che si riflettono sullo schermo a sfondo nero.

Non so perché, ma i miei occhi sembrano essere attratti dalla sua figura, imponente e mascolina. Il suo corpo appare ora come un vero e proprio magnete ipnotico, che porta la mia mente a estraniarsi un attimo da qualsiasi astio io provi nei suoi confronti per concentrarsi solo e unicamente su di lui.

Scrive parole e numeri sul computer con una maestria e una facilità talmente spiccata da risultare... attraente. Ciò che scrive è letteralmente illegibile, ma lui sembra comprenderlo facilmente. E questo, unito al corpo alto, allenato e virile, mi provoca uno strano fremito lungo la spina dorsale.

Non so cosa stia succedendo, ma un imponente formicolio si staglia tra le mie gambe.

È perfetto.

Spalle ampie, torace prestante, sguardo cupo, mascella definita, pomo d'Adamo in rilievo, gambe toniche, profumo inebriante e mascolino.

La frequenza respiratoria mi aumenta a dismisura a causa di questa vista e del turbinio di emozioni e pensieri che mi stanno tormentando la testa e lo stomaco.

Dio... La devo smettere.

Duke è un arrogante, non posso provare attrazione per lui.

Allora perché è esattamente quello che sta succedendo?

«Hai intenzione di guardarmi ancora per molto o ti rimetti al lavoro?» la sua voce, roca e reboante, mi fa tornare brutalmente alla realtà.

Sbatto infatti più volte le palpebre e mi schiarisco la voce.

Cos'ha detto?

Si è accorto che lo stavo fissando?

Oh cazzo.

Le mie gote si arrossano all'improvviso, mentre l'imbarazzo mi inonda completamente.

Rilascio comunque un breve sospiro e tento di inventare una scusa quanto più plausibile possibile.

«Stavo solo vedendo cosa stavi scrivendo, mr Modestia. Sono bloccata a questo passaggio.» pronuncio e, in verità, non è un'assoluta bugia.

C'è infatti veramente un procedimento che non riesco a svolgere, ma non era certo il motivo per cui lo stavo guardando da interi minuti.

«Fammi vedere.» pronuncia semplicemente, rinunciando a stuzzicarmi ulteriormente.

Si sporge quindi verso il mio computer e lo avvicina a sé. Ne osserva velocemente il contenuto, per poi iniziare a digitare qualcosa molto simile a un geroglifico e concludere: «Fatto.»

Subito dopo, unisce entrambi i nostri lavori mentre la mia vocina interiore inizia ad arrovellarmi il cervello a causa di tutti gli insulti che mi sta rivolgendo.

Idiota, avrà pensato che stavi sbavando per lui.

Perché diamine l'hai fissato in quel modo? Ti sei bevuta il cervello?

Rilascio uno sbuffo e passo una mano tra i capelli, sfinita dall'informatica, dal magnetismo che ho provato poco fa per Duke e dal flusso incessante dei miei pensieri.

Fortunatamente è proprio lui a distogliermi da questi ultimi poiché, chiudendo il mio pc, rilascia un sospiro e pronuncia: «Okay, ho trasferito tutto in questa pennetta.» me la porge. «Puoi esporre tu la parte teorica, se ti va.»

Annuisco, da un lato grata che mi farà svolgere il compito che mi riesce meglio, e mi alzo.

Lui, invece, continua a digitare qualcosa sul suo computer fisso, senza degnarmi più della minima attenzione.

Perciò, con tono di scherno, domando: «Stai hackerando un altro telefono?»

«Sì, il tuo.» pronuncia queste parole con tono neutro e serio.

Cerco di trovarci un minimo di ironia, ma non ci riesco. Perciò, impallidendo, sgrano gli occhi e gli stacco le mani dalla tastiera.

«Cosa? Smettila!»

Sospira però una risata derisoria e rotea gli occhi al cielo, riprendendo la posizione di prima: «Calma, furia. Stavo scherzando.»

La sua voce è roca, reboante, ma non riesco a concentrarmi su altro se non sul fastidio provocato dal suo "scherzo".

«Non sei divertente, perciò piantala» incrocio le braccia al petto.

Solleva velocemente le sopracciglia. «Tu fin troppo, invece.»

