Tristezza negli occhi tuoi

Ludovica

Passarono giorni e giorni interi senza una chiamata o un messaggio, non aveva avvisato nessuno, nemmeno Lorenzo aveva idea di dove si fosse cacciato Filippo. Solo sua nonna pensò di darmi sue notizie, era tarda notte, circa due giorni dopo la nostra discussione, - anche se poi definirla così forse non è neanche giusto perché non mi aveva lasciato nemmeno il tempo di discutere - quando nel telefono mi arrivò un messaggio di Adriana.

Dopo quei giorni ne passarono altri, sempre più vuoti, sempre più bui, talmente inutili che sembravano non aver senso di essere vissuti, talmente desolanti da lasciarmi un buco incolmabile dentro.
Dopo la mostra avevo ricevuto una grande offerta di studio da parte di un'importante Accademia di fotografia con sede a Milano, ma avevo deciso di accantonarla perché ora il pensiero più importante era Filippo, la sua felicità e serenità e soprattutto perché non sarei stata in grado di gettarmi in un progetto professionale così grande e ambizioso mentre tutte le mie certezze stavano inevitabilmente crollando come castelli di carte.

Era novembre, era passato da poco il mio compleanno che avevo deciso di non festeggiare, era passato anche il primo anniversario con Filippo ma lui sembrò essersene dimenticato, erano passati giorni che avrei voluto cancellare per sempre dalla mia memoria. Le persone a me più care cercavano di starmi vicino nonostante fosse davvero un periodo duro e io fossi realmente intrattabile, la loro presenza era costante e il loro sostegno era l'unica ancora di salvezza a cui aggrapparmi.
Il giorno dopo la litigata avevo preso un treno, lasciato Milano ed ero tornata a casa mia, distaccandomi per un po' da quella città e da tutto ciò che mi facesse ritornare alla mente Filippo.
Filippo.
Filippo.
E ancora Filippo.
Nonostante fossero passati giorni, nonostante mi facesse così tanta rabbia dentro il fatto di non aver ricevuto nemmeno un misero messaggio da lui, nonostante stentassi a ricordarmi cosa significava stare bene insieme, nonostante tutto lui era il pensiero costante delle mie giornate, ciò che mi faceva vivere ma allo stesso tempo mi divorava dentro. Ciò che mi aveva salvata, ma adesso mi stava gettando in un baratro.

Era mattina presto ed ero ferma sul letto a fissare il soffitto bianco, quel dannato soffitto che ormai fissavo ogni mattina per minuti infiniti cercando di trovare un senso a tutta quella tristezza che sentivo nell'anima. Lo squillo del cellulare mi risveglia dai miei pensieri, leggo il nome sul display e a stento riesco a crederci.


Dopo quel messaggio la mia testa, se possibile, è ancora più confusa, da una parte vorrei correre a Milano, abbracciarlo, baciarlo e dirgli che tutto passa, dall'altra vorrei ripagarlo con il suo stesso silenzio, sparendo come ha fatto lui, senza nemmeno preoccuparsi; poi c'è un'altra parte ancora che vorrebbe sbattergli in faccia tutto il dolore, la tristezza, la delusione passata in questi giorni, capitargli davanti e dirgli guarda come mi hai ridotto.
Non lo so.
Non lo so.
Non lo so.
Forse la soluzione migliore è quella di salire su quel treno quel pomeriggio, raggiungerlo a Milano e parlare, parlare e ancora parlare - sempre che ci sia ancora qualcosa da dire.

