Missioni e inganni

*

Un tempo, Draco avrebbe creduto che mettere piede nella Londra babbana, entrare in un pidocchioso Motel della periferia e parlare a un concierge babbano che puzzava di cipolle fritte fosse quanto di più degradante gli fosse mai capitato. Tuttavia, i suoi orizzonti del disagio si erano ormai talmente allargati, che avrebbe potuto stilare una lista delle imprevedibili stranezze che stavano costellavano la sua vita; per cui, uno valeva l'altro.

Il rozzo impiegato in portineria gli aveva consegnato una chiave sudicia, contrassegnata dal numero sette. Entrando nella camera giusta - un piccolo antro odoroso di muffa, con al centro un letto senza spalliera - trovò lei già all'interno. Guardava fuori dalla finestra, oltre le tendine ingiallite, la strada in lontananza, inumidita dalla pioggia, che divideva in due parti un grande terreno trascurato. Si voltò di scatto non appena lo sentì entrare. Per qualche attimo, non fecero altro che guardarsi negli occhi. Poi Draco richiuse la porta e andò verso di lei, mostrando il portachiavi bianco, tempestato di sporcizia.

"Con tutti i posti che avresti potuto scegliere, proprio qui?" Le domandò, gettando la chiave con noncuranza sul copriletto scolorito.

"Passo sempre da questa strada quando vado a fare visita ai miei genitori." Spiegò Hermione. "Nessuno penserà mai che ci siamo incontrati qui."

"Non faccio fatica a crederlo." Commentò Draco. Lei non aveva specificato di cosa volesse parlargli, nella lettera anonima con la quale quella mattina gli aveva chiesto un incontro, ma non era difficile immaginarlo. "Rose sta bene, sto provando a convincerla a tornare a casa. Lo sa anche lei che non potrà stare da me per sempre. Credo voglia solo sperimentare l'indipendenza."

Hermione annuì, a braccia conserte, dando l'idea che capisse, anche se stava ancora soffrendo per sua figlia.

"Ti ha fatto altre domande su di me?... su di noi?"

"No, non vuole saperne niente. Io però so che le manchi. Non le hai più scritto. Perché?"

Hermione si guardò i piedi, incerta. La sua gamba tremolava nervosa.

"Mi vergognavo." Ammise. "Lei conosce la verità. Sa che ho quasi messo a rischio la nostra famiglia per te, ed era un'umiliazione che non potevo sopportare. Soprattutto, perché sapevo che il suo più severo giudizio su di me era corretto. Ho sbagliato, ora ne sono convinta. Scusa, Draco. Temo di averti illuso."

L'aveva guardato negli occhi, afflitta. Era finita. L'aria intorno a loro era pregna di quel senso di fine ineluttabile, concreta quanto l'odore della muffa. Draco pensò che faceva male. Si sentiva quasi in lutto. Per tanti anni aveva vissuto con la rassicurante speranza che quell'amore giovanile, mai del tutto fiorito, potesse sbocciare in un giorno qualunque della sua maturità. Un sogno, che gli era stato di conforto nei momenti più bui, e che adesso svaniva nel nulla. Aspettò l'ansia e le crisi di panico che normalmente accompagnavano le sue prese di coscienza, ma non arrivò nulla. In effetti, il dolore che provava era meno forte di quanto avrebbe immaginato. Hermione gli stava dicendo addio, ma era come se lui fosse nascostamente d'accordo con la sua decisione.

"Forse ci siamo illusi a vicenda che potesse funzionare. La verità è che siamo troppo diversi." Le disse, scoprendo di pensare sul serio le parole che stava pronunciando. "Avevi ragione tu, è passato troppo tempo. Non saremo mai più quelli di una volta. Mi dispiace solo di non averti amato come meritavi. Non credo di esserne mai stato capace e non credo di esserlo neanche adesso. Ti chiedo scusa per quello che ti ho fatto. Con Weasley almeno sei felice. Hai fatto bene a sceglierlo due volte."

