Cosa resta oltre al dolore?
Ludovica
Era Marzo, i primi accenni della primavera nel cielo, nei colori delle piante, nella voglia di stare fuori fino a tardi a godersi l'aria fresca, di togliersi i cappotti e indossare quei bei vestiti primaverili pieni di fiori, nella voglia di allegria e di emozioni positive da respirare talmente tanto da farsele entrare nei polmoni.
Io invece, quest'anno, percepivo tutto in maniera diversa. Erano ormai sei mesi che continuavo a combattere con tutte le mie forze per cercare di salvare Filippo, mesi che mettevo da parte anche l'ultimo briciolo di dignità per stargli accanto, mesi che mi sembrava di vivere in apnea: non mangiavo, non dormivo, non uscivo, non ridevo nemmeno più, mesi in cui tutta la mia vita gravitava intorno a lui. Mesi passati ad accudirlo come se fosse un neonato, mesi che guardandolo dormire stentavo a riconoscerlo, mesi in cui riflettendo la mia immagine allo specchio stentavo a riconoscere addirittura me stessa, mesi interi passati a piangere tutte le lacrime che avevo in corpo, mesi in cui mi sentivo vuota, assente, catapultata in un mondo che non mi apparteneva, mesi che non stavo più bene, che non ero più felice, mesi che mi sentivo costretta a vivere una vita che non era più la mia, mesi in cui trovavo rifugio solo nell'abbraccio di Lorenzo o di mia mamma, mesi in cui avevo allontanato le mie amiche più care, mesi che cercavo di trovare un senso a tutta quella sofferenza.
Mesi su mesi.
Mesi interi.
Un lasso di tempo troppo lungo.
Mesi che non riuscivo più a trovare me stessa.
Dal giorno del funerale di nonna Adri, le cose sono peggiorate di giorno in giorno, sempre di più. - sono andate totalmente a rotoli -
Ho sofferto tantissimo per la sua perdita, mi sono sentita mancare, i primi giorni ho sentito la sua mancanza fin dentro alle ossa, talmente forte da trapanare i pensieri. Cosi, all'improvviso, non c'erano più le sue chiamate, le sue parole di conforto, non avevo più un'ancora a cui aggrapparmi quando il mondo mi scivolava addosso, non avevo più la sua presenza costante che mi ricordava che dovevo prendermi cura di me, non c'erano più i suoi messaggi in piena notte, non c'era più il suo messaggio di buongiorno o quello della buonanotte, oppure la chiamata con la sua voce che sussurrava un semplice "ti voglio bene Lulù", non c'erano più un sacco di dettagli che continuavano a mancarmi come l'aria e si facevano sempre più presenti trasformando quell'assenza in un vuoto incolmabile.
Ma dentro di me cercavo di farmi forza, perché sapevo che Filippo ne aveva sicuramente più bisogno di me, allora per l'ennesima volta mettevo da parte i miei sentimenti a favore dei suoi, ricordandogli in ogni istante quanto lei tenesse a lui, quanto amore gli donasse costantemente, cercando di fargli capire che non era stato il dolore causato da lui a farla morire, perché se lei avesse potuto avrebbe scelto di restagli accanto all'infinito.
Cosi, ho passato notti intere a piangere di nascosto, nascondendo i singhiozzi nel cuscino per non farmi sentire e non farlo preoccupare, ore e ore rinchiusa nelle quattro mura del bagno di casa di Lorenzo chiedendomi perché se ne fosse andata così, senza riuscire a trovare una risposta, - una cazzo di risposta che non mi facesse sentire totalmente persa - con i rubinetti dell'acqua aperti per nascondere il rumore del pianto disperato, pomeriggi passati a fissare il muro bianco cercando di trovare un senso a tutta quella tristezza che albergava in quella casa, un senso a quelle lacrime che non smettevano mai, che non si placavano mai, che mi facevano bruciare gli occhi così tanto che a volte avrei voluto strapparmeli, un senso alla sua morte. - anche se, inconsciamente, sapevo benissimo che quelle cose così terribili un senso logico non ce l'hanno mai -
Sono riuscita persino a fare pensieri assurdi: come quello di fuggire per non dover affrontare quel dolore, pensando che forse lontano sarebbe stato semplice dimenticare, metterci una pietra sopra o cancellarlo dalla mente come se non fosse mai successo. Ho pensato di mollare tutto e tutti, senza dare una spiegazione, senza lasciare scritto niente, di prendere il primo aereo per qualsiasi destinazione e sparire per un po', per ritrovarmi o forse per perdermi ancora di più. Sono arrivata persino a pensare che tutte quelle cose sbagliate, che tutti quei mesi di dolore, di sofferenza fossero colpa mia, che forse se quei due ragazzi non avessero mai incrociato i miei piedi nel loro cammino la loro vita sarebbe stata diversa; di questo pensiero assurdo una sera stavo per parlarne con Lorenzo, stavo per sfogarmi con lui, stavo per buttargli addosso tutta la più cruda verità, ma poi il coraggio mi è mancato e tutto è sfumato in qualche discorso di circostanza fatto per mascherare il buio, il vuoto, le cose brutte.