Fa freddo, fa terribilmente freddo per essere solo Novembre. Sono su un treno che mi sta portando a Milano, con la testa appoggiata al vetro e mille paure che mi attanagliano il cervello. Il paesaggio che scorre sembra sempre uguale, sempre lo stesso, sempre dannatamente identico a quello di cinque minuti fa; o più semplicemente sono io che sto guardando fuori, ma la testa è altrove, da tutt'altra parte.
A metà viaggio, il paesaggio inizia a colorarsi di bianco con dei soffici fiocchi che scendono copiosi dal cielo e subito i miei ricordi vengono catapultati in quella notte monzese. Quella notte così bella che a pensarci il cuore si scioglie un po', fatta di cristalli di neve, di note indimenticabili, della sue pelle calda, del suo tocco morbido e del suo profumo inconfondibile

A metà viaggio, per un guasto elettrico il treno è costretto a fermarsi nella stazione di Fidenza, tutti i passeggeri costretti a scendere e ad aspettare nuove coincidenze.
Mi ritrovo in una stazione che non conosco, in una giornata gelida quasi come il mio sguardo, su una panchina fredda e con il cuore in tutt'altro posto. Inizio a pensare, a pensare a quante vite passano al giorno in una stazione, a quanti addii e quanti amori avranno visto questi binari, a quante lacrime versate forse proprio su questa panchina, a quante dichiarazioni d'amore consumate in questi sottopassaggi, di quanto dolore, amore, sofferenza, gioia, solitudine, delusione avranno vissuto questi binari. Inevitabilmente penso a Filippo, di nuovo lui, di nuovo la sua immagine impressa nella mia testa come se fosse talmente indelebile che neanche la rabbia riesce a cancellarla.
Purtroppo il guasto si rivela più grande del previsto e anche le coincidenze iniziano a portare ritardo, minuti di attesa che sembrano infiniti, che aumentano sempre di più e le ore che scorrono velocemente, il telefono scarico, nessuna possibilità di avvisare Lorenzo o Filippo e la mia agitazione che cresce sempre più.
È ormai buio quando arriva la coincidenza e mi trovo di nuovo sul sedile blu di un treno che tra qualche fermata mi avrebbe fatto scendere a Milano, ad osservare il paesaggio scorrere fuori dal finestrino sporco.
Metto il telefono in carica e appena si riaccende mi precipito su whatsapp per avvisare Lorenzo del disguido.

Irama

Sono mesi che le cose stanno andando di merda, davvero di merda. La casa discografica non sta facendo la giusta promozione, non mi capiscono, non mi ascoltano. Sono giorni interi che faccio avanti e indietro per portargli dei nuovi singoli inediti da ascoltare, ma le loro parole continuano ad essere le stesse: forse è il caso che scrivi per altri cantanti, non è la strada adatta a te, la gente sta iniziando a non seguirti più e mille altre puttanate in grado di frantumarmi le ossa ogni volta.
Mi sento davvero uno schifo, a volte anche un po' idiota. Idiota, uno stupido idiota che continua a credere in un sogno che sembra non poter realizzarsi, che continua a sperare in qualcosa che non accadrà mai, che continua a sperare che le persone continuino a supportarlo anche se sta sparendo giorno dopo giorno. Un idiota, davvero un idiota.
Al mattino quando mi alzo l'unica cosa che riesco a fare è farmi schifo. Schifo. Talmente schifo da non riconoscere più nemmeno la mia figura contro lo specchio, da sentirmi talmente riluttante, talmente vuoto da aver solo un pensiero in testa: quello di addormentarmi e non svegliarmi più. Sono stufo, stufo di sentirmi ripugnante, indegno, fallito, svuotato da qualcosa che mi sta lentamente divorando dentro.

