7."I feel like I'm drowning"
Afferro un biscotto al cioccolato e lo bagno nel cappuccino, con movimenti lenti e intorpiditi.
Questa notte non ho chiuso occhio.
Ho riscritto per forse sette volte un'istanza, in modo che fosse perfetta e rispecchiasse le condizioni imposte da Blake quella stessa mattina.
È molto più rigido di quanto pensassi, ma non mi importa. Non posso mollare alla prima difficoltà.
È un tirocinio fin troppo importante per poterlo abbandonare alla prima nottata in bianco.
Rilascio quindi uno sbadiglio e appoggio il mento al palmo della mano, assonnata.
L'umore delle mie sorelle non sembra essere però molto diverso dal mio. Le espressioni di tutte e tre sono infatti pervase da una strana amarezza distante anni luce dal loro solito atteggiamento.
Un insolito silenzio riempie infatti la cucina e mi porta ad aggrottare le sopracciglia.
Lia ha le palpebre serrate e con un'espressione sofferente si stringe le tempie.
Elle ha invece lo sguardo fisso nel vuoto, con aria riflessiva.
La mascella di Rory è invece serrata e gli occhi azzurri più scuri a causa della rabbia.
Di solito si comporta così quando litiga con Amy. Digita infatti prepotentemente qualcosa sul telefono, imprecando a ogni messaggio inviato.
Le poso quindi una mano sul braccio e pronuncio in modo ironico, così da stemperare la tensione: «Problemi in paradiso?»
L' occhiata che ricevo è però totalmente... glaciale.
Rory saetta infatti lo sguardo su di me, trucidandomi senza alcuna remora. Mi fulmina con un'intensità tale da far sparire il lieve sorriso che mi si era formato, per poi alzarsi dallo sgabello e... andare via.
Esce dalla cucina senza dire una parola, mentre io sospiro rassegnata.
Quando è arrabbiata non è molto in vena di... chiacchierare, e avrei dovuto impararlo bene dopo ormai vent'anni.
Bevo quindi un sorso di cappuccino, sperando che possa svegliarmi, e mi rivolgo a Elle: «Ti senti bene?»
I suoi occhi azzurri non si spostano subito su di me. Sembra essere infatti totalmente assorta nei suoi pensieri, tanto da non riuscire neppure a sentirmi.
Decido quindi di richiamarla, attirando finalmente la sua attenzione: «Va tutto bene?»
Lei schiude le labbra, esitando qualche istante. Sembra voglia dirmi qualcosa, ma alla fine lascia perdere e mi rivolge un sorriso fugace.
«Sì, sono solo stanca. Non ho chiuso occhio stanotte.»
Sorrido. «A chi lo dici. Sono sicura che se non berrò almeno altri due caffè rischierò di addormentarmi in piedi.»
Ricambia il sorriso e addenta i suoi pancake, per poi spostare il discorso su altro. Su Lia, in particolare, che si sta premendo le tempie con forza.
«Se continuerai così sentiremo il tuo cranio frantumarsi, Li.» le dice infatti Elle, attirando i suoi occhi celesti su di noi.
«Mi fa male la testa.» sbuffa irritata, addentando un boccone talmente grande del cornetto da riempirsi la bocca.
Sorrido a questa vista. «Come mai?»
A questa mia domanda, però, le gote le si arrossano e lo sguardo si abbassa, attraversato da un'improvviso disagio.
Eppure non ha neanche il tempo di rispondere, poiché una voce maschile irrompe nella stanza all'improvviso, precedendola:
«Beh forse perché ieri la vostra sorellina ha ingerito più alcol di una cazzo di spugna.» il tono ironico di Aaron induce tutte e tre a spostare lo sguardo verso di lui, appena entrato in cucina.
Cosa?
«Che vuol dire che ha ingerito più alcol di una spugna?» domando sconvolta, aggrottando le sopracciglia.
Lia, invece, sgrana gli occhi e fa segno ad Aaron di non rispondere.
Eppure lui increspa le labbra in un sorrisetto sardonico e scrolla le spalle, addentando una mela.
«Penso abbia scambiato gli shottini per acqua, perché ha bevuto tanta di quella tequila che-»
Lia, allora, afferra uno strofinaccio lì presente e glielo lancia contro, facendolo ridere sommessamente.
«Smettila. Non è vero, è solo mal di testa.» lo trucida con uno sguardo, ma lui non le da retta e continua, visibilmente divertito.
«Se lo volete sapere è anche salita sul bancone del locale a ballare per tutti. Si muoveva talmente bene che se fosse stata in bikini l'avrebbero scambiata per una spogliarellista.»
Ha fatto cosa?
Sia io che Elle guardiamo Lia in modo attonito, colte dalla totale sorpresa.
Lei sussurra un "Ti odio" ad Aaron, il quale continua a masticare con un sorriso impertinente sul volto.
Penso però che rinunci a negare ulteriormente poiché si rivolge subito dopo a noi: «Ho sbagliato, lo so.» sospira. «Non lo so cosa mi è preso, ma-»
La interrompo tuttavia subito dopo e pronuncio: «Non siamo qui per metterti al rogo, Lia. Non c'è bisogno che ti giustifichi, ma hai diciotto anni ed è pericoloso bere così tanto.»
Lei annuisce, spostando una ciocca di capelli ramati dietro l'orecchio. «Lo so, non lo farò più. Anche perché sembra che mi stiano prendendo a martellate il cervello.»
Le rivolgo un sorriso e sospiro, per poi dirigermi verso il mobile dei medicinali. Le porgo poco dopo un'aspirina e pronuncio: «Questo ti aiuterà.»
La manda quindi giù con un po' di acqua e si alza dallo sgabello. «Grazie. Vado a darmi una sistemata, o rischio di riaddormentarmi.» si dirige verso l'uscita dalla cucina e - dopo aver puntato l'indice contro Aaron - sussurra:
«Ti odio.»
