Capitolo 3

*Sometimes

I feel the ocean  in my blood

See rain  from the sky  

Her salt brine tears.

 Antonia aveva trascorso una notte agitata. Un po' era stata disturbata dal russare di Saverio e un po' da strani sogni inquietanti.

Aveva sognato l'arrivo all'isola, meta del loro viaggio, ma nel sogno si presentava del tutto diversa da quella della locandina all'agenzia viaggi. Da quando si era svegliata, quell'immagine dai colori grigi e sfocati le occupava ancora la mente e le suscitava una certa inquietudine.

Persona pratica qual era si alzò e decise di salire sul ponte. La luce, il sole e il mare avrebbero scacciato via quelle immagini.

Era la sua parte tormentata che le faceva fare sogni del genere, pensò.

Non erano ancora le sette quando uscì all'aperto. Folate di vento la investirono costringendola a stringersi nella giacca. I capelli svolazzavano violenti.

Non si poteva stare fuori. Entrò nel salone.

L'ambiente interno rimandava già l'attività mattutina. L'odore di caffè riempiva l'aria, i suoni tipici dei macchinari da bar facevano da contrasto al silenzio ovattato in cui si muovevano le poche persone già in piedi.

C'era qualche marinaio, c'era la coppia matura che si era imbarcata con loro e poi, in un angolo lontano da tutto il resto, c'era lui. Quell'uomo la incuriosiva da quando erano partiti. Non sapeva assegnargli un'età. Sempre per conto suo, a leggere o a sentire musica con le cuffiette. La barba folta e i capelli mossi e spettinati che gli donavano un aspetto selvaggio. Sempre serio, pensieroso, con quello sguardo perso lontano. Non era mai riuscita a osservarlo da vicino.

Antonia avvertì una brezza leggera sfiorarle le spalle.

Ordinò un caffè macchiato, non provò neanche a chiedere del latte fresco, tanto lo sapeva che utilizzavano soltanto l'UHT.

Chissà come sarebbe stata la colazione sull'isola.

Agguantò un paio di croissant, ovviamente scongelati, che quando andavi a morderli assumevano la consistenza di un chewing-gum.

Sistemò tutto in un vassoio e andò a sedersi al tavolino più vicino.

Da lì continuava a osservarlo. Aveva già fatto colazione, lo si poteva capire dalla tazzina, il piattino e il cucchiaino scomposti, davanti a lui.

Mentre rimescolava il suo caffè fu distratta da uno strano verso, che un poco alla volta aumentava di volume. Era come un ronzio. Riconobbe in quel suono i particolari gemiti articolati da Eugenio.

Ed eccolo lì, apparire da dietro la porta di vetro. Marina gli faceva strada.

La donna salutò con la mano in direzione di Antonia.

«Buongiorno», disse questa ad alta voce.

«Buongiorno» rispose Marina.

«Già in piedi?»

Indicò il ragazzino. «Con lui non c'è un orario fisso».

«Vi sedete qui?»

«Eugenio, vieni qui» lo richiamò sua madre.

Il ragazzo si avvicinò continuando a emettere quel suono e ad agitare la mano.

Antonia commentò con tono bonario. «Hai ancora quello strano volatile?»

«Lo ha tenuto stretto tutta la notte» la informò Marina.

Lei rise. «Si accontenta di poco, dai, è solo un pezzetto di corda e lui lo fa diventare un gabbiano o magari un albatros».

«Oh, sì, per quello la fantasia non gli manca. Vado a ordinare, gli daresti un'occhiata, per favore?»

«Sì, certo, stai tranquilla».

Eugenio sembrava danzare nel salone, con quello strano essere che volteggiava nell'aria. Agitava il braccio e con uno sguardo neutro seguiva la sua mano in movimento. Accompagnava questi gesti con uno strano sibilo che produceva soffiando aria tra i denti.

Antonia aveva le labbra distese in un divertito e affettuoso sorriso.

Fu con la coda dell'occhio alla sua sinistra, che notò qualcosa che attirò la sua attenzione. Ornella faceva ingresso nel salone, con due libri in mano e, con un sorriso appena accennato, sembrava diretta proprio verso l'uomo solitario laggiù.

Antonia si ritrovò a provare particolare interesse verso quella scena.

Accadde tutto in una frazione di secondi.

Lui si alzò per andare incontro alla ragazza. Poco distante, si mosse anche l'altra coppia per lasciare il salone. Eugenio, nella sua danza folle eseguita camminando indietro come un gambero, finì per scontrarsi contro l'uomo barbuto, il quale, distratto dalla vista della ragazza – questo pensò Antonia – perse l'equilibrio e quasi cadde addosso all'uomo in coppia con l'altra donna, che proprio in quel momento, transitava di lì per uscire.

Questo, livido in viso, si avventò con furia sull'altro. «Guarda dove cammini, razza di delinquente!»