Le uniche persone che sono al corrente della situazione sono Lorenzo e Giulio, loro che in questi mesi non mi hanno mollato un momento, che ogni giorno continuano a combattere al mio fianco per dei diritti che la casa discografica mi sta rifiutando. Loro che anche quando ho cercato di sparire, di dileguarmi dalle loro vite per non portarli a fondo con me ci sono stati, hanno resistito al mio carattere di merda, al mio essere intrattabile, mi sono stati accanto e quando ci penso non so nemmeno cosa posso aver fatto per meritarmi una fortuna tanto grande.
L'altra persona a cui ho dovuto dirlo è stata mia nonna, da settembre fino ad ora mi sono rifugiato a casa sua e quindi di conseguenza ho dovuto raccontarle tutto. E mi ha fatto così male, ma così tanto male vedere nei suoi occhi il buio della delusione, sentire quella voce di nuovo spenta come un anno fa che avrei voluto scomparire dalla faccia della Terra per non vedere nessuno soffrire per colpa mia.
L'unica a cui non ho raccontato nulla è stata Ludovica, l'unica a cui non avrei voluto fare male, ma che forse involontariamente ho fatto soffrire più di tutti. Mi sono allontanato, così senza dare troppe spiegazioni, sono sparito, ho lasciato l'unica ancora in grado di tenermi saldamente attaccato a questo mondo. Ho fatto finta di dimenticarmi l'anniversario, la mostra fotografica persino il suo compleanno, e Dio solo sa- si solo Dio - quanto male mi abbia fatto tutto questo, tutto quel cercare di dimenticare, quel mettere da parte l'unica cosa che da un anno ad oggi mi aveva fatto sentire di nuovo vivo, per scordare di averla amata, per scordare la persona che ero diventato accanto a lei.

Ma ora mi ritrovo qui, dentro ad un camerino troppo stretto e angusto, buio e senza confusione. Quella confusione - Dio, quella dannata confusione - che solo Ludo e Lori sapevano fare, quel casino che rendeva tutto magicamente più bello, che mi faceva sparire in un attimo quel nodo alla gola che sento.
Lei non c'è, Lori la sta chiamando da ore ormai e io non riesco nemmeno ad alzarmi in piedi, le gambe non mi reggono e la testa mi fa male, senza di lei sembro un automa, senza di lei la vita è diventata semplicemente un susseguirsi di movimenti privi di riflessi, privi di felicità.
Lori rientra dopo aver spento l'ennesima sigaretta e per l'ennesima volta mi dice che non risponde, che non riesce a rintracciarla; e io penso. Penso a che fine abbia fatto, penso al perché un'ora fa non era in stazione, penso che potrebbe averci ripensato e cazzo - avrebbe fatto pure bene, uno stronzo come me non merita niente.
E penso.
Penso.
Penso ancora.
E la testa inizia a girare, le gambe tremano quasi fossero in preda ad una convulsione, le mani sudano e le tempie sembrano esplodere.
E inizio a tremare tutto quasi fossi in balia di una crisi, a sentire quel nodo in gola che si ingrossa, sempre di più, sempre di più quasi a togliermi il respiro e per un attimo credo - o forse spero - che lo faccia.
"Filo cazzo!" sento le mani di Lorenzo scuotermi le spalle, come a svegliarmi da un brutto sogno, riapro gli occhi e vedo la mia figura riflessa nello specchio e continuo a farmi schifo con quel colorito biancastro in volto e quegli occhi umidi e dannatamente spenti.
Vedo Lorenzo guardarmi, guardarmi come forse non ha mai fatto, con quella delusione e preoccupazione negli occhi che per l'ennesima volta da giorni a questa parte mi fa sentire una merda, mi fa sentire una brutta persona perché io un amico - o meglio un fratello - come Lorenzo nella mia vita non lo meritavo.
Si siede davanti a me e mi aiuta a respirare.
Inspira ed espira.
Inspira ed espira.
Come se non l'avessi fatto mai, come se non fosse un riflesso involontario, come se il mio corpo non fosse più in grado di farlo da solo.

"Due minuti e tocca a te" la porta si spalanca e la voce di una ragazza sorridente e vivace invade la stanza che fino ad ora era stata silenziosa. Silenzio. Quel cupo silenzio che non mi piaceva, che mi faceva sentire ancora più vuoto.
Mi alzo dalla sedia, le mie gambe ancora non reggono e Lorenzo deve sorreggermi con le braccia sostenendomi, accompagnandomi fuori da quel camerino con la speranza che quello appena accaduto si trasformi solo in un lontano ricordo. Anche se in cuor suo Lorenzo lo sa, lo sa che è solo l'inizio di qualcosa che sembra già irrecuperabile, che sembra talmente grande che non sa se riuscirà a superarlo- se riusciremo.