Lui ghigna e la afferra da un polso, facendola sedere subito dopo sulle sue gambe.
Aggrotto le sopracciglia, ma non dico nulla.
Le gote di Lia sembrano arrossire impercettibilmente, ma la sua espressione rimane quanto più neutrale possibile.
«Avanti, era troppo divertente per non dirlo.» pronuncia Aaron con tono beffardo.
Mia sorella assottiglia le palpebre e risponde: «Sì, sarà divertente anche per me prenderti a pugni.»
Aaron sorride divertito, puntando per un solo impercettibile istante lo sguardo sulle sue labbra.
«Ma se non riesci neanche a uccidere una formica.»
Vero.
«Ovvio che non ci riesco! Dovrei ucciderla soltanto perché la trovo sul mio tavolo?»
«Sì.» risponde lui, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Lia rotea allora gli occhi al cielo e sbuffa, alzandosi da lui. «Preferisco portarla fuori io stessa. Non sono una bestia come te.»
Aaron si porta teatralmente una mano al petto e finge un'espressione addolorata, mentre Lia scuote il capo rassegnata ed esce dalla cucina.
A quel punto, sorrido divertita e mi rimetto seduta. Continuo a fare colazione tranquillamente, scambiando qualche parola con Elle e Aaron, fino a quando un messaggio non illumina lo schermo del mio cellulare.
È Chris. Il mio ragazzo.
Passo una mano tra i capelli e sospiro.
Ieri abbiamo litigato.
Aveva disdetto un nostro appuntamento per un impegno con i suoi, ma mi ha mentito. Juliet è andata in un locale ieri sera e l'ha visto ballare con una ragazza. Anzi, con due.
Che bastardo.
Fa anche finta di nulla.
Passo una mano tra i capelli e getto il telefono con forza sul ripiano dell'isola.
«Okay, che avete tutti contro questi poveri telefoni? Rory l'ha gettato contro la parete, tu adesso sul bancone. Hanno iniziato per caso a parlare da soli e insultarvi?» la voce di Emma giunge all'improvviso in cucina, inducendomi a spostare lo sguardo verso la sua figura.
La sua energia travolge l'intera cucina e tutti noi, mentre si siede su uno degli sgabelli, sposta con una mano parte dei ricci biondi da un lato e addenta un pezzo dei suoi soliti Waffle alla frutta.
«Magari lo avessero fatto. Sono solo le nostre relazioni troppo complicate.» scrollo le spalle, mentre entrambe le mie sorelle aggrottano le sopracciglia e si voltano verso di me.
«Cos'è successo?» domanda Elle, mentre Emma sembra captare la direzione dei miei pensieri.
In fondo è stata lei ad avvertirmi, insieme a Juliet.
Faccio quindi spallucce e abbasso lo sguardo. «Niente di che. Solo che la cena di Chris dai suoi si è trasformata in una bionda tutte curve e dal fisico perfetto che si struscia su di lui in discoteca.»
Elle sgrana gli occhi, mentre lo stupore le attraversa il volto. «Che figlio di puttana.»
Annuisco, completamente d'accordo, e continuo a girare il cucchiaino nel cappuccino per secondi indefiniti, con espressione pensierosa e irritata al contempo.
«Devo parlargli, anche se in questo momento non vorrei fare altro che tirargli un calcio nelle pa-» pronuncio alla fine, ma non riesco a concludere la frase, poiché l'arrivo di una figura alta quasi due metri, dalle spalle larghe fasciate da una giacca blu notte, un torace ampio coperto da una camicia bianca, una chioma castana e due occhi grigi non mi interrompe.
Blake.
«Buongiorno.» saluta formalmente.
Aaron gli rivolge un cenno del capo e una pacca sulla spalla, mentre lui posa dapprima gli occhi su suo fratello e in seguito su di me.
Mi lancia una breve occhiata, per poi puntare lo sguardo sul suo orologio e assumere un'espressione... contrariata.
«Sono le sette e ventinove, Katelyn. Tra mezz'ora devi essere in ufficio e sei ancora in queste condizioni.»
Indica il mio pigiama e i capelli leggermente arruffati, per poi concludere - col solito tono neutro e freddo:
«Anche un solo minuto di ritardo e sei licenziata.»
Subito dopo, senza neanche aspettare una mia risposta, si volta e... se ne va.
Inarco le sopracciglia.
«Sì è svegliato col piede storto per caso?» domando quindi, sorpresa e irritata dal suo atteggiamento.
«Temo sia quello giusto, invece.» risponde Aaron, con aria divertita.
Rilascio un sospiro e mi alzo dallo sgabello.
Quello di oggi sarà soltanto il secondo giorno di lavoro nello Studio Legale Adams, ma so già che mi sfinirà esattamente come il primo. E non soltanto per la mole di lavoro, ma per i modi del suo proprietario.
Non pensavo potesse infatti esistere una persona così poco affabile e accondiscendente, ma evidentemente mi sbagliavo, perché Blake ne è la prova evidente.
Le porte dell'ascensore si aprono e io mi incammino nella stanza ampia e luminosa del dodicesimo piano.
Alle scrivanie sono presenti già le due ragazze. Josephine, la mora dai crolli corti, e Diana, dai lunghi capelli castani.
La scrivania di Steven è invece vuota, segno che non è ancora arrivato.
Controllo comunque l'orario e noto di essere in anticipo di qualche minuto.
Ringrazio il cielo e mi dirigo verso la mia postazione.
Sistemo l'agenda e rileggo per la decima volta l'istanza richiesta da Blake, modificandola in alcuni punti e stampandola subito dopo.
Quindici minuti dopo, arriva anche Steven, che si dirige verso la sua scrivania in tutta fretta e col respiro affannato.
