• V •
È un peccato,
mille volte peccato,
non dire mai quello che si prova,
non esprimere quello che si sente.
Virginia Woolf
Stiamo tornando a casa e l'aria all'interno della vettura è un po' tetra.
È stata una serata strana: ognuno era alle prese con i propri problemi, quindi risultava difficoltoso concentrarsi anche su quelli degli altri.
Nessuno parla, nessuno ha il coraggio d'infrangere il silenzio per chiedere di alzare un genere musicale che non piace a nessuno dei quattro.
Libera è accoccolata sul petto di Giulio, penso si sia addormentata; quest'ultimo le accarezza la schiena mentre guarda il litorale scorrere sotto i propri occhi, poi la strada, il Grande Raccordo Anulare, la periferia che ci ha visti crescere.
Filippo guida tranquillo tenendo una mano sul volante e l'altra sul cambio delle marce.
Io copio Giulio e m'impongo d'ignorare i messaggi rabbiosi che Ciccio mi ha inviato.
Domattina la sveglia suonerà alla solita ora e noi ci ritroveremo occhiaie scure a testimoniare il sonno perso, mancato e in classe capiranno che stavamo insieme di nuovo e parleranno, inventeranno storie che non esistono solo per il gusto d'infangare la nostra strana amicizia.
Litigherò con mia madre che si lamenta sempre che non sto a casa, litigherò con Ciccio perché non sono rimasta a casa al telefono con lui bensì sono uscita senza dirglielo.
A tutto questo penserò domattina, ad ogni giorno basta il proprio dramma.
Il primo ad essere riaccompagnato a casa è Giulio. Libera non si è ancora svegliata e lui preferisce che rimanga a dormire, l'adagia sul sedile e la copre con la propria felpa.
L'osservo compiere piccoli gesti che rendono chiaro il suo affetto per lei, mi domando spesso se anche io troverò mai queste piccole attenzioni nel ragazzo che da mesi è al mio fianco.
Il tempo passa e lui continua a non capire...
Il viaggio continua in silenzio; di solito mi piace, mi culla e mi sento a mio agio, ma non stasera dove tutto sembra strano e niente è nella norma.
Vorrei che la mia amica fosse sveglia, ci penserebbe lei a tirarmi fuori dal mio imbarazzo, d'altronde si prende cura di me da quando ci siamo conosciute.
Sospiro, tentando di trovare un argomento che riesca a smorzare la tensione, ma più lo cerco e più mi sfugge.
Arriviamo in venti minuti sotto casa di Libera ed è strano, perché di solito accompagna sempre prima me.
<< La svegli tu? >> mi chiede.
Annuisco e scendo dalla macchina. Non appena la scuoto, apre gli occhi, però è talmente insonnolita che borbotta un "ciao" ed entra nel cancello dove si trova l'appartamento dei genitori.
Rientro nella vettura ed allaccio la cintura di sicurezza, nonostante c'impieghiamo cinque minuti a raggiungere la via dove abito.
Parcheggia davanti al mio cancello. Per strada non gira un'anima, alcuni lampioni sono fulminati, altri si accendono ad intermittenza.
<< La felpa la laverò e te la riporterò, va bene? >> gli dico, mentre apro la portiera.
Annuisce, aspetto qualche secondo perché spero mi dica qualcosa, ma non sembra averne l'intenzione.
<< Fumi una sigaretta con me? >> mi domanda, giusto un attimo prima che lo sportello si richiuda.
Lo riapre nuovamente, dubbioso che abbia sentito la sua richiesta. Mi siedo e aspetto che si accenda una Camel, sa che non fumo quindi neanche me ne offre una.
<< Mi sta sulle palle il tuo fidanzato >> mi confida, calcando con rabbia la parola "fidanzato".
<< Non lo conosci neppure. È un bravissimo ragazzo! >> mi sento in dovere di difendere lui e la nostra relazione.
<< A me non sembra. Non ti vedo felice con lui come lo eri qualche mese fa, l'ho visto poche volte e in quelle poche volte mi ha dato l'impressione di non conoscerti affatto >>.