Hermione si tranquillizzò. Anche lei doveva aver creduto che il momento dell'addio sarebbe stato più straziante. Forse aveva temuto che Draco non sarebbe riuscito ad accettarlo, infatti sembrò felice di sentirlo parlare con obiettività.

"Ron non è perfetto, ma è decisamente la scelta giusta per me, così come Astoria lo era per te. Ammettiamolo: non potevi amarmi, perché io non facevo parte del tuo destino. Lei non c'è più, è vero, ma se guardi dentro di te scoprirai che non se n'è mai andata. Vivrà con te per sempre, nel tuo cuore, insieme a tuo figlio. Tu non sarai solo, Draco, finché l'amore vi terrà uniti." Hermione lo abbracciò prima che Draco perdesse il controllo delle proprie emozioni. Gli permise di nascondere il volto tra i suoi ricci, lasciandogli il suo momento. "Volevo dirti che ti perdono, per quel giorno di venticinque anni fa. Non posso cambiarti. Non avrei mai dovuto pensare di poterti cambiare."

Draco si allontanò da lei, gli occhi ancora arrossati per le emozioni trattenute. Era stato confortante abbracciarla, ma si era accorto di come toccare il suo corpo non gli facesse più lo stesso effetto di prima. Ripensò al giorno in cui aveva dovuto confessarle di vergognarsi di lei in quanto Nata Babbana. Il ricordo l'aveva tormentato per anni.

"Mi sono sempre chiesto cosa sarebbe successo se durante quel settimo anno mi fossi comportato diversamente. Te ne ho parlato anche ad agosto. Credevo che se avessi sposato te la mia vita sarebbe stata migliore e mio figlio più felice. Ma la verità è che, se anche fossi tornato indietro cento volte, avrei continuato a scegliere me stesso. Mi dispiace di non essere migliore."

Non era stata una verità facile da assorbire per Hermione, anche se Draco credeva che dovesse aspettarselo. Da ragazzo, non era mai stato niente di diverso dal prodotto dei suoi genitori. Se venticinque anni non lo avevano cambiato, non potevano farlo nemmeno quei pochi mesi con lei. Hermione gli prese le mani e le strinse nelle sue. Il suo tocco era morbido ma deciso.

"Non devi scusarti! Sei quello che sei. Un ambiguo Mago Purosangue, furbo e ambizioso." Gli disse, con un sorriso affettuoso. "Ma anche abbastanza intelligente da riconoscere i propri limiti. Fai solo in modo di essere la versione migliore di te stesso, e non sbaglierai mai."

"Te la riporterò a casa." Promise Draco, commosso. "Consideralo il mio regalo d'addio. "

Voleva ricompensare Hermione restituendole l'affetto di sua figlia, ma era una promessa amara. A Draco sarebbe mancata anche lei. L'affetto sincero che nutriva per Rose era il motivo per cui non poteva sentirsi del tutto in colpa nei confronti della donna che aveva amato da giovane. Solo, era sicuro che se la loro relazione appena cominciata non fosse finita in fretta, non se lo sarebbe mai perdonato.

Alludendo a Rose, aveva toccato un tasto dolente anche per Hermione, che gli disse:

"Sono tanto preoccupata. Non so cosa ti abbia raccontato, ma so che non è per Scorpius che è andata via di casa: l'ha fatto per te! Ti ha mai detto niente dei suoi sentimenti? Si è mai dichiarata?"

"Se l'avesse fatto, ti avrei scritto all'istante."

Stavolta la bugia gli pesò così tanto, da credere che Hermione se ne sarebbe accorta. Lei però gli credette. Era difficile anche per lei - se non impossibile - immaginare che tra Draco e Rose potesse nascere qualcosa di scabroso.