«È già arrivato?» domanda con gli occhi sgranati, su cui sono posati gli occhiali dalla montatura evidente.
Scuoto il capo in segno di diniego, sorridendo per il modo in cui sospira sollevato e si mette subito a lavoro.
«Sembra che tu abbia corso per quindici chilometri. Stai bene?» domando quindi, mentre lui beve un sorso d'acqua con aria stanca.
«Quasi. Mi sono fatto tutti e dodici i piani a piedi perché l'avvocato Adams era davanti alle ascensori e se si fosse accorto del mio ritardo mi avrebbe fatto fuori.» parla velocemente, facendo diventare ancora più irregolare il suo respiro.
Sgrano gli occhi.
«Hai fatto cosa? Dodici piani di corsa?» domando sconvolta, sia da ciò che ha fatto sia dal perché lo ha fatto.
Che diavolo è Blake? Un despota?
Steven annuisce e passa una mano tra i capelli biondi. Tuttavia, quando sta per dirmi qualcosa, ecco che le porte dell'ascensore si aprono e Blake fa il suo ingresso.
Il suo sguardo è come al solito sicuro e imperscrutabile, e la sua camminata imponente.
Noto come gli sguardi di tutti scattino su di lui nell'immediato e non mi sfugge quello di adorazione che gli riserva Josephine.
Blake però non ricambia neppure per un breve istante, poiché si dirige direttamente nel suo ufficio.
Dopo esattamente tre minuti mi arriva un'email con tutto il lavoro da svolgere, inserito in particolare in un file di...
Oh mio Dio.
Trentasette pagine.
Inarco le sopracciglia e lascio sfuggire un sospiro, per poi però deglutire e mettermi a lavoro.
Allaccio la cintura e indosso la giacca dell'uniforme, per poi infilare gli anfibi e afferrare il mio borsone.
Subito dopo, esco dalla stanza e scendo le scale.
Sono già usciti quasi tutti, per questo la casa è molto silenziosa. Ne approfitto quindi per bere in tranquillità un caffè, prima di uscire dalla cucina. Eppure, nel momento in cui supero la soglia della porta, ecco che una figura dalla folta chioma bionda e più bassa di me di almeno venti centimetri, non mi viene addosso.
Arretro d'istinto, mentre lei solleva lo sguardo su di me.
Due occhi azzurri si allacciano ai miei e per un solo istante mi soffermo ad ammirarne la lucentezza.
Emma.
I ricordi di ciò che è successo ieri sera riaffiorano all'istante, ma tento di fare finta di nulla.
Non so perché si sia avvicinata a me in quel modo. Conosce mia sorella da molti anni ormai, ma non si è mai esposta così tanto come ieri notte.
Non che mi sia dispiaciuto, certo. Emma è bellissima, l'ho sempre saputo, ma non mi aspettavo che il mio corpo avrebbe reagito in quel modo alla sua vicinanza.
Il modo in cui si è strusciata su di me... Dio, è stato strano, ma anche maledettamente piacevole.
Il mio cazzo non si è fatto alcun problema a reagire al suo contatto, a differenza della mia testa, che non ha fatto altro che continuare a ripetermi che fosse la migliore amica di mia sorella.
Sono riuscito infatti ad addormentarmi soltanto con la convinzione che si fosse trattato di un semplice sbaglio e che non sarebbe accaduto più.
La saluto cordialmente, mentre lei schiude le labbra, come in cerca di qualcosa da dire.
I suoi occhi si posano poi sulla mia uniforme militare, e restano a fissarla per una manciata di secondi. Deglutisce subito dopo, mentre noto un velo di disagio attraversarle il volto.
«James, io... volevo parlarti. Ciò che ho fatto ieri... è stato stupido. Non so cosa mi sia preso e -»
Scuoto il capo e scrollo le spalle. «Lo so, sta tranquilla. È stato solo un errore, capita.»
Le mie parole sembrano però deluderla leggermente, poiché abbassa per un istante lo sguardo e si schiarisce la voce.
«Sì, infatti.» sistema un ricciolo biondo dietro l'orecchio, ma questo le sfugge e torna sul viso.
Non so perché, ma questa vista fa sì che uno strano calore mi attraversi il corpo.
Mi schiarisco però la voce, mettendo fine a qualsiasi cosa fosse.
«Vado, ci vediamo stasera.»
Lei annuisce semplicemente, mentre io la supero e mi chiudo la porta d'ingresso alle spalle.
Entro poi nel mio range rover e mi dirigo alla base. Arrivo lì mezz'ora dopo, e - dopo aver superato i vari controlli - mi avvicino al Colonnello Rivera, in piedi in posizione formale nel cortile.
«Colonnello.» pronuncio con tono fermo e il saluto militare.
Lui posa gli occhi su di me, contornati dalle rughe di mezza età, e mi saluta di rimando. «Sottotenente.»
Io e Jeff ci conosciamo da quasi dieci anni ormai. Ci siamo visti per la prima volta quando avevo diciassette anni.
Mio padre aveva appena abbandonato me e i miei fratelli e io ero entrato in un giro poco raccomandabile. L'ho incontrato per caso, come uno strano scherzo del destino, e lui... mi ha salvato la vita.
Mi ha convinto ad arruolarmi e mi è stato accanto ogni singolo giorno, aiutandomi e addestrandomi lui stesso.
È stato molto più lui un padre per me di chiunque altro, e non lo ringrazierò mai abbastanza.
Mi rivolge infatti un'occhiolino, prima che un centinaio di reclute faccia il suo ingresso nel cortile quadrangolare della base, disponendosi in dieci file in maniera ordinata.
Scattano sull'attenti, mantenendo i loro sguardi fissi davanti a loro, fino a quando il Colonnello non ordina di mettersi in posizione di riposo.
