• III •
Nelle città senza mare,
chissà a cosa si rivolge la gente per ritrovare l'equilibrio...
Forse alla Luna.
Banana Yoshimoto
Le persone amano le metropoli, il caos, le strade trafficate, i panni puliti che prendono l'odore dello smog; io odio tutto questo, odio sentirmi nessuno in un mondo che va di fretta e non rispetta i tuoi tempi, odio i clacson, le sirene della polizia, odio la periferia di Roma.
La città eterna, bellissima nei suoi monumenti e nelle sue imperfezioni, una donna meravigliosa che tutti conquista col proprio fascino e le proprie luci.
Casa mia è situata nella periferia est della città, a dieci minuti dai castelli romani e troppi dal Colosseo; l'appartamento è incastrato tra altre palazzine dai colori sgargianti che nascondono il grigiore della monotonia, che sembrano trasmettere un'allegria che dentro quelle quattro mura in realtà non esiste.
Qualche volta si possono udire liti tra balconi vicini, urla tra fratelli che rieccheggiano nel vuoto della strada isolata.
Altre volte qualcuno s'impiccia di fatti che non sono i propri e compone il numero di vigili o carabinieri e quelli di corsa arrivano a sirene spiegate.
Ognuno ha la propria vita, ci si saluta a malapena, si procede verso una ripetitiva esistenza.
I ragazzi sognano di scappare dalla periferia e da Roma, gli adulti hanno già sfidato la sorte e si sono arresi, sopraffatti dalla routine di un'esistenza che ormai appartiene a loro.
Le persone sembrano morire un po' ogni giorno, almeno finché non torna la stagione estiva e le famiglie si dirigono al mare o in montagna. Quando tornano, sembrano altre persone: sorridono, gli occhi brillano di nostalgia, anche la pelle cambia colore.
Tempo qualche giorno e tornano gli stessi di sempre.
Infilo le chiavi nella serratura della porta e con un paio di mandate, la apro.
Casa è buia e silenziosa; buia perché le serrande sono tutte abbassate e silenziosa perché non c'è nessuno.
I miei lavorano, ci vediamo solo a cena e spesso sono stanchi anche per mantenere viva una conversazione, altre volte tornano nervosi e si finisce per litigare e lasciare i piatti ancora pieni sulla tavola.
Mi butto sul letto mentre tento di sistemare il cavo delle cuffiette che si è aggrovigliato.
Amo la musica, ritengo che mi capisca molto più di certe persone, ritengo anche che sia un concetto universale.
Presto mi annoio di pensare a cose che un vero senso non lo hanno. Mi capita spesso: mi concentro su cose stupide per evitare di pensare a quelle più importanti.
Provo ad accendere la televisione, ma a quest'ora mandano in onda solo programmi per le famiglie e telegiornali.
Quand'è così e non trovo qualcosa da fare, m'innervosisco facilmente. Spengo la tele e lancio il telecomando sulla coperta, frustrata e annoiata allo stesso tempo.
Prendo il cellulare e compongo il numero di Libera, che mi risponde dopo pochi squilli.
<< Che fai? >> le domando.
<< Sono sul terrazzo... >> mi risponde con tono vuoto e un po' roco.
La conosco come fosse il prolungamento della mia stessa vita, capisco subito che è accaduto qualcosa.
<< Riconosco questo tono di voce. È successo qualcosa? >> le domando, un po' preoccupata.
<< I miei stanno di nuovo litigando... >>
E bastano poche parole a chiarirmi la situazione.
Conosco la sua famiglia, il suo passato, i suoi problemi...
Le chiedo di venirmi incontro, se usciamo entrambe da casa nello stesso momento in quindici minuti ci troviamo a metà strada, perché tanto è inutile aspettare l'autobus.
Invio un SMS a mia madre, l'avviso che non mangerò a casa perché i genitori di Libera mi hanno invitato a cena. La sua risposta arriva mentre mi allaccio le scarpe da ginnastica.
MAMMA: Quando torni dobbiamo parlare. Non stai mai con la tua famiglia!
Ignoro il suo messaggio, chiudo a chiave la porta d'ingresso e m'incammino per raggiungere Libera.
La notifica del cellulare mi riscuote dai miei pensieri, è il gruppo di Whatsapp dove Giulio chiede se questa sera vogliamo organizzare qualcosa. Evito di rispondere, tanto già conosco la risposta affermativa che tutti daranno.