Assottiglio le palpebre.

«Mi stai dando della ridicola?»

Rotea gli occhi al cielo e continua a digitare una serie di tasti sulla sua tastiera.

«Non l'ho detto.»

«Ma l'hai pensato.»

Scrolla una spalla. «Qualche volta.»

Serro la mascella, mentre le mie narici si allargano dal fastidio e dalla collera.

Un'ora.

Sono riuscita a stare calma con Duke vicino per un'ora, ma adesso è tornato ad essere il solito antipatico del cazzo.

«Beh, io lo penso sempre invece.» sorrido con fare soddisfatto e provocatorio, ma lui non sembra esserne infastidito.

Restando completamente impassibile, infatti, risponde semplicemente: «Dormirò ugualmente.»

Il mio stomaco si sta disintegrando totalmente, logorato dal fastidio provocato dal suo atteggiamento.

Perciò, decidendo che non vale la pena irritarmi tanto per un tipo così e avendo ormai terminato il progetto di Tarner, mi volto e pronuncio: «Me ne vado, prima che ti strozzi.»

Non risponde, ma giuro di sentirlo emettere un sospiro quasi... divertito.

Mi dirigo fuori dalla stanza e chiudo la porta, o meglio la sbatto con foga, e mi dirigo in camera mia.

Una volta dentro, mi getto sul letto e prendo il telefono in mano, notando una notifica di Taylor:

Roteo gli occhi al cielo per il nomignolo che gli ha affibiato e digito velocemente:

Dopo queste mie risposte, ecco che mi arriva una telefonata proprio da parte sua.

Non appena rispondo, ecco che la voce entusiasta e divertita di Taylor pronuncia: «Non sai quanto vorrei essere al tuo posto. Immagina vivere con un Dio greco del genere...»

Scuoto il capo. «Niente da invidiare. È un Dio con la simpatia di un sasso.»

Una risatina proviene dall'altro capo del telefono. «Almeno è un Dio. Poi a farlo ridere ci penserei io...» pronuncia con tono malizioso.

Io simulo invece un conato di vomito, senza però riuscire a fermare la mia mente, che inizia a proiettare immagini di Duke nudo mentre fa sess-

Oh cazzo, no. No. No. No.

Dannata Taylor.

«Mi stai facendo venire il voltastomaco, T.»

Sospira. «Tanto so già come andrà a finire tutta questa storia... Non c'è sesso migliore se non tra due persone che si odiano.»

Aggrotto le sopracciglia. «Okay, ora sto iniziando a preoccuparmi. Sicura di non essere impazzita nel sonno?»

«Sto benissimo, amica mia. E lo sarai anche tu quando sperimenterai la magia del sesso selvaggio con Duke.» si ferma un attimo. «O meglio, la magia del sesso in generale, in realtà.»

Roteo gli occhi al cielo e sorrido rassegnata.

«Dio, a volte mi domando come la tua amichetta laggiù riesca a stare senza nessuna... attenzione.»

Sospiro.

È da quando ho compiuto diciassette anni che Taylor continua a ripetermi che la mia vita sentimentale è eccessivamente piatta e che devo sperimentare "la bellezza del sesso"".

Eppure, le ho sempre detto che non avrei fatto niente fino a quando non avrei trovato la persona adatta. Fino a quando non avrei provato quella magia travolgente e devastante che mi avrebbe portato a lasciarmi andare, completamente.

Perciò roteo gli occhi al cielo e rispondo: «Grazie per l'interesse, T, ma per ora sto bene così.» sorrido. «Ci vediamo domani.»

Mi saluta quindi anche lei, prima di attaccare. Riposo quindi il telefono sul comodino, mentre le parole di Taylor rievocano quello strano formicolio provato poco fa in camera di Duke, che - chissà perché - non riesco a scacciare poi così facilmente.


11 settembre.

È da dodici anni che questo giorno si è colmato di un'intensa malinconia. Ogni volta che vedo questa data sul calendario, il mio cuore si frantuma sempre di più.

È stato esattamente dodici anni fa che mia madre mi ha abbandonata. Ricordo quel giorno come se fosse ieri: stavamo giocando insieme in camera mia, lei mi aveva detto che sarebbe andata un momento in bagno, ma... non è più tornata.