Subito dopo, pronuncia a gran voce: «Buongiorno, reclute. Vedo che il vostro aspetto estetico è già stato accuratamente sistemato.» fa riferimento ai capelli rasati di ciascun ragazzo e a quelli legati in chignon bassi delle ragazze. «Perciò è tempo di addestrarvi. Mi presento: sono il Colonnello Rivera. Più di venticinque anni di esperienza come ufficiale, servizio in una varietà di ruoli di leadership di truppe in combattimento e non. E, ora, responsabile della formazione e dello sviluppo dei miei subordinati.» mi indica poi con un braccio, continuando: «Lui è invece il Sottotenente Adams. Ha collezionato missioni in Siria, Iraq, Afghanistan. Adesso sarà responsabile della vostra guida e supervisione.»
Punto in modo imperscrutabile lo sguardo su ognuno di loro, riuscendo quasi a rivedere me stesso, fra di loro, quando avevo soltanto diciotto anni.
Rivera prosegue poi con un lungo discorso, intento a incitare e stimolare ogni singola recluta e portarla a un necessario livello di stress e pressione, in modo da potenziare e sviluppare le potenzialità di ognuno.
«Ci occuperemo quindi del vostro allenamento. Disponetevi perciò in tre file indiane all'estremità del campo, e partite tra tre...» prende in mano il fischietto, pronto a dare inizio all'addestramento. «due... uno!»
Comincia così l'allenamento, che si sussegue per diverse ore. Faccio io un primo giro di prova per ogni esercizio, a partire dal roll over di pneumatici big size, passaggio sotto reticolato, muro da scavalcare, sollevamento di cassette portamunizioni, per finire a trazioni, flessioni e addominali.
Appena finito, il sudore mi imperla la fronte e fa aderire maggiormente la divisa al mio corpo, ma mantengo comunque un'espressione neutrale.
Faccio un cenno d'assenso non appena il Colonnello mi mostra il tempo impiegato, soddisfatto di averlo abbassato notevolmente rispetto all'ultima volta.
Subito dopo, mostra il cronometro alle reclute, indicando il tempo da superare.
Alcuni sgranano gli occhi, altri sollevano il capo, pronti.
Eppure, alla fine dell'addestramento il migliore delle reclute dà un tempo ottimo, mettendoci però comunque circa quaranta secondi in più di me.
Una volta terminato, perciò, le reclute incontrano un altro ufficiale, pronti a nuove lezioni, mentre io e Jeff facciamo una doccia e ci dirigiamo nel nostro solito bar per bere qualcosa.
«Ci sarà mai qualcuno che supererà i tuoi record?» chiede proprio lui, con un sorriso soddisfatto sul volto.
Scrollo le spalle e sorseggio la birra. «Improbabile.»
Sghignazza divertito e mi posa una mano sulla spalla, con affetto. «Ah ragazzo... Farti arruolare è stata una delle decisioni migliori della mia vita, e sono sicuro che nel giro di pochi anni arriverai a rivestire uno dei più importanti gradi, ma...» affonda i suoi occhi scuri nei miei e sospira. «Chissà perché non mi sembri mai contento.»
Aggrotto le sopracciglia e volto il capo verso di lui.
«Io sono contento.»
Inarca però un sopracciglio a questa mia risposta, soprattutto nel notare la mia espressione corrucciata e lo sguardo serio e imperturbabile.
«Non si direbbe.» sorride e beve un sorso della sua birra. «Sai, anche io ho dedicato i miei migliori anni alla carriera, ma a un certo punto della mia vita ho comunque sentito la mancanza di qualcosa.» si sfiora col pollice la fede che porta al dito, fissandola intensamente. «Se non avessi sposato Karen non sarei certamente l'uomo simpatico che sono oggi.» scherza ironicamente, facendomi sorridere lievemente. «Probabilmente sarei più come te... Senza nessuna... luce.» riporta lo sguardo su di me e scrolla una spalla. «Mi fa piacere che tu sia così dedito al lavoro, James, ma non pensi di star trascurando qualcosa?»
Aggrotto maggiormente la fronte e scuoto il capo in segno di diniego. «Sto semplicemente costruendo la mia vita, Jeff. E la mia carriera. Se è l'amore ciò a cui ti riferisci, non preoccuparti. Perché non mi interessa.» finisco la mia birra, risoluto.
Lui, allora, sospira e fa spallucce con rassegnazione.
Non è che non creda nell'amore, ma semplicemente non mi interessa trovarlo. Voglio soltanto dedicare la mia intera vita all'esercito, e sento che tutto il resto potrebbe essere soltanto una distrazione.
Mi piace semplicemente divertirmi con le ragazze ogni tanto, ma niente di più.
«Dio, quel tiro è stato formidabile! Per poco non bucavi la rete ieri!» esclama Parker, mentre entriamo in mensa.
Scrollo una spalla, continuando a masticare la gomma e inserendo nel vassoio soltanto dell'insalata e una mela. «Lo so, ma c'è comunque bisogno di un allenamento più intensivo. Greyson si stanca dopo cinque fottuti minuti.»
«Già...» scuote il capo con un sorriso divertito, mentre ci dirigiamo verso il solito tavolo.
È al centro della mensa. Ci si siedono esclusivamente i membri della squadra di Hockey.
Ne saluto qualcuno con una stretta di mano e una pacca sulla spalla, per poi sedermi accanto a Parker.
Iniziamo quindi a conversare con gli altri riguardo le varie strategie di gioco e la festa che Travis darà questo weekend.
La partita sarà la settimana dopo e non vedo l'ora, cazzo.
Gioco ad hockey da quando sono al liceo, ma le partite del college non hanno niente a che vedere con quelle precedenti. Sono nella squadra della Brown già da due anni ormai, ma non penso che mi abituerò mai all'adrenalina che mi travolge prima di ogni partita o di un semplice allenamento.