La donna che stava con lui cercava di trattenerlo.

«Se sono delinquente io, tu non lo sei da meno.» Gli gridò in faccia l'altro, quasi a volerlo mordere.

«Vedrai che ti faranno marcire qui, lurido assassino!»

«Assassino io? E tu allora? Quanti ne hai sulla coscienza?»

«Non ti permetto!» L'uomo si protese in avanti e tutti e due presero ad afferrarsi per le magliette e a strattonarsi.

Ornella era rimasta pietrificata come una statua, lì, con i libri in mano. L'altra donna si era messa in mezzo ai due uomini.

«Ma che succede?» chiese Marina di ritorno al tavolino; presa dalla paura, con gesto fulmineo lasciò il vassoio con la colazione e corse a recuperare Eugenio.

Antonia ebbe l'impulso di intervenire e, scostata la sedia con movimento disordinato, raggiunse correndo il gruppo in colluttazione.

«Ma basta!» gridò «qualcuno vuole dividerli?»

Uno dei marinai presente in sala e il più vecchio dei due baristi accorsero a dividere i due uomini che iniziavano a darsele sul serio.

Quando i due furono trattenuti a distanza, fu la donna a pararsi in difesa del suo compagno. «Sei solo un avanzo di galera! Così peggiori solo la tua situazione» gridò inviperita in faccia all'altro.

Lui sbottò in una risata amara «Sai che ti dico? Che stiamo proprio sulla stessa barca, ma proprio sulla stessa, stessa barca». Diede uno strattone al marinaio che lo aveva bloccato e a passi sostenuti raggiunse l'uscita.

Appena si riprese, Antonia si voltò verso Ornella ancora immobile e terrorizzata per quanto accaduto. «Che fai lì impalata? Raggiungilo, dai!» Inveì contro la giovane con una dose di rimprovero maggiore del necessario.

Questa balbettò qualcosa, nel muoversi le cadde un libro dalle mani, si chinò a raccoglierlo e appena ricomposta si affrettò a uscire dal locale.

Antonia, dietro di sé, percepiva parole di conforto provenire dalla donna verso l'uomo. Si girò a guardarla. Il marinaio e il barista si erano allontanati.

«Grazie», le disse questa. «Mi chiamo Angela, lui è mio marito Tiberio».

«Antonia... Vi conoscete?» chiese, indicando con il pollice dietro di lei, dove stava la porta d'ingresso al salone.

L'uomo che si chiamava Tiberio distolse lo sguardo, afferrò sua moglie per un braccio per tirarla verso l'uscita.

«Lo conosciamo di fama» rispose Angela. «Mi scusi» aggiunse, intanto che seguiva, trascinata,  la direzione del marito.


«Che ha detto?» chiese Marina appena Antonia fece ritorno al tavolino.

«Che lo conoscono di fama» rispose con tono perplesso.

«Ma che è successo? È stato Eugenio?» domandò la donna,  preoccupata.

«Non ti allarmare, Eugenio è responsabile solo di aver riacceso la miccia, ma la bomba tra loro era già innescata».

Il ragazzino stava seduto sulle ginocchia di sua madre. La cordicella tra le sue dita strisciava con andamento a S sulla tovaglia bianca.

Forse, adesso era diventata un serpente.

                                                                                         ***

Arrivò alla sua cabina ansimando. Le scariche di adrenalina gli attraversavano la colonna vertebrale. 

Gli avrebbe spaccato la faccia se la moglie non si fosse messa in mezzo.

Con mani tremanti aprì la porta ed entrò. Si buttò sul letto. Il torace si alzava e si abbassava ad un ritmo accelerato. Sentiva i muscoli vibrare di tensione.

Odiava quell'uomo.

Le immagini di suo fratello Tommaso, appena sedicenne, gli arrivarono violente. Lo ricordava per l'ultima volta che si erano incontrati. Sembrava così fragile con quell'aspetto diafano, la pelle quasi trasparente, i capelli biondi. Magro.

Aveva chiesto a sua madre perché il ragazzo mostrasse quell'aria emaciata. Mangiava? Dormiva abbastanza? Lei si interessava alla sua vita?

La donna gli aveva risposto che a sedici anni era difficile stargli dietro, che lei aveva il suo lavoro, i suoi problemi. Se non ti fidi di me prendilo con te, aveva detto.

Sei tu sua madre, aveva risposto lui.

Lo ricordava da piccolo, tenero, paffuto e biondissimo come quel mezzo vichingo del padre. Avevano così tanti anni di differenza che lo scambiavano per suo figlio.

E poi, quella sera di un anno fa, la terribile notizia: suo fratello era morto durante una sparatoria con la polizia.

