Parte 4

Santi fissò ancora il libro aperto davanti a sé. Il modernismo, si ripeté a mente, ma non riusciva ad andare oltre. Le lettere si confondevano sulla carta, senza che avessero un senso. Il calore del sole che entrava dalla finestra alla sua destra e batteva sulla sua nuca non migliorava la situazione. Una ragazza che aveva appena preso posto di fronte a lui gli rivolse un rapido sorriso e poi si immerse nella lettura con una concentrazione invidiabile.

Santi avrebbe voluto dare la colpa al bicchiere di troppo che per rabbia aveva consumato la sera prima, dopo il diverbio con suo padre e suo fratello. «Sei uguale a tua madre», gli aveva detto l'uomo più anziano. Non era la prima volta che accadeva, e ogni volta a Santi sembrava un'accusa, un marchio che lo rendeva diverso dagli altri due e che gli impediva di essere accettato. Non che lui ci tenesse così tanto a entrare nel loro mondo fatto di pistole e violenza, ma era ironico che proprio la sua famiglia non lo accettasse e allo stesso tempo fosse la causa per cui non lo facessero neanche gli altri.

Santi chiuse il libro, con troppa foga a giudicare dal modo in cui la ragazza aveva sollevato per un attimo lo sguardo. La verità era che a impedirgli di concentrarsi non erano i postumi di una lieve sbornia, ma il pensiero che una volta varcata la soglia della biblioteca, attraversati i corridoi e infine scesi i gradini imponenti dell'edificio, si sarebbe trovato di fronte il nuovo guardaspalle che suo padre gli aveva assegnato. Il tipo dai capelli scuri e lucenti, dalla pelle olivastra, un altro italo-americano che suo padre era riuscito in qualche modo a soggiogare, a usare per i suoi scopi per poi buttarlo via. Non doveva interessargli del suo destino, si rimproverò. Si alzò e mise il libro nello zaino. Forse questo guardaspalle era poco sveglio, meno allenato di Salvatore, e lui avrebbe potuto seminarlo facilmente.

Il retro, ecco da dove sarebbe uscito. Attraversò di corsa il corridoio, passò davanti alle aule e si infilò in un piccolo antro dal pavimento in moquette che conduceva a un altro corridoio. La libertà era a portata di mano. Si sorprese a sorridere come un bambino impegnato in una marachella. Aprì la porta che conduceva a una scala antincendio. Fu investito da una corrente di aria calda che gli accarezzò il volto e che fece affiorare un brivido sulla sua pelle, per via del contrasto tra quel calore e il freddo dell'aria condizionata. Una folata di profumo dolce e mieloso si insinuò nelle narici. Lo spiazzo su cui si appoggiava l'ultimo gradino della scala era un prato su cui spuntavano fiori selvatici. Santi non si accorse di sorridere davanti a quel miracolo della natura nel bel mezzo del cemento. Fece un passo in avanti, lo sguardo che ancora accarezzava i petali rosati sfumati di rosso, soffocati dall'erba, fino a quando si scontrò contro un petto solido, un profumo di ambra e muschio bianco. Lo inspirò a fondo, sollevò gli occhi, incontrò un paio di labbra carnose, un viso sporcato da un accenno di barba, cercò istintivamente gli occhi di quell'uomo, ma erano schermati dalle lenti scure di un paio di occhiali da sole. Il fremito che aveva avvertito si spense subito quando fece un passo indietro e riconobbe nell'uomo il nuovo guardaspalle che suo padre gli aveva affibbiato.

«Finito di giocare a nascondino?», domandò l'uomo, il tono di voce malizioso, le dita che gli stringevano il braccio con un tocco deciso, ma non prepotente come quello di Salvatore.

«Lasciami», lui si divincolò. «Come diavolo hai fatto?»

«Sono bravo nel mio lavoro. Ieri non ci siamo presentati, io sono Dominic. Per servirti».