Questo sport è intriso ormai in ogni mia singola vena, e non ho alcuna intenzione di liberarmene. Perché se la cocaina è la principale droga dei tossicodipendenti, l'hockey è la mia. E lo sarà per sempre.
Sorrido comunque a una battuta fatta da Tom, il nostro portiere, e annuisco. Prima che possa rispondere, però, ecco che Parker mi richiama con una lieve gomitata e domanda:
«Ehi amico, è lei la ragazza che ieri era agli allenamenti?»
Seguo la traiettoria del suo sguardo, fino ad arrivare alla figura di Lia, vicina al bancone della mensa. I lunghi capelli rossi le ricadono sulla schiena, mentre gli occhi azzurri vagano per la sala, forse in cerca di un tavolo libero.
Osservo subito dopo Parker, che se la sta praticamente mangiando con lo sguardo.
Mi schiarisco perciò la voce e schiocco due dita davanti al suo viso, portando i suoi occhi su di me.
«Sì, e smettila di fissarla come se fossi appena uscito dalle caverne.» pronuncio quindi, con il solito senso di protezione nei confronti di Lia.
«Scusa, è solo che... non lo so, è carina.» scrolla una spalla, mentre io addento una forchettata di insalata e pronuncio con nonchalance:
«Lo so.»
Aggrotta impercettibilmente le sopracciglia e rimane a fissarmi per una manciata di secondi, con le labbra schiuse.
«Ma voi due non state mica insieme, vero?» domanda, confuso.
Ritiro il capo di scatto e aggrotto la fronte. «Cosa? Io e Lia? No.» rispondo come se fosse la cosa più ovvia e al contempo più strana del mondo.
Non che non sia una bella ragazza, anzi. Lia è davvero bellissima, ma non ho mai pensato a lei in quel modo. Ci conosciamo da troppo tempo ormai per vederla come una ragazza con cui stare.
Il volto di Parker, comunque, sembra essere attraversato da un velo di sollievo e soddisfazione.
Subito dopo solleva la mano e richiama l'attenzione di Lia, facendole segno di avvicinarsi.
Lei aggrotta inizialmente le sopracciglia, forse non riconoscendolo, ma poi sposta lo sguardo su di me e avanza verso di noi.
«Ciao, ragazzi...» saluta timidamente tutta la squadra, che ricambia e torna a conversare sulla partita che si terrà questa sera tra Hawks e Leafs.
«Forse non ti ricordi di me. Ci siamo incontrati ieri in palestra.» pronuncia comunque Parker, mentre faccio spazio a Lia per farla sedere.
«Oh sì... Parker, giusto?»
Il biondino annuisce, mentre lei increspa le labbra in un lieve e cordiale sorriso.
«Non sapevo frequentassi il college, pensavo andassi ancora al liceo.»
Lia scrolla le spalle e sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Infatti sono al primo anno. Beh, primo mese in realtà. Mi sto ancora ambientando.»
Parker annuisce e incrocia le braccia sul tavolo, per poi continuare la conversazione: «Beh, anche io mi sono trasferito qui dopo il primo anno di college, perciò ti capisco.» fa spallucce. «Se vuoi ci vediamo qualche volta, così ci orientiano insieme.»
Inarco un sopracciglio.
Che battuta di merda.
Mi lascio quindi andare sulla sedia, allungando un braccio sullo schienale di Lia e divaricando le gambe.
Lei, comunque, annuisce impercettibilmente e, con la sua solita gentilezza, risponde: «Sì, perché no.»
Subito dopo, gli occhi azzurri di Parker si incastrano in quelli di Lia, e iniziano a guardarla con una strana intensità.
Accenna infatti un sorrisetto e si inumidisce il labbro inferiore. Le gote di Lia arrossiscono visibilmente ed è costretta ad abbassare lo sguardo, a disagio.
Io, invece, avverto una strana sensazione di fastidio al centro dello stomaco. La attribuisco però al fatto che l'abbia messa in imbarazzo, perciò mi schiarisco la voce e mi alzo.
«Andiamo, Don Giovanni. Tra poco abbiamo un'altra lezione.»
Lo sguardo di Parker non riesce però a distaccarsi da Lia, per questo roteo gli occhi al cielo e mi avvicino a lui.
Gli do subito dopo una potente pacca sulla spalla e pronuncio: «Alza il tuo culo dalla sedia, Ross. Stai sbavando.»
Riesco a catturare la sua attenzione e a farlo finalmente alzare. Si infila infatti lo zaino in spalla e conclude amichevolmente: «Ci vediamo.»
Lia annuisce e sorride cordialmente, per poi però alzarsi anche lei e dirigersi verso il tavolo dove sono sedute tutte le sue sorelle.
Usciamo quindi in giardino e, dopo essermi acceso una sigaretta, mi rivolgo a Parker:
«Stalle lontano.»
Le sue sopracciglia si aggrottano all'istante e la sua espressione si fa attonita e confusa. «Cosa? Perché?»
Scuoto il capo in segno di diniego. «Non è una per te.»
Ritira la testa di scatto a queste mie parole, interrogativo. «E questo cosa te lo fa pensare?»
Inarco quindi un sopracciglio e volto il capo verso di lui.
Parker e Lia sono completamente l'opposto.
Lui è un donnaiolo che cambia più ragazze che mutande, si scopa qualsiasi essere dotato di fica gli capiti davanti e le liquida come se non fossero mai esistite.
Lei è una romantica per eccellenza e sogna tutte quelle cazzate sentimentali.
Non è una delle solite ragazze che si porta a letto di solito, o che io mi porto a letto.
E questo non deve cambiare.
«Ti devo realmente elencare i motivi?» domando quindi semplicemente, sospirando una nuvola di fumo.