Da quel maledetto giorno, forse per la prima volta, mi sono resa conto di non riuscire più a riconoscere Filippo.
Non c'erano più stati giorni buoni, giorni felici, giorni in cui tutto sembrava andare bene; restava solo un susseguirsi di giorni terribili, tutti uguali, fatti di urla e grida, di sfoghi di rabbia talmente violenta e distruttiva da fare paura, di pianti soffocati da urla di rancore, di sguardi talmente crudi da essere spaventosi.
Io, in questi ultimi giorni, ero arrivata ad un punto di non ritorno, stentavo a riconoscere la persona che ero diventata, non riuscivo più ad essere serena, a buttar giù quel groppo in gola che continuava ad ingrossarsi senza lasciarmi tregua. - addirittura non riuscivo più a trovare un motivo valido per continuare a stargli accanto -
Tutti i giorni mi urlava contro, - tutti i santi giorni - mi gridava insulti di ogni tipo, beveva fino a dimenticare persino il mio nome, buttava giù talmente tanto alcol da non reggersi in piedi e poi spariva per ore intere, ore ed ore nelle quali né io né Lori sapevamo dove si cacciasse, ore passate attaccati al cellulare nel vano tentativo di rintracciarlo, ore di preoccupazione e ansia così forte da far girare la testa, poi tornava a casa a qualsiasi ora del mattino e sull'uscio di quella maledetta porta non riuscivo più a vedere nei suoi occhi le cose belle, li vedevo neri, avevano cambiato persino colore, continuavo a vedere solo un abisso profondo che stava risucchiando tutta la felicità. - e un po' anche la mia anima -
Era passato circa un mese da quando, dopo l'ennesima litigata, dopo l'ennesima notte passata in bianco a reggergli la testa mentre vomitava, dopo l'ennesima bottiglia di vodka scolata fino a dimenticarsi persino di essere un uomo e non una bestia feroce, avevo deciso di allontanarmi.
Avevo deciso di prendere una pausa da tutto: da lui, da quel buio desolante, da quelle quattro tristi mura, da Monza, dalla mia vita vuota, ma soprattutto dall'amore incondizionato che continuavo a provare verso Filippo nonostante tutto.
Era come se avessi preso il mio cuore, strappandolo con le mie stesse mani e l'avessi riposto per un po' sul comodino: lontano dalle cose brutte, lontano dalle grida, lontano da tutto ciò che potesse fargli ancora del male; per cercare di dargli un attimo di pace, per fargli recuperare qualche battito perso, per farlo riprendere. - anche se, senza Filippo accanto, risultava di un colore più spento, non brillava più di quel rosso vivo e felice come le emozioni che provavo insieme a lui, ma soprattutto, sembrava non battesse neanche più allo stesso modo -
Era un mese intero che non avevo più una motivazione nella vita, uno scopo, un obiettivo; come se si fosse svuotata all'improvviso e mi fossi trovata catapultata in una realtà che sembrava non appartenermi.
