• XIII •

Sii come una fenice:
se qualcosa ti rende cenere,
tu rinasci
ancora più splendente di prima.
M.Banfi

<< Questa volta ho creduto di averla combinata grossa. Non so perché ti ho chiamata, è stato puro istinto... >> le spiego amareggiata.

<< ...Sopravvivenza >> conclude Libera al posto mio.

Siamo stravaccate sul divano, due piatti di pasta sono adagiati sulle nostre ginocchia e noi siamo talmente attente a non farli rovesciare che, sono convinta, tra poco cadranno e solo per dispetto della dea Sfortuna che ci odia, non c'è altra spiegazione.

<< Perché sei venuta? Dopo tutto quello che ti ho detto... >>

<< Azzurra, tu hai la malsana abitudine di farti del male >> mi risponde guardandomi negli occhi.

E capisco quanto sia preoccupata per me, lo sento dai suoi profondi respiri.

<< Io credo che tu abbia bisogno di aiuto. Forse ti farebbe bene parlare con uno psicologo >> mi sussurra come se camminasse sui vetri rotti.

Non le rispondo, non saprei cosa dirle.

<< Hai toccato il fondo, adesso hai due scelte: o anneghi perché ti arrendi o inizi a darti la spinta per riemergere e iniziare di nuovo a respirare >>.

Analizzo le sue parole, il tono di voce con cui le ha pronunciate.
È allarmata perché è convinta che io sia depressa?
La depressione è una malattia, io non sono malata.
È solo un brutto periodo e non sono neanche pazza, non ho bisogno di uno strizzacervelli.

<< Ad ogni modo, mi spieghi perché eri così sconvolta prima? >> mi domanda.

Le ho sempre raccontato tutto, tra di noi non ci sono mai stati segreti.

<< Quando mia madre era all'università, ha tradito papà e sono nata io >> le dico brevemente tentando di combattere e respingere le emozioni che stanno per riaffiorare.

Libera non sa cosa rispondere, l'ho vista raramente a corto di parole.

<< È questo che volevo dirti prima. Parlare con uno specialista può aiutarti a riordinare i pensieri, come ha fatto Ivan >>.

Ivan, il suo migliore amico: un ciuffo biondo, gli occhiali uguali a quelli di Harry Potter, persino la stessa cicatrice sulla fronte. 

<< È andato in terapia? >> le domando per sfuggire alle sue paternali.

<< Certo. Lo ha costretto il padre quando ha dichiarato di essere gay, dopo quel fatto >>.

Le sue parole mi colpiscono, Ivan credeva di trovare l'appoggio della propria famiglia, chissà come si sarà sentito perso sapendo di non essere accettato neanche dal padre.

<< La verità è che se ne vergognava davvero molto a rivelarlo, ma è stato sempre lui ad aver deciso di spedirlo in collegio in Germania. Sperava che lontano da qui, da tutto ciò che lo aveva reso frocio, sarebbe potuto guarire >> mi spiega, mimando il gesto delle virgolette.

<< Lo ha trattato da appestato? La sua non è una malattia! >> mi adiro.

<< Lo so, ma il padre non la pensava affatto come noi... >>.

Ivan aveva frequentato insieme a noi i primi tre anni di scuola e siamo state proprio noi a notare degli atteggiamenti che potevano portarci a credere che lui fosse gay.

Quando abbiamo provato a parlarne, lui ha acconsentito alla nostra tesi con le lacrime agli occhi, spaventato dall'idea di perderci. Era convinto che nessuno lo avrebbe accettato sapendolo così.

Lentamente è riuscito ad emergere, mostrandosi per quello che davvero era. Lo abbiamo appoggiato nella sua passione per la moda femminile, i tacchi alti, i trucchi.

S'impegnava con una tale ostinazione che non riuscivamo a credere che gli altri non lo avessero appoggiato.

Il tempo era trascorso abbastanza velocemente e lui aveva finalmente scelto di rivelarsi alla propria famiglia.
Dapprima il padre ne era rimasto sconvolto, poi ripresosi dallo choc aveva iniziato a fargli pressioni affinché andasse da uno specialista, ma quando aveva capito che non c'era verso di fargli cambiare la propria omosessualità, lo aveva obbligato a partire.

Erano trascorsi due anni, ma Ivan non era più tornato a casa. Lo avrebbe fatto quest'estate, una volta ottenuto il diploma.

<< Il mio, ad ogni modo, era solo un consiglio >> chiarisce accendendo il vecchio televisore della sala da pranzo.

<< Pretty Little Liars? I Pirati dei Caraibi? La sirenetta? Che vuoi guardare? >> mi domanda, non sapendo scegliere.

Scelgo, prendo una posizione, tra le due sono sempre stata io quella sicura. Ma anche questa constatazione, l'avrei compresa troppo tardi...

La famosa sigla del film invade la stanza, tempo qualche minuto ed entrambe veniamo rapite dal fascino di Jack Sparrow.

Parliamoci chiaro: chi non vorrebbe un pirata senza scrupoli innamorato di noi? Non mentite, nessuno ci crederebbe.

Nessuna delle due parla, troppo immedesimate nei mille imprevisti del protagonista, rido anche di fronte ad alcune scene. Ci destiamo quando avvertiamo il cigolìo della porta d'ingresso.

La madre di Libera si affaccia timidamente nella stanza, tra le mani tiene una vaschetta di gelato e due cucchiaini.

<< Mi raccomando, la prima che si lamenta del mal di pancia, si attacca. Non voglio ascoltare lamentele! Tanto dirvi di non mangiarlo tutto, sarebbe inutile >>.

La madre della mia migliore amica, per me, è come una zia. Conosce a menadito tutti i miei gusti in fatto di cibo e anche di ragazzi. È molto severa, lo si può intendere guardando il suo sguardo spesso arcigno. Non assomiglia per niente alle due figlie, le quali hanno preso tutti i geni del padre.

Ci saluta dolcemente e scompare prima per il corridoio e poi per le scale, diretta all'appartamento superiore.

**

Spalanco le palpebre nell'oscurità e mi asciugo il sudore dalla fronte.

Ho fatto un incubo, non mi capita spesso. Ho sognato che mio padre mi abbandonava perché non ero davvero sua figlia, mentre quello biologico non mi accettava perché aveva una moglie e altri due bambini, un maschio e una femmina.

Entrambi mi scrutavano e non mi riconoscevano come loro figlia, poi si allontanavano insieme per un lungo corridoio bianco.

Io urlavo, strepitavo, ma ero immobilizzata e loro non udivano la mia voce.

Forse è questa la mia paura più grande: non essere accettata e per timore di quel che sarà, scappo lontano da ciò che potrebbe ferirmi.

Soffoco un singhiozzo, finalmente realizzo qual è la cosa che mi riesce meglio: scappare dai problemi.

Penso che se corro più veloce di essi, non mi raggiungeranno.

E finalmente capisco. Devo smetterla.

Non posso continuare a nascondermi.

Non mi riconosco più, non sorrido quasi più, mi guardo allo specchio e nei miei occhi manca qualcosa.

Voglio cambiare, voglio tornare ad essere me stessa. Mi guardo intorno, distinguo solo le forme, poi è tutto nero.

Come la mia vita, fino a quell'istante.

Le emozioni sono come i colori ed è così che voglio la mia vita: un po' gialla, verde e arancione. Voglio sorridere di nuovo, ancora più di prima.

Provo a chiudere gli occhi, cado di nuovo nel sonno promettendo a me stessa di raggiungere i miei obiettivi.

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