Lui rotea gli occhi al cielo e sbuffa. «Delle volte mi verrebbe voglia di spaccarti la faccia.»
Ghigno derisorio. «Tu avvicinati.»
Sorride quindi divertito e si accende anche lui una sigaretta, fino a quando non arriva l'ora della lezione successiva e ci dirigiamo entrambi in aula.
Inserisco in una cartellina tutte le informazioni relative a uno dei testimoni principali del nuovo caso che sta affrontando Blake, e rilascio un sospiro, sfinita.
Sposto quindi lo sguardo verso l'orologio, sgranando gli occhi non appena mi rendo conto di che ore siano.
11:24 p.m.
Avrei dovuto staccare due ore fa, ma con tutto il lavoro che Blake mi ha dato ho perso completamente la cognizione del tempo.
Mi guardo intorno e noto di essere la sola rimasta. Steven e le altre due stagiste sono infatti già andati via, ed è ora che lo faccia anche io.
Massaggio il collo e rilascio un sospiro di sollievo non appena finalmente mi alzo dalla sedia.
Dio, se avessi continuato a starci seduta per qualche altra ora probabilmente mi sarei fusa con lei.
Afferro la cartellina e mi dirigo verso l'ufficio di Blake, bussando alla porta prima di entrare.
Nella sala aleggia il suo profumo, elegante e sensuale, e l'atmosfera delle pareti e del marmo nero è resa ancora più intensa dalla semplice lampada accesa e posta sulla sua scrivania.
Dalle vetrate si scorge l'intera città, dove i palazzi si innalzano nella loro imponenza, illuminati dalle proprie luci e da quelle della luna piena di questa notte.
Quando entro nell'ufficio Blake ha comunque gli occhi fissi su alcuni fogli, per questo mi schiarisco la voce e pronuncio:
«Ho appena terminato di raccogliere tutto ciò che ti serviva su Johnatan Anderson, è tutto in questo dossier.» glielo posiziono sulla scrivania, mentre lui annuisce semplicemente.
Non dice una parola di più.
Rimane in silenzio, con la sua solita espressione corrucciata. Eppure, questa volta sembra essere più riflessivo del solito, quasi... preoccupato.
«Ti serve altro?» domando quindi.
Scuote però esclusivamente il capo in segno di diniego e, iniziando a studiare la cartellina che gli ho dato, si limita a pronunciare: «Chiudi la porta quando esci.»
Schiudo le labbra.
Ha intenzione di restare qui a lavorare?
Di solito torna a casa verso le dieci, ma questa sera non sembra averne alcuna intenzione.
Non è un tuo problema, Kate. Salutalo e va via. È già troppo tardi.
Eppure, nonostante la vocina nella mia testa continui a ripetermi questo, non riesco a frenare la mia lingua che - senza alcun controllo - si attinge a pronunciare:
«È quasi mezzanotte, Blake. Non è meglio che torni a casa? I tuoi fratelli ti staranno aspettando.»
Lui, però, non stacca un solo istante lo sguardo dai fogli e pronuncia: «I miei fratelli sanno badare a loro stessi, non sono il loro babysitter.» la sua voce è roca ma fredda e distaccata come sempre.
Scrollo una spalla e tento di assumere un atteggiamento quanto più cordiale possibile, dato il modo sbagliato in cui è partito il nostro rapporto lavorativo. O meglio, il nostro rapporto in generale.
«Sì, lo so. Lo dicevo solo per farti staccare un po' dal lavoro, o da qualsiasi caso di cui tu ti stia occupando.»
È a quel punto che i suoi occhi, grigi e magnetici, si posano su di me. La sensazione che mi pervade nell'esatto momento in cui si allacciano ai miei è strana ma piacevole. Cerco però di scacciarla in fretta, soprattutto quando risponde:
«Il processo di questo caso è tra tre giorni. Omicidio di primo grado con tre testimoni, un movente irremovibile, nessuno straccio di alibi e un cliente dalla fedina penale più sporca di una fottuta stalla.» lascia andare il fascicolo sulla scrivania. «Non posso semplicemente... tornarmene a casa, Katelyn.»
Inspiro lievemente, in cerca di qualcosa da dire per cercare in qualche modo di controbattere. Eppure, non la trovo. Per questo non faccio altro che scrollare una spalla e pronunciare con sicurezza:
«Se vuoi posso darti una mano. Due menti sono meglio di una.»
Gli scappa un sorriso derisorio a queste mie parole. «Non quando una di queste menti è la mia e l'altra quella di una tirocinante che non ha mai affrontato un caso del genere.»
Inarco le sopracciglia, per nulla toccata dalle sue parole e dal suo ego smisurato. «Mettimi alla prova. Sono qui per imparare, giusto?»
Rilascia però un sospiro e scuote il capo in segno di diniego. «Lo farai con un caso di poco conto. Che ne so, spaccio minorile, rissa tra adolescenti. Te ne assegnerò uno in questi giorni, ma adesso torna a casa e lasciami lavorare.»
Assottiglio le palpebre, sentendomi improvvisamente sfidata da ciò che ha detto.
Resto infatti in silenzio per una manciata di secondi, ma alla fine - senza la minima intenzione di apparire come una semplice stagista priva di qualsiasi capacità - ecco che mi schiarisco la voce e prendo posto su una delle due sedie davanti alla scrivania.
«Bene.» pronuncio infatti semplicemente, fregandomene di ciò che ha detto.
Fare l'avvocato è uno dei miei sogni più grandi da quando sono bambina, e ora che ho l'occasione di lavorare per lo studio migliore di tutti gli Stati Uniti, non posso certo limitarmi a lavorare in maniera ordinaria, scontata e regolare.
Questa è l'occasione per dimostrare quanto realmente tengo a quello che faccio, e per mettermi in gioco. Perciò non lascerò che Blake mi demoralizzi e releghi nell'angolino della mia scrivania.
