Cinquantadue

Torino, 22 febbraio 2018

Sono davanti all'università da circa mezz'ora senza sapere cosa fare. Il mio ultimo esame di economia aziendale inizierà tra quaranta minuti ed io mi ritrovo davanti all'edificio a ripercorrere mentalmente il mio percorso universitario. Mi tremano leggermente le gambe, ho sempre saputo cosa fare ogni giorno tutte le volte che mi svegliavo la mattina, ma rendermi conto che da domani non avrò più un obiettivo un po' mi spaventa. Da domani non ci saranno più esami, notti insonni, sessioni interminabili, addormentarsi con il libro in grembo. Da domani rimarrà da scrivere soltanto la tesi, poi la fine. Il raggiungimento di un traguardo.

Penso a quando ho iniziato, tre anni fa, quando tutto mi sembrava che andasse bene: i miei genitori erano ancora insieme, vivevamo tutti e tre sotto allo stesso tetto, avevo un fidanzato che credevo mi amasse e una migliore amica alla quale avrei affidato – sbagliandomi di grosso – la mia vita.

Ora è tutto cambiato: dietro all'università non vedo una cappa di smog come succedeva a Milano, ma ammiro le montagne che sembrano ergersi a protezione di questa meravigliosa città che ormai chiamo casa. Papà ha trovato una nuova compagna di vita che sembra tenere veramente a lui, non lo vedevo così felice e spensierato con una donna da quando ero molto piccola. A me interessa solo vederlo sorridere e stare bene, non importa con chi.

Il cambiamento più notevole è stato il mio: sono uscita dal mio guscio ed ora faccio compagnia a Max Allegri sulla panchina della mia sola ed unica squadra del cuore, ho un ragazzo stupendo che amo e che mi ama a sua volta.

Faccio alcuni passi salendo le scale che portano al portone principale dell'università di Torino. Un brivido di agitazione si impossessa per un attimo del mio corpo: mi succede ogni volta, a qualsiasi esame. Non importa quanto io sia preparata, alla fine c'è sempre un momento in cui mi lascio trasportare dalla paura di fallire. È umano tenersi aggrappati a tutti i sentimenti della vita, compresa la paura, perché nessuno è invincibile e avere paura è sintomo di umanità.

"Oli, sei pronta?" mi domanda Ludovica mentre entrambe ci fumiamo una sigaretta in cima alle scale per stemperare la tensione.

"Come sempre, tu?" le rispondo dopo aver fatto un tiro dalla mia Camel blu.

"Prontissima. Ti rendi conto che questo sarà il nostro ultimo esame?" sento la sua voce alzarsi di un'ottava nel finire la frase, a dimostrazione della felicità di abbandonare questo luogo per sempre.

"Non posso crederci, davvero, mi sembra ieri aver dato lingua inglese 1" ridacchio sbuffando fuori il fumo verso l'alto.

"Oddio, io l'ho dovuto dare tre volte. In inglese faccio cagare" commenta la napoletana scatenando la mia risata, interrotta soltanto dalla vibrazione del mio cellulare nella tasca posteriore dei jeans.

"Scusami, Ludo. È Fede" la informo allontanandomi leggermente dalla mia compagna per parlare in tranquillità con il mio ragazzo.

"Pronto?"

"Amore, sei già in università?"

"Sì, sono uscita presto stamattina"

"Mi potevi svegliare" la sua voce diventa improvvisamente simile a quella di un bambino di tre anni al quale hanno rubato il suo giocattolo preferito.

"Mi dispiaceva. Eri così bello mentre dormivi..."

"Non cercare scuse. Quando finisci?"

"Alle 11 dovrei essere fuori, se riesco anche prima" lo informo dopo aver fatto l'ultimo tiro di sigaretta.

"Ci vediamo alle 11 allora. Buona fortuna, amore mio. Ti amo"

"Grazie, amore. Ti amo anch'io" concludo la telefonata con il sorriso sulle labbra, felice che Federico mi abbia chiamata per infondermi più sicurezza.

***

"Non ci posso credere, la nostra carriera universitaria è finita" esclamo uscendo dal portone dell'università accanto a Ludovica.

"Ma ci credi che in pochi mesi saremo dottoresse?" domanda retorica la napoletana stringendomi in un improvviso abbraccio. "Uh, qualcuno qui ha ricevuto una sorpresa" aggiunge poco dopo staccandosi da me.

"Cosa? Che succede?" domando guardandomi intorno. Non ci vuole molto perché mi renda conto della grande Jeep Compass nera parcheggiata dal lato opposto della strada, con un ragazzo appoggiato alla portiera del passeggero con una busta in mano.

"Corri se no te lo rubano, ci sentiamo poi per i risultati e per organizzare la festa di laurea" Ludovica saluta con una mano Federico e mi fa un cenno con gli occhi come a spingermi tra le sue braccia.

Non me lo faccio ripetere due volte e, dopo aver salutato la mia amica, scendo di corsa gli ultimi scalini, attraverso la strada e mi butto di slancio contro il mio fidanzato, coinvolgendolo in un abbraccio.

"Cosa ci fai qui? Non ti aspettavo" sussurro al suo orecchio stringendolo forte.

"Te l'avevo detto che ti avrei fatto una sorpresa" risponde Federico lasciandomi un bacio tra i capelli. "Questo è per te" continua, porgendomi il sacchetto che teneva in mano fino a pochi secondi fa.

"A cosa devo questo? Devi farti perdonare qualcosa?" domando dopo essermi staccata leggermente da lui. Prendo in mano la busta e gli sorrido, cercando di carpire qualcosa dal suo sguardo magnetico.

"Ad un ragazzo serve per forza un motivo per fare un regalo alla sua fidanzata?" domanda il toscano incrociando le braccia al petto dopo essersi sistemato meglio gli occhiali da sole sulla testa.

Mi mordicchio il labbro inferiore sentendo la sua risposta e, con molta curiosità, scarto il regalo nel giro di pochi istanti. Non appena vedo il contenuto del regalo rimango a bocca aperta, scioccata e meravigliata da ciò che ha appena fatto Federico.