Quel giorno fu l'ultima volta che la vidi, ed è come se la mia memoria avesse cristallizzato quel momento, facendomi rivivere prontamente tutte le emozioni che avevo provato allora.

Inizialmente mi ero persino preoccupata, ero andata a cercarla per tutta la casa, per tutto il giardino, nella sua stanza. Il suo armadio era però vuoto, tutti i suoi gioielli spariti. Aleggiava nell'aria solo il suo profumo fruttato, che - chissà perché - riesco a sentire in maniera nitida ogni singolo undici settembre.

Sospiro e mi dirigo in cucina, con un insopportabile peso all'altezza del petto.

Questo è sempre uno dei giorni più difficili dell'intero anno. Ogni singola parola, oggetto, odore mi rimanda a quel momento e alla sensazione di abbandono che mi aveva pervasa.

Per anni mi sono sentita sbagliata, inaccettabile. Pensavo di aver fatto o detto qualcosa di sbagliato che l'aveva portata a lasciarmi, e giuro che ho desiderato per forse tre anni di tornare indietro, in modo da essere più accomodante, meno stressante. Sentivo di averla tormentata troppo con le mie continue richieste di giocare, di affetto... Fino a quando non sono arrivata alla consapevolezza che non c'era niente di sbagliato in una bambina di sei anni che voleva semplicemente stare con... sua madre. Una madre che preferiva però uscire ogni singola sera e tornare a casa alle tre di notte piuttosto che costruire un fottuto rapporto con sua figlia.

La ciotola in vetro che avevo preso per cucinare mi cade a terra, producendo un rumore sordo e facendomi sussultare.

Cristo.

Sbuffo e poso entrambe le mani sul ripiano dell'isola, chinando il capo tra le spalle e tentando di regolarizzare il respiro.

Una singola lacrima mi solca la guancia destra, ma la scaccio in fretta, infastidita del potere che - a distanza di anni - quell'evento ha ancora su di me.

Esci dalla mia testa, Rose.

Tiro quindi su col naso e decido di fare ciò che realmente riesce a distrarmi in momenti del genere.
Fare dolci è infatti più di un semplice hobby per me, è una vera e propria terapia.

Per questo afferro tutti gli ingredienti per una crostata al lampone e li dispongo sull'isola.

Inizio a versare della farina in una ciotola e la unisco a dei cubetti di burro. Prima di iniziare a mescolarli, però, una voce familiare mi riscuote all'improvviso:

«Ehilà, rossa.»

Volto il capo verso la porta, vedendo Aaron che fa il suo ingresso in cucina. Si avvicina a me e mi scompiglia i capelli con una mano, per poi avvolgermi i fianchi con una mano e posarmi un bacio sotto l'orecchio.

Uno strano formicolio mi attraversa la schiena, ma lo scaccio in fretta e sorrido per salutarlo.

«Cosa prepari?» non si stacca da me. Poggia semplicemente il mento sulla mia testa, complice la nostra notevole differenza d'altezza.

Scrollo una spalla. «Una crostata.» aggiungo dello zucchero e del sale al composto e li mescolo insieme.

«Ti aiuto?»

Inarco un sopracciglio.

«E rischiare di avvelenare tutti? No grazie.» sorrido divertita, mentre lui mi pizzica un fianco.

Sussulto per il solletico. «Smettila, mi farai sporcare.»

Emette un lieve mugolio e afferra la busta della farina. Aggrotto le sopracciglia, ma continuo comunque a mescolare.

«Sporcarti tipo...» afferra una manciata di farina. «così?»

Non riesco neanche a collegare le parole tra di loro, poiché me la butta addosso. Chiudo istantaneamente gli occhi, mentre le mie labbra si schiudono automaticamente.

Che. Diamine. È. Appena. Successo.

La mia mente smette per un attimo di ragionare e nella cucina subentra il silenzio più assoluto.

Mi ha buttato la farina addosso.

Mi.

Ha.

Buttato.

La.

Farina.

Addosso.

Ed è non appena lo realizzo che riapro gli occhi e pronuncio: «Sei morto.»