Avverto i suoi occhi saettare su di me e il suo tono baritonale domandare: «Che stai facendo?»
Assumo un'espressione quanto più serena possibile e, con nonchalance, rispondo: «Cercando un alibi.»
Blake rimane in silenzio qualche secondo, ma proprio quando penso che stia per cacciarmi, ecco che pronuncia: «L'ho già fatto. Non ne ha.»
Sollevo lo sguardo su di lui. «Beh, allora creiamone uno.»
«Già fatto anche questo, ma non è sufficiente. Ha tre testimoni che provano di averlo visto uccidere a sangue freddo la sua vittima.»
Rifletto per qualche secondo sulle sue parole, prima però che un'idea mi illumini la mente e mi porti a riaprire il fascicolo che gli ho portato poco fa.
Leggo in particolare una parte del dossier, relativa ai crimini commessi dall'uomo su cui Blake mi ha chiesto di indagare, e sorrido soddisfatta.
«Tre testimoni di cui uno ha già avuto precedenti per falsa testimonianza, intendi?»
I suoi occhi si illuminano all'improvviso e un lampo di speranza gli attraversa il volto, mentre prende il fascicolo che ho in mano e lo esamina attentamente.
«Può essere distrutto perfettamente alla sbarra.» riporta i suoi occhi nei miei. «Restano gli altri due.»
Annuisco e apro un computer portatile in più presente sulla sua scrivania, alla ricerca di qualcosa di compromettente che possa aiutarci.
Eppure, nel momento in cui esamino il caso e osservo la foto del corpo della vittima totalmente insanguinato e privo di vita, una morsa mi colpisce all'altezza del cuore.
«Blake.» richiamo la sua attenzione e domando: «Il nostro cliente... è innocente?»
Lui però resta a guardarmi per un tempo indefinito, senza mostrare alcuna emozione o pensiero. Si limita infatti semplicemente ad assumere un tono di voce ancora più roco e rispondere: «Non mi interessa. L'unica cosa di cui mi importa è vincere e scrivere un'arringa talmente compatta da convincere la giuria di ciò che sto dicendo.»
Schiudo le labbra. «Sì, ma se la verità è che-» cerco di ribattere, ma lui mi interrompe:
«Non è la verità a vincere in aula, Katelyn, ma il discorso più manipolatorio.»
Tre ore dopo riusciamo finalmente a risolvere l'intero caso, confutare ogni prova dell'accusa e trovare quante più prove screditorie nei confronti dei testimoni dell'accusa.
Gli occhi mi bruciano infatti per la stanchezza, perciò rilascio un sospiro non appena richiudo l'ultimo fascicolo.
«Penserò domani all'arringa, ora è tardi.» pronuncia proprio lui, lanciando un'occhiata all'orologio appeso alla parete opposta.
Due e trentadue.
Sgrano gli occhi.
«Accidenti...» mormoro, alzandomi in piedi.
Blake inserisce subito dopo tutti i documenti in una cartellina e in cassetto chiuso a chiave, per poi sollevarsi e abbottonarsi il bottone centrale della giacca.
Non posso fare a meno di notare la differenza di altezza che divide l'un l'altro e il modo in cui la sua figura risulta tanto imponente e maestosa da far restringere tutto lo spazio della stanza.
Per tutte queste tre ore, inoltre, il suo profumo elegante mi ha inebriato le narici, ma è nel momento in cui aggira la scrivania che i miei occhi si chiudono per un solo impercettibile istante, ammaliata dalla fragranza.
Si ferma davanti a me e affonda le sue iridi nelle mie.
«Ti devo i miei complimenti, Katelyn. Sei stata... efficiente.» il tono di voce è roco, profondo, e risulta molto... affascinante.
Inarco comunque le sopracciglia, stupita. «Wow, un complimento da Blake Adams. Puoi ripeterlo? Non penso mi crederà nessuno se non ti registrerò.» scherzo ironicamente, e posso persino giurare di aver visto le sue labbra incresparsi in un... sorriso.
Oh mio Dio.
È la prima volta che lo vedo sorridere in maniera divertita da quando si è trasferito a casa nostra.
Ma devo ammettere che è... piacevole.
Avverto infatti un lieve formicolio all'altezza dello stomaco e mi soffermo a guardarlo. I suoi lineamenti si distendono, apparendo ancora più belli e sensuali.
Blake è un uomo oggettivamente attraente, anche quando ha un'espressione seria e corrucciata. Ma adesso... Dio, adesso è tutt'altra cosa.
Restiamo comunque a fissarci l'un l'altra per secondi indefiniti. Tra i nostri corpi si innesca una strana elettricità, che aumenta ancora di più nel momento in cui i suoi occhi si spostano sulle mie labbra e in seguito su tutto il mio corpo.
Si sofferma in particolare sulla lieve porzione di seno lasciata scoperta dalla camicia che indosso.
Il suo sorriso però si spegne e le sue iridi vengono attraversate da un velo più scuro, penetrante.
Il battito cardiaco mi aumenta all'improvviso, mentre cerco in tutti i modi di mettere fine a questa situazione.
Non so cosa stia succedendo, ma stranamente avvertire i suoi occhi addosso mi... piace.
Li riporta subito dopo nei miei, mentre una strana e intensa malizia prende possesso di me e mi induce a spostare lo sguardo dai suoi occhi alle sue spalle, ampie e allenate, al suo petto scolpito, che tira sotto la camicia bianca, e infine alle sue mani, tanto venose ed eleganti da apparire... sexy.
Inspiro profondamente e stringo le cosce tra di loro, istintivamente.
Dio, no.
Blake sembra accorgersi di questo mio gesto, poiché la sua espressione torna corrucciata come al solito. Si schiarisce infatti la voce e si volta, afferrando semplicemente la sua valigetta.