"Un weekend all'Hotel Metropole di Monte Carlo? Tu sei completamente pazzo!" mi porto una mano alla bocca dallo stupore quasi con le lacrime agli occhi.

"Non possiamo andare a vedere il Gran Premio di Monaco e dormire per strada" ridacchia il numero trentatré, probabilmente felice di aver azzeccato il regalo.

"Beh, qualcuno che ci ospitava lo trovavamo" faccio spallucce continuando a fissare la prenotazione dell'hotel nelle mie mani.

"Tipo?" aggrotta le sopracciglia rivolgendomi uno sguardo truce.

"Sono sicura che Charles Leclerc sia una brava persona e non avrebbe esitato ad aiutare due ragazzi in difficoltà. Oppure gli altri suoi amici piloti, sai quanti vivono a Monte Carlo?" allargo le braccia come se stessi parlando di gelato al pistacchio mentre il mio ragazzo sbarra gli occhi, incredulo.

"Pensa anche solo a dividere la stanza con Charles Leclerc, Lewis Hamilton o Daniel Ricciardo che ti faccio andare di corsa a Monaco" puntualizza l'attaccante bianconero mettendo su il broncio.

"Gelosone che non sei altro" lo prendo in giro allacciando le braccia attorno al suo collo, trovandolo incredibilmente dolce quando assume quell'espressione.

"Puoi dirlo forte" mi attira a sé con le mani sui miei fianchi, facendo scontrare i nostri bacini.

"Tanto lo sai che per me il più bello sei tu. Esisti solo tu" gli confesso alzando gli occhi per incrociare i suoi mentre gli accarezzo dolcemente una guancia leggermente ruvida a causa di un sottile strato di barba.

"Anche se dovessimo fondere Leclerc, Hamilton e Ricciardo in una persona sola?" domanda sfregando il naso contro il mio, in attesa della mia risposta.

"Anche in confronto a qualcuno con il fisico di Hamilton, gli occhi di Leclerc e il sorriso di Ricciardo" confermo sorridendogli, per poi far combaciare finalmente le nostre labbra in un lungo bacio, dimenticandoci di essere sul ciglio della strada nel centro di Torino e con una prenotazione di un weekend da sogno tra le mani.


Torino, 27 febbraio 2018

L'ansia dell'università è ormai finita, a giorni dovrebbe arrivare l'esito finale che concluderà la mia carriera accademica oltre alla tesi di laurea. Quando una fatica finisce, ne comincia subito un'altra. Sono sotto casa di Monica, la aspetto con ansia picchiettando le dita ritmicamente contro il volante in pelle della mia 500x. Oggi ci aspetta una serata a quattro: io, Federico, Monica e Mario.

Ricordo che il giorno dopo essere venuta a casa mia nel cuore della notte, siamo andate a prendere un test di gravidanza che però non ha tolto tutti i dubbi alla mia amica. Perciò siamo andate dal ginecologo, per rispondere a tutte le sue domande.

Inutile dire che il presentimento di Monica era vero: è incinta da quasi un mese. Io sono l'unica a saperlo e proprio stasera ha intenzione di dirlo a Mario, che molto probabilmente non prenderà questa notizia con calma e diplomazia. Non lo sa nemmeno Federico, giuro di aver quasi ceduto quando una sera mi aveva implorato di dirgli cosa stava succedendo tra me e Monica, ma – con delle rinunce non indifferenti – sono riuscita a resistere e mantenere il segreto della mia amica.

"Oli, io non credo di farcela" Monica esordisce così dopo essere entrata in macchina sul sedile del passeggero, con lo sguardo perso davanti a sé ed il viso pallido.

"Mo, ora fai un bel respiro e ti calmi. Lo sai che glielo devi dire. Mario ha il dovere di saperlo, prima lo fai prima te ne liberi" suggerisco io girandomi verso di lei e appoggiandole una mano sulla spalla per confortarla.

"Promettimi che se cercherà di ammazzarmi, prenderai le mie difese" si volta a guardarmi con un'espressione vuota che mal si sposa con il carattere forte della ragazza seduta in fianco a me.

"Gli do una bottigliata in testa che lo addormento" rispondo prontamente per cercare di darle fiducia nella mia presenza.

"Okay, sono pronta. Andiamo prima che ci ripensi" Monica prende un bel respiro e, dopo aver ingranato la marcia, mi dirigo verso il ristorante scelto per la serata.


Il locale scelto da Federico per stasera è tranquillo e molto alla mano: nessuno di noi quattro era in vena di lusso ed eleganza, dato l'argomento su cui verterà tutta la cena. Federico è all'oscuro di tutto e spero non se la prenderà con me per non averglielo detto, ma anzi mi auguro che capisca la situazione e la affronti da persona matura ed intelligente.

"Buonasera, belle signore" Federico si avvicina a noi con un sorriso smagliante sulle labbra. Saluta Monica con due baci sulle guance e poi si posiziona al mio fianco, con una mano a circondarmi la vita e sfiorando le labbra con le mie con talmente tanta leggerezza da farmi venire i brividi.

"Come siamo romantici stasera" commento all'orecchio del mio ragazzo, posandogli una mano sul petto muscoloso, coperto da una camicia bianca e da una giacca casual blu scuro.

"Ciao, Olivia" Mario si avvicina a me baciandomi una guancia e, prendendo per mano la sua ragazza, ci incamminiamo all'interno del locale.

"Mi sto innervosendo" mi confessa Federico sottovoce una volta entrati nel ristorante.

"Stai tranquillo, okay? Riguarda Monica e Mario" aggiungo prontamente per togliergli dalla testa qualsiasi cosa lui stesse pensando.

"Oh mio Dio" si porta una mano alla bocca una volta intuito il problema. "Perché non me l'hai detto?" domanda il carrarese facendo in modo di non farsi sentire dai due diretti interessati.

"L'ho promesso a Monica, tu non sai niente, okay?" lo imploro con lo sguardo prendendo posto in fianco a lui, con Monica di fronte e Mario accanto a lei.

La serata è tra le più strane alle quali io abbia mai partecipato. L'atmosfera è pesante, la tensione si taglia con un coltello e la situazione è a dir poco assurda.