Lui era tutto il mondo che mi circondava, la ragione di ogni mio gesto, lui che era arrivato per caso, in una notte di fine estate, stravolgendomi completamente la vita fatta di schemi, insicurezze, mura invalicabili e un grosso bagaglio di paranoie. Lui che mi aveva fatto innamorare perdutamente, battere il cuore all'impazzata, fatto vivere quell'amore folle che avevo sempre desiderato, che mi aveva resa la protagonista di quella favola sognata sin da bambina, lui che mi aveva fatto brillare di una luce così luminosa che mi sembrava di poter toccare il cielo con un dito, fatto vivere di brividi sulla pelle, sognare con il suo tocco sulla mia carne, che aveva condiviso con me le sue paure più grandi e trasformato le mie in un lontano ricordo, che mi aveva reso una persona diversa, fatto capire cosa fosse la vera felicità; e adesso che non lo trovo più accanto a me sento il vuoto ad ogni passo, adesso che lo sento lontano non ha più senso nemmeno continuare a viverla questa vita, che giorno dopo giorno sembra sempre più vuota.
Anche da lontano, anche se cercavo di non pensarci, di dedicarmi ad altro, di ristabilire degli equilibri nella mia vita, anche se cercavo di rimettermi in piedi con le mie gambe, anche se pensavo che la mia testa riuscisse ad avere la forza di metterci una grande pietra sopra; era come se sentissi il suo dolore anche lontano chilometri, come se fossimo talmente connessi che potessi percepire la sua sofferenza, come se avessi la capacità di sentire fin dentro le vene la sua tristezza, come se quel dannato filo ci legasse ancora e, attraverso la sua trama, mi trasmettesse tutta la sua disperazione.
E questa sensazione era insostenibile, pesava nel mio cuore come fosse un peso costante che non mi permettesse mai di tirare un respiro di sollievo.
Insostenibile.
Lorenzo
Era passato più di un mese fa quando Ludovica aveva deciso di prendersi una pausa da tutto, - o più precisamente da quando Filippo, ubriaco fino ai capelli, le aveva urlato contro di andarsene e di lasciarlo marcire da solo - e da quando tutto il peso di questa situazione drammatica era finito sulle mie spalle, non lasciandomi nemmeno un attimo di respiro.
Filippo non lo vedo da ore, - parecchie ore -ovviamente senza sapere dove si sia cacciato e , come al solito, - come ogni maledetta notte ormai -non riesco ad addormentarmi. Mi suona il telefono e quando la voce inizia a parlare, per un lungo istante mi manca il fiato e con la mano sinistra devo cercare un appiglio al quale aggrapparmi per non crollare a terra, mi tremano le gambe e ho il cuore troppo accelerato.
"Il suo amico ha avuto un incidente stradale, dovrebbe venire al più presto."
Queste sono le parole che continuo a ripetermi in testa ogni tre secondi, ho tirato un lungo respiro, mi sono precipitato in garage per mettere in moto la macchina e sfrecciare verso l'ospedale, ma ora mi ritrovo fermo, esattamente nella solita posizione da minuti infiniti, con la testa sul volante avvolto solo dalla luce fioca del garage e troppi pensieri brutti in testa. - "Basta! Basta! Smettila!" Vorrei gridare a quella vocina che continua a ripetermi che rischio di trovarlo in condizioni gravi e che potrebbe essere troppo tardi -
"Il suo amico ha avuto un incidente stradale, dovrebbe venire al più presto."
Quelle parole continuano a risuonarmi imperterrite in testa, mentre i miei pensieri viaggiano alla velocità della luce e le tempie mi pulsano forte contro le pareti della testa.
Penso.
Penso.
E penso ancora.
Penso alle urla di ieri sera, penso alla bottiglia di vodka scagliata contro il muro con un gesto furioso, penso alle sue parole: non si merita di venire a fondo con me, devo lasciarla andare, non sarò mai più felice senza di lei, sono un mostro, sono un fallito, un uomo di merda, persino mia nonna è morta per il dolore che le ho causato e non mi perdonerei mai se anche lei affogasse nell'abisso insieme a me, penso e continuo a pensare.
Penso alle mie grida, penso che l'ho trattato davvero male, penso che potrebbe essere troppo tardi per rimediare e che non potrei sopportare un dolore così grande.
Penso.
La devo avvisare, per forza, deve sapere dell'incidente. - e cosa le scrivi che non sai niente nemmeno tu? E se fosse troppo tardi per avvisarla? "Basta!" Vorrei gridare alla mia testa di smetterla, di spegnersi per un istante -
Ma lei non si spegne, continua a pensare.