«Dobbiamo andare. È tardi.»
Detto ciò, mi da le spalle e si dirige verso la porta, mentre io rimango qualche secondo immobile. Me ne sto infatti in piedi, nell'esatta posizione di poco fa, per qualche secondo.
Cosa diavolo è appena successo?
Mi sono sentita... attratta da Blake?
Deglutisco a disagio e infilo una ciocca di capelli dietro l'orecchio, pensando solo a quanto questo sia sbagliato.
Sono fidanzata, e poi i nostri genitori stanno insieme, noi viviamo insieme e...
«Allora? Andiamo?» la sua voce reboante mi richiama all'improvviso e mi porta a voltare il capo verso di lui, sulla soglia della porta.
Rilascio quindi un semplice sorriso e annuisco, per poi entrare insieme a lui in ascensore.
La discesa dura circa trenta secondi, che appaiono però come ore intere a causa dell'atmosfera tesa. Le posture di entrambi sono infatti rigide, ma mentre io sembro essere a disagio, lui ha un'espressione neutra, impassibile.
Mi impongo comunque di non guardarlo e ringrazio il cielo nel momento in cui le porte dell'ascensore si aprono.
Ci ritroviamo nel garage interno del palazzo e ci dirigiamo verso le nostre auto, praticamente le uniche presenti in tutto lo spaziale.
Mi soffermo a osservare il modo in cui la sua Mercedes nera trasuda la sua stessa eleganza e imponenza, accostandosi perfettamente alla sua figura.
Prima di entrare, comunque, pronuncia con tono roco e profondo: «Buonanotte, Katelyn.»
«Buonanotte.» aggrotto impercettibilmente le sopracciglia. Ma non torni a cas-» non riesco però neppure a concludere la domanda, poiché entra nel veicolo e chiude la portiera. Gli servono pochi secondi per mettere in moto e... andare via.
Schiudo le labbra.
Ma che diavolo..?
Scelgo comunque di non farmi troppe domande e, dopo aver messo in moto, mi dirigo direttamente a casa.
Le afferro il collo con una mano e le infilo la lingua in gola, spingendola con brutalità e intrecciandola alla sua.
Le sue mani iniziano a vagare dal mio petto alle mie spalle, per poi posarsi sul mio cazzo, già eretto e pronto a scoparla.
Lo palpa infatti con perversione, mentre io le stringo le natiche e attiro il suo bacino sul mio membro.
Un gemito scappa dalle sua gola e mi induce a eccitarmi ancora di più.
Sono uscito dall'ufficio con una fottuta erezione.
Non so perché, ma la vicinanza con Katelyn ha generato una strana e intensa elettricità che si è concentrata tutta sul mio cazzo.
Per un attimo non ho fatto altro che immaginare il suo corpo seducente aderito al mio e quegli occhi azzurri guardarmi pieni di lussuria.
Non so cosa sia successo, ma avevo il cazzo talmente duro che la prima cosa che ho fatto dopo essere salito in macchina è stato venire a casa di Josephine, la mia assistente.
Per questo adesso la sto spogliando con tanta foga, mentre le bacio e succhio lembi di pelle.
«Dio, Blake...» ansima spudoratamente sotto il mio tocco.
La afferro dalle cosce e la faccio sedere sulla scrivania, infilandomi subito dopo tra le sue gambe e lasciando che mi sfili la camicia.
I suoi occhi vagano affascinati lungo tutto il mio torace e un sorriso le sfiora le labbra carnose.
«Ti prego...» sussurra eccitata, mentre la spoglio totalmente. Le stuzzico subito dopo il clitoride e le infilo due dita dentro, facendole ricadere il capo all'indietro.
Chiude gli occhi, ma la faccio comunque scendere dalla scrivania e ordino: «A novanta.»
Il mio tono è freddo, duro, brutale, eppure questo sembra farla eccitare ancora di più.
I suoi occhi si illuminano infatti di lussuria e non esita a fare come ordinato, piegandosi sulla scrivania.
Il suo seno si schiaccia contro il legno freddo, mentre il suo culo proprio sul mio cazzo.
Slaccio la cintura e abbasso i pantaloni quanto basta, per poi stuzzicarle l'entrata con la punta del mio membro.
«Cazzo, quanto sei bagnata...» pronuncio con voce roca, facendola rabbrividire.
«Solo per te...» struscia le sue natiche su di me, e io serro la mascella.
Le infilo subito dopo una mano tra i capelli a caschetto e le faccio inarcare la schiena.
La curva del suo sedere mi lancia una scarica dritta sul cazzo, facendomelo diventare ancora più duro.
Infilo il preservativo e, senza attendere un minuto di più, la penetro. L'urlo che emette mi eccita a tal punto da iniziare a scoparla con sempre più brutalità.
La fotto in modo duro, forte, beandomi degli ansimi di piacere e dei gemiti perversi con cui riempie la stanza.
Mi concentro solo e unicamente sulla sua fica, calda e bagnata, che mi stringe il cazzo, e questo riesce a farmi dimenticare senza troppe difficoltà ciò che è successo stasera.
💖SPAZIO AUTRICE💖
Se qualcuno è rimasto turbato da quest'ultima parte consiglio già da ora di interrompere la lettura, perché questa storia sarà molto più spinta ed esplicita delle altre due. Questa scena non è stata tanto spinta, ma vi avviso che quelle che verranno saranno molto più esplicite e violente.
Non ci saranno remore, riguardi o alcun tipo di riserva per scene di violenza/sesso e qualsiasi altra cosa.
I Warning sono già presenti nelle prime parti, ma se li volete anche a inizio di ogni capitolo di questo tipo scrivetemelo pure💞
Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto, se così e se vi va lasciate una stellina🌟
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