"Mario, devo dirti una cosa" Monica interrompe le chiacchiere di circostanza che riempivano l'aria intorno a noi per sganciare finalmente la bomba poco prima dell'arrivo del dolce.

"Che succede?" domanda il croato girandosi verso di lei per darle tutte le attenzioni che merita.

"Innanzitutto, vi ringrazio tutti per essere venuti stasera. Olivia, mi sei stata vicino in queste settimane difficili per me. Federico, spero tu sappia che ragazza d'oro hai nella tua vita perché persone così se ne incontrano poche" prende una pausa e, dopo aver fatto un profondo respiro, si volta per guardare il suo fidanzato negli occhi.

Io e Federico assistiamo alla scena con le dita intrecciate sotto al tavolo, come se grazie a quel contatto potessimo infondere un po' di coraggio a Monica.

"Mario, tu sei la persona migliore che io conosca. So che la nostra storia è stata strana e totalmente fuori dagli schemi, ma tu sei l'uomo che mi rende felice ogni giorno della mia vita e mi sento la persona più fortunata del mondo ad averti al mio fianco" gli occhi di Monica brillano mentre parla in modo così sincero con il suo fidanzato. "Ti amo, Mario Mandzukic, ed è proprio perché ti amo che sono certa che non prenderai bene quello che sto per dirti" aggiunge la mora abbassando leggermente lo sguardo, ormai quasi totalmente sopraffatta dalle emozioni.

"Ti amo anch'io, Monica. Sai che ti amerò sempre, ma così mi fai preoccupare. Sputa il rospo" la esorta il numero diciassette prendendole le mani e stringendole nelle sue, dopo averle alzato il viso per far incrociare di nuovo i loro occhi.

"Sono incinta" dice improvvisamente la mora mordendosi il labbro inferiore, ormai sull'orlo delle lacrime per l'ansia ormai sciolta.

"Cosa?" la reazione di Mario è del tutto prevedibile: abbassa lo sguardo con espressione pensierosa, probabilmente scervellandosi su come possa essere successo.

"Hai sentito bene" continua la mia amica annuendo piano, mentre io e Federico ci teniamo pronti ad ogni evenienza.

"Com'è possibile?" domanda di nuovo il croato, sempre più incredulo e sgomento.

"Mario, lo so che non era programmato e credimi, neanche io sono sicura di quello che succederà, però l'importante è che stiamo insieme. Insieme possiamo affrontare tutto, lo sai" Monica cerca di riportare Mario dalla sua parte, ma il numero diciassette bianconero si alza in piedi e, senza dire una parola, si dirige all'esterno del ristorante.

"Monica, se permetti, ci vado a parlare io. Congratulazioni, forse sono l'unico a pensarlo ma secondo me sarete due genitori fantastici" Federico si alza dalla sua sedia appoggiando il tovagliolo sul tavolo e raggiunge il suo compagno di squadra nel parcheggio.

"È un tesoro" commenta la mora indicando il mio fidanzato con un dito mentre prende un sorso d'acqua frizzante.

"Lo so" le sorrido dolcemente allungando una mano per poggiarla sulla sua.

"Beh, almeno il peggio è passato" asserisce Monica buttandosi di peso contro lo schienale della sedia.

"Pensavo la prendesse più male, onestamente" dico sinceramente, strappando un mezzo sorriso alla ragazza seduta di fronte a me.

Dopo appena quindici minuti, i due uomini ritornano dentro e prendono di nuovo i loro posti a tavola. Guardo Federico con la coda dell'occhio e noto che sta sorridendo al suo amico, quasi come per incitarlo a dire qualcosa.

"Amore, mi dispiace per prima. Lo sai, io non so come si fa il padre e non mi sono mai posto il problema perché non avrei mai pensato di fare un figlio. Non posso dire di fare i salti di gioia, ma di certo non mi tiro indietro di fronte alle mie responsabilità" Mario parla lentamente senza incrociare lo sguardo di Monica che, invece, rimane rapita da quella dichiarazione fatta con il cuore.

"Sei diventato Cupido?" domando con tono quasi impercettibile a Federico appoggiandomi sulla sua spalla, mentre Monica e Mario continuano la loro conversazione.

"Conosco Mario. Basta fare leva sulle corde giuste" sussurra rispondendomi mentre mi accarezza una guancia con due dita.

"Okay, smettiamola perché la tua voce si sta abbassando troppo per i miei gusti e non voglio diventare inopportuna" ammetto mordicchiandomi il labbro mentre gli occhi di Federico non smettono di essere fissi nei miei.

Si abbassa leggermente per darmi un breve bacio sulle labbra che ricambio immediatamente mentre con una mano sul mio fianco mi attira a sé, quasi dimenticandosi di essere dentro ad un ristorante e non a casa da soli.

"A casa ne riparliamo" conclude staccandosi da me con la mascella serrata.

"Non c'è bisogno di parlare per fare quello a cui stiamo pensando, Bernardeschi" sottolineo il suo cognome facendogli l'occhiolino, conscia di farlo impazzire.

La cena è andata meglio del previsto: ovviamente, non ci sono stati fuochi d'artificio né proposte di matrimonio, ma considerando come sarebbe potuta andare a finire, nel complesso si può dire che è andata piuttosto bene. Monica e Mario tornano a casa insieme, sicuramente avranno ancora molte cose di cui parlare ma stasera hanno fatto entrambi un bel passo avanti.

Io e Federico torniamo a casa sua per pura comodità, dato che è più vicina al ristorante rispetto alla mia. Anche se siamo nel parcheggio a parlare con i nostri amici, non la smette di tenere una mano dentro alla tasca posteriore dei miei jeans e ogni tanto strizza il mio sedere, facendomi sobbalzare.

"Te la taglio quella mano, giuro" gli do una gomitata sull'addome talmente duro che mi faccio sicuramente più male io piuttosto che lui.

"Zitta, non dare nell'occhio" mi lascia un bacio sulla tempia per dissimulare mentre cerco di distanziarmi da lui.