Pensa a quante lacrime versate sul tavolo di cucina perché gli occhi stentavano a riconoscere Filippo, a quante ore passate in macchina, senza il coraggio di entrare in casa, a piangere e a prendere a pugni il volante fino a sentire le nocche spaccarsi a metà, perché non riuscivo a credere alla realtà, perché mi sembrava di vivere una vita che non fosse la mia, penso a quanti cocci di bottiglia spazzati da terra, a quante notti insonni passate a guardare il suo petto alzarsi e abbassarsi sperando che l'indomani sarebbe stato un giorno migliore, a quante volte l'ho raccolto da terra, caricandomi il suo peso addosso per trascinarlo in bagno a farsi una doccia perché la sua pelle era impregnata dell'odore di alcol, a quante ore passate sulla tavoletta di un water a tenergli la testa mentre vomitava fino all'ultimo briciolo di anima, a quante volte ho messo da parte me stesso per stargli accanto, a quante volte ho pensato di mollare tutto e invece non ce l'ho mai fatta.
E anche adesso, che sono seduto sul sedile della mia auto: le nocche di una mano sanguinante per i troppi pugni contro il volante, - con il desiderio che quel dolore potesse calmare quello del cuore, fosse così facile... - il viso bagnato dalle lacrime e il telefono in mano in attesa di ricevere una risposta.
Penso.
Penso.
E continuo a pensare tanto. - troppo -
Penso a quanto dolore ho assimilato in questi mesi, a quel viso sofferente riflesso contro lo specchio ogni mattina, a tutta la tristezza di Filippo assorbita quasi fossi una spugna, quasi fossimo in simbiosi, quasi una parte di lui vivesse dentro di me.
Perché, forse, è proprio questo essere fratelli, forse significa proprio questo essere indispensabili l'uno per l'altro.
Avevo finalmente trovato il coraggio per ingranare la marcia e partire, ero entrato in quell'ospedale con il cuore che mi batteva ad un ritmo veloce per la paura e quell'odore di disinfettante fastidioso nelle narici.
Nella stanza regna il silenzio più assoluto, Filippo non si degna nemmeno di girarsi per salutarmi, - non ci faccio caso, l'importante è che stia bene -mi siedo sulla sedia accanto al letto e rimango lì con un groppo bloccato in gola e le parole morte in bocca.
Vorrei urlargli contro che è uno stronzo, un coglione, gli insulti peggiori, che mi sono spaventato, che non sapevo che pensare seduto in macchina poco prima, che ho cercato di pregare ogni santo possibile che non gli fosse successo niente, che se invece fosse successo qualcosa di grave non me lo sarei mai perdonato, avrei voluto urlargli che deve smetterla di bere, di affogare i dispiaceri in una bottiglia perché quel vuoto che sente dentro non fa altro che ingrossarsi, che la solitudine e la rabbia non fanno altro che nutrirlo quel dolore, che non può prendere in mano una macchina e premere il pedale sull'acceleratore non pensando alle conseguenze, che sto male, male da mesi, che vorrei salvarlo con tutte le forze ma non ne sono in grado, che sono mesi interi che non mi parla più, che non ridiamo più, che non spariamo più cazzate, che grida e basta e io non ce la faccio più, avrei voluto gridargli che mi manca, che non sono più lo stesso senza di lui, che ormai il cuore non regge più tanto dolore.
Avrei voluto gridargli tutto questo e molto di più, con tutta la voce che mi ritrovo nell'anima, ma non lo faccio, resto fermo, immobile, respiro piano cercando di recuperare un pochino di tranquillità e lasciando che quel silenzio assoluto divori anche me.
Ludovica
Il viaggio in macchina è stato qualcosa di terribile, in autostrada avrò rischiato ogni minuto un incidente diverso, non ragionavo, sorpassavo qualsiasi veicolo ad una velocità assurda, il piede premeva sull'acceleratore non pensando alle conseguenze, ma solo alla destinazione da raggiungere.
La mani appoggiate al volante sudavano e tremavano, il cuore non riusciva a battere in una maniera normale, non parlando poi del respiro che era costantemente accelerato.
Arrivata in ospedale, mi precipito nella stanza 247 e lo trovo lì: fermo e inerme, con la testa rivolta verso la finestra e quella dannata nuvola di silenzio assoluto.