Salgo su quel palco con il morale a zero, la testa che continua a pulsare urlando un solo pensiero: Ludovica.
Ludovica dov'è?
Ho bisogno di lei. Dei suoi occhi. Del suo sorriso incoraggiante. Di sentire il suo profumo.
La gente applaude, alcuni urlano il mio nome.
Irama! Irama! Irama!
Ma il mio unico pensiero rimane lei. E la testa che gira. E la nausea disgustosa.
La cerco in ogni sguardo davanti a me. Non c'è. Ludovica.
Sento il vuoto dentro. Sento il corpo venir meno. Le gambe cedono.
Ludovica.
Non ce la faccio.
Scendo dal palco con le poche forze rimaste, qualche lacrima che mi solca il viso e di nuovo quella sensazione di vuoto.
Il mormorio della gente che non capisce cosa stia succedendo e che si preoccupa per me.
La voce del presentatore che dice che sto avendo qualche problema di salute, che non sto bene. È vero, sono mesi che non sto bene, che non ricordo nemmeno cosa voglia dire stare bene.
"Non ce la faccio." Quattro parole e Lorenzo capisce tutto.
"Ti porto a casa Filo, tranquillo andiamo via."

Ludovica

Ricevo questo messaggio da Lorenzo, non una parola di più, non capisco cosa possa essere successo ma corro, corro, corro. Corro finché mi reggono le gambe, corro perché la meta da raggiungere è l'unico luogo in cui dovrei essere, corro perché ho paura. - dannata sensazione che ormai si è impossessata di me da mesi - Paura di non arrivare in tempo, paura che succeda qualcosa di irreparabile, paura di non farcela. Paura di non riconoscerlo più. Paura.
Filippo.
Paura.
Due parole che continuano a viaggiare nella mia mente.- muoviti che lui ha bisogno di te!
Stazione Centrale. Metro. Chiamo un taxi per raggiungere al più presto casa di Lorenzo.
Suono al citofono, mi ci attacco proprio, con il dito indice spalmato sul pulsante e il cuore che batte di paura, quasi di inquietudine, quasi scoppia.

"È chiuso in doccia, non so cosa fare Ludo, non so davvero co.." interrompo Lorenzo abbracciandolo e guardandolo dritto negli occhi, dal suo sguardo capisco solo una cosa che ha paura.
Anche lui. Anche lui si sta facendo divorare dalla paura di non riuscire a percepire i segnali del suo amico. Anche lui ha paura di non riconoscerlo più. Anche lui ha paura di non poterlo salvare. - non questa volta.