"Ragazzi, grazie mille per stasera, davvero. Non so come ringraziarvi" Monica prende parola sorridendoci sinceramente.

"Non dirlo neanche per scherzo, noi ci siamo sempre per qualunque cosa, okay?" alzo velocemente lo sguardo verso Federico per cercare il suo consenso. Lui annuisce ed entrambi ci avviciniamo alla coppia, salutandoli calorosamente prima di separarci.


"Comunque Mario è un coglione" asserisce il toscano una volta entrati in macchina.

"Perché, scusa?" domando curiosa girandomi verso di lui con il motore ancora spento.

"Perché la prima regola quando scopi è mettere il preservativo" alza le spalle massaggiandosi le tempie con le dita.

"Beh, non posso darti torto" allungo una mano per accarezzargli i capelli corti sulla nuca.

"Per questo quando sono uscito gli ho detto di tornare dentro e fare l'uomo. Non puoi scopare senza preservativo e pregare che vada tutto bene. Non è più un ragazzino e deve assumersi le sue responsabilità" mi guarda negli occhi con l'espressione più seria che io gli abbia mai visto in tutto questo tempo e capisco al volo che su questo argomento non c'è da scherzare.

"Sarai un papà fantastico, un giorno" commento accarezzandogli una guancia con il pollice e avvicinandomi sempre di più a lui.

"E tu una mamma super sexy" ridacchia ad un millimetro dalle mie labbra, affonda una mano tra i miei capelli e le nostre risate si fondono insieme in un bacio lungo ed appassionato.


Roma, 3 marzo 2018

Le partite, anche quelle di campionato, non sono tutte uguali. Giocare allo Stadio Olimpico della capitale è sempre un'emozione, soprattutto per me che non ero mai stata al suo interno. Oggi pomeriggio la Juventus affronterà la Lazio, conscia che l'ultima volta gli amici bianco celesti hanno rifilato ai campioni d'Italia in carica la prima sconfitta stagionale casalinga.

I ragazzi hanno portato a casa vittoriosi le ultime due partite disputate: il derby contro il Torino a casa dei granata e la semifinale di ritorno contro l'Atalanta all'Allianz. Tuttavia, ora ci si avvicina alla fase calda del campionato e commettere degli errori o lasciare indietro dei punti preziosi non è un'opzione per i bianconeri.

"Olivia, puoi venire un secondo?" la voce inconfondibile di Max Allegri mi richiama all'attenzione mentre stavo sistemando dei fogli nella mia cartelletta.

Mi avvicino allo spogliatoio, piego la maniglia ed entro, notando che tutti i ragazzi sono seduti nelle loro postazioni abituali, tutti ordinati e perfetti nella divisa ufficiale a strisce bianche e nere – la mia preferita.

"Cos'è questo mortorio? Sembra di essere in un cimitero!" esordisco guardandomi intorno per provare ad intercettare lo sguardo di qualcuno di loro, invano.

"È arrivato quel momento della stagione, amore" Federico è l'unico a rivolgermi la parola alzando leggermente lo sguardo verso di me.

"Che momento?" domando non riuscendo bene a capire che cosa intende il numero trentatré, spalleggiato dai suoi compagni con dei brevi cenni d'assenso.

"Il momento in cui senti che o vinci o muori" contro ogni mia aspettativa, è Mario ad alzarsi e ad avvicinarsi a me, provando a spiegarmi con parole sue il problema che li affligge.

"Okay, statemi bene a sentire. Lo so, non siamo una squadra qualsiasi, siamo la Juventus. Anche se nessuno lo dice apertamente, tutti si aspettano sempre che facciamo qualcosa di straordinario ogni volta, che umiliamo gli avversari vincendo dieci a zero. Beh, per quanto possa essere bello, io non lo cambierei mai con quello che siamo noi ora. Perché vincere è bellissimo e noi lo sappiamo più di tutti, ma questa pressione che sentiamo su di noi non ci deve spaventare. Deve essere il motore della nostra macchina che – permettetemelo – è una fottutissima macchina da guerra" faccio una breve pausa dopo aver fatto avanti e indietro per tutto lo spogliatoio almeno quattro o cinque volte; mi accorgo di avere l'attenzione di tutti i ragazzi che seguono ogni mio movimento e rispondono con un sorriso alla mia ultima frase.

"Spiegatemi: noi scendiamo in campo con la paura di perdere? No, noi giochiamo per l'amore di questo" indico lo stemma della Juventus sulla mia cartellina mentre un leggero brivido percorre tutto il mio corpo. "Dimentichiamoci della corsa scudetto, di quello che dobbiamo dire nelle interviste post partita, di quanto stanno gufando a Napoli per vederci perdere stasera. Concentriamoci su di noi, sulla nostra stupenda squadra. Guardatevi tutti in faccia e cercate quella scintilla che rende i miei ragazzi dei guerrieri" concludo con gli occhi leggermente lucidi, i brividi lungo le braccia e il cuore che mi martella nel petto, consapevole che le mie parole hanno colpito nel segno.

Dopo un abbraccio di squadra, esco dallo spogliatoio insieme a Max, entrambi diretti verso la panchina, pronti ad affrontare una squadra ostica ed in forma come la Lazio.

"Questa partita vale oro" commenta l'allenatore bianconero dopo essersi seduto a peso morto sulla panchina.

"Lo so, ma vedrai che andrà bene. Dobbiamo avere fiducia nei ragazzi" rimango positiva, perché pare che nessuno oggi in casa juventina lo sia. Anche io sono preoccupata, data la difficoltà e l'importanza di questo incontro, ma non posso farmi prendere dal panico, non ora che sembra che tutti qui dentro abbiano bisogno di una mano a cui aggrapparsi.

La Lazio prende subito il controllo della partita, gestendo bene ogni pallone ed obbligando la Juventus a retrocedere nella propria metà campo. La partita prende fin dal primo minuto una brutta piega, facendo demoralizzare i giocatori in bianconero, la panchina e tutti i tifosi, sia quelli allo stadio sia quelli a casa.