Scorgo un sorrisino divertito sul suo volto. Non dico però più nulla e mi precipito semplicemente verso la busta della farina. Ne afferro una grossa manciata e gliela butto sul viso.

Scoppio a ridere non appena si immobilizza sul posto, eppure non dura molto, poiché riapre gli occhi anche lui e pronuncia: «Questo no, mostriciattolo.»

Subito dopo, si precipita verso uno dei mobili e cerca un altro pacco di farina, aprendolo con facilità e... gettandomela addosso.

Sgrano gli occhi e rispondo di conseguenza, iniziando a correre intorno all'isola per scappare. Eppure lui riesce ugualmente a tirarmene contro grosse manciate, ricoprendomi totalmente di farina.

Mi finisce persino in bocca, ma non me ne curo e corro verso di lui, prendendo anche un po' d'acqua e tirandogliela addosso.

La farina aderisce nell'immediato alla sua pelle e questo è abbastanza per farmi piegare in due dalle risate.

«Oddio sembri un pupazzo di neve!» esclamo divertita.

Aaron, però, non si arrende e si precipita verso di me. Mi ruba il pacco di farina dalle mani e li solleva entrambi in alto, in modo che io non possa prenderli.

Mi rivolge un occhiolino, seguito da un ghigno soddisfatto: «Disarmata.»

Assottiglio le palpebre. «Vedremo.» afferro quindi dal bancone la busta dello zucchero e gliela butto contro.

Questo riesce a fargli abbassare le braccia e a farmi riprendere la mia busta di farina.

Ricominciamo quindi a rincorrerci come due bambini per la cucina, buttandoci farina e zucchero addosso. Ogni volta che lo colpisco scoppio a ridere, divertita dalla sua espressione falsamente arrabbiata. Appare competitivo, come se vincere fosse per lui fondamentale, e questo non fa altro che esilararmi ancora di più.

Mi lascio andare a risate fragorose e, inconsciamente, lo ringrazio per essere riuscito - seppur inconsapevolmente - a farmi distrarre.

La malinconia che provavo prima è infatti ormai un lontano ricordo, totalmente sostituito dal divertimento provocato da Aaron.

Passiamo comunque non so quanto tempo a rincorrerci e a sporcarci come due matti, fino a quando non finiscono entrambi i pacchi.

Respiro affannosamente, col petto che si alza e si abbassa velocemente.

«Ho finito le munizioni.» alzo le mani in segno di resa, facendolo fermare.

Capovolge la sua busta, che si rivela vuota. «Anche io. Tregua. Ti ho battuta abbastanza.»

Si avvicina quindi a me, mentre io inarco un sopracciglio.

Ha fatto cosa?

Mi do una breve occhiata intorno,in cerca di qualcosa che possa decretare la mia totale vittoria su di lui.

Non appena vedo il pacco dello zucchero usato poco fa, sgrano gli occhi e sorrido.

È vicino ad Aaron, perciò mi avvicino lentamente e fingo di essermi arresa. Getto la busta della farina, seguita dalla sua, ma - proprio quando pensa che il gioco sia finito - ecco che afferro lo zucchero e gli butto quello che resta in faccia, proclamando:

«Sconfitto.»

Sgrana gli occhi incredulo, mentre io sorrido con finta perfidia.

Mi punta quindi un indice contro e risponde: «Tu.»

Sollevo velocemente le sopracciglia. «Io, sì. Ho vinto io.»

Queste mie parole sono sufficienti per far scattare una scintilla di sfida nel suo sguardo. Assottiglia infatti le palpebre e pronuncia: «Che piccola parassita.»

Sorrido divertita ma, prima che possa rispondere, ecco che si piega in avanti, mi afferra le gambe e... mi carica sulla sua spalla.

Oddio.
«Ehi, lasciami!» esclamo in una risata, colpendolo sulla schiena.

Non mi dà però ascolto ed esce dalla cucina. «Che imbrogliona.»

Non riesco a fare a meno di ridere mentre mi porta come un sacco di patate sul divano.

Mi butta su di esso l'attimo dopo, facendomi stendere. Si mette in seguito sopra di me e inizia a farmi il solletico.

Sgrano gli occhi.

«No! No! No! Il solletico no!» tento di divincolarmi, ma il modo in cui mi solletica i fianchi e i crampi alla pancia a causa delle risate mi impediscono di difendermi.

