Capitolo 5
L'acqua era calda, quasi rovente.
Persefone si sentiva morta nel corpo, non muoveva nessun arto, piuttosto si lasciava muovere dalle tre ancelle.
Persefone non capiva cosa fossero, sembravano umani, ma quando non la toccavano, si oscuravano, era come guardare una persona nella penombra.
Era negli Inferi, l'aveva capito fin dall'inizio. Era nella reggia del re degli Inferi, Ade. Cos'era? Suo zio? Non l'aveva mai visto. E poi i rapporti nella sua famiglia non erano ferrati e ben delineati, non vi era da stupirsi.
Le lacrime si erano seccate e gli occhi ingrossati. L'aveva rapita.
Aveva preso qualcosa da lei, qualcosa che Persefone non sapeva avesse e non aveva scelto di donare.
Sentiva il corpo pesante, più del dovuto e la testa le doleva, quasi fosse compressa.
Le ancelle la portarono nei suoi alloggi, l'asciugarono con teli ruvidi il corpo, poi spalmarono sulla pelle rosea una crema oliosa, mai provata prima, che freddava le ossa. Una volta che tutto il corpo venne coperto da questa crema verdastra, la vestirono con una veste bianca corta fino alle cosce, dove sopra fu coperta da una veste fino ai piedi più pesante, aggiunsero uno scialle, il quale fasciava le spalle ed il petto, poi la fecero calzare dei sandali.
Persefone era così stanca che quasi cadde sul pavimento.
Dopo averla fatta sedere, le ombre si allontanarono per lasciarle il suo spazio. Pochi istanti dopo entrò un'altra ombra, un uomo anziano col naso acquilino e lo sguardo privo di emozioni, a differenza delle tre ancelle, era vestito di tutto punto come lei.
-Salve Persefone, dea dei fiori, benvenuta nel mondo dei morti.
Persefone lo guardò ostile, vengo a riportarti un messaggio dal dio Ade: egli ti aspetterà, dopo un meritato, riposo a cena.
-Perché sono qui? Chiese acidamente,
L'uomo parve sorpreso, ma rispose con pazienza che lui non era capace di risponderle.
-Chi sei? Chiese.
-Radamanto. Uno dei tre giudici infernali. Dopodiché si voltò e se ne andò. Come previsto Persefone sprofondò nel sonno, bagnata di lacrime, in un luogo privo di ore, eterno, col buio perenne.
In superficie, ormai divenuto pomeriggio, Demetra si affrettava a completare il suo cesto di vimini, intrecciando le foglie. Il vento tirava un'aria calda dal sud e nel cielo limpido, risplendeva Helios, il sole.
Demetra abitava nella sua casetta campagnola nella Sicilia, si era trasferita nell'isola per insegnare agli uomini come zappare la terra e raccogliere l'orto.
Quando sentì le giovani arrivare, non si preoccupò di alzare lo sguardo, continuò a cantare la sua cantilena, mentre tesseva, non era mai stata una brava cantante.
Quando le cinque ninfe si avvicinarono velocemente, portarono dentro la casetta del terriccio.
-Pulite subito i sandali fuori. Ordinò severa Demetra, girata sullo sgabello verso di loro.
Le fanciulle ubbidirono subito, una volta terminato poi entrarono in casa e guardarono la padrona. Nessuna parlò. Nessuna aveva il coraggio di parlare.
Demetra le guardò con la coda dell'occhio, poi si decise a lasciare il lavoro incompiuto sul tavolo e si volse totalmente verso le fanciulle.
-Cosa c'è, adesso? Chiese bonaria, mentre si sistemava una ciocca riccia dietro l'orecchio.
Nessun fiatò, ma la loro espressione trasmise il messaggio. Demetra si allarmò subito.
Si alzò di scatto, con il terrore negli occhi.
-Cosa c'è? Chiese di nuovo.
- Dov'è Persefone?
Chiese, notando che mancava sia lei che la fidata amica Ciane.
-Parlate! Comandò spaventata.
Come richiesto le ninfe gli raccontarono di una grande nube nera che aveva rapito la fanciulla, le descrissero un cocchio nero dai cavalli possenti, capaci di volare. Le riportarono la morte di Ciane, versando qualche lacrima.
Demetra si sentì mancare l'aria, le lacrime scesero copiose sulle sue guance. Si portò una mano al petto, come se volesse trattenere i pezzi del suo cuore, il quale era scoppiato per il dolore. Si abbandonò ai singhiozzi, disperata, qualcuna cercò di consolarla ma lei si divincolò forsennatamente.
-la mia bambina. Ripeteva seduta sullo sgabello.
Le ninfe non sapevano cosa fare, assistevano agli spasmi della donna, mute e spaventate.
