• VIII •

Amare se stessi
è l'inizio di una storia d'amore
lunga tutta una vita.
Oscar Wilde

Sono trascorsi un paio di giorni.
Io e Libera non ci parliamo, a malapena ci salutiamo.
Sediamo nello stesso banco, talmente piccolo e stretto che le ginocchia sbattono tra di loro, ma mai come in questi giorni mi è sembrato tanto grande e vuoto.
Per quanto sediamo distanti, tra noi potrebbe starci comodamente un'altra sedia sgangherata.

Lei scherza e parla con altri, sembra non essere successo niente tra di noi, come se non le importasse del nostro litigio.

Vuole ferirmi, lo capisco dal modo in cui mi guarda quando crede che io non la veda.

Le sfugge una cosa: l'aura di menefreghismo che mi circonda è reale, la sua è una barriera che non la protegge realmente.

Persino Filippo e Giulio iniziano a preoccuparsi. Parlano, fingono un entusiasmo che sperano ci coinvolga, ma entrambe rimaniamo sulla nostra posizione, io sulla difensiva e lei sull'attacco.

Tira un'aria strana in classe, le lezioni diventano man mano più opprimenti, gli insegnanti accelerano il programma come se noi passassimo davvero i pomeriggi a rileggere gli appunti di economia o d'inglese.

Non capisco chi sia più illuso, se noi che speriamo che gli esami non arrivino o loro che sperano di far bella figura grazie a noi.

<< Oggi lavoriamo in coppia. Scegliete un compagno >> c'istruisce l'insegnante di religione.

Tutti accolgono la notizia con entusiasmo e subito si alza un gran vociare.
Tutti si spostano tra i banchi, trascinano sedie, spostano zaini.
Io non mi muovo, Libera neanche.

<< Bene. Adesso dovete prendere un foglio e motivare un argomento. L'integrazione dei ragazzi stranieri nella nostra comunità, come farlo al meglio >>.

Tutti continuano ad ascoltarla interessati, tolta qualche battuta dello scemo della classe.
Lavoriamo, scriviamo, ci confrontiamo, ma la tensione tra noi due è palpabile e so che devo scusarmi io per prima.

Le lancette dell'orologio appeso sopra la lavagna corrono veloci, io vorrei solo restare in questo torpore di serenità ancora un po'.

<< Abbiamo finito >> dice la mia compagna alla professoressa.

Quest'ultima si avvicina, legge ciò che abbiamo scritto e si complimenta con noi per la maturità che mostriamo in compiti di questo genere. Le sorridiamo riconoscenti, poi ognuna torna nel proprio mutismo, aspettando, ne sono convinta, che l'altra faccia il primo passo.

Cosa che non avviene.

Per fortuna la campanella suona e ci salva da una situazione davvero pesante da gestire.

Giulio e Filippo si avvicinano a noi, la fronte contratta dalla serietà di ciò che stanno per dire.

<< Dovete smetterla con questo comportamento infantile. Non è da voi! >> cerca di farci ragionare Giulio.

<< Parlatene e vedrete che tutto si chiarirà >> continua Filippo.

<< Avete discusso di questo anziché finire il compito di religione? >> domando loro sarcasticamente.

<< In realtà sì. Non vogliamo vedervi così >> risponde Giulio, trattenendosi a stento dal mandarmi a quel paese, glielo leggo nelle iridi color nocciola.

<< Io sto bene >> risponde Libera mostrando un egoismo che non le appartiene.

La cosa peggiore del nostro legame è che stando sempre insieme, siamo diventate quasi una sola persona con una doppia personalità.

Io ho assorbito i suoi difetti e lei si è appropriata dei miei.

<< Avete visto? Non abbiamo bisogno di due psicologi >> rispondo offesa dalle sue meschine parole.

Giulio riapre la bocca, ma subito la richiude perché l'insegnante di matematica ha posato i libri sulla cattedra.

Un omone di quasi due metri, con i capelli brizzolati e gli occhi chiari, con l'accento marcato del Sud che non l'abbandona mai.

Ci scruta con le labbra tirate in una smorfia imbronciata. Si siede sulla cattedra, aspettiamo adesso anche le sue pressioni riguardo la maturità.

<< La maturità, giovanotti miei, è una stronzata! >> proclama.

Il modo in cui lo dice ci rende desti, più accorti nei suoi confronti.
Forse per la prima volta da settembre, qualcuno si schiera dalla nostra parte. Qualcuno già sorride e lo acclama, è uno di noi in questo momento.

<< È una tappa della vita, così come la patente. Chi di voi l'ha presa? >> domanda, realmente interessato a contare le mani che si alzeranno.

Quattordici di noi la sfoggiano nel portafogli, io e un altro ragazzo dobbiamo dare l'esame pratico, i restanti sei hanno deciso di concentrarsi sulla scuola.

<< Le emozioni che vi ha suscitato dare quei due semplici esami è la stessa che avrete quel giorno di inizio luglio. L'ansia, la paura di non essere all'altezza, l'emozione di concludere una parte della vostra vita sono normali. A settembre, quando questi giorni saranno un ricordo, avrete altre paure da affrontare. E vi lamenterete, ma va bene così, perché questo significa crescere >> conclude così mentre ci sorride uno ad uno.

Ci guardiamo tra di noi, giusto per accorgerci che le sue parole sono le più vere di tutte quelle che ci sono state dette in queste settimane.

Adesso ci pone delle domande, di cui alla maggior parte non sappiamo neanche dare una risposta, nonostante ciò lui insiste.

Vuole che parliamo o quantomeno che ci riflettiamo.

Alla domanda "cosa farai da grande?" non possiamo più non rispondere, perché noi entremo tra tre mesi in quel mondo.

Oggi niente numeri, niente matematica, solo parole di conforto per ragazzi che nel futuro poco ci sperano.

In tanti tornano dopo la maturità, lavoro non si trova dicono, però il coraggio di realizzare il proprio sogno non ce l'hanno. Si adagiano comodamente in una realtà che scorre monotona, si accontentano di ciò che hanno, perché chiedere di più pensano sia sbagliato.

Mi chiedo spesso se sia lecito buttare la propria vita così...

Io voglio scrivere.

Dovrei frequentare l'università, così si apriranno più strade, però... Sarà che la voglia di studiare è sfumata come il bianco su una tela colorata, sarà che non ho i soldi per andarci, forse neanche io sono tanto diversa da loro.

Neanche io credo nel futuro, nei sogni che si realizzano, insomma siamo schietti: il genio della lampada è parte integrante di una favola, non della realtà.

<< Ragazzi, ricordatevi una cosa >> dice il prof prima che l'ultima campanella della giornata suoni.

<< Ci saranno sempre persone che non crederanno in voi, ma ce ne sarà sempre una che crederà che ce la possiate fare >> e come per dare enfasi alle sue parole, la campanella strilla, fiduciosa quanto noi.

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