Mi blocca con una mano entrambi i polsi sopra la testa, mentre continua a farmi letteralmente impazzire.

E Dio, forse da fuori sembreremmo due matti:tutti ricoperti di farina, con lui sopra di me e io che mi contorco come una furia.

«Oddio, Aaron! Smettila...» il mio respiro è affannato e i miei occhi lucidi.

«Ti arrendi?» domanda quindi.

Il mio orgoglio mi suggerisce di non farlo, ma la mia pancia sta implorando pietà, perciò annuisco.

«Sì. Sì, mi arrendo.»

Fortunatamente si ferma dopo qualche secondo, facendomi tornare a respirare.

Il mio respiro è affannato, e le mie mani ancora trattenute dalle sue.

Sorride lievemente e punta gli occhi nei miei, spostandoli poi sulle mie... labbra.

«Cristo, guardati...» sussurra con voce roca «Sei un disastro.»

La mia frequenza respiratoria si regola pian piano, mentre quella cardiaca aumenta sempre di più.

Gli occhi verdi di Aaron si incastrano ai miei, il suo profumo mi inebria le narici, seppur contaminato da quello della farina, e il calore del suo corpo sopra il mio mi genera una scarica elettrica lungo tutto il corpo.

«Beh tu non sei messo meglio...» mi lascia andare le mani e ne approfitto per spostargli una ciocca di capelli che gli era scivolata su un occhio. Lo faccio delicatamente, e questo induce il suo sguardo a spostarsi dalle mia labbra ai miei occhi.

Mi osserva per una manciata di secondi, per poi essere attraversato da un lieve lampo di... confusione. È infatti un movimento impercettibile, ma posso giurare di vedere le sue sopracciglia... aggrottarsi.

Dura però troppo poco perché possa assimilarlo totalmente, ma è sufficiente per farlo alzare. Si passa infatti una mano tra i capelli e mi porge la mano: «Vado a fare una doccia.»

Mi aiuta a sollevarmi e da un'occhiata alla cucina dietro di noi: «Chiedi a Giselle se può sistemare quel casino.»

Annuisco, mentre centinaia di domande mi assillano la mente per ciò che è appena successo.

È durato poco, ed è stato strano, ma... piacevole. Qualunque cosa sia stato.

Mi sistemo comunque una ciocca di capelli dietro l'orecchio, per poi salutarlo e tornare in cucina.

«Mamma, mamma! Guarda cosa ho costruito!» esclamai entusiasta e tirai la giacca di jeans della mamma, indicando la mia costruzione di mattoncini.

Lei increspò le labbra in un sorriso svogliato e sospirò. L'arrivo di un messaggio catturò la sua attenzione e si apprestò a leggerlo.

Sorrise nel farlo, per poi mordersi l'interno guancia e arrossire visibilmemte.

«Adesso tu!» continuai, porgendole altri mattoncini.

Lei però non mi ascoltò e continuò a messaggiare. Aggrottai quindi le sopracciglia e mi avvicinai a lei.

«Mamma. Dai tocca a te.» le scossi una spalla, riuscendo finalmente ad attirare il suo sguardo su di me.

Questo era però assente e, nel momento in cui si posò sui giocattoli tra di noi, divenne persino... annoiato.

Si schiarì quindi la gola e si alzò in piedi. «Vado un attimo in bagno, Li. Tu però continua a giocare.»

Subito dopo, mi diede una semplice carezza sul capo, alla quale risposi con un sorriso pieno d'affetto.

Quando uscì dalla porta, io mi rimisi a giocare e la aspettai. Passarono però interi minuti, persino ore, ma lei non tornò né riuscii a trovarla in casa.

Chiesi quindi a Kate di telefonare papà per farlo tornare. Gli dissi che la mamma era sparita e che bisognava cercarla.

In quel periodo non viveva con noi, ma non sarebbe tornata nel suo appartamento senza salutarmi.
O almeno, non l'aveva mai fatto.

Tornato a casa, mi precipitai da mio padre e gli chiesi di telefonare alla mamma. La sua espressione era però consapevole, rassegnata. Al tempo non me ne accorsi, ma probabilmente lui aveva già capito tutto.

