Cinquantatré

Torino, 11 marzo 2018

Che oggi a Torino si giochi la ventottesima giornata di campionato tra Juventus ed Udinese importa a pochi. Pochi giorni fa il mondo del calcio ha dovuto dire addio ad un calciatore della Fiorentina, e non ad uno qualunque, al suo capitano, a Davide Astori. Oggi la Serie A ha deciso di dedicare un minuto di silenzio in suo onore per ricordarlo, per provare a capire come mai quel bel sorriso che vediamo sul teleschermo dello stadio nessuno lo potrà più vedere dal vivo.

La partita è già cominciata, in mezzo a qualche lacrima e sorriso tirato, ma io sono ferma immobile sulla panchina a pensare a quello che è successo. Com'è possibile che un ragazzo così giovane, in forma, con sani principi e qualità morali sia potuto morire in una camera d'albergo? Come? Come può la sua famiglia trovare il modo per andare avanti senza incappare nella disperazione? Come può sua moglie spiegare alla piccola Vittoria che il suo papà non c'è più? Che non dovrà più aspettarlo tornare a casa stanco dagli allenamenti, che non le darà mai più il bacio della buonanotte, che non vedrà mai le sue recite scolastiche e i suoi saggi di danza? Come può una bambina non vedere più il primo amore della sua vita? Come può una moglie andare a dormire sapendo che la metà vuota del letto accanto a lei rimarrà per sempre fredda?

Come si fa a dire addio ad un uomo, ad un padre, ad un figlio, ad un amico, ad un capitano, ad un guerriero? Me lo chiedo incessantemente da giorni ormai e ancora non riesco a venirne a capo.

Come si fa, in queste circostanze, a credere che le persone che perdiamo in questo modo così crudele siano ancora con noi? Come si fa a trovare la fede quando non si riesce nemmeno a trovare una spiegazione?

Per Federico non è stato facile: Davide era il suo capitano quando era alla Fiorentina, ma era anche un amico, un confidente, una persona dal cuore d'oro e anche da avversario era un uomo leale. Ora è un tatuaggio sul corpo del mio ragazzo, un numero 13 inciso a fondo nella sua pelle, quasi come se Federico volesse fargli vedere il mondo insieme a lui, ora che non può più farlo.

Ma Federico ha la sua fede, pensa che ora lui sia in un posto migliore, pensa che vedrà sua figlia crescere dall'alto, che in qualche strano modo aiuterà la sua famiglia ad andare avanti. Ma io non riesco a capirlo. La fede è un dono che, per mille motivi, ho perso e non ho più ritrovato. Vorrei riuscire a pensarla come lui, ma non posso credere che morire da solo in una stanza d'hotel lontano da casa e dalla famiglia senza una ragione plausibile sia giusto.

Non è giusto. Lui dovrebbe stare a Firenze e fare di tutto per portare la sua squadra alla vittoria. Invece la sua città è invasa da fiori e sciarpe viola in suo onore. Non c'è niente di giusto in tutto questo.

Niente.

Ed è mentre le lacrime iniziano a rigarmi il viso che un forte rumore mi riporta alla realtà, facendomi realizzare che Paulo Dybala ha centrato la porta avversaria con una punizione gioiello, il suo marchio di fabbrica. Mi lascio andare ad un sorriso tirato, anche se gli occhi sono tristi ed umidi.

Ma è sul raddoppio della Joya che mi mordo il labbro, felice per la mia squadra e per il suo numero dieci. Alzo gli occhi al cielo e penso a Davide Astori mentre le lacrime scendono ormai copiose sulle mie guance.

Non ho avuto il privilegio di conoscere Davide mentre era in vita, l'ho visto soltanto due volte in occasione delle partite di campionato, ma da quanto mi ha raccontato Federico so che era un'anima buona, una persona per bene e non si meritava un destino così avverso.

Penso a sua moglie Francesca, alla piccola Vittoria e a tutte le persone che lo consideravano un buon amico e un compagno di squadra. Penso che ora dovranno trovare la forza per andare avanti quando sembra che tutto il loro mondo si sia fermato insieme al cuore di Davide. Penso a tutta la rabbia che avranno in corpo per quello che la morte ha portato via loro.

Penso istintivamente a mio padre, perché non potrei sopportare di perderlo, non ora, non quando sarebbe troppo presto. Ma se c'è una cosa che tutta questa cosa mi ha insegnato è che bisogna vivere ogni momento come se fosse l'ultimo. Estraggo il telefono dalla tasca del giubbotto e digito velocemente un messaggio a mio padre. "Ciao, papi. Non è successo niente, ma volevo dirti che ti voglio bene e che sei la mia roccia. Siamo e saremo sempre io e te contro il mondo. La tua pulce". La sua risposta non tarda ad arrivare e non appena leggo il messaggio mi lascio andare ad il primo sorriso sincero della giornata, accompagnato da lacrime salate che per oggi non voglio soffocare.