La schiettezza delle sue parole e il suo sguardo sincero mi colpiscono come una pioggia di vetri. Ciccio mi conosce, ma mentre lo penso non ci credo neanche io.
<< L'ultima volta gli hai chiesto se poteva comprarti un gelato e gli hai detto di scegliere i gusti. Ti ha portato un gelato al cioccolato, maledizione, tutti sappiamo che ami il gelato alla frutta! Li ho sentiti i vostri discorsi più di una volta. Ti parla sempre dei suoi problemi a lavoro, come fai a non stancarti di un tipo così noioso? Ci ha detto che ti vuole portare ad un concerto di non-mi-ricordo-chi perché ti piacciono tutte le canzoni. Almeno sa qual è il tuo genere di musica preferito? Canti le canzoni rap a squarciagola in macchina con lui? >>
<< Buonanotte >>.
Sbatto la portiera ed apro il cancello, corro per le scale con le lacrime agli occhi perché so che ha ragione, ma prima che il mio orgoglio ceda ho già chiuso la porta di casa.
Cerco di non svegliare i miei genitori, soprattutto mio padre che tra qualche ora si alzerà per andare al lavoro.
Entro in camera e mi accascio contro la porta. Gli occhi bruciano dalla voglia di scaricare la tensione di tutta la serata, quindi piango perché in questo momento è l'unico modo che mi resta per sentirmi viva, non svuotata di tutte le emozioni che una comune diciottenne dovrebbe provare.
Non so per quanto tempo rimango nella stessa posizione, con il viso nascosto tra le ginocchia e la schiena incurvata, tuttavia quando mi rialzo ho la sensazione di stare meglio.
Specchiandomi, noto il mascara colato che ha formato dei cerchi scuri sotto gli occhi e dei solchi lungo le guance.
Vado in bagno e mentre riempo il dischetto con del latte detergente per struccarmi, ripenso alle parole taglienti di Filippo.
Il mio cuore insiste sul fatto che Ciccio mi ama, il mio cervello gli dà del credulone. Non ho ancora scelto quale organo favorire, forse il cuore...
Mezz'ora più tardi imposto la sveglia per le 6.00, odio dovermi alzare e preparare di corsa, quindi facendo un paio di conti mi rimangono quattro ore scarse per dormire.
Controllo l'ultima volta il cellulare prima di attaccarlo al caricabatterie, visualizzo finalmente i messaggi lasciati da colui che si definisce il mio fidanzato.
Posso essere arrabbiata quanto voglio, ma io non rivolgerei mai parole così brutte ad una persone che sostengo di amare.
Probabilmente abbiamo due concetti diversi dell'amore, inizio a non essere più sicura di ciò che fino ad adesso mi è andato bene.
Sfogo tutti i miei pensieri in un messaggio carico di rabbia, una volta soddisfatta penso sia giunta l'ora di chiudere le palpebre e mettere la parola fine a questa giornata.
~
Avete presente quando nei vecchi film veniva raccontata la vita dei militari o quella di ragazzi costretti alla leva obbligatoria?
Ecco, bene.
E avete presente quell'odiosa tromba unita al suono stridulo di una campana arrugginita che aveva l'arduo compito di svegliare i poveri dormienti?
Ecco, bene.
Mia madre urla per casa, girovagando di stanza in stanza, mi chiama talmente tante volte che inizio a credere stia facendo una prova d'evacuazione.
Che voce insopportabile ha di prima mattina quella donna!
Borbotto qualche parola per avvisarla che tra cinque minuti sarò in piedi, ma non sembra bastarle perché piomba nella mia camera (e sa quanto odio che invada il mio spazio personale) e getta la mia amata coperta leggera sul pavimento.
L'aria fresca mi devasta, le sue lamentele ancor di più.
<< Ti piace tornare all'alba, vero? Ti assicuro che non resti a poltrire tutto il giorno, altrimenti non esci più di casa! >> mi ammonisce con le mani sui fianchi, postura che assume solo quando è molto contrariata.
<< Ho messo la sveglia! Non è ancora suonata, che cavolo vuoi? >> borbotto in risposta, indispettita già di prima mattina.