Si salutarono con una stretta di mano. Ora che finalmente avevano messo fine a quella relazione tormentata, rimasta in sospeso per venticinque anni, tra di loro non c'era più nulla. Per Draco era strano dover andare avanti sapendo che Hermione non avrebbe più fatto parte della sua vita, ma in qualche modo era anche un sollievo: non doveva più preoccuparsi di mentire, perché non le doveva alcuna spiegazione.

"Verrò presto a parlare con mia figlia." Le disse Hermione, al termine del loro saluto. "Ho atteso già troppo per chiarire con lei."

Draco diede il suo assenso. Non poteva fare altro, se non prepararsi a perdere per sempre anche l'ultima delle donne che avevano mai significato qualcosa per lui.

*

Qualche giorno dopo.

Gli abiti che Draco aveva riadattato per lei, le calzavano a pennello. Rose si stava specchiando nel bagno di Mirtilla Malcontenta - sorprendentemente vuoto, forse perché il fantasma era andato a farsi un giretto nello scarico - dopo essersi tolta i vestiti normali e averli cambiati con la divisa di Slytherin, ammirandosi per la prima volta circondata dai colori verde-argento.

"Non ho mai usato prima d'ora gli incantesimi di un sarto, e non credo che dureranno a lungo." Le aveva detto Draco, mettendola in guardia. "Cerca di non perdere più di un'ora in Sala Comune."

Rose aveva infilato i suoi abiti nello zaino, che aveva poi incastrato tra le tubature di uno dei gabinetti, sperando non fosse proprio uno dei preferiti di Mirtilla. Non che lei potesse toccare lo zaino, ma di sicuro poteva inzupparlo.

Il suo arrivo a Hogwarts era passato inosservato. Era un pomeriggio tempestoso e Hagrid, che lamentava sempre dolori alle ossa, si era chiuso nella sua capanna per sfuggire alla pioggia. Passando per il sentiero che portava al castello, Rose riuscì soltanto a scorgere il suo cane Batuffolo ancora sdraiato, come se nulla fosse, sullo scalino d'ingresso della sua capanna. Nessun professore la intercettò mentre si dirigeva nel bagno di Mirtilla. In giro per i corridoi, qualche studente più giovane la notò per il fatto che non indossava la divisa scolastica, ma nessuno se ne interesserò più di tanto e lei proseguì per la sua strada.

Il travestimento era quasi pronto. Doveva solo Trasfigurare i suoi lineamenti. Riuscì, con una certa difficoltà, a mettere in pratica le magie che aveva esercitato per giorni. Come risultato, i suoi capelli divennero lisci e castani e la sua carnagione si scurì. Neanche lei, come Draco, era sicura dell'efficacia dei suoi incantesimi, per cui, dopo un'ultima controllatina allo specchio, si mise in marcia in direzione dei Sotterranei.

Arrivò in tempo per attraversare il passaggio segreto insieme a uno studente del secondo anno che aveva appena pronunciato la parola d'ordine: "Serpensortia". Quando si era ritrovato Rose alle sue spalle, non l'aveva degnata di uno sguardo. Lei non ci aveva pensato, ma la naturale tendenza degli Slytherin all'individualismo poteva giocare a suo vantaggio.

La Sala Comune era quasi vuota. Era pomeriggio, in un orario in cui la maggior parte degli studenti erano ancora a lezione. Non c'era traccia di Trevor e nemmeno di Orella Flint, il cui aspetto le era rimasto stampato in mente come una fotografia. Dato che nessuno dei pochi presenti si interessava a lei, Rose procedette indisturbata fino al corridoio dei dormitori femminili. Guardò le targhe apposte alle porte e, contando a ritroso, trovò quella del sesto anno: il dormitorio di Orella.

Draco era convinto che lì dentro avrebbe trovato la Bacchetta. C'era solo un problema: lei non sapeva che aspetto avesse, né dove cercarla. Entrando, contò infatti tre letti a baldacchino verde