• VII •
Niente se ne va
prima di averci insegnato
ciò che dobbiamo imparare.
Buddha
Mi sveglio perché sento la porta d'ingresso che viene chiusa. Mi stiracchio, la testa ancora gira e capisco di sentirmi peggio di prima.
Mia madre si affaccia in camera.
<< Tutto bene? >> domanda titubante, come se temesse una risposta negativa.
Solitamente non chiedo mai il suo aiuto, sento come se le rubassi del tempo prezioso, a volte in questa famiglia mi sento di troppo...
Stavolta non riesco a farne a meno, la mia faccia parla da sé.
Si avvicina e noto com'è elegante nella sua semplicità, anche se le borse sotto gli occhi non gliele toglie nessuno.
È stanca mia madre, avrebbe voluto una vita diversa ed è brutto pensare che se tornasse indietro non farebbe tutti gli sbagli che ha commesso, me compresa.
È giovane, ha trentasette anni e io diciotto.
È rimasta incinta quando ne aveva diciannove e a causa mia non ha potuto viaggiare, trasferirsi all'estero, imparare il russo o qualche strana lingua orientale.
Sono confidenze che il tempo ci ha portato via, quando ancora ci raccontavamo, io dei miei problemi e lei dei suoi sogni.
Ti ho scombussolato i piani, scusami.
Mi prende il viso tra le mani e mi posa le labbra sulla fronte, come quando ero bambina.
<< Hai la febbre. Resta sdraiata, tra poco ti porto la tachipirina >> dice dolcemente.
Dopo neanche un minuto torna con un bicchiere pieno d'acqua fresca colmo di quella polverina che ti fa sudare. Si siede sul bordo del materasso, aspetta che mi scoli tutto il liquido, azzarda anche una carezza sui capelli.
<< Stasera devo uscire con Ciccio >> le dico.
<< Che brutto soprannome! Perché lo chiami così, mah! >>
<< Abitudine >> le rispondo semplicemente.
<< Se ti senti meglio puoi uscire, altrimenti resti a casa oggi e domani >> m'istruisce tranquillamente, alzandosi e dirigendosi verso la porta.
Vorrei solo gridarle di non andarsene, perché vorrei che rimanesse a chiacchierare con me, come facevamo qualche anno fa.
Glielo vorrei dire di abbattere tutti i muri che abbiamo innalzato, di provarci insieme e di non arrenderci finché non ci saremo riuscite.
Vorrei, lo giuro, ma non ci riesco.
<< Mamma? >> la chiamo, mi aggrappo a quell'etichetta.
<< Ti voglio bene... >>.
Si volta, mi osserva attentamente. Percepisco un lampo nei suoi occhi, ma non so definirlo.
Amarezza? Nostalgia?
<< Ora dormi, almeno stasera puoi uscire >> dice prima di chiudere la porta.
Mi ci aggrappo da mesi a quell'etichetta eppure anche questa volta, non basta a tenermi in piedi.
Cado.
~
Non sono più riuscita a riposare. Ho passato il tempo a girarmi e rigirarmi sotto il piumone.
Mia madre si è affacciata un paio di volte, ma per evitare silenzi imbarazzanti ho finto di dormire.
Ho pensato che da qualche giorno non faccio altro che farmi odiare da tutti, però la situazione non mi dispiace, così ho del tempo per me stessa.
Libera non mi ha scritto né chiamata, la capirei se non volesse più vedermi. Filippo mi ha inviato un'immagine simpatica su Instagram, ma l'ho ignorato. Neanche Ciccio si è fatto sentire, ha detto solo che viene a prendermi alle 19.00 per cenare insieme e alla mia richiesta di rimandare a domani, ha risposto che non poteva disdire il giorno prima la partita di calcetto.
Sono le 18.00, mi alzo finalmente con una scusa plausibile. Mi posiziono davanti l'armadio, tuttavia i minuti passano così come la mia voglia di uscire.
Mi sforzo, prendo un vestitino nero invernale e lo indosso.
È di lana, almeno non prendo freddo.
Mi guardo allo specchio e vado bene così. Trascorro il resto dell'ora a coprire le occhiaie e a sistemarmi il casco di capelli arruffati, il risultato non è poi così male.
Il cellulare vibra sulla scrivania, accanto al nuovo romanzo di Stephen King.
È qui sotto e mi aspetta.
Esco dalla camera, sento il volume delle televisione in cucina e un profumo di carne.
Mi avvicino giusto per dirle che sto uscendo.
<< Non fare tardi >> mi ammonisce guardandomi di sfuggita.
Chiudo la porta e fingo di dimenticarla.
La macchina sportiva è parcheggiata davanti al cancello, lui sta armeggiando con lo stereo. Credo neanche abbia notato che sono a due passi da lui. Busso sul finestrino ed entro.
<< Quante volte ti ho detto che non devi toccare i vetri sennò ci lasci le impronte? >> mi dice sorridendo.
Gli stampo un bacio sulle labbra, felice di vederlo.
<< Sei davvero bellissima questa sera... >> si complimenta sinceramente.
Lui, al contrario mio, indossa la tuta della sua squadra del cuore. Mi sento una sciocca a girare così graziosa accanto a lui.
Sembriamo una coppia male assortita, quasi grottesca.
<< Come ti senti? >> domanda premuroso.
<< Non bene. Per questo ti avevo chiesto di uscire domani... >>
<< Lo so amore, ma non è da persone mature dare la propria parola e poi disdire >> mi ripete per l'ennesima volta, ma stavolta mi prende la mano e se la porta alle labbra.
Arriviamo al ristorante in meno di mezz'ora. Un locale carino, intimo e dove preparano una cheesecake deliziosa.
Attendiamo l'arrivo di un cameriere che ci scorti al tavolo che Ciccio ha prenotato, dal momento che già accenna ad un grande appetito.
Beato lui, io vorrei solo che gli occhi non bruciassero così tanto.
È stata una pessima idea uscire, me ne rendo conto, però la ragione principale per cui l'ho fatto è stato per evitare mia madre a cena.
Vorrei parlargli di come mi sento affranta per questa situazione, ma chissà perché non ci riesco...
<< A scuola com'è andata? >> mi domanda mentre controlla il menù, anche se entrambi sappiamo che ordinerà le stesse cose di sempre.
<< Non molto bene... Ho litigato con Libera >> gli confesso.
Alza gli occhi e mi guarda perplesso.
<< Voi non litigate mai! >>
<< Lo so, ma oggi ero nervosa e ho finito per arrabbiarmi con lei >>
<< Avrai avuto le tue buone motivazioni. Ne sono convinto >>.
Ad interromperci è il cameriere che si avvicina a noi con un taccuino in mano. Ordiniamo e quando siamo di nuovo soli, Ciccio mi prende la mano e me la stringe nella sua.
Sembra una serata perfetta, è molto tempo che non lo vedevo così attento nei miei riguardi.
Chiacchieriamo del più e del meno, mi racconta la sua giornata lavorativa.
È vero che non riesco a confidarmi con lui, però non è colpa sua, semplicemente i miei problemi non sono così importanti, lo annoierebbero e ai suoi occhi sembrerei una ragazzina.
Il suo cellulare squilla. Lo tira fuori dalla tasca, rifiuta la chiamata e lo spegne.
<< Chi era? Non mi dai fastidio se rispondi >> lo tranquilizzo.
<< Lo so, ma nessuno è così importante da lasciare anche solo un minuto la mia ragazza da sola. Poi non so se l'hai notato, ma in molti ti guardano e la cosa mi disturba >> sorride di nuovo e io non posso far altro che ricambiare.
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