L'ira e l'odio la divorarono all'improvviso: l'essere più puro che avesse creato le era stato strappato via, maledisse lo sconosciuto, maledisse Zeus per essere il primo a compiere quelle azioni e maledisse le ninfa per non aver provato a salvarla, nonostante il rischio fosse la morte. Ma sopratutto odiava sé stessa perché non era stata presente.
Si girò di scatto e delirando accusò le ninfe.
- E voi cosa avete fatto?- Urlò. -Nulla. Rispose a denti stretti.
Nessuna riusciva a guardarla in viso, tremavano spaventate.
- Avete assistito mute.- ora era l'odio a parlare, con una calma surreale- non vi siete mosse.
Degli uccelli stavano cantando fuori la casetta per salutare il sole che tramontava all'orizzonte, ignari della tempesta che Demetra stava per far scoppiare.
Camminò con calma, ponderando le parole.
- Dovete essere punite per la vostra infamia. Dovreste vivere punite.
Gli uccelli cantarono dolcemente, si sentì anche un battito d'ali.
Demetra andò alla finestra e ammirò un cuculo ceruleo, un sorriso sinistro affiorò sulle labbra della dea.
L'aria era pesante quanto il silenzio, Demetra si girò e le guardò con ira.
Camminò rigida, avendo paura che se si fosse lasciata andare, sarebbe caduta.
Nel momento in cui una delle ninfe aprì la bocca, tutto il dolore la impadronì e la fece agire, un fascio di luce troppo abbagliante le investì, si levarono urla disperate e poi s'udì lo stridio di un volatile. Aprendo loro la porta, le sirene si gettarono fuori verso la salvezza, lasciando una Demetra vuota sullo stipite.
Quando si risvegliò, svariate ore dopo, qualcuno bussò all'uscio. Buffo, pensò la ragazza, quel gesto, considerando la situazione.
Una testa entrò nell'abitacolo, poi le spalle, il busto e in fine le gambe.
Era un vecchio, dal naso acquilino, la pelle tirata e gli occhi infossati grigi.
Radamanto. Il giudice infernale che era giunto prima.
-Quanto ho dormito? Chiese Persefone con la bocca impastata.
-Abbastanza. Con calma l'uomo si avvicinò al letto e aspettò che la ragazza si alzasse. Quando questa si alzò dal letto, avvertì una vertigine alla testa e, se non ci fosse stato Radamanto probabilmente, sarebbe caduta sulle coperte. L'uomo lasciò andare le sue braccia solo quando si assicurò che fosse in equilibrio, dopo tornò distaccato come sempre.
- Quante ore? Si informò Persefone.
Radamanto alzò le spalle e sorrise.
- Non saprei, non esiste il tempo qui sotto.
Persefone rimase stupita delle sue ultime parole.
- No tempo? Ripeté scioccata.
Radamanto rise.
-No tempo. La risata era dovuta di certo al modo di parlare, non alla sua meraviglia. Quando si è immortale, la mortalità appare sempre divertente.
- Quanto rimarrò qui? Era una delle domande che Persefone si era più chiesta.
Il sorriso di Radamanto scomparve e subito iniziò a sospirare. Pareva un'entità grigia.
- Non saprei.
Persefone si rabbuiò.
-C'è qualcosa che sai?Volevo essere scontrosa. Arrabbiarsi con qualcuno.
-Che sei debole al momento.- Disse Radamanto.- È dovuto alla pressione, per un po'...di giorni- aggiunse per consuetudine, anche se lì era sempre notte e giorno- non riuscirai a fare molte cose, lo stesso camminare ti darà fastidio. Sei stanca? Si informò.
Persefone non seppe se confidarsi con l'entità grigia, oppure rimanere diffidente.
Decise la seconda.
-Affatto. Era una bugia. Lo sapevano entrambi, ma lui non disse niente, anzi si incamminò verso il corridoio, silente.
Persefone lo seguì alla carica, i piedi toccavano il suolo incerti, la testa le pulsava.
L'aria era troppo calda e densa, le pareva di essere all'interno di una fornace.
Aumentò il passo per recuperare Radamanto, che camminava imperturbato. Girarono a destra e a sinistra, uscendo dal gineceo, arrivando alla sala del banchetto.
La sontuosa sala era infinitamente alta, tanto da non esser scorto il soffitto, era circondata da due colonnati, i quali formavano tre navate. Persefone si accorse solo allora che era cresciuta, involontariamente, abilità degli dei è infatti potersi restringere e ingigantire con il semplice volere.
La lunga tavola che era stata apparecchiata dai servi in tutto punto era posto verso il fondo della navata centrale, dietro all'unico scranno occupato poi vi erano due bracieri.
E seduto con lo sguardo tormentato, vi era lui Ade.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top