"Ti voglio bene anch'io, amore mio. Io e te contro il mondo, pulce. Sempre"

Il mio secondo pensiero è Federico, perché non oso nemmeno immaginare a cosa farei se dovesse succedergli qualsiasi cosa. Voglio vederlo felice, voglio vivere con lui e proteggerlo da tutto. Mi giro nella sua direzione e trovo immediatamente il suo sguardo, che mi scruta come se potesse leggermi dentro soltanto con un'occhiata. Piego leggermente la testa di lato e con le labbra gli mimo un "ti amo", mentre spero con tutto il cuore di vedere quel suo viso meraviglioso come prima cosa ogni mattina appena sveglia. 

***

Sono sotto alla doccia e sento il mio battito cardiaco stabilizzarsi dopo le ore appena concluse, gli sbalzi d'umore e le lacrime versate. L'acqua tiepida mi riporta a contatto con la realtà, facendomi rendere conto che il rumore che sento è qualcuno che sta suonando il campanello di casa mia. Esco immediatamente dal bagno, mi avvolgo in un asciugamano bianco che allaccio sotto al seno e che mi arriva a circa metà coscia e mi affretto ad andare verso la porta d'ingresso.

"Cosa ci fai qui?" domando a Federico, sinceramente sorpresa di trovarmelo di fronte, ma assolutamente felice della sua presenza.

"Voglio portarti in un posto" mi saluta dandomi un leggerissimo bacio sulle labbra con le mani sulle mie guance ed entra in casa, accomodandosi sul divano in pelle che domina il salotto. "Ti rendi conto che poteva essere chiunque?" domanda successivamente, dopo aver acceso la televisione e sintonizzato su un canale sportivo che parla della partita finita qualche ora fa, alludendo chiaramente al mio essere praticamente nuda.

"Non avrei aperto conciata così se non fossi stato tu" rispondo con un sorriso guardando come si muove all'interno di casa mia, come se ci vivesse da sempre.

"Guardati, sei bellissima" si volta verso di me e mi manda un bacio volante, per poi tornare a concentrarsi su ciò che un giornalista sta commentando riguardo alla prestazione della Juventus.

Perdo alcuni minuti appoggiata allo stipite della porta a guardarlo. La sua bellezza è oggettiva: chiunque si fermerebbe per strada a girarsi verso di lui. Ma in questo momento vedo qualcosa di più, mi rendo conto che quando siamo insieme, che quando è vicino a me mi sembra ancora più bello del normale. Mi scappa un sorriso mentre appoggio la testa di lato e, prima di farmi scoprire, mi dirigo in camera da letto per cambiarmi il più velocemente possibile per non farlo aspettare troppo a lungo.

Indosso dei comodissimi leggings neri con la scritta Adidas in bianco lungo tutto il lato della gamba sinistra, una maglia bianca da allenamento e la felpa nera della Juventus, volutamente abbondante per starci più comoda e nascondere quelle piccole curve che ancora non amo totalmente del mio corpo.

"Eccomi, spero non sia un posto elegante perché non ho voglia di cambiarmi" ammetto al mio ragazzo ritornando in salotto. Lo trovo con gli occhi chiusi coricato sul divano, mi avvicino e mi siedo al suo fianco passandogli una mano sulla guancia. Si muove leggermente sotto di me e non posso fare a meno di pensare che sembra un piccolo bambino indifeso, un angelo caduto dal cielo e inviato nella mia vita. Mi abbasso leggermente e sfioro le labbra con le sue, le schiudo sopra di esse e quando apro gli occhi noto che i suoi sono già lì intenti a fissarmi. Sento le guance andare a fuoco per colpa di quello sguardo. "Mi hai fatto venire un colpo! Dov'è che dobbiamo andare? Se sei stanco possiamo andarci domani, puoi rimanere a dormire qui" propongo, più per l'idea di dormire insieme che per altro.

"No, non sono stanco. Voglio farti vedere una cosa" mi sorride accarezzandomi una guancia con il pollice della mano destra. "E voglio anche che mi baci ancora" sussurra senza staccare gli occhi dai miei, mentre mi abbasso nuovamente su di lui e lo bacio, stavolta con più passione e lui ricambia allo stesso modo.


"Fede, dove mi stai portando?" domando curiosa e anche un po' preoccupata al ragazzo che si trova alla mia sinistra al posto del guidatore.

"Se te lo dico che sorpresa è?" chiede retorico, prendendo un'uscita della tangenziale e addentrandosi in un piccolo paese non distante da Torino.

"Non hai mai detto che era una sorpresa" aggrotto le sopracciglia rimanendo ferma sulla mia posizione.

"Smettila di parlare o ti lascio in mezzo alla strada. Lasciati stupire per una volta, fidati di me" mi dice in tutta sincerità e, con quell'ultima frase, non posso che farmi convincere a chiudere la bocca e guardarlo con la coda dell'occhio e con il labbro inferiore tra i denti per tutto il tragitto.

Dopo circa un quarto d'ora da quando Federico mi ha zittita, ferma la macchina in uno spiazzo sopra ad una collina e scende dalla macchina. Non faccio in tempo a chiedermi dove sia andato che apre anche il mio sportello, offrendomi la mano per aiutarmi a scendere.