<< Sono le 6.20, ma tu non puoi saperlo dal momento che hai spento la sveglia! >>
I miei sensi si svegliano tutti insieme: il mio udito è stato gravemente danneggiato, la mia vista finalmente mette a fuoco la figura di mia madre, le mani afferrano i primi vestiti che trovano sparsi per il pavimento della camera e il mio olfatto percepisce un gradevole aroma di caffè.
Quasi corro in cucina, dove un bicchiere pieno di latte e caffè caldi mi aspetta.
Lo bevo velocemente, tanto che l'esofago riconosce un calore a cui non è solitamente abituato, tuttavia non ho tempo per ingurgitare un bicchiere d'acqua fresca.
<< Perché non mi hai svegliata prima? >> urlo isterica contro mia madre perché, diciamoci la verità, con qualcuno devo pur prendermela.
<< Cosa urli? Sono più di dieci minuti che ti chiamo, ma non senti! >>
Mi lavo il viso, mi vesto e mi lego i capelli in una crocchia che non so neanche come sia uscita, infilo tra le labbra una gomma mentre urlo un "ciao" prima di chiudermi la porta alle spalle.
Cammino a passo svelto, a mo' di marcia, perché tra meno di dieci minuti mi passerà l'autobus e non voglio attenderne altri venti sotto il palo giallo della fermata, da sola e con quest'aria fredda.
<< Ti alleni per la maratona? >> mi domanda sarcastico un ragazzo con cui frequentavo le scuole medie.
<< Sì. Dovresti provarci anche tu, ti farebbe bene >> lascio la frase a metà, in modo che possa capire a cosa mi stia riferendo e continuo per la mia strada.
Intravedo la fermata a qualche decina di metri e, per fortuna, i ragazzi sono ancora lì ad aspettare il bus.
Sorrido felice, almeno non farò tardi a scuola, anche se non sarebbe la prima volta.
Ho trascorso quelle poche fermate spiaccicata come una sardina tra un uomo di colore, un ragazzo della mia età e la cabina del conducente.
Riuscivo a malapena a respirare a causa dello sgradevole odore di cipolla misto a sudore che, alle sette del mattino, è davvero impensabile.
Quindi non solo ho l'aspetto del Grinch, ora puzzo esattamente come lui!
Ho respirato aria pura (si fa per dire) non appena sono scesa e con calma mi sono diretta alla fermata dei cotral: pulman blu che attraversano Roma e dintorni, province e capoluogo del Lazio.
Libera mi sta aspettando. Ha i capelli biondi legati in una treccia ordinata, gli occhi circondati da cerchi violacei coperti con il fondotinta, ma da cui traspare una pesante stanchezza.
È seduta sul proprio zaino, un vecchio Invicta rosa che adora, mentre fuma tranquilla la prima sigaretta della giornata.
Mi fa un cenno del capo a mo' di saluto mentre sbadiglia. Non ci parliamo neanche, ci siamo alzate dal letto portandoci il sonno appresso.
<< Hai letto sul gruppo di classe? >> spezza il silenzio con una domanda, a cui io ovviamente non so rispondere.
<< Qualcuno ha scritto che abbiamo la verifica di francese >> m'informa, soffocando un altro sbadiglio.
Alzo le spalle disinteressata e mi guardo intorno mentre il mio telefono vibra, Ciccio mi sta chiamando. Rifiuto la chiamata, ancora offesa per le sue parole.
Come avevo previsto la verifica era molto semplice, la giornata estremamente noiosa.
Io e Filippo non ci parliamo, ultimamente sembra che non sappiamo fare altro.
Lui chiacchiera con Giulio, talvolta anche con gli altri ragazzi della classe.
L'osservo e mi dà fastidio il suo comportamento: non dà alcun segno che gli dispiaccia ciò che è successo.
Ci stiamo ignorando, tranne qualche sguardo che a volte ci scambiamo.
<< Ancora non vi parlate? >> mormora la mia amica.
<< Abbiamo litigato ieri sera >> le confido mentre la professoressa sta spiegando.
<< Ancora? >> esclama quasi sbalordita.