Santi scosse la testa. Ci mancava anche il guardaspalle con il senso dell'umorismo. Cosa faceva pensare a quell'uomo che gli avrebbe fatto piacere conversare con lui? Osservò il movimento delle mani con cui Dominic si sollevò gli occhiali da sole sulla testa rivelando il colore castano degli occhi, caldo come il cioccolato. Santi si soffermò sulle dita lunghe, il palmo elegante, le unghie ovali e curate. Non era la mano tozza e squadrata che di solito apparteneva agli uomini di suo padre. Gli ricordarono le mani di sua madre, immaginò anche quelle di Dominic accarezzare i tasti del pianoforte, come qualche volta faceva lei, poi con un movimento veloce Dominic infilò la mano in tasca, vicino alla cintura, e Santi non era tanto ingenuo da non sapere che lì c'era una pistola. Dio solo sapeva come Dominic avesse utilizzato le sue mani eleganti, quali atrocità avesse commesso. Qualsiasi stupido desiderio si fosse affacciato in lui morì davanti a quel pensiero.

«Io vado a piedi», disse.

«Sarebbe meglio usare l'auto».

«Non mi importa cosa credi sarebbe meglio», replicò Santi. Fece per andarsene, ma il palmo della mano di Dominic si spinse sul suo stomaco. Il sorriso era sparito dalle sue labbra.

«A me importa della mia pelle e se ti dovesse accadere qualcosa io sono fottuto».

Era la prima volta che un guardaspalle gli diceva le cose in faccia senza indorarle con patetiche scuse e, soprattutto, patetiche storie su quanto ci tenessero alla sua sicurezza. Santi aveva capito da tempo che a loro non interessava nulla di lui, ma solo le nefaste conseguenze in cui sarebbero incorsi se non avessero protetto il figlio del boss. Forse, poteva sfruttare la sincerità di quell'uomo a suo vantaggio.

«E va bene», concesse, «dov'è la tua auto?»

Dominic fece un gesto con la mano, invitandolo a camminare davanti a lui. Santi esitò, poi iniziò a camminare, sentendosi addosso gli occhi dell'altro. L'auto era solo a pochi passi di distanza, parcheggiata vicino al marciapiede di fronte. Santi si accomodò, sbuffando quando Dominic gli aprì la portiera, come se fossero a un appuntamento romantico. Aspettò che l'altro uomo si sistemasse al posto di guida e, mentre si infilavano nel traffico cittadino, decise di cercare le sue risposte.

Le mani di Dominic salde sul volante catturarono ancora la sua attenzione, sul collo notò spuntare il metallo di una catenina d'oro, poi, ancora, Santi pensò alla pistola. Distolse lo sguardo, rivolgendolo fuori dal finestrino, all'asfalto che sembrava farsi liquido per via dell'afa, alle auto gialle che caricavano residenti e turisti.

«Tu sai cosa sta succedendo alla mia famiglia?»

Dominic non distolse lo sguardo dalla strada. «A qualcuno non piace la droga che vendete e vuole venderla al posto vostro, in poche parole vuole farvi fuori».

«Niente di nuovo quindi». Santi aveva cercato di ignorare quello che succedeva attorno a sé, ma da quando sua madre lo aveva lasciato non era più stato possibile, non aveva potuto più ignorare la ragione della sua sofferenza. Dominic intanto aveva aperto il terzo bottone della camicia, sfiancato dal caldo. Quelle mani... come diavolo ci erano finite a lavorare per suo padre? A spacciare droga, a minacciare, a... Scacciò via quei pensieri, ma la curiosità stava avendo la meglio, nonostante si fosse ripromesso di non conoscere gli uomini che suo padre gli metteva alle calcagna. «Come ci sei finito a fare questo? Io ci sono nato, non ho potuto scegliere».

«Neanche io ho potuto», replicò l'uomo seccamente, come se gli avessero fatto una domanda stupida.

«Non ti piacerebbe fare altro?»

Dominic strinse il volante un po' più forte, una stretta quasi impercettibile, ma non per chi, come Santi, lo stava osservando così bene, e di lui osservava proprio le dita. «Qualche volta», disse Dominic, laconico, e si decise a staccare lo sguardo dalla strada per posarlo sul giovane.

Santi sentì le guance colorarsi di rosso, quando si accorse che Dominic si era reso conto di come gli stava fissando le dita. Maledetta pelle diafana su cui ogni rossore non poteva nascondersi.