"Ti ricordi quando non riuscivi a scendere dalla mia macchina?" ridacchia mentre appoggio la mano sinistra sulla sua e la destra sulla sua spalla, in modo da aiutarmi maggiormente.

"Cretino, eri tu che mi facevi distrarre. E poi non è colpa mia se sono alta un metro e una cicca e questa macchina è enorme" borbotto con un falso broncio dipinto sul viso.

"Io distraevo te e tu mi facevi innamorare ad ogni sorriso che mi facevi" mormora ad un centimetro dalle mie labbra, circonda la mia vita con le sue braccia muscolose e mi costringe a tenere il volto alzato per non interrompere il contatto visivo.

"Come siamo dolci stasera" sussurro con le mani sulle sue guance mentre con le dita vado ad accarezzargli i capelli corti vicino alle orecchie.

Ci sorridiamo a vicenda per qualche secondo, dopo di che le nostre labbra sono unite in un bacio lungo e appassionato, lento ma deciso. Ci stacchiamo con il fiato corto, le labbra rosse e gonfie ed un luccichio negli occhi particolare.

"Vieni con me, prima che sia troppo tardi" mi prende per mano e inizia a correre lungo il piccolo viale circondato da pioppi maestosi, verso una panchina che intravedo alla fine della strada.

Arriviamo che siamo trafelati, vedo un'espressione vittoriosa sul volto di Federico, come se fosse fiero di se stesso per merito di qualcosa.

"Dove mi hai portato, calciatore famoso?" domando con un pizzico di ironia nella voce.

"Siamo a Parco Europa, da qui si vede tutta Torino, le Alpi, la Mole e lo stadio" mi spiega, mostrandomi le cose che dice con l'indice.

Passo lo sguardo dai suoi occhi al panorama che mi si para davanti, non sapendo bene quale sia quello che preferisco. La combinazione del mio ragazzo in fianco a me e la meraviglia del paesaggio ai nostri piedi è qualcosa di magico.

"È meraviglioso" mormoro con gli occhi lucidi, non perché io sia triste ma perché questa giornata è stata un mix micidiale di emozioni contrastanti.

"Questa è l'ora perfetta" commenta sedendosi su una panchina in modo da godersi meglio la vista.

Ammiro il cielo senza nuvole, ancora tinto dai colori del tramonto appena sceso aldilà delle montagne. Il profilo della mia città è chiaro e limpido davanti ai miei occhi, riesco a distinguere tutte le vie, data la disposizione "a griglia" di Torino. Trovo il tutto perfetto e ordinato, ogni cosa si trova esattamente dove deve essere e mi sento così anch'io: so di essere esattamente dove devo stare, al fianco di Federico, dove mi sento al sicuro, a casa, protetta dal mondo in qualsiasi circostanza.

"Ti amo" interrompo quel silenzio piacevole girandomi verso di lui con una lacrima solitaria che bagna la mia guancia destra.

"Ti amo anch'io. Non piangere però, amore" sorride comprensivo togliendomi la lacrima salata con il pollice mentre noto che anche i suoi occhi sono più umidi del solito.

"Sono così fortunata ad averti" appoggio la fronte contro la sua chiudendo gli occhi e respirando a fondo, in modo che il suo profumo – quello che tanto amo – mi inebri le narici e, di conseguenza, il cervello.

"Sei la ragazza perfetta, come potrei lasciarti scappare?" ironizza baciandomi il naso con uno schiocco. "Sei intelligente, sexy da morire, sensibile, forte, indipendente, ami il calcio e la Formula Uno... chi ti molla?" mi strappa un sorriso spontaneo che si allarga sul mio volto non appena sento tutti gli aggettivi che ha utilizzato per descrivermi.

"È vero, come faresti senza di me?" rido perdendomi nuovamente nei suoi occhi verdi, che brillano ancora di più grazie alla luce naturale che rimbalza nelle sue iridi profonde.

Uniamo le nostre labbra in un bacio dolce, carico di emozioni, uno di quelli che lascia il battito accelerato e le labbra gonfie una volta finito. Non servono parole, ci guardiamo per qualche minuto, ci scrutiamo ed è come se entrambi potessimo leggere i nostri sentimenti all'interno dei nostri occhi.

E giuro di essermi innamorata di Federico Bernardeschi un'altra volta.


Torino, 16 marzo 2018

Prendo posto sull'ampio divano a casa Pjanic sistemandomi al centro di esso: in mezzo tra Miralem e Paulo, mentre l'argentino cerca invano il telecomando per alzare il volume della televisione. Il padrone di casa ha invitato me ed i ragazzi da lui per guardare insieme i sorteggi dei quarti di finale di Champions League in diretta, in modo da poter gioire o iniziare a pregare tutti insieme. Non tutti sono potuti venire, ma nonostante il poco preavviso, almeno una decina di giocatori in bianconero affollano il salotto della villa più popolata di Torino.

"¿Dónde coño está esta puta mierda?" (Dove cazzo è quel fottutissimo coso?) esclama il numero dieci al mio fianco senza smetterla per un attimo di agitarsi sul posto.