Il clima non migliora nel secondo tempo, che regala poche emozioni dalla parte juventina. Max Allegri è in piedi, sta facendo avanti e indietro nella sua zona riservata talmente tante volte da consumare l'erba sotto le sue scarpe. È furibondo perché i ragazzi stanno facendo un miliardo di errori – soprattutto stupidi – che non appartengono al loro repertorio migliore.

Il tempo è sempre meno, la rabbia e la frustrazione sembrano fare da padroni nel popolo bianconero, i minuti a disposizione per sbloccare la partita diminuiscono a vista d'occhio e la possibilità di un deludente pareggio si avvicina sempre di più. Al novantesimo la partita è ancora sullo zero a zero e l'arbitro concede tre minuti di recupero, tre minuti dominati da frenesia e cuore in gola.

Al novantatreesimo, a meno di dieci secondi dalla fine di una delle partite più sudate della stagione, allo Stadio Olimpico di Roma succede qualcosa di incredibile. Paulo Dybala è in area di rigore, riceve la palla da Daniele Rugani, sgattaiola in mezzo a due, Parolo lo trattiene e lo fa cadere a terra. Ma la Joya non molla e, da seduto, tira di sinistro centrando l'angolino sotto al sette.

I numerosi tifosi juventini accorsi nella capitale per supportare la squadra esplodono in urla liberatorie, la panchina si alza tutta in piedi, i ragazzi in campo corrono sotto alla curva riservata agli ospiti per festeggiare tutti insieme un gol che, per mille ragioni, ha fatto emozionare tutti quanti.

Al novantatreesimo di una partita destinata a finire zero a zero, un ragazzo argentino di nome Paulo Dybala ha regalato a tutti i tifosi juventini del mondo un altro motivo per gridare "La Juventus non muore mai".

Quello che succede dopo è tutto molto confuso: vedo sorridere Max Allegri come mai prima d'ora, Federico mi trascina nel lungo tunnel dello stadio per portarmi agli spogliatoi e sento i cori dei tifosi bianconeri risuonare all'infinito dalla curva.

"Che stai facendo?" chiedo al numero trentatré con il fiatone, dato che faccio molta fatica a stargli dietro.

"Devo fare una cosa se no impazzisco" ansima bloccandomi tra il suo corpo ed il muro.

"Falla, ti prego" lo imploro, avendo capito esattamente che cosa ha intenzione di fare.

Senza farselo ripetere due volte, mi prende il viso tra le mani e mi bacia con passione, con desiderio, come se non mi baciasse da mesi interi. Aggancio le braccia attorno alla sua vita mentre con una mano scendo fino a palpargli il sedere sodo coperto dai miei pantaloncini preferiti, quelli ai quali non riesco mai a resistere.

"Mi ero dimenticato quanto ti piacessero i pantaloncini neri" mi fa l'occhiolino staccandosi per un attimo da me, tenendo comunque le labbra a pochi centimetri dalle mie.

"Dovrebbero essere illegali" commento strizzandogli leggermente più forte il sedere, sentendo la sua erezione premere di più contro di me.

"Tu sei illegale quando sei così" replica lui fiondandosi nell'incavo del mio collo per tempestarlo di baci umidi e morsi.

"Così come?" domando sorpresa da quella considerazione, in preda a gemiti di piacere.

"Felice. Esaltata. Eccitata. E non dire che non lo sei perché sai benissimo che non puoi nasconderti da me" aggiunge contro il mio orecchio abbassando la voce di un'ottava facendomi rabbrividire a vista d'occhio.

"E tu da me" continuo alzando gli occhi per incrociare i suoi. E giuro che in quel momento, come se entrambi avessimo preso la scossa, veniamo percorsi da una scarica di elettricità che ci porta inevitabilmente a provocare scintille l'uno contro l'altra.

"Prendetevi una stanza" Paulo si palesa accanto a noi, facendoci sobbalzare dallo spavento mentre lui ridacchia sotto i baffi.

"Cretino" esclamiamo in coro sia io sia Federico staccandoci immediatamente l'uno dall'altra.

"Tra un'ora andiamo in discoteca, non voglio sentire scuse" incalza subito l'argentino appoggiandosi con un fianco contro il muro. "Stasera offro io" continua facendoci l'occhiolino per poi incamminarsi a passo lento verso l'entrata dello spogliatoio.


"Avevo altri programmi per la serata" comincia a lamentarsi Federico attirandomi nuovamente a sé.

"Non cominciare. Andiamo a festeggiare tutti insieme perché è stata una vittoria importante, dopo possiamo fare tutto quello che vuoi" concludo guardandolo negli occhi con le braccia attorno al suo collo e le dita ad accarezzargli i capelli corti.

"Tutto tutto?" alza un sopracciglio con un sorrisetto malizioso stampato sul volto.

"Se non corri a lavarti entro dieci secondi cambio idea" lo minaccio dandogli una pacca sul sedere non riuscendo però a mantenere la mia espressione seria per molto tempo.

"Ti amo quando fai la dispotica" scherza il toscano incamminandosi verso gli spogliatoi dopo avermi dato un veloce bacio a stampo.

***

Il locale scelto da Paulo per l'occasione è un'enorme discoteca nella zona più lussuosa ed altolocata di Roma. L'impatto iniziale non è stato dei migliori, dato che normalmente non amo passare le serate a bere e a ballare, ma ho deciso di lasciarmi andare per una volta e godermi alcune ore in compagnia dei miei amici senza pensare a nulla.

In meno di dieci minuti, i sudamericani della squadra – Paulo, Gonzalo, Juan, Alex, Rodrigo e Douglas – hanno preso posto sopra ad un tavolo cantando a squarciagola delle canzoni reggaeton che non ho mai sentito in vita mia, abbinate a dei movimenti che, nonostante siano buffi e ridicoli, di certo non si può dire che siano scoordinati o fuori tempo.

"Vamos, vamos" sento dire da Juan Cuadrado non appena Douglas azzarda un movimento di bacino particolarmente apprezzato dal pubblico femminile avvicinatosi all'area vip della discoteca.

"Vieni, andiamo a ballare" il respiro caldo di Federico mi sfiora il collo e, in tutta risposta, il mio corpo viene attraversato da un intenso brivido lungo tutta la spina dorsale.