Fu comunque in quella stessa sera che mi comunicò che mia madre se n'era andata. Partita, senza neanche salutarmi e dirmi addio.

Mi giro e rigiro nel letto mentre ricordi di quel giorno riaffiorano con un turbinio incessante di angosce e paranoie. Mi sveglio nel cuore della notte con le guance rigate dalle lacrime e il petto che mi brucia a causa del magone di malinconia presente.

Dio...

Mi metto seduta e passo una mano tra i capelli, scolando tutto d'un sorso il bicchiere d'acqua presente sul mio comodino.

Tento di regolarizzare il respiro, ma vanamemte. Quei momenti si ripercorrono infatti a ripetizione nella mia testa, rendendomi impossibile pensare ad altro.

Controllo la sveglia sul comodino.

3:48 a.m.

Rilascio un sospiro e mi rimetto sotto le coperte, eppure il battito cardiaco non accenna a diminuire e la mia mente a darmi tregua.

Cambio posizione più volte e provo in tutti i modi a riaddormentarmi, ma non ci riesco.

Sbuffo.

Di solito, in uno dei questi momenti mi dirigevo in camera di mio padre, lo abbracciavo, e me ne tornavo a letto. Questo era sufficiente a farmi stare meglio e a farmi riaddormentare.

Adesso però c'è Lily, e non vorrei disturbare i loro momenti o la loro privacy.

Potrei andare da una delle mie sorelle, ma si preoccuperebbero troppo e non mi va.

Quando la rassegnazione mi porta quindi a sospirare, però, ecco che un nome mi illumina all'improvviso:

Aaron.

Potrei andare da lui, anche solo per qualche minuto. Oggi è stato in grado di farmi tornare il sorriso in uno dei giorni più brutti dell'anno, magari potrebbe aiutarmi a stare meglio anche adesso con una delle sue battute o un semplice abbraccio.

Decido quindi di alzarmi dal letto ed esco dalla stanza, attraversando qualche porta e avvicinandomi alla sua.

Forse potrei disturbarlo.

Magari vuole dormire in santa pace.

A decidere è però il peso che sento all'altezza dello stomaco, che mi induce ad aprire la porta e a entrare in camera.

La sua figura è stesa a petto nudo sul letto. Le lenzuola coprono fino a sotto i solchi degli addominali, sormontati dai pettorali scolpiti e dalle spalle ampie degne di un giocatore di Hockey.

I lineamenti del suo volto sono rilassati, il respiro controllato, e alcuni ciuffi della chioma castana sono ricaduti sulla fronte.

La sua figura è magnetica, i lineamenti bellissimi, e la sua presenza imponente ma in grado di trasmettermi un po' di calore.

Mi avvicino comunque al suo letto e poso una mano sulla sua spalla, per svegliarlo.

«Aaron...» sussurro sottovoce, quasi timorosa di svegliarlo nonostante sia esattamente quello per cui sono venuta.

Emette un semplice mugolio, ma torna a dormire subito dopo.

«Aaron...» ripeto quindi, a voce leggermente più alta.

Inspira di scatto, segno che si è svegliato, e schiude lentamente le palpebre.

Ci mette un po' a riconoscermi data la sola luce lunare che filtra dalla finestra, ma - non appena lo fa -aggrotta impercettibilmente le sopracciglia.

«Li...» sbatte più volte le palpebre e si passa una mano sul viso. «Che ci fai qui?»

Deglutisco.

«Mi dispiace di averti svegliato nel cuore della notte, ma... non riesco a dormire.» abbasso lo sguardo. «Non faccio altro che pensare a mia madre...»

Sembra collegare velocemente ogni parola, e - dopo averlo fatto - si mette seduto e mi prende per un polso. «Vieni qua...»

Mi attira a lui e mi avvolge i fianchi con due braccia, stringendomi a sé in un abbraccio confortevole.

Chiudo gli occhi per il calore che mi trasmette e mi lascio andare, mentre una lacrima solitaria mi riga il volto.

Un prorompente nodo mi si forma all'altezza della gola e la voglia di scoppiare a piangere aumenta a dismisura. Cerco però di scacciarla con tutte le mie forze e sospiro.