"Testa di mate, ci baci tua madre con quella bocca?" borbotta infastidito Juan Cuadrado dall'altro lato della sala con un'espressione severa sul volto.

"Zio Pau, che cosa vuol dire puta?" domanda innocentemente Edin con le mani sulle ginocchia di Paulo.

"Significa che zio Pau è stanco e dice cose brutte, tu non dargli ascolto, vieni dalla tua zia preferita" intervengo per salvare l'attaccante al mio fianco, visibilmente in difficoltà non sapendo che rispondere al bambino.

"Zia Oli, posso chiederti una cosa?" chiede il piccolo Pjanic in braccio a me mentre mi scruta con quei giganteschi occhi identici a quelli del padre.

"Certo amore, puoi chiedermi tutto che vuoi" gli rispondo dolcemente con un sorriso mentre gli pettino i capelli ancora umidi dalla doccia con le dita.

"Quand'è che tu e lo zio Fede fate un bambino?" la vocina di Edin arriva alle mie orecchie nello stesso momento in cui le mie guance si tingono di un rosso acceso e la saliva mi va di traverso provocandomi un attacco improvviso di tosse.

"EDIN!" urla Miralem con un marcato accento francese fulminando il figlio con lo sguardo. "Combien de fois je t'ai dit de ne pas t'occuper des autres?" (Quante volte ti ho detto di non farti gli affari degli altri?) la sua voce è più alta mentre Edin abbassa gli occhi, sentendosi in colpa, come se sapesse di aver detto qualcosa che non avrebbe dovuto dire. 

"Ma che ho detto di male, papà?" il piccolo incrocia le braccia al petto sbuffando leggermente.

"Stai tranquillo Mire, è tutto a posto, è solo un bambino" interviene Federico dall'altro lato del divano, dove è seduto in fianco a Gonzalo. "Vieni, che te lo spiego io" continua il toscano mentre Edin si siede in braccio a lui.

La conversazione tra i due è così fitta che non sento nemmeno una parola, non riesco a leggere il labiale né del mio ragazzo né tanto meno quello di Edin. Paulo mi riporta alla realtà spostando una mia gamba con forza, ancora intento a cercare il telecomando della televisione.

"È mezz'ora che lo cerco e ce l'hai tu sotto al culo! Ditelo che vi divertite a sentirmi bestemmiare in spagnolo" esclama l'argentino sintonizzandosi sul canale dove tra pochi minuti inizierà il sorteggio.

"Datevi tutti una calmata che mi fate venire il mal di testa" commenta Mario dando uno scappellotto sul collo di Paulo, facendolo balzare di scatto al contatto.

E, come per magia, dopo le parole del numero diciassette, tutti quanti abbassiamo il tono di voce e proviamo a tranquillizzarci, anche se sono perfettamente conscia del fatto che siamo tutti agitati per questo sorteggio, inutile negarlo. Si può sperare di beccare una squadra tecnicamente più debole di noi, ma questo non è il nostro modo di pensare. Per vincere la Champions League bisogna battere tutti gli avversari, non importa la difficoltà o il grado di preparazione delle squadre. Ovvio, la fortuna serve sempre, ma nel corso degli anni ho imparato che il calcio è imprevedibile, talmente tanto da essere quasi crudele a volte, ma è proprio per questo che è lo sport più bello del mondo.

"Bayern Monaco" azzarda Gonzalo come pronostico mentre l'inno della Champions risuona dalla televisione.

"Ma va, quest'anno ci tocca il Liverpool" scuote la testa Miralem con le mani incrociate e la gamba destra che non smette di muovere.

"City, sicuro come la morte" sospira Juan buttando la testa all'indietro sul divano, senza smettere di toccarsi i ricci ribelli con la mano sinistra.

"Tu che dici, Oli?" mi domanda Douglas con un sorriso sulle labbra.

"Real" dico impercettibilmente con i brividi lungo il mio corpo, come se stessi rivivendo la finale di Cardiff un'altra volta.

"No, non può essere il Real" sentenzia Federico, probabilmente ricordandosi del nostro discorso riguardo a Sergio Ramos fatto prima di partire per le Bahamas.

In pochi minuti il destino che attende la Juventus è noto a tutto il mondo: ai quarti di finale di Champions League si affronteranno Juventus e Real Madrid. La mia mente è confusa, il Real non è una squadra come tutte le altre, non per la Juve almeno. È la nostra bestia nera, il nostro tallone d'Achille, il nostro punto debole, la nostra maledizione. La sconfitta di Cardiff è ancora una ferita aperta, fa ancora troppo male; ma il destino ha deciso di essere beffardo e di giocare con i nostri sentimenti. Non si torna indietro: sarà di nuovo Juventus contro Real Madrid, ancora una volta uno scontro fra titani che ne vedrà soltanto uno vincitore.

"Ma chi sei, Nostradamus?" domanda allibito Paulo al mio fianco con la bocca spalancata.

