Parte 5
L'odore acre del sigaro aveva invaso la stanza. Dominic avvicinò il bicchiere di whisky alla bocca con la speranza di sostituire l'odore che gli bruciava gli occhi con quello del liquore. Don Carmelo teneva il sigaro tra le labbra e non si decideva a parlare, come se stesse cercando la giusta concentrazione.
Dominic sedeva di fronte a lui, davanti alla scrivania, come la prima volta che aveva avuto il privilegio di entrare nel suo covo. Alla sua destra Vincent teneva gli occhi fissi sul padre, alle spalle Dominic sentiva lo sguardo minaccioso di Salvatore, ancor più sul piede di guerra da quando lui l'aveva oscurato la sera dell'agguato.
Don Carmelo prese la parola: «Tra qualche giorno avrà luogo la riunione delle famiglie per stabilire se il comportamento di mio figlio la notte dello scambio è stato scorretto o se a sbagliare sono stati i Calabresi. Noi sappiamo, e anche loro lo sanno, che Vincent non ha colpe e che dietro c'è un disegno più grande per insidiarci, ma la questione verrà messa ai voti».
Dominic divenne tutto orecchie, questi erano i discorsi per cui sopportava il duro ed estenuante lavoro di agente sotto copertura: conoscere i rapporti tra le famiglie e i loro dissapori gli avrebbe permesso di anticipare un prossimo versamento di sangue e nel frattempo di ottenere più informazioni sui loro traffici. Scacciò via l'immagine del sorriso tenero di Santi che solo poco prima gli aveva scaldato il cuore, e si concentrò sulla sua prossima mossa e sulle parole del boss. Era stato addestrato a fare questo: a cancellare i sentimenti e a considerare chiunque incrociasse il suo cammino una fonte di informazioni o di minaccia. Mai un essere umano.
«Voglio che tu, Dominic, sia presente alla riunione», riprese don Carmelo.
«È proprio necessario?», Salvatore non riuscì a trattenersi. Si guadagnò uno sguardo gelido da parte del boss.
«Lui ha salvato la vita a mio figlio, cosa di cui tu non sei stato capace».
Salvatore abbassò la testa. Dominic era sicuro che adesso se ne sarebbe stato zitto, sebbene, dal modo in cui stava stringendo le nocche, fosse chiara la sua rabbia. Era il momento di intervenire e di mettere a frutto ciò che aveva osservato negli ultimi mesi per impressionare il boss. «Permettete?», domandò con deferenza, ma con piglio deciso che mostrava la sua tempra di uomo con la spina dorsale.
Il boss annuì, e lui attaccò: «Alcuni membri dei Calabresi hanno tentato di intromettersi più volte nella zona di spaccio che vostro figlio Vincent mi aveva affidato, a sud della città. Non so se siano le nuove leve che cercano di farsi notare ribellandosi alle famiglie o se l'ordine venga dall'alto».
Don Carmelo posò il bicchiere su un vassoio d'argento e il sigaro su un posacenere di marmo, aveva serrato le mascelle e i tratti del volto tanto induriti lo facevano apparire più anziano. Le sopracciglia folte si erano inarcate. «È inaccettabile, lo avevi detto a Vincent?»
«Sì, papà, lo ha fatto, ma volevo aspettare a parlartene per capire come muovermi e quanto grave fosse la situazione».
L'uomo anziano annuì, ma dal modo in cui aveva indurito lo sguardo non poteva essere più chiaro che non avesse apprezzato il guizzo di autonomia del figlio, tutto doveva passare dallo studio dove si trovavano adesso, su tutto l'ultima parola doveva essere di don Carmelo. Una famiglia disfunzionale, ecco quello che era il grande clan, pensò Dominic. I due fratelli si portavano dietro una rivalità mai sopita nella loro ricerca di attenzioni del padre, e Vincent voleva impressionarlo sul campo, tirando le redini che l'uomo stringeva. Avrebbero avuto bisogno di un giudice e poi di un terapista famigliare.
«Non penso che ci sia da preoccuparsi», lo riscosse il boss, «gli interessi delle famiglie sono troppo legati ai nostri: le scommesse, gli appalti, i rifiuti... nessuno può camminare da solo, sono quasi certo che avremo il loro voto, o perlomeno quello della maggioranza. Tutti sanno che la nostra droga è di qualità, che non ci interessa sollevare polveroni e attirare l'attenzione della polizia. L'accusa che hanno rivolto a mio figlio e l'agguato rappresentano un disonore per chi se ne è reso responsabile. Se non lo capiscono saremo pronti a tutelare i nostri interessi con ogni mezzo». Fece un cenno con la mano. La riunione era finita.
Vincent si alzò, ma nonostante avesse tentato di farlo pacatamente, allontanò la sedia con troppa foga. Il suo temperamento stava avendo ancora la meglio, ma questa volta Dominic non riuscì a capire per quale motivo fosse nervoso. Solo il conflitto con suo padre?
Salvatore aprì la porta come un perfetto maggiordomo. Il meticcio che Dominic aveva raccolto con Santi poco prima dalla strada entrò scodinzolando. Vincent ebbe un moto di stizza.
«Di questa pulce ce ne libereremo, vero?», domandò al padre.
«Solo se tuo fratello è d'accordo. Invece di pensare a queste sciocchezze occupati dell'organizzazione dell'incontro».
Vincent annuì. Da quanto era stato detto alla riunione l'incontro sarebbe filato liscio. La sua famiglia aveva una salda reputazione costruita in lunghi anni, sempre rispettando il codice d'onore per quanto possibile.
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