Mi avvicino al letto, Lorenzo è fuori a fumare una sigaretta, mi siedo e sto lì ferma e zitta mentre lo osservo, lo guardo, noto ogni più piccolo dettaglio e torno a respirare normalmente.
È coperto fino al petto dal lenzuolo bianco, ha diversi fili attaccati alle braccia e alcune ferite sparse, il labbro spaccato da una parte con un grosso taglio e alcuni punti sulla bocca, gli occhi sono tristemente vuoti e non lo riconosco, non mi sembra più il mio Filippo, non mi sembra più la mia metà del cuore.
"Fil.." sussurro con la voce rotta dalle lacrime che stanno scalpitando per uscire, mentre io cerco di reprimerle. - Fil, così come se cercassi una conferma, come se cercassi di capire se è davvero lui quella persona che ho di fronte -
"Che cazzo sei venuta a fare? Vattene!" urla voltandosi e guardandomi con lo sguardo perso, per un attimo ho paura e socchiudo leggermente gli occhi. - ditemi che è tutto un incubo -
"Fil..." non riesco a sussurrare altro, dalle mie labbra non esce nient'altro, non so cosa fare, vorrei trovare la forza per abbracciarlo e sentirlo di nuovo vicino.
"Ti ho detto di andartene! Fanculo, vattene via! Via!" urla di nuovo, ancora più forte, talmente forte che sento i passi di Lorenzo avvicinarsi velocemente, lo guardo per un attimo mentre prendo la mia borsa e scappo via con le lacrime agli occhi e il vuoto dentro.
Sono seduta con la schiena appoggiata contro il muro di quel piccolo terrazzo da ore ormai, il pacchetto di sigarette quasi finito e quella sensazione di dolore che aumenta.
Aumenta.
Aumenta sempre di più, fino a schiacciarmi le costole, fino a cambiarmi il respiro.
Lorenzo sarà venuto circa ottanta volte a vedere come stavo, se avevo bisogno di qualcosa, mi ha portato un tramezzino, - che è ancora integro dentro al sacchetto - una bottiglia di acqua, persino un the caldo preso dalle macchiette dell'ospedale. - "così ti scalda lo stomaco" mi ha detto -
Mi ha chiesto scusa altrettante volte, dicendo che è solo colpa sua, che non avrebbe dovuto chiamarmi, che non ce la fa più a vedermi soffrire, che l'ha fatto con le migliori intenzioni pensando che sarei stata l'unica persona in grado di salvarlo; e io per altrettante volte gli ho ripetuto che non era colpa sua e che un amico come lui mi ha migliorato la vita, ma soprattutto che solo grazie a lui sono riuscita a resistere a tutto e a non mollare mai.
È ormai buio, le luci dei lampioni attorno si sono accese da qualche minuto e le stelle iniziano a riempire il cielo sopra la mia testa; quando sento dei passi dietro di me e capisco immediatamente di chi si tratta.
"Sono così belle le stelle stasera, non mi ricordo nemmeno più l'ultima volta che ho alzato la testa verso il cielo per osservarle." dice con la voce tenera di un bambino, sorpassandomi e appoggiandosi con la schiena alla ringhiera cercando il contatto con i miei occhi. - Dio, quanto vorrei avvicinarmi e stringerlo, farmi stringere, baciarlo e dirgli basta, smettila, torniamo quelli di prima, ma non ce la faccio, non ho più nemmeno le forze necessarie -
Irama
"Sono così belle le stelle stasera, non mi ricordo nemmeno più l'ultima volta che ho alzato la testa verso il cielo per osservarle." le dico appoggiandomi alla ringhiera e fermandomi ad osservarla. - Cristo, quanto è bella, quanto mi manca, quanto vorrei poter cancellare tutto il male che le ho fatto -
Le vorrei dire troppe cose questa sera, le vorrei far promesse che ho paura di non riuscire a mantenere, le vorrei chiedere scusa per tutti questi mesi, per tutte quelle grida, per tutte le cose brutte che le ho urlato contro, per tutta la frustrazione gettata contro di lei, per averla nutrita solo del mio dolore senza darle più un briciolo di felicità, le vorrei cancellare la tristezza dagli occhi, donarle di nuovo quel sorriso meraviglioso, vorrei dirle che andrà tutto bene, che il peggio è passato, vorrei poter cancellare quel dolore trasformandolo in frammenti di polvere. - le stelle sono belle, ma non lo saranno mai quanto te; vorrei sussurrarle - E invece mi tengo tutto dentro, faccio annegare quelle parole nel vuoto della mia anima, le faccio rimbombare nella cassa toracica buttandole giù, sempre più giù, senza lasciargli modo di uscire fuori.