«Va tutto bene, Li.» mi accarezza il capo con una mano, pronunciando queste parole con la voce arrochita dal sonno.

Lo ringrazio mentalmente del suo appoggio e di non essersi infastidito per il modo in cui l'ho svegliato.

Avrei potuto sembrargli una rompipalle e una stupida bambina che non riesce ad affrontare il suo passato, e invece lui mi ha... accolta.

Il cuore mi si riempie di emozione a questo pensiero e lo stringo maggiormente.

«Vuoi dormire qui?» domanda all'improvviso.

Aggrotto però le sopracciglia e mi scosto da lui.

Cosa?

Affondo i miei occhi confusi nei suoi, mentre continua: «Dormi con me. Non mi da fastidio.»

Lo guardo per qualche secondo.
Beh, sarebbe la prima volta che dormiamo insieme, ma ci conosciamo da talmente tanti anni che non potrebbe fare altro che farmi stare meglio. Soprattutto in questo momento.

«Non ce n'è bisogno, Aaron.» scuoto però il capo in segno di diniego per non disturbarlo.

«Sono serio. Non mi va che passi la notte in questo stato.» mi accarezza una guancia e increspa le labbra in un sorriso. «Dai, smettila di fare storie.»

I miei occhi restano fissi nei suoi per diversi secondi, mentre rifletto sulla sua proposta.

Eppure alla fine, decidendo di non rimuginarci troppo, accetto e mi stendo accanto a lui.

Il suo è un letto matrimoniale, quindi ci entriamo tutti e due alla perfezione.

Mi sistemo in posizione fetale, incrociando il suo sguardo.

«Grazie.» pronuncio semplicemente questo, per poi girarmi di spalle e chiudere gli occhi.

Subito dopo avverto però un braccio avvolgersi attorno al mio bacino e attirarmi a lui.

«Vieni...»

La mia schiena aderisce completamente al suo petto, e il suo profumo - di cui sono impregnate anche le lenzuola - mi inebria all'istante.

Un calore improvviso si propaga dal centro del mio stomaco, soprattutto nel momento in cui - con voce roca - pronuncia: «Buonanotte, mostriciattolo.»

La sua bocca è praticamente quasi attaccata al mio orecchio e questo mi provoca dei brividi lungo la schiena.

«Notte.» rispondo semplicemente.

Un'istantanea sensazione di benessere mi avvolge totalmente, portando il mio cuore a farsi più leggero e la mia mente a sgombrare tutti i pensieri che mi stavano assillando poco fa.

I ricordi di quel giorno scompaiono, sostituiti solo e unicamente dalla vicinanza di Aaron e dal modo in cui i nostri corpi sono avvinghiati l'un l'altro.

Mi accoccolo quindi maggiormente contro di lui, mentre il suo braccio si stringe di più attorno al mio bacino.

Intreccio le nostre dita e sorrido.

Aaron affonda invece il capo nei miei capelli, inspirandone impercettibilmente l'odore. Non appena lo fa, avverto qualcosa di duro spingere contro la base della mia schiena.

Aggrotto le sopracciglia.

Cos'è?

La risposta arriva però subito dopo, in particolare nel momento in cui Aaron mi attira maggiormente al suo corpo, fino a quando il mio sedere non è attaccato al suo...

Sgrano gli occhi.

Oddio.

Una scarica di elettricità mi colpisce il basso ventre, mentre uno strano formicolio inizia a far pulsare la mia intimità.

Non so bene cosa stia succedendo, ma la sensazione del suo corpo contro il mio è piacevole. Fin troppo.

E questo sembra captarlo anche lui, poiché rilascia un sospiro più pesante degli altri mentre il suo sesso si indurisce sempre di più.

Le guance mi si arrossanno nell'immediato, eppure - per quanto pensare che questo che sta accadendo proprio tra di noi sia strano - è anche tremendamente... piacevole.

Un calore intenso mi porta infatti a stringere le cosce tra di loro, mentre la mia intimità comincia a richiedere uno sfregamento più incisivo.

Senza neanche rendermene conto, quindi, mi struscio sulla durezza dietro di me.

Mi scappa un ansimo.

Oh cazzo.

Cazzo. Cazzo. Cazzo.