Entro nella stanza da bagno, l'unico rumore che si sente è quello dell'acqua che continua a scorrere dal rubinetto della doccia. Inesorabile. Scorre e sembra cercare di lavare via tutti i problemi.
Lo vedo lì, inerme, solo, talmente indifeso da fare quasi tenerezza, così fragile da spezzarsi da un momento all'altro. Mi avvicino ed entro nella doccia con lui, non mi interessa se mi si stanno bagnando i vestiti, se il trucco colerà, se i capelli non saranno più in piega perfetta, ho bisogno di sentirlo vicino.
Ci troviamo così tanto vicini che le nostre gambe sono incastrate, che la posizione è talmente scomoda da farmi dolere un po' le costole, ma non importa. Non importa se in quella doccia due persone non riuscirebbero ad entrare, se il dolore alla costola un po' toglie il respiro, non importa perché se sono accanto a lui sento di essere sempre nel posto giusto.
"Scusa Fil, scusa, non ho fatto in tempo ad arrivare...è che il treno ha avuto un guasto, il telefono scarico, mille altri imprevisti, ma non mi perdonerò mai di non esserci stata" lui alza di poco gli occhi e li fa incrociare con i miei - Dio che fitta al cuore, Dio quanto sono belli, Dio quanto lo vorrei baciare - e per un istante sorride, sorride di un sorriso più spento di come lo ricordavo però, meno luminoso.
"Sono salito su quel palco e sapevo di non trovarti dietro le quinte ad aspettarmi, ti ho cercata negli occhi delle persone e non c'eri...mi sono sentito anche male poco prima dell'ingresso, male come non mi ero mai sentito ed è incredibile come fino a cinque minuti fa pensavo non mi potessi sentire meglio e invece ora come per magia sto bene...riesci sempre a tranquillizzarmi e ancora devi spiegarmi come fai.
Sai cosa mi ha fatto paura? Che in questo periodo, stasera soprattutto, ho capito che non riesco ad essere più la solita persona, non sono più me stesso se non ci sei tu affianco e questo mi terrorizza." così semplice, con qualche pensiero buttato fuori in quel modo per bisogno, per necessità.
Poi all'improvviso il silenzio. Silenzio. Ma quel silenzio vuoto, privo di qualsiasi sensazione, quel silenzio che invade le emozioni e ci toglie il colore, trasformandole in un bianco triste, asettico.
Nel cuore di nuovo quella sensazione di paura, quella dannata paura. La paura di non riuscire più a riempirlo quel silenzio, di non riuscire più a capirlo, di non riuscire più a cogliere le sfumature o i segreti che si nascondono dietro. Prima ci bastava uno sguardo per intenderci alla perfezione, per far quadrare di nuovo tutto, adesso non riusciamo più a ritrovarci, a sentirci anche senza parole. E fa paura, fa terribilmente paura perché ha lo stesso odore del buio, ha quello stesso maledetto odore. La sensazione di sentire lontano una persona, di perderla come se l'avessi tra le mani ma fosse così vischiosa da caderti tra le dita, da scivolarti e non riuscire più a recuperarla. Quell'infernale sensazione di vuoto, di buio, di paura.

"Anche se forse scusa te lo dovrei chiedere io. Sai che con le parole non sono mai stato bravo, che non riesco ad esprimermi come vorrei...ho voluto nasconderti le cose per cercare di non farti soffrire, ma in questo momento i tuoi occhi mi stanno dicendo che forse ti ho fatto ancora più male facendo così. Le cose in casa discografica non stanno andando bene Ludo, per niente...continuo a chiedere di buttare fuori un disco, a proporgli nuove canzoni ma sembra che sia un pazzo...non ci sono mai, non mi rispondono nemmeno alle chiamate e questa cosa mi sta davvero massacrando. È davvero un mondo di merda, mi fa schifo, io ho bisogno di fare musica - Dio, sai quanto ne abbia bisogno - però la musica per me è arte, per loro sembra contare solo il denaro, solo quei cazzo di soldi!
Me ne hanno dette di tutti i colori: di volare basso, che non sono una popstar di fama internazionale e non posso pretendere nulla, che non è il momento per un nuovo album, non è il momento.
Non è il momento.
E tutte le notti mi addormento con quella cazzo di voce in testa che mi dice che non è il momento.
Mi sento un fallito, un maledetto burattino bravo solo a sputare canzoni per qualcun altro." le lacrime gli solcano le guance più magre di come le ricordavo e gli segnano la pelle diventata più bianca, mi avvicino piano cercando il contatto con lui, ma ad ogni tocco si irrigidisce sempre di più.
"E sai qual è la cosa che mi spezza? Che ho cercato di tenerti fuori da tutto questo dolore, da questo inferno ma guardandoti negli occhi li vedo spenti, vuoti e so che è colpa mia, maledettamente colpa mia." si avvicina per accarezzarmi dolcemente la guancia poco prima di alzarsi e lasciarmi lì un'altra volta da sola con la voglia di spaccare qualsiasi cosa e lasciarmi sopraffare dalla rabbia.