Lei continua a guardarmi, gli occhi fissi sul mio viso, sembra che scruti ogni dettaglio cercando qualcosa di famigliare, qualcosa che le ricordi tutte le cose belle.
"È così difficile pensare che fino a qualche mese fa solo tu riuscivi a farmi stare bene, così difficile accettare che nel tuo viso non riesco a trovare neanche un dettaglio in grado di farmi sorridere" sussurra con lo sguardo basso e la voce rotta, come se stesse per piangere. - e vorrei stringerla, farle capire che la amo più di qualsiasi altra cosa -
"Sono mesi che sto male Filippo, mesi interi che ruoto attorno a te e alla tua sofferenza, mesi che ci annego dentro, mesi che non riesci più a darmi neanche un briciolo di amore, a farmi sentire felice. Mesi...mesi..." non riesce neanche a finire la frase che le lacrime iniziano a bagnarle il viso e lei le asciuga con un gesto nervoso. - e vorrei abbracciarla, invece non riesco neanche a muovere un passo, orgoglio del cazzo, o forse paura di non poterla più rendere felice -
"Fanculo, vedi? Vedi non riesco neanche a parlarti, non ho la forza nemmeno di urlarti contro quanto sto male, inizio a piangere e mi sento una stupida idiota. Un'idiota ancora completamente innamorata di te, nonostante tutto questo...
Però non ce la faccio, non ce la faccio più a starti vicino, non riesco ad essere abbastanza lucida per esserti d'aiuto...ed è una sensazione orribile...
Non ricordo nemmeno più il tuo profumo, la sensazione delle tue mani sulla mia pelle, il sapore dei tuoi baci, la luce dei tuoi occhi e questo mi ammazza letteralmente dentro, perché tutto il brutto di questi mesi è riuscito ad offuscare le cose belle ed è diventato tutto dannatamente insostenibile." le sue parole mi entrano dentro come lame affilate, mi trafiggono il vuoto che ho nell'anima, la squartano da cima a fondo.
E lo sento tutto di botto, tutto in un colpo, la posso percepire fin dentro le ossa la sua sofferenza, il suo dolore e mi sento dannatamente in colpa, mi sento una merda. Mi arriva come uno schiaffo in pieno volto, in grado di lasciare un segno indelebile, tanto che con le mani devo tenermi al ferro della ringhiera e aggrapparmici con forza per non stramazzare al suolo davanti a lei.
"Scusa, scusa se non sono stata in grado di essere il tuo rifugio, scusa se in questo momento l'amore non è abbastanza forte da resistere a tutto questo....è meglio se vado, scusa...è tutto un enorme casino..."
-"un casino stupendo, però...siamo un casino stupendo ricordi?" avrei voluto sussurrarle, avrei voluto trovare la forza per correrle dietro, fermarla per un braccio e dirle queste parole, incrociare il suo sguardo e riportarle un po' di quelle sensazioni felici; invece resto immobile, con la testa confusa e delle piccole gocce di pianto che scendono sul mio viso seguendo la stessa linea tracciata dal ricordo dei suoi baci.
Angolo autrice
Buon lunedì a tutti!
Come state? Qui splende il sole e sembra primavera 😍🦋🌸☀️
Ormai mancano due capitoli alla fine della storia e un pezzetto del mio cuore rimarrà qui, incastrato tra queste pagine....
però potrei avere una sorpresina per voi 🎁 restate connessi!
Continuate a commentare e lasciare qualche stellina...grazie di cuore ❤️
Domani inizia Sanremo e io sono fatta al 99% di ansia...A I U T O!
Ho letto il testo della canzone e ho pianto interi oceani, figuriamoci quando domani sera lo vedrò su quel palco ❤️✨
Voi cosa ne pensate invece?
Un abbraccioneeeeee!
~R. 🦋
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