La vergogna mi porta a desiderare di sotterrarmi viva, eppure - quando mi aspetto che Aaron si allontani da me e metta fine a... tutto questo - ecco che fa qualcosa di inaspettato:

Piega un ginocchio e lo infila tra le mie gambe.

Deglutisco nel momento in cui questo entra a contatto con la mia intimità.

La sento bagnata e calda, tanto calda. E questa è una situazione del tutto nuova per me, ma anche tremendamente... paradisiaca.

Il mio battito cardiaco aumenta sempre di più e avverto l'eccitazione aumentare non appena il suo ginocchio si sfrega contro il mio pube.

È come se avesse captato il mio desiderio e lo stesse, in qualche modo, stuzzicando.

Decido quindi di cedere ai miei impulsi e mi struscio sulla sua gamba, avvertendo un piacere immenso.

Restiamo entrambi in silenzio, nessuno dei due emette una sola sillaba, quasi come se quello che sta accadendo non fosse reale.

Gli unici rumori presenti sono infatti solo e unicamente quelli dei nostri corpi che si sfregano l'un l'altro e dei sospiri che lasciano le nostre bocche.

La stanza è interamente buia, attraversata solo e unicamente dalla luna piena che ci illumina col suo fascio di luce.

Nell'aria fluttua il desiderio di entrambi, un desiderio che non avevamo mai provato prima nei confronti dell'altro e che adesso sembra star agendo in totale autonomia.

Continuo comunque a muovermi sul ginocchio di Aaron, beandomi della sensazione del suo osso duro contro la mia intimità, e rilascio un ansimo spezzato.

La durezza sul mio sedere intanto aumenta sempre di più e lui muove il bacino affinché si incastri alla perfezione... tra le mie natiche.

Mi si mozza il respiro.

Non ho mai provato niente di tutto questo.

Mai fatto sesso, mai dato neanche un bacio, eppure adesso il mio corpo sta provando delle sensazioni talmente piacevoli e travolgenti da farmi tremare interamente.

Deglutisco silenziosamente e lascio che il ginocchio di Aaron mi massaggi il sesso con erotismo e intensità, mentre i suoi respiri si fanno sempre più pesanti.

Oh mio Dio...

Vorrei pronunciare il suo nome, ma ho paura che spezzerebbe ciò che sta accadendo. Per questo intrappolo il labbro inferiore tra i denti e serro gli occhi.

Ciò che avviene dopo mi lascia completamente stordita: la pancia mi viene attraversata da una serie di crampi, la mia intimità sembra pulsare con sempre più intensità, e il respiro accelera a dismisura.

Tutti i miei sensi si acuiscono per un attimo, fino a quando qualcosa dentro di me non esplode. Avverto dei liquidi bagnare nell'immediato le mie mutandine e la testa girarmi all'improvviso.

Che cosa... che cosa è successo?

La mia espressione si fa sempre più confusa, ma la mia mente non risulta in grado di darmi neanche una sola risposta, poiché troppo impegnata a cavalcare l'onda di un piacere mai provato prima.

Non so cosa sia appena accaduto, ma è stata una delle sensazioni più belle e travolgenti che abbia mai provato in vita mia.

Qualcosa mi suggerisce però che si tratta di una sensazione che non avrei dovuto provare con il mio migliore amico...

Il ginocchio di Aaron si ritira poco dopo, ma il suo corpo rimane comunque aderito al mio.

Nessuno nei due osa fare un altro movimento in più, e il rumore del nostro silenzio e della stranezza di ciò che è successo aleggia per molto tempo nella stanza, fino a quando le mie membra non si intorpisiscono sempre di più e non cado in un sonno profondo.

💖SPAZIO AUTRICE 💖

🧯🧯🧯🔥🔥🔥

Che bella l'amicizia, soprattutto quella ingenua e priva di qualsiasi interesse. No? 💃💃

Ironia a parte, Aaron e Lia inizieranno a prendere coscienza della chimica che c'è tra di loro, ma le cose non si riveleranno molto facili. Soprattutto perché lui non è molto... monogamo. 🙌

Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto, se così e se vi va lasciate una stellina 🌟

Vi aspetto su ig per eventuali spoiler e per commentare insieme la storia 💖

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