<< Azzurra! Libera! Avete finito di chiacchierare? >> ci rimprovera l'insegnante.
<< Scusi prof, è colpa mia >>.
Vengo spedita in corridoio in modo che non possa disturbare ulteriormente la lezione, a detta della carogna di italiano.
Mi siedo sul pavimento gelido e impolverato, snodo le cuffiette del cellulare e ascolto un po' di musica.
Ciccio continua a scrivermi, la mia rabbia si sta pian piano dissolvendo, mi chiede scusa in cento modi diversi, dice che si farà perdonare e che riconosce di aver esagerato.
Sorrido lievemente, finché le constatazioni di Filippo non mi portano a riflettere e ad insinuare dei dubbi nella mia mente.
Non so quanti minuti siano trascorsi, tuttavia credo stia per suonare la campanella dal momento che l'insegnante mi permette di rientrare in classe.
Mi alzo dal pavimento e un capogiro mi costringe ad appoggiarmi al muro, mi capita spesso quando compio dei gesti velocemente.
Prima di sedermi al mio posto, guardo Filippo che sta sorridendo a Giada e lei che gli lancia un bacio.
Un fastidio mi punge allo stomaco, ho voglia di dare uno schiaffo a entrambi e capisco così quanto io preferisca litigarci piuttosto che perderlo.
Quel sorriso, che solitamente rivolge a me, oggi è stato destinato ad un'altra ragazza.
"Filippo, puoi andartene affanculo!"
Ho trascorso tutte le ore da sola, chiusa in un ostinato mutismo e divorata da una rabbia cieca.
Vorrei almeno sapermi dare una motivazione, purtroppo non ne trovo neanche una.
Filippo riesce a tirare fuori il peggio di me: quel lato diffidente, scontroso e vendicativo che non voglio mostrare a nessuno.
Libera ha provato a convincermi ad accompagnarla a fumare in cortile, ma le ho spiegato come mi sento e che avrei preferito rimanere da sola.
Ragazzi schiamazzano nel corridoio, corrono e urlano.
Sento la testa scoppiare e ho freddo, mi siedo con il culo sul termosifone e immergo la faccia nel libro che sto leggendo da qualche giorno. È un thriller particolarmente agghiacciante, mi affascina e spaventa al tempo stesso, amo tutto ciò che possa darmi un'emozione, qualunque essa sia, qualunque cosa che possa scuotermi dalla mia quotidiana apatia.
<< Posso parlarti? >> domanda una voce roca.
Vorrei tanto dirgli di no, vorrei dirgli di non sprecare tempo con me ma di tornare da Giada, di sorriderle come ha fatto prima.
Sono arrivata ad un punto cruciale: la scoperta del quarto cadavere e devo finire il capitolo prima che termini la pausa.
<< Senti, mi dispiace. Non volevo farti incazzare, io so quanto tu tenga a lui, e- >>
<< No! Tu non sai niente, non te ne frega un cazzo dei sentimenti degli altri! >> gli sbraito contro.
"Altrimenti sapresti quanto io ti detesti in questo momento, sapresti quanto avrei voluto che sorridessi a me in quel modo. Sapresti tante cose, invece non sai niente!"
Filippo mi guarda, gli occhi incerti, la bocca semiaperta di chi non si aspettava minimamente una risposta del genere.
Il libro mi scivola dalle mani e un altro capogiro, più forte del precedente, mi costringe ad appoggiarmi al banco.
<< Stai male? >>
Scuoto la nuca, non gli permetterò di aiutarmi. Eppure lui si avvicina comunque, mi circonda il busto con le braccia e mi posa le labbra sulla fronte.
Avverto il calore espandersi in tutto il mio corpo, il cuore battere più forte e una sensazione strana a cui non so dare un nome.
<< Che fai? Lasciami! >> gli urlo, tentando di divincolarmi.
<< Hai la febbre stupida, devi andare a casa >>.
La porta si apre e noi ci stacchiamo subito, ma non abbiamo fatto in tempo.
Beatrice ci ha visti e non è una ragazza riservata, presto lo saprà tutta la classe e non crederanno mai alla storiella della febbre.
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