Lorenzo

Sento il frastuono del portone di casa che interrompe il silenzio di quella sera. So già che se n'è andato per l'ennesima volta, chissà dove, chissà fino a quando e che l'ha lasciata sola in quel bagno senza nemmeno degnarla di una spiegazione.
Mi fermo per un istante sullo stipite della porta, lo scorrere dell'acqua mischiato ai singhiozzi di Ludovica che mi lacerano un po' il cuore, lei lì, sotto il getto dell'acqua ancora con i vestiti zuppi addosso, il trucco colato che le segna il viso e si mischia al sapore delle lacrime, gli occhi arrossati dal pianto e le ciocche di capelli da cui cadono piccole gocce di acqua.
Mi avvicino lentamente e - potessi prenderlo a pugni per il dolore che le sta causando, solo quel pensiero...Dio ma non riesce a vederlo quanto è disposta a stare male per lui? - la prendo in braccio, la sorreggo come quella sera che quasi non stramazzò al suolo, la tengo tra le braccia e sembra quasi una bambina. Così delicata, insicura e fragile che ho persino paura di parlare.
Le pulisco il viso con un asciugamano dalle tracce di trucco sbaffato, prendo il phon e le asciugo dolcemente i capelli accarezzandole la testa con le mani, poi le lascio il tempo di cambiarsi e infilarsi una mia maglietta e un paio di pantaloni asciutti. Sta dentro a quella stanza per minuti che sembrano non passare mai, mi avvicino di nuovo preoccupato da quella situazione e la trovo seduta sul bordo della vasca con le mani sul viso e gli occhi fissi in un punto del pavimento.
"Io non so se ce la faccio Lori, non lo so...È così difficile, mi sembra di non riconoscerlo più e non lo so...non so se sono abbastanza forte e ho la lucidità giusta per stargli vicino..."
Le alzo delicatamente il viso e le sorrido, non so cosa altro fare, non so cosa altro dire. Sono il primo a non capire più Filippo e credevo che una cosa così non mi potesse mai capitare, che una sensazione così brutta e fissa nello stomaco non la potessi mai sentire.
"Io non lo so se passerà, mi sembra di non sapere più niente ultimamente. Però tu sei fortissima, più forte di quanto immagini e l'essere venuta fin qui stasera dopo tutto quello che hai passato lo dimostra, ora vieni ti porto a letto così cerchi di riposare un po'."
La accompagno nella mia stanza, la metto sotto le coperte, gliele rimbocco e sto lì ad accarezzarle i capelli finché i singhiozzi cessano e i respiri si fanno più profondi.

Irama

Faceva freddo quella sera a Monza, così freddo che le mani mi tremavano. - o forse quel tremolio era generato semplicemente da quella dannata sensazione di aver sbagliato tutto, di star mandando a puttane l'intera vita - Ero uscito di corsa da casa di Lorenzo, con addosso i vestiti ancora umidi, solo una giacca leggera presa di fretta dall'attaccapanni e i capelli ancora completamente bagnati.
Ero dovuto scappare via per l'ennesima volta perché si era ripresentata nella testa quella vocina, quella maledetta voce - non la meriti, una persona così nella vita non la meriti - che diceva solo la verità. Una verità che faceva talmente male da accettare che forse una coltellata nel petto mi avrebbe fatto soffrire di meno.
Ero fermo ai bordi di una strada deserta e buia, i fari della macchina che illuminavano il desolato paesaggio intorno, la radio sparata al massimo volume, la centesima sigaretta tra le dita e lo sguardo perso nel vuoto. - che poi tanto vuoto non era, fissa nella testa l'immagine degli occhi spenti e tristi di Ludovica -
I pensieri affollati vengono interrotti da una melodia, che riconosco quasi subito dalle prime note. La voce di Guccini riempie l'abitacolo e un po' anche la mia testa - per fortuna - lasciandomi libero almeno per quei tre minuti.

"Vorrei restare per sempre in un posto solo
per ascoltare il suono del tuo parlare
e guardare stupito il lancio, la grazia, il volo
impliciti dentro al semplice tuo camminare
e restare in silenzio al suono della tua voce
o parlare, parlare, parlare, parlarmi addosso
dimenticando il tempo troppo veloce
o nascondere in due sciocchezze che son commosso.

Vorrei cantare il canto delle tue mani,
giocare con te un eterno gioco proibito
che l'oggi restasse oggi senza domani
o domani potesse tendere all'infinito.

E lo vorrei
perché non sono quando non ci sei
e resto solo coi pensieri miei ed io..."