"Non ti facevo un ballerino" cerco di fare una battuta per nascondere la reazione del mio corpo alla sola vicinanza con il mio ragazzo.

"Zitta e vieni qui" mi trascina in pista facendomi appoggiare la schiena contro il suo petto, gesto che risveglia tutte le cellule dentro di me.

Mi muovo a tempo di musica contro di lui mentre ancora tengo in mano il bicchiere del mio terzo long island ormai quasi finito. Bevo l'ultimo sorso del mio cocktail preferito e, complice l'alcool, continuo a muovermi addosso a lui senza preoccuparmi del fatto che siamo in un luogo pubblico, circondati dai nostri amici e da una marea di sconosciuti che ci guardano. In questo momento mi sento bene, in pace con il mondo e con una voglia infinita di stuzzicare il mio ragazzo visto che di solito è sempre il contrario.

"Se continui così mi costringi a portarti nel bagno di questo squallido locale o in macchina e prenderti in tutti i modi che mi vengono in mente" mi sussurra all'orecchio dopo avermi fatta girare in modo da avere le mani sopra al suo petto muscoloso coperto da una camicia azzurra che lo rende incredibilmente affascinante.

"Resisti" lo provoco alzando gli occhi per incrociare i suoi sentendo la sua erezione crescere nei jeans e premere contro la mia pancia.

"Sei bellissima" aggiunge un attimo prima di poggiare le sue labbra sulle mie per fonderle in un bacio della cui lunghezza non sono sicura: potrebbe durare un secondo come benissimo un'ora e mezza.

"Aspetta" mi stacco controvoglia a causa della vibrazione del mio cellulare posto nella tasca posteriore dei jeans che indosso. Ho associato alle email dell'università una vibrazione particolare, in modo tale da riconoscerla anche senza la suoneria.

"Che c'è? Chi è che ti scrive a quest'ora?" domanda scocciato Federico a causa dell'interruzione del nostro momento sensuale e romantico.

"È l'università" fisso lo schermo del cellulare, indecisa se aprire la mail subito oppure aspettare domani, per paura di rovinarmi la serata.

"È il voto di economia aziendale?" chiede nuovamente il numero trentatré prendendomi il telefono dalle mani senza neanche darmi il tempo di rispondere alla domanda.

"Viva la privacy, proprio" commento leggermente in ansia. Sono consapevole che l'esame sia andato bene, ma il voto che ci sarà scritto in quel documento può cambiare i miei crediti per la tesi di laurea.

"Sei una fottuta secchiona" Federico legge la mail e sorride non appena trova il mio cognome, gira il cellulare verso di me e, appena riesco a mettere a fuoco lo schermo senza occhiali, spalanco gli occhi incredula e felice.

"Trenta" scoppio a ridere pervasa dal senso di orgoglio e dall'emozione di aver finito ufficialmente tutti gli esami della mia carriera universitaria. "Oh mio Dio, vieni qui, ho finito gli esami, tu sei bellissimo, sono mezza ubriaca e ti amo da impazzire" saltello dalla gioia e da quella sensazione di liberazione senza nemmeno rendermi conto che tutta la squadra si trova alle mie spalle con i bicchieri in aria per brindare all'ennesima splendida notizia di questa incredibile giornata.

"Tu non smetterai mai di stupirmi, mia cara Olivia Diviani" sorride Federico mordicchiandosi il labbro senza smettere di guardarmi nemmeno per un secondo.

"Non vedo l'ora di tornare in albergo e fare l'amore con te tutta la notte. Non scherzavo prima quando dicevo che sei bellissimo e che ti amo. Ti amo da morire" mi avvicino a lui e lo abbraccio, in modo che solo lui possa sentire quelle parole.

"Non vedo l'ora. Ti amo anch'io, amore mio" risponde l'attaccante bianconero per poi azzerare la distanza tra di noi con un bacio talmente lungo e bello da farmi quasi perdere i sensi.

La serata prosegue con Paulo che ordina una serie infinita di shottini di tequila per festeggiare sia la vittoria sia il mio ultimo esame andato perfettamente. I tre long island mischiati agli shot di tequila mi danno il coraggio di fare cose che normalmente non farei mai. Mi ritrovo a notte fonda su un tavolo a ballare con Paulo e Douglas mentre tutti gli altri si trovano nella nostra parte riservata del locale a fare video e foto imbarazzanti con i quali ci ricatteranno sicuramente.

Io e i miei due ballerini personali ci stiamo divertendo come pazzi quando, improvvisamente, vedo Federico alzarsi di scatto ed uscire dal locale. Senza neanche pensarci, abbandono i miei due eccezionali compagni di ballo e seguo il mio ragazzo dopo aver preso al volo la mia giacca.

Una volta uscita, vengo investita in pieno viso dalla fresca e piacevole aria notturna della capitale che mi aiuta a smaltire leggermente tutto l'alcool che ho ingerito nel corso della serata. Mi volto a destra e a sinistra per trovare il numero trentatré e dopo pochi secondi lo vedo chiacchierare con una ragazza che – in base al suo abbigliamento – posso dire essere una cameriera del locale.

So di essere una ragazza gelosa, so che dovrei provare a non esserlo, ma vedo come questa ragazza guarda Federico, lo sta spogliando letteralmente con gli occhi e non toglie le sue lunghe unghie smaltate dal braccio del mio uomo. La rabbia si impossessa di me e mi incammino a passo spedito verso i due che non si accorgono nemmeno della mia presenza.

"Tieni giù le mani, bambina" intimo alla cameriera mettendomi in fianco a Federico che mi rivolge uno strano sguardo.

"Ma guarda che non stavo facendo niente, io... non sapevo fosse fidanzato, scusa" risponde subito la ragazza allontanandosi da noi e tornando all'interno del locale.

"Che cosa volevi dimostrare con questa commedia? Non posso neanche più parlare?" chiede Federico con un timbro di voce quasi infastidito.

"Quella non voleva solo parlare, credimi" alzo le spalle sbuffando leggermente.

"Hai proprio una bella faccia tosta a venire qui e farmi la morale. Fino a due minuti fa ti stavi strusciando addosso a metà squadra e adesso fai la gelosa? Cosa dovrei dire io, eh?" sbotta il toscano picchiando il palmo della mano contro il muro dietro di lui per sfogare la frustrazione.

"Sai benissimo che Paulo e Douglas sono due miei amici, devo ricordarti che sono entrambi felicemente fidanzati o devo chiamare Oriana e Louise così te lo dicono loro?" rispondo a tono all'attaccante bianconero costringendolo a guardarmi negli occhi.

"Cosa c'entra, anche tu sei felicemente fidanzata con me ma questo non ti ha impedito di andare su un tavolo a sculettare con i miei compagni di squadra" borbotta arrabbiato prendendo a calci una lattina per terra.

"Io non ho sculettato addosso a nessuno a parte addosso a te, scemo" puntualizzo, facendogli notare che la sua gelosia è esagerata.

"Sì, ma le loro mani erano sui tuoi fianchi, ti abbracciavano, Dio santo" Federico lancia la lattina dall'altra parte della strada facendo canestro dentro al cestino appeso al palo della luce.

"Federico, stavamo facendo gli stupidi cercando di ballare una canzone. Girati e dimmi che sei geloso anche dell'aria che mi tocca allora, perché se no non trovo una spiegazione logica a tutto questo" dico esasperata allargando le braccia e appoggiandomi con la schiena contro il muro.

"Sì, sono geloso di tutto e di tutti e tu lo sai. E non perdi occasione per farmi andare fuori di testa" sbuffa sonoramente girandosi verso di me con gli occhi lucidi.

"Fede, era un balletto cretino e ridicolo con Paulo. Paulo. Il ragazzo che considero mio fratello, okay? E Douglas sta per diventare padre e non mi ha neanche sfiorata. Io amo te e sono qui fuori a fare un discorso del genere alle tre del mattino, se non mi mandassi fuori di testa non sarei qui, che dici?" provo a farlo ragionare perché queste inutili litigate non servono a nulla.

"Voglio solo andare a casa" conclude Federico allungando una mano, come se fosse un test per vedere la mia scelta.

"Andiamo a casa" gli sorrido stringendo le mie dita con le sue, per fargli capire che non me ne vado da nessuna parte senza di lui.


Londra, 7 marzo 2018

Giocare una partita di Champions League che determina il tuo percorso nella massima competizione europea non è mai facile, soprattutto se arrivi nella tana degli Spurs con un due a due rimediato in casa. L'unico risultato possibile è vincere in casa del Tottenham, in uno degli stadi più belli d'Inghilterra.

L'impresa non è semplice, molte persone danno la Juventus per spacciata, ma tutti i tifosi bianconeri sanno che nelle partite di campionato mezza Italia è contro la Vecchia Signora, mentre nelle partite di Champions si aggiunge contro anche mezza Europa.

Siamo abituati a tutto questo, ma a noi non importa. Giochiamo per vincere e per chi ama questa squadra, poco ci interessa quello che pensano gli altri; anche perché questa sera qui, a Wembley, agli ottavi di finale di Champions League ci siamo noi, gli altri sono a casa a gufare sul divano in salotto.

Lo stadio è tutto esaurito e non appena metto piede lì dentro sento una sensazione di piccolezza davanti ad uno spazio così enorme. I ragazzi scendono in campo, l'inno della Champions si diffonde per tutta la capitale inglese e la partita che vale il passaggio del turno ai quarti di finale comincia.

Il Tottenham ci mette poco ad impossessarsi del pallone e a farlo girare velocemente, come una vera squadra inglese sa fare. La Juve è rintanata nella propria metà campo, a volte è addirittura schiacciata nella propria area di rigore, impaurita e timida dall'avversario che si trova di fronte, spinto da un tifo assordante e caloroso.

La stella degli Spurs, Son, è la principale minaccia della porta bianconera, davanti alla quale Gigi Buffon e l'intera difesa non riescono a bloccarlo. Sullo scadere del primo tempo, il giocatore sudcoreano firma la rete dell'uno a zero a porta praticamente vuota. Wembley diventa la fossa dei leoni: lo stadio impazzisce per osannare il suo numero sette.

La rabbia è palese nel viso di tutti noi: prima un rigore non fischiato dall'arbitro per un fallo subito da Douglas Costa in area di rigore, poi la rete del vantaggio che porta – per ora – il Tottenham ai quarti di finale.

Il secondo tempo ricomincia sulla falsa riga del primo: i ragazzi ci provano ma è come se la forza degli avversari, spinti dal pubblico e dall'euforia del vantaggio, sia troppa da gestire.

Ma la Juventus non muore mai, non lo sapete?

Al sessantaquattresimo, Lichtsteiner corre sulla fascia e crossa in area, Khedira fa sponda di testa e – come un fulmine – Gonzalo Higuain arriva a tutta velocità buttandola dentro di esterno destro. Si sentono urla provenienti dallo spicchio di stadio riservato agli ospiti mentre tutti gli altri vengono zittiti dal gol straordinario del Pipita.

La Juventus non muore mai, imparatelo.

Dopo appena tre minuti, al sessantasettesimo, Gonzalo serve Paulo a metà campo, i due argentini si conoscono a memoria e giocano a meraviglia insieme. Il numero dieci corre da solo portandosi la palla fino alla porta avversaria, tira con il suo sinistro sotto al sette e sigla il raddoppio bianconero.

Ora Wembley fa un po' meno paura.

I tifosi del Tottenham rimangono spiazzati e si ammutoliscono, sovrastati dai boati incessanti dei bianconeri che sventolano bandiere e sciarpe come se fossero all'Allianz Stadium.

La panchina è tutta in piedi, i ragazzi in campo corrono tutti quanti da Paulo che, insieme a Gonzalo, ha portato la squadra a ribaltare una partita – che sembrava ormai persa – nel giro di tre minuti.

La Juventus non muore mai, ricordatevelo.

I minuti finali sono un assedio degli Spurs davanti alla porta bianconera per trovare la rete del pareggio e portare la partita ai supplementari. Tutti i tentativi vengono fermati dal muro juventino, capitanato da Giorgio Chiellini ed Andrea Barzagli, che salva qualsiasi pallone pericoloso per proteggere il risultato ottenuto con le unghie e con i denti.

La Juventus vince due a uno contro il Tottenham e passa ai quarti di finale, zittendo l'immensità di Wembley con due reti spettacolari.

La Juventus non muore mai, ora lo sanno anche in Europa.

***

Cammino per le vie di Londra mano nella mano con Federico, scoprendo angoli e vicoli di questa città che ho visitato un paio di volte quando ero più piccola, ma che ogni volta mi regala nuove emozioni.

"Perché deve fare così freddo qui?" mi lamento stringendomi nel mio giubbotto pesante.

"Non è il freddo, è l'adrenalina che diminuisce" il numero trentatré ridacchia accanto a me mentre mi passa un braccio attorno alle spalle per camminare più vicini.

"E tu come lo sai?" domando curiosa, alzando il viso per guardarlo negli occhi.

"Sai quante volte dopo aver vinto una partita stavo in casa in mutande a gennaio e dopo un paio d'ore mi congelavo?" spiega gesticolando leggermente con le mani.

"Ti ci vedo" commento cercando di trattenere il più possibile un risata con scarsi risultati. "Altro che adrenalina, stasera mi avete fatto morire almeno quattro volte" aggiungo appoggiando la testa contro alla sua spalla mentre ci avviciniamo all'hotel prenotato dalla società per questi due giorni di trasferta europea.

"Ti faccio ritornare io in vita" mi fa l'occhiolino alzandomi il mento con due dita e sfiorando le mie labbra con le sue, per stuzzicarmi.

"Tutte le volte che vuoi, a meno che non ti si chiuda la vena del collo e cominci a essere geloso anche di Max" lo provoco alzando ripetutamente le sopracciglia.

"Spiritosa" risponde prontamente alzando gli occhi cielo, mentre sento il mio cellulare suonare nella mia tasca della tuta nera della Juventus.

"È mio padre, è partito per Copenaghen stamattina. Rispondo un secondo e torno da te" informo il mio ragazzo mentre avvio la comunicazione.

"Salutamelo" risponde Federico a bassa voce per non disturbarmi.

"Ciao, papi! Sei arrivato, tutto bene?" domando, per paura che possa essere successo qualcosa per colpa di quei maledetti aerei.

"Ciao, pulce, tutto benissimo. Ho visto la partita, wow"

"Lo so, non dirlo a me, stavo morendo" commento sorridendo al toscano davanti a me che continua a farmi delle foto con il suo cellulare.

"Pulce, stavo pensando a una cosa, per questo ti ho chiamato. Che te ne pare di conoscere Barbara? Ormai sei grande e noi due ci frequentiamo da tre mesi, mi sembra giusto che vi conosciate" mio padre sgancia la bomba mentre siamo in due paesi diversi e con un fuso orario diverso: saggia decisione.

"Va bene, papi. Quando torno da Londra ci sono altre partite e devo iniziare a scrivere la tesi. Quando torni anche tu possiamo organizzare" dico sinceramente, anche se non mi aspettavo che mi proponesse una cena per conoscere la sua nuova compagna così presto.

"Sarà fatto, amore. Ah, porta anche Federico. È un pezzo che non lo vedo e mi piacerebbe che venisse anche lui"

"Okay, glielo chiederò. A proposito, ha detto di salutarti" informo mio padre riferendogli i saluti del toscano.

"Salutamelo tanto anche tu. Ora devo andare, pulce. A presto, ti voglio bene"

"Ti voglio bene anch'io, papi" chiudo la chiamata bloccando il cellulare e riponendolo nella tasca della tuta.

"Quando torniamo c'è da organizzare una cena per conoscere la nuova compagna di mio padre, verrai anche tu perché papà ti vuole e perché io ho bisogno di te" dico tutto d'un fiato appoggiando le mani sui suoi fianchi coperti dal giubbotto.

"Respira o ti viene un'embolia. Andrà tutto bene e io sarò accanto a te. Ora andiamo che dobbiamo pure festeggiare questa vittoria, o no?" domanda retorico regalandomi il suo sorriso così bello e perfetto da farmi dimenticare ogni cosa a parte il nostro amore.


Eccomi qui, cari miei amici lettori, con un nuovo capitolo! 🍀

Vi chiedo scusa per l'assenza ma – come vi avevo anticipato il mese scorso nel capitolo cinquantuno – gli esami, gli impegni personali e le vacanze non mi hanno permesso di scrivere. Sono tornata con furore con questo capitolo senza fine – lo ammetto – è veramente infinito! Sono settemila parole e credetemi, sono giorni che ci lavoro per renderlo perfetto. Fatemi sapere come al solito con stelline e commenti che cosa ne pensate perché sapete benissimo che vi leggo tutti e apprezzo moltissimo le vostre considerazioni!

Mi rendo conto che in questo capitolo ci sono due partite veramente importanti come Lazio-Juventus e Tottenham-Juventus, ma capite bene che non potevo non parlarne! È stato bellissimo rivivere quei momenti, io per di più sono una persona super emotiva e rivedere il film della partita contro il Tottenham su YouTube è stato commovente, figuriamoci scriverla!

Spero con tutto il cuore che le due descrizioni vi piacciano e che riusciate a percepire tutto il mio amore per la mia squadra perché vi giuro che ho calibrato e pensato ogni singola parola, in modo tale da far arrivare a voi le stesse emozioni che sento io.

Vi metto qui sotto alcune foto dell'Hotel Metropole di Monte Carlo perché penso che molto di noi non lo vedranno mai dal vivo - dato il costo - quindi dobbiamo accontentarci delle immagini, chiudere gli occhi e sognare. 

Ora mi dileguo perché il capitolo è già immenso di suo; ci tenevo solo ad augurare un buon campionato – anche se in ritardo, lo so – e un buon calcio a tutti quanti! Un bacione, vi voglio bene.

FINO ALLA FINE FORZA JUVENTUS ⚪⚫

A presto,
C.

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