Nello spazio ristretto dell'abitacolo e a quella poca distanza gli occhi di Dominic gli apparvero profondi, cioccolato in cui coglieva pagliuzze verdi. O era solo la luce abbagliante di metà mattina e la stanchezza a farglieli apparire in quel modo? E che importava a lui del colore degli occhi di un volgare guardaspalle? O di come fosse finito nelle tenaglie della malavita? A lui non doveva importare nulla. Dominic a differenza degli altri guardaspalle con cui aveva avuto a che fare non lo guardava come se fosse un aspirante artista stupido e fuori dal mondo.

Santi tornò a guardargli le mani, ma fu solo per un momento, perché se ne sentiva allo stesso tempo attratto e inorridito. Tirò fuori il telefono e con il suo paio di fedeli cuffiette si isolò dal mondo, almeno fino a quando non arrivarono sulla Fifth Avenue, davanti al palazzo lussuoso che ospitava la penthouse di famiglia.

«Sta' qui», disse Dominic, prima di spegnere il motore. Uscì dall'auto e l'aggirò fino a raggiungere il lato passeggeri, poi aprì lo sportello di Santi.

Santi pensò che non c'era bisogno di darsi tanta pena. A lui non importava di morire.

«Non mi importa», disse ad alta voce.

«Cosa?»

«Di morire, di finire invischiato in un regolamento di conti, presto o tardi è la fine che facciamo tutti, anche noi civili. Se non sono i nostri a farlo, è la polizia durante qualche arresto».

Dominic corrugò la fronte, visibilmente infastidito. «Non funziona così».

Santi non aveva intenzione di discutere con lui, che ne poteva sapere? Era chiaro che ancora non conoscesse ciò di cui suo padre e i suoi simili erano capaci, e lui di certo non biasimava la polizia se sparava per difendersi. La brezza che si era alzata rendeva il caldo più sopportabile, erano gli ultimi scampoli di una primavera infuocata, con temperature più alte del solito. Santi contemplò il parco in lontananza, avrebbe avuto voglia di andarci e raggiungere il suo posto preferito, ma non se la sentiva di avere Dominic tra i piedi anche lì. Fu sul punto di avvicinarsi al portone, quando un guaito catturò la sua attenzione. Sul ciglio del marciapiede un batuffolo di pelo lo fissava con occhi grandi e smarriti.

«Che fai?» Dominic lo trattenne per un braccio.

«Credi che ci sia una bomba in un cane? Che cavolo, sei ancora più idiota di Salvatore». Vide il volto di Dominic contrarsi, l'uomo serrò le mascelle, lo lasciò andare. Santi provò un infinito senso di soddisfazione per averlo messo al suo posto, ma quel sentimento sfumò non appena si inginocchiò accanto al cucciolo. Gli uomini come Salvatore e come Dominic non prendevano bene le provocazioni, non accettavano di essere sminuiti e potevano architettare le peggiori vendette per quelli che avevano leso la loro immagine.

Santi strinse il cane al petto, non poteva avere più di sei mesi e a giudicare dal suo aspetto era stato abbandonato, chissà da quale quartiere arrivava con quel caldo. «Non ucciderlo, per favore», pregò.

«Credi che uccida tutto ciò che mi capita a tiro? Alzati».

Santi ubbidì, vide gli occhi dell'altro posarsi sul cucciolo, lo vide allungare una mano, si ritrasse istintivamente, ma le dita lunghe ed eleganti di Dominic accarezzarono la testa dell'animale. Chissà se erano morbide come sembravano.

«È ferito», lo riscosse Dominic, «andiamo».

Santi lo seguì fino all'interno dell'edificio. Davanti alla porta d'ingresso c'era il solito guardaspalle che rivolse a entrambi un'occhiata stupita, ma non disse nulla. La casa era vuota, i loro passi risuonarono sul pavimento di granito. Santi andò in cucina, dopo essersi liberato dello zaino e dei libri. Prese una ciotola e vi versò dell'acqua. Il cucciolo, un meticcio, gradì e cominciò a scodinzolare, ma c'era il problema della ferita alla zampa.

«Serve un veterinario», rifletté Santi ad alta voce, «ma potrei disinfettarlo, intanto». Vide Dominic sedersi al tavolo bianco, accavallare le gambe, rilassarsi contro lo schienale. Si morse le labbra. «Hai intenzione di fare qualcosa?»

Un sorriso malizioso increspò le sue labbra. «Sono pagato per proteggerti, non per giocare con te a fare il dottore».

«Ma che cavolo...»