"Me lo sentivo e basta" scrollo le spalle, già in tensione per le partite europee che ci attendono. "Che bel mese di merda che mi aspetta" mi alzo in piedi sbuffando sonoramente, passando in rassegna tutte le cose che devo fare tra aprile e maggio: le partite contro i blancos, scrivere la tesi, conoscere la compagna di papà, laurearmi, organizzare la festa con i miei compagni e, se possibile, non impazzire nel frattempo sarebbe gradito.

"Oli, che c'è?" Miralem invade i miei pensieri facendomi sobbalzare dalla sorpresa.

Entra in cucina appena cinque minuti dopo di me, dove mi ero rifugiata per allontanarmi dalla folla e rimanere da sola con me stessa.

"Cristo santo, mi hai spaventata!" esclamo portandomi una mano sul cuore e chiudendo gli occhi istintivamente. "Nulla, sono solo stanca" dico una mezza verità, senza andare troppo nei dettagli, mentre con una spinta salgo sul bancone della cucina.

"La stronzata del 'nulla, sono solo stanca' raccontala al tuo ragazzo quando non hai voglia di scopare, non a me, signorina" la frase usata dal bosniaco risulterebbe aggressiva, se non fosse per il fatto che si siede accanto a me per provare a sistemare il mio umore.

"Non mi è mai capitato" sorrido maliziosa guardando il mio migliore amico mentre mastico un pistacchio.

"Non voglio sapere i dettagli della vita sessuale tua e di Federico" risponde quasi disgustato il numero cinque.

"Che vuoi sapere, allora?" chiedo, tornando immediatamente seria.

"Voglio sapere perché la mia migliore amica non sorride più da due settimane" lo sguardo di Miralem mi perfora, è come se riuscisse a leggere tutte le mie emozioni, anche quelle che nascondo meglio – o che almeno credevo di fare fino a questo momento.

"Non lo so nemmeno io Mire, sento che sto per scoppiare" sospiro abbassando gli occhi e fissandomi la punta delle scarpe, non riuscendo più a mantenere il contatto visivo.

"Con Federico tutto bene?" domanda appoggiandomi una mano sulla gamba per consolarmi.

"Con lui va tutto bene, è l'unica cosa bella che ho al momento oltre a tutti voi e al mio lavoro" ammetto mordicchiandomi il labbro inferiore per impedire alle lacrime di scendere giù dai miei occhi, mentre prendo un'altra manciata di pistacchi con la mano destra.

"Ma come fai a mangiare ancora? Abbiamo appena finito il dolce!" mi fa osservazione, senza togliere gli occhi dai pistacchi e dalla mia mano.

"Che ti devo dire, ho fame" replico con la bocca piena e masticando rumorosamente.

"La tesi, invece? Come procede?" domanda il bosniaco con un sorriso incoraggiante.

"Domanda di riserva?" sbuffo sarcasticamente ingoiando gli ultimi pistacchi rimasti in bocca. Mi guarda aggrottando le sopracciglia, chiaro segno che non smetterà di chiedere informazioni a riguardo finché non scenderò nei dettagli della questione. "Ho già cambiato argomento tre volte e per tre volte non andava bene. Ma io mi chiedo: tu, professore, perché mi dici di farla su una cosa e dopo che l'ho iniziata mi dici che non va più bene? Io non li capisco i professori, dovrebbero scopare di più e rompere il cazzo di meno. Sono frustrati e non sanno nemmeno loro che cosa vogliono dalla vita" la mia voce si alza automaticamente, scatto come una molla ogni volta che si entra in argomento. "Non ho ancora trovato niente che mi piaccia e a metà maggio devo consegnarla. Mancano due mesi esatti oggi. Due mesi. Due fottutissimi mesi e io non so nemmeno di cosa devo parlare. Sono stufa, Mire, non ce la faccio più" mi porto le mani sulla faccia, dimenticandomi completamente del trucco sugli occhi che molto probabilmente ora si trova sparso per i miei palmi.

"Ehi, ehi, ora calmati. Agitarti non ti servirà a nulla" Miralem si avvicina di più a me e mi culla in un abbraccio, come per farmi da scudo da un po' di quello stress che ho accumulato in questo ultimo periodo.

"Come faccio a non agitarmi? Ho troppe cose da fare, ora ci sono pure le partite contro il Real Madrid da preparare, non ho un attimo di tregua" farfuglio con il viso premuto contro il suo petto muscoloso, coperto dalla felpa nera che gli ho regalato a Natale.

"Senti, andare nel panico prima che le cose succedono non porta mai a niente di buono, ti fa solo perdere tempo. Domani mattina ti riposi, ti schiarisci le idee e al pomeriggio inizi a scrivere la tesi. Non voglio più vederti ad una trasferta, okay? La prossima a cui verrai sarà Madrid, chiaro?" annuisco, mentre inizio lentamente a calmarmi. "Benissimo. Ai professori non va bene niente di quello che scrivi? Okay, parla di Juve. Chi altro può scrivere una tesi in inglese sulla Juventus se non tu? Non sono un esperto in materia, ma penso che tu sia la persona più giusta per farlo" aggiunge, lasciandomi a bocca aperta per qualche istante. 

"Sei un genio, Miralem Pjanic, te l'hanno mai detto?" sorrido sinceramente al mio migliore stritolandolo in un forte abbraccio.

"Lo so, non potresti vivere senza di me" si vanta scoppiando a ridere poco dopo.

"Non avevo neanche preso in considerazione questo argomento, ma oggettivamente mi sembra la cosa più sensata" gli prendo il viso tra le mani e gli bacio le guance con slancio.

"Ora piantala di mangiare, sembra che sei a digiuno da mesi" mi riprende il bosniaco, sapendo benissimo che tra poche ore mi pentirò di tutto quello che ho ingerito oggi.

Ed è facendogli una pernacchia che esco dalla cucina e torno in salotto, dove trovo Edin di nuovo sulle ginocchia di Federico che gioca insieme a Gonzalo e Paulo. Un sorriso spontaneo si forma sulle mie labbra a quella vista e non posso fare a meno di rilassarmi, godermi la visuale e provare a non pensare a tutto il lavoro che mi aspetta nei prossimi mesi. 


Torino, 25 marzo 2018

Questa domenica non ci sono partite di campionato, né in Italia, né in qualsiasi altro paese europeo. La sosta delle nazionali impegna tutti i giocatori della massima categoria e, perciò, posso considerare quest'ultima settimana appena passata quasi come periodo di ferie in cui ho potuto concentrarmi sulla mia tesi. Ho cambiato relatore, ho preferito scegliere il mio professore di inglese per aiutarmi in questa stesura. Non l'avevo mai conosciuto prima – dato che tutti i miei esami di inglese li avevo sostenuti prima del mio arrivo a Torino – ma, nonostante questo, si è rivelato una persona intelligente, disponibile ed educata. In più, è juventino, ed ha accolto con piacere la mia idea di scrivere la tesi sulla società della Juventus oltre ai campi di calcio.

Il lavoro non sarà semplice, devo far coesistere la rappresentazione della Juventus in una lingua straniera che – per quanto io la mastichi come se fosse la mia lingua madre – non è così automatica come l'italiano. Ma a me sono sempre piaciute le sfide e di certo non mi tiro indietro ora che ho trovato un argomento stimolante ed originale di cui scrivere.

Finisco di fare la doccia in anticipo sulla tabella di marcia, avevo proprio bisogno di scrollarmi di dosso la stanchezza accumulata oggi per prepararmi alla cena di stasera. Finalmente io e mio papà siamo riusciti a trovare un giorno in cui entrambi eravamo liberi per farmi conoscere Barbara, la sua nuova compagna.

Non nego di essere piuttosto tesa, non mi era mai capitato di trovarmi in una situazione del genere e non ho idea di come io mi debba comportare. Grazie a Dio, Federico ha accettato di buon grado di accompagnarmi, sia per fare contento mio padre sia per farmi da supporto morale – cosa che quasi sicuramente mi servirà.

"Amore, vieni un attimo? Ho bisogno di un consiglio" la voce di Federico arriva brutalmente alle mie orecchie giusto mentre apro la porta del bagno per uscirne.

"Arrivo, aspetta" indosso il mio accappatoio rosa, allaccio la cintura in vita e mi dirigo nella camera da letto di casa mia, dove trovo il mio ragazzo davanti allo specchio già vestito e pronto per la serata. "Che c'è?" gli domando tamponandomi i capelli con un asciugamano per non bagnare eccessivamente il parquet.

"Cravatta sì o cravatta no?" alza una cravatta blu notte – dello stesso colore del completo che indossa sopra alla camicia bianca – con una mano, in attesa della mia risposta.

"Mh, no. Decisamente meglio senza, se no sembra che devi andare alla cerimonia dei FIFA Awards" commento mentre mi prendo un secondo per guardarlo meglio.

Il completo gli sta alla perfezione e penso proprio che sia su misura, anche perché non posso pensare che un vestito possa calzare a pennello comprandolo in un semplice – seppur lussuoso – negozio in centro.

"Mi fido di te" risponde, riponendo la cravatta piegata all'interno del primo cassetto del comò di camera mia, dove ormai tiene buona parte dei suoi vestiti nel caso in cui non possa tornare a casa sua a cambiarsi.

"Sei bello, smettila di specchiarti!" lo prendo in giro dandogli una pacca sul sedere perfettamente fasciato dal pantalone scuro elegante. "Piuttosto, dammi una mano che non ho la più pallida idea di cosa mettere" apro l'anta dell'armadio passando in rassegna gli abiti al suo interno.

"Metti quello rosa che ti ha preso Monica a Natale, non l'hai mai messo" Federico si siede ai piedi del letto dietro di me e prima di abbassarsi si apre il bottone della giacca: gesto che trovo incredibilmente sexy.

"Questo?" prendo il vestito in questione, ancora avvolto nella protezione di plastica. "Non devo mica andare alla prima della Scala" scuoto la testa riponendolo al suo posto dentro l'armadio, insieme a tutti quei vestiti che non metterò mai – un po' perché sono fin troppo eleganti per il mio stile di vita e un po' perché non mi sento a mio agio nell'infilare il mio corpo in così pochi centimetri di stoffa.

"Fammi spazio, ora ti trovo il vestito perfetto" si alza e si posiziona in fianco a me spulciando tra i miei vestiti e dopo pochi secondi estrae una gruccia che tiene un abito a maniche lunghe che penso di aver indossato tre volte in vita mia. "Vai in bagno a cambiarti" dice con sicurezza, come se fosse certo che quell'abito fin troppo appariscente per una semplice cena mi stia bene.

"Fede, ma... è stretto" mi azzardo a dire, ma in tutta risposta mi posa le mani sulle spalle, mi fa girare di spalle e mi spinge in bagno, non prima di avermi dato una pacca sul sedere ancora coperto dall'accappatoio.

Faccio come mi consiglia e mi chiudo in bagno per almeno venti minuti, ancora non del tutto sicura che questo sia il mio outfit migliore: lo sento leggermente stretto sulla pancia, mi sembra che le mie braccia siano intrappolate in quelle maniche e che le facciano apparire più grosse di come sono realmente e tutte queste piccole paillettes evidenziano tutto quello che non voglio far notare di me.

Mi asciugo i capelli e cerco di creare delle onde il più naturali possibili con la piastra e mi trucco gli occhi: metto un ombretto marrone, una riga di eye-liner e completo il tutto con il rossetto rosso, quello che Federico tanto ama e – se devo essere sincera – che amo anch'io.

"Sono pronta!" urlo da dentro il bagno in modo da farmi sentire. "Però te lo dico subito, se faccio cagare me lo devi dire che mi cambio immediatamente, altrimenti ti lascio" gli intimo, sperando che con la minaccia si sia convinto ancora di più a dirmi la verità.

"Muovi quel culo e fatti vedere" la sua frase mi fa alzare gli occhi al cielo e scuotere la testa mentre me lo immagino pronunciarla seduto al bordo del letto, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e a muovere incessantemente la gamba sinistra.

Prendo un respiro ed esco dal bagno, completando il tutto con i tacchi beige che smorzano un po' tutto il nero del vestito. Non appena Federico sente il rumore della porta che si apre, alza lentamente il viso per passare in rassegna ogni singolo dettaglio: vedo i suoi occhi posarsi prima sulle scarpe, poi sulle gambe, sul vestito ed infine sul mio volto. Non dice una parola, rimane fermo immobile ed è impossibile carpire qualsiasi emozioni dai suoi occhi chiari.

"Ho capito, mi cambio, grazie per la sincerità" sbuffo andando a passo svelto verso l'armadio, esausta e già stanca di questa cena che non è ancora iniziata.

"Dove credi di andare?" si alza con un movimento fluido e mi prende per un polso, perdo leggermente l'equilibrio data la mia poca stabilità sui tacchi alti e mi ritrovo ad appoggiarmi ai suoi avambracci per restare in piedi di fronte a lui. "Sei bellissima. E non ti azzardare ad alzare gli occhi al cielo o a dire che non è vero perché se no sono io che ti lascio" dice serio senza interrompere il contatto visivo con i miei occhi.

"Non devi dirlo per forza, lo sai" sussurro perdendomi a fissare i suoi occhi e tutti i lineamenti perfetti del suo viso.

"E tu sai che io non dico mai bugie" mi incalza stringendomi a se, con le braccia attorno alla mia vita. "E poi, guardaci" si sporge leggermente per chiudere l'armadio e permetterci di guardarci allo specchio. "Siamo bellissimi insieme, siamo coordinati" mi fa l'occhiolino accarezzandomi una guancia e portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Guardo la nostra immagine riflessa allo specchio e non posso fare a meno di sorridere. Ha ragione: siamo belli insieme. E non soltanto perché lui lo è e farebbe apparire bella qualsiasi ragazza accanto a lui. Siamo belli perché anche io in questo momento, quando sono vicino a lui, mi sento bellissima.

"Grazie" è l'unica cosa che riesco a dire.

Penso che abbia capito a cosa mi sto riferendo, non sto pensando soltanto al complimento che mi ha appena fatto, ma a tutto quello che è successo tra di noi. Sa benissimo cosa penso di me stessa, dei problemi che ho avuto con il mio corpo e con l'accettazione delle mie imperfezioni. Lui mi ha aiutato a volermi bene per quello che sono ed è proprio per questo che non smetterò mai di ringraziarlo.

Non mi risponde, si limita ad alzarmi il mento con due dita e a rivolgermi uno dei suoi sorrisi speciali, uno di quelli che riserva solo a me. Si avvicina lentamente e mi bacia, schiude le labbra sulle mie e mi infonde quella sicurezza in più che mi mancava.

Ora sono pronta per affrontare questa serata.

***

Siamo nel locale scelto da mio padre per l'occasione: un ristorante raffinato ai margini di Torino dove servono un ottimo pesce, cosa che mi fa sorridere dato che sia io sia Federico siamo a dieta ferrea.

Il tavolo è abbastanza appartato; nonostante sia domenica e non ci siano partite in televisione, il ristorante è quasi vuoto e da una parte lo preferisco così: ho già tante cose a cui pensare che non voglio preoccuparmi anche dei paparazzi, della gente e di tutto ciò che sta oltre il nostro tavolo.

Sono seduta in fianco a Federico, davanti a me c'è mio padre e, al suo fianco, Barbara. È indubbiamente una bella donna, a prima vista le avrei dato al massimo quarant'anni ma, parlando, ho scoperto che ne ha quarantasette. È un po' più bassa rispetto a mio padre, ma per essere una donna è sicuramente sopra la media. Il primo impatto è stato positivo: mi ha chiesto dei miei studi, del mio progetto riguardo alla tesi, del mio lavoro alla Juventus e dei miei sogni futuri. Questo non può che farmi piacere perché significa che mio padre le ha parlato di me e che lei ci tiene abbastanza a lui da farmi domande per conoscermi meglio.

Parlare con lei mi risulta naturale, cosa che non mi aspettavo minimamente prima di conoscerla, e ora che mi trovo così a mio agio con lei mi sento una stupida per essermi fatta tutte quelle inutili paranoie.

Tuttavia, sotto a quel semplice vestito rosa cipria che le fascia il fisico asciutto e tonico, la cosa a cui tengo di più e che mi riempie il cuore di gioia è il modo in cui guarda mio padre.

Ci faccio caso ogni volta che parlano tra di loro e noto gli sguardi fugaci che soltanto le persone innamorate si scambiano. Anche Federico sembra essersene accorto perché intreccia le nostre dita con la mano appoggiata alla mia gamba sotto al tavolo.

Lui e mio padre sembrano due vecchi amici che non si vedevano dai tempi del liceo e si raccontano ogni cosa: dal dettaglio più inutile di una storia, all'aneddoto più demenziale che hanno sentito in televisione.

E per la prima volta in questo ultimo periodo mi sento felice, vedo la speranza di una potenziale famiglia attorno a questo tavolo di un ristorante ai confini di Torino.

"Che c'è, pulce? Stai bene?" domanda mio papà stringendomi una mano sopra al tavolo.

"Sono solo tanto felice" dico sinceramente con un vero sorriso stampato sul volto e le lacrime agli occhi. "Sono contenta di essere qui con voi e lo so che sono melodrammatica ma non è stato un periodo facile per me" prendo un profondo respiro e provo a rilassarmi con una mano stretta in quella di mio padre e l'altra in quella di Federico, in modo che possano infondermi un po' della loro forza. "E non sarà facile neanche il prossimo mese, ma ora sono felice. Sono contenta di averti conosciuta, Barbara, perché vedo con quanto amore guardi papà. Ti brillano gli occhi. Riconosco quello sguardo perché è lo stesso che ho io quando guardo questo ragazzone alla mia destra" faccio un cenno con la testa verso Federico mordicchiandomi il labbro. "E sono felice per te, papi. Meriti tutto l'amore di questo mondo e ora so che l'hai trovato. Ti ricordi che cosa ci siamo detti la prima notte che siamo venuti qui a Torino?" domando guardando mio padre negli occhi. Lui sorride, segno che sa esattamente a cosa mi riferisco. "Noi due meritiamo di essere felici..." inizio, lasciando che lui completi la frase al mio posto.

"Meritiamo di essere amati. E un giorno lo saremo, bambina mia" conclude mio padre con una piccola lacrima a rigargli il volto.

Siamo tutti e due commossi ma, oltre alle lacrime di gioia, due enormi sorrisi campeggiano sui nostri volti perché ora sappiamo che abbiamo trovato la nostra felicità. 

E la felicità di entrambi si trova al nostro fianco. 


Eccomi qua, cari amici miei, con un nuovissimo capitolo! 🍀
Lo so, sono imperdonabile! L'ultimo aggiornamento risale al 25 agosto, ma purtroppo per problemi personali, università, studio ed impegni vari non sono riuscita a scrivere. Mi sono messa al lavoro in questi ultimi giorni e finalmente il capitolo è pronto per essere pubblicato! Vi confesso che è stato molto difficile da scrivere per me, non riuscivo ad andare avanti e ho anche pensato di mandare tutto all'aria. Ma poi ce l'ho fatta ad uscirne e a tirarne fuori qualcosa di buono.

Vi allego il vestito di Olivia per la cena con sua padre, Federico e Barbara così nel caso non bastasse la descrizione avete la foto.

Mi raccomando, fatemi sapere come sempre con stelline e commenti che cosa ne pensate perché sapete che leggo tutti i vostri commenti e rispondo a tutti: adoro interagire con voi! Vi ringrazio come al solito per le visualizzazioni che crescono sempre di più nonostante i due mesi e mezzo di inattività! Siete i migliori, vi voglio bene 🖤
Preparatevi, perché il prossimo capitolo sarà una valle di lacrime, piena di emozioni belle e brutte. La smetto di parlare perché se no vi spoilero tutto, ci vediamo al prossimo aggiornamento che onestamente non so quando avverrà. Voi non temete che non abbandonerò questa storia!

PACE AMORE E FINO ALLA FINE FORZA JUVENTUS ⚪⚫

A presto,
C.

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