Da quando usciamo insieme, cioè da un paio di mesi, ci siamo quasi dimenticati della forma che hanno i nostri letti, non c'importa più dell'odore di casa...
Mia madre odia il fatto che io passi così tanto tempo fuori, si aspetta ancora che io sia la ragazzina che ero un paio di anni fa.
Non ha capito che io voglio godermi i miei diciotto anni, che non voglio sprecarli per stare in camera o, come dice lei, per non mancare di rispetto al mio ragazzo.
Forse si è dimenticata della sua adolescenza, del desiderio di evadere dalla normalità, di sfidare le regole, di non sentirsi mai stanchi.
Probabilmente ha solo paura che mi metta in qualche guaio, che inizi a non impegnarmi più a scuola, forse ha paura di perdermi come tutti i genitori ne hanno verso i propri figli. Vorrebbe tarparmi le ali per evitare che prenda il volo, non capisce che ormai è tardi, che il volo l'ho intrapreso da tempo, ma la differenza è che ora non sono più sola.
Forse un giorno parleremo e capirà, chissà.
Intravedo Libera da lontano e accellero il passo, finché non arriviamo una di fronte l'altra.
Ha i capelli legati in una treccia disordinata, gli occhi arrossati e gonfi di chi ha appena smesso di piangere, indossa ancora i vestiti che ha usato per venire a scuola.
Le circondo le spalle con un braccio e ci dirigiamo verso il centro abitato, sembra rimpicciolirsi quando qualcuno l'abbraccia... Si stacca da me solo per prendere il pacchetto di sigarette abbozzato, così tanto che non capisco come facciano le sigarette ad essere ancora integre. Prova ad accenderne una, due, tre volte ma il gas nell'accendino è terminato e quando lo comprende, lo frulla con tutta la rabbia che ha in corpo. Sospiro, perché conosco la situazione.
Non posso fare a meno di chiedermi per quale motivo una persona nasca su cento cuscini di piume e altre su cento grovigli di spine.
Ci fermiamo a chiedere un accendino al parco ad un ragazzo che ci scruta interessato e sappiamo che non dirà di no, poi ci fermiamo su un muretto a guardare ragazzetti di quindici anni che rollano una canna o giocano a picchiarsi.
<< L'anno scorso anche noi girovagavamo qui e aspettavamo che il resto della compagnia arrivasse. Ti ricordi? >> mi domanda.
<< Sì. Quei ragazzetti che fumano laggiù potevamo essere noi l'anno scorso. Eravamo come loro, stare qui ed essere giudicati come "quelli da cui stare lontani" ci piaceva da morire >>
<< Solo che 17 anni non sono 19. Dobbiamo iniziare a pensare al futuro, il nostro tempo di essere cattive ragazze è finito... >>
La capisco. Eravamo felici in quel periodo, i problemi ci scivolavano addosso, i guai che potevamo passare facendo quel che facevamo anche. Il gruppo con cui ci ritrovavamo sempre si era sciolto qualche mese dopo, colpa dei genitori apprensivi, della scuola, qualcuno ha passato la nottata in caserma a soli 15 anni, altri hanno cambiato comitiva e noi due ci eravamo ritrovate sole senza neanche accorgercene.
Non avevamo niente, non eravamo niente e le cose non sono cambiate molto da allora.
<< Che si fa questa sera? >> le domando, sperando di chiudere un argomento che ci porta solo amarezza.
<< Imparerai a leggere i messaggi sul gruppo prima o poi? >> risponde con un'altra domanda, però almeno mi sorride.
<< Forse... Sai, oggi Filippo non mi ha neanche salutata prima che andassi da Ciccio... >> le rivelo con una punta di tristezza nella voce.
Ciccio è il soprannome che abbiamo affibiato al mio ragazzo prima che ci mettessimo insieme, solo che nel tempo l'abitudine di chiamarlo così non ci è mai passata.
<< Ancora? Ha un vizio orribile. Avete litigato per caso oppure hai fatto qualcosa che gli ha dato fastidio? >>
<< No! >> le rispondo sicura, poi le richiedo che programmi abbiamo per stasera.
Mi dice che ha raccontato ciò che stava succedendo tra i suoi genitori e quindi per distrarla, Giulio e Filippo stanno organizzando una bella serata.
Già m'immagino: Giulio la consolerà e passeranno una romantica serata, mentre io starò da sola perché Filippo non mi rivolgerà la parola, purtroppo lo conosco bene.
Non mi soffermo troppo a pensarci, in fondo è solo una serata, no?
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