E per tutta la durata della canzone ho desiderato la voce di Guccini potesse unirsi a quella della ragazza con i ricci castani come quelle sere in cui cantare in macchina era il nostro passatempo preferito, e per tutta la durata della canzone ho desiderato fosse qui accanto a me e per tutti quei tre minuti mi sono ripetuto in testa almeno un miliardo di volte quanto fossi stato coglione, - Filippo sei un coglione, un emerito coglione! - e per tutta la durata della melodia, fino all'ultima nota il pensiero è stato uno solo: torna da lei, perché senza Ludovica non sei più niente, non sei più lo stesso.

Appena entrato in casa incontro Lorenzo e la sua faccia scura, con i tratti del viso rigidi quasi volesse urlarmi contro le cose peggiori, quasi volesse appiccicarmi con la faccia contro il muro, - e quanto vorrei che lo facesse, quanto lo capirei se lo facesse - lascio perdere, mi dirigo verso camera sua ed entro. Lei è lì, sotto al piumone blu, coperta fino al naso, con solo la parte degli occhi fuori. I capelli che le ricoprono il viso e gli occhi ancora gonfi per il pianto, respira lentamente, tranquillamente come se la tristezza fosse riuscita ad eliminarla. Mi siedo sul bordo del letto, accanto a lei, le accarezzo dolcemente la guancia finché non si sveglia; i suoi occhi nei miei e quella sensazione di serenità.
Calma.
Pace.
Quiete.
"Scusa, sono uno stronzo...è che ero in macchi-" si avvicina e mi bacia, mi bacia appassionatamente, la mia lingua con la sua che danzano, che si incastrano, che sembrano nate per muoversi insieme. E quanto cazzo mi era mancata quella sensazione, quanti mesi erano passati dall'ultima volta che avevo sentito il suo odore sulle mie labbra. - Dio, quanto è bella, quanto mi è mancata, quanto vorrei che questo istante fosse infinito, quanto vorrei poter cancellare tutto il male degli ultimi mesi -
Mi infilo sotto al piumone con lei, sopra di lei, le sue mani tra i miei capelli come se mi volesse attirare ancora di più a sé, il suo respiro caldo sulla mia pelle, infilo le mani sotto la maglia e le accarezzo piano la schiena, - ho voglia di lei - "Ho voglia di te Fil", le sorrido e la spoglio piano, delicatamente godendomi ogni istante. Sono passati mesi dall'ultima volta, ho bisogno di sentirmi di nuovo vivo e solo lei è in grado di farmi sentire così. Le bacio ogni singolo pezzetto di pelle, lei posa le sue labbra morbide sul mio collo, io le lascio tanti piccoli baci lungo la spalla, tra i seni, le sue mani sulla mia schiena, le sue unghie sulla mia carne, mi stringe, la stringo - quasi avessimo paura non fosse vero, quasi avessimo paura di star vivendo un sogno - geme sotto ogni mio tocco, la sua mano che mi sfiora, la mia che delinea i suoi contorni perfetti.
I respiri mischiati, il suo profumo che diventa il mio e viceversa, il suo tocco caldo che mi manda in tilt, le vite che sembrano riprendere a girare nel verso giusto. È qualcosa simile al Paradiso, è qualcosa simile alla perfezione.
Ci stringiamo le mani più forte, uno accanto all'altra, la pelle nuda coperta solo dal lenzuolo e il cuscino che profuma di lei.
"Mi sei mancata, non so spiegarti neanche quanto cazzo mi sei mancata..." sussurro, un sussurro e il suo sorriso che riesce ad illuminare la stanza buia.

Angolo autrice

Buon venerdì a tutti!
Eccoci qui con un nuovo capitolo molto intenso, per la prima volta sono davvero soddisfatta di ciò che ho scritto 😍
Vi devo ringraziare ancora di cuore ❤️ per tutto, continuate a commentare e a dirmi cosa ne pensate...ormai la storia sta per finire, mancano circa 3/4 capitoli...😱
Buon fine settimana e un grosso abbraccio!
~R. 🦋

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