«Non so dove tenete l'occorrente per disinfettare la zampa di un cane».

«In quel mobile». Santi indicò un angolo accanto alla credenza vicino alla porta. Si era dimenticato che Dominic era nuovo, che non conosceva la casa come Salvatore. Gli sembrava un volto famigliare, nonostante lo conoscesse da poche ore. Intanto il cane aveva smesso di bere e si era accucciato. Dominic gli si avvicinò con l'occorrente per disinfettarlo.

«Deve aver fatto molta strada, ma è un buon segno che sia vivace», disse.

«Te ne intendi di animali?»

«In un certo senso. Di cosa ti intendi tu?»

Santi sedette sul pavimento, lo aiutò a tenere fermo il cane. «Come se non sapessi già tutto di me, cosa lo chiedi a fare?»

«Di te so quello che mi ha detto tuo padre, ma potrebbe non conoscerti bene come crede. Ti ho chiesto cosa ti piace non quello che fai».

Santi evitò il suo sguardo. Perché voleva fare l'amico? Non lo sarebbe mai stato, né un amico né nessun'altra cosa. Lasciò andare il cane non appena Dominic lo ebbe disinfettato. Si alzò e si appoggiò con la schiena a un mobile.

«"Le rose erano tutte rosse"», cominciò.

«"E l'edera tutta nera"», Dominic completò il verso per lui. «Verlaine. È questo quello che ti piace, quindi? La poesia francese?»

Santi rimase senza parole. Non si aspettava che un uomo del genere avesse a cuore gli animali e la poesia. A un uomo del genere non doveva essere concesso di avvicinarsi a qualcosa di tanto puro e delicato. Non doveva essere permesso di causargli un tuffo al cuore mentre recitava versi francesi. La cosa peggiore era che non poteva essere un trucco per impressionarlo: nessuno sapeva della sua passione per il simbolismo francese. Se lo era tenuto per sé, come un segreto da stringere al petto, che nessuno poteva sporcare di sangue.

«Studio letteratura, qualche volta scrivo poesie, e mi piace la poesia francese», disse cercando di apparire il più freddo possibile.

«Io non riesco a scrivere, butto sempre tutto dopo il primo verso», gli confidò Dominic.

I passi pesanti e decisi di suo padre irruppero nella conversazione. Santi lo aveva riconosciuto ancor prima che si affacciasse sulla soglia, e riconobbe anche i passi che lo accompagnavano.

Vincent comparve dietro don Carmelo, lo sguardo subito attratto dal cucciolo che adesso scodinzolava ai suoi piedi. «E questo? Da quando raccogliamo gli animali e le loro pulci?», domandò sarcastico.

«Esigerei una spiegazione, se non ti dispiace», gli fece eco don Carmelo.

Santi era pronto all'ennesima predica su quanto fosse scarsamente dotato di senso pratico, di come la casa non poteva trasformarsi in uno zoo per salvare tutti gli animali in difficoltà, ma Dominic lo precedette: «È colpa mia, il cane si era attaccato a noi e non volevo perdere tempo là fuori, mentre tentavamo di capire se avesse una medaglietta».

«Hai fatto la cosa giusta», concesse don Carmelo, «dobbiamo stare attenti a tutto. Santi, tienitelo se vuoi, ma non trattenerti mai fuori da solo».

«Sempre tutte vinte», sussurrò Vincent, con l'aria di chi aveva mandato giù troppi rospi. Santi non capiva quali fossero, dato che era il rampollo su cui suo padre puntava. Rivolse uno sguardo di gratitudine a Dominic, ma quello si era calato sul volto la maschera di uomo freddo, che aveva odiato toccare e prendersi cura dell'animale. Quando aveva finto? Adesso o prima?

«Andiamo, ho bisogno di parlarti», disse don Carmelo, fissando il suo sguardo severo su Dominic.

L'uomo lo seguì senza battere ciglio, e ogni illusione si infranse nel cuore di Santi. Dominic aveva finto con lui prima per carpire la sua fiducia, per manipolarlo meglio nel caso ce ne fosse stato bisogno, e anche se avesse amato sinceramente gli animali e le poesie, rimaneva come il resto degli uomini che aveva conosciuto e che circondavano suo padre: guidati dall'odore dei soldi e del sangue.

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