Tommaso non aveva armi, non ne aveva mai avute, era stato solo sfortunato a trovarsi nel luogo sbagliato al momento sbagliato. Non era da solo quando la polizia aveva fatto irruzione nel locale fatiscente.

Girava droga lì dentro.


I pensieri furono interrotti da un delicato  bussare alla porta.

«Giovanni, sono Ornella».

Trattenne il respiro. Non voleva vederla, non adesso.

Attese qualche istante, finché non percepì più alcuna presenza.


Continuava a chiedersi che ci facesse Tommaso lì quella sera, lui non si drogava, ne era certo. Il ragazzo con cui si trovava al momento dell'irruzione era un piccolo spacciatore, Giovanni lo conosceva bene perché qualche volta gli aveva venduto della roba.

Quello aveva fatto il suo nome e così, quando era corso in commissariato per ottenere notizie, lo avevano trattenuto all'istante.

In tribunale aveva perso il controllo e si era avventato su quel poliziotto sotto processo come lui.

Quel poliziotto si chiamava Tiberio Consalvi.

E adesso, un ridicolo programma di riabilitazione li aveva voluti insieme, a soggiornare su un'isola deserta. Lui doveva scontare altri giorni di quello che era una specie di confino, l'altro era stato sospeso dal servizio e condivideva con lui lo stesso destino. Controllati attraverso un braccialetto elettronico satellitare avrebbero dovuto scontare il periodo residuo impegnandosi a recuperare il vivere civile.

Durante i mesi trascorsi in carcere, Giovanni era venuto a conoscenza che Tiberio Consalvi era noto come colui dal grilletto facile.

Ciononostante, l'unico provvedimento  preso nei suoi confronti fu la sospensione e l'assistenza psicologica.

Neanche un giorno di detenzione.


Copiose lacrime di dolore e rabbia scesero lungo gli zigomi, andarono a incastrarsi tra la barba. Una smorfia di sofferenza gli deformò il viso.

Non erano stati capaci di proteggerlo, né lui né sua madre. Troppo bambina per occuparsi di un figlio arrivato troppo presto tanti anni prima, troppo immatura per occuparsi dell'altro, dopo. Sua madre aveva sempre scelto uomini sbagliati.

Era iniziato tutto nell'ambiente di lavoro. A volte, l'impegno richiesto dietro la macchina da presa diventava eccessivo e capitava di assumere qualche sostanza per tirarsi su.

Altri dell'ambiente gliene avevano fatto richiesta e, a poco a poco, quello che in un primo tempo era stato un suo diletto personale, era diventata un'attività remunerativa per arrotondare. Non aveva mai messo in conto che un giorno, tutto questo avesse potuto sfiorare anche la vita di suo fratello e solo dopo la tragedia si era sentito sporco per quella sua attività illecita, che andava a colpire comunque giovani ragazzi come Tommaso.

Riprese a piangere in silenzio.

                                                                                                ***

Antonia entrò nella cabina dove trovò Saverio quasi pronto per uscire.

«Non ti dico il casino che è successo nella sala pranzo». Lui smise di controllarsi allo specchio e si girò a guardarla. L'espressione di attesa.

Antonia gli raccontò della colluttazione tra quei due. Suo marito sembrò pensarci su per qualche momento, poi disse: «Vado di sopra, vieni con me?»

«Ti raggiungo tra poco, magari prendo un altro caffè, che quei due la colazione me l'hanno mandata di traverso».

Più tardi, raggiunto il salone, guardò in giro per cercare Saverio, ma non lo trovò. Le arrivò l'immagine di lui attraverso la vetrata che dava sul ponte di poppa. Stava seduto su una panchina a conversare con Ornella.

Gonfiò i polmoni e li svuotò per due o tre volte, poi uscì.

Con andatura elegante e disinvolta raggiunse la panchina e si sedette. Il vento adesso era una brezza gentile.

La ragazza stava in mezzo, tra lei e Saverio. Aveva ancora i libri in mano. Antonia, senza chiedere il permesso, si allungò per prenderli e leggerne il titolo.

«Cent'anni di solitudine. Il lupo nella steppa, uhm... Sono tuoi o suoi? chiese alla ragazza.

«Sono suoi».

«Come mai non sei con lui?» domandò mentre gli occhi stavano intenti a sfogliare le pagine.

«Sono scesa in cabina. Ho bussato, ma non mi ha aperto».

«Ma tu sai perché si sono azzuffati?»

«No, non ne so niente».

Antonia alzò lo sguardo al di sopra della testa di Ornella. Incontrò gli occhi di Saverio, indagatori. Lei ricambiò con espressione carica di rimprovero, poi voltò la testa e vide dietro di loro quei due, Angela e Tiberio.

Lei lo confortava come si fa con un bambino.



*Qualche volta

sento l'oceano nel mio sangue

Vedere la pioggia che dal cielo 

lacera le sue lacrime salate

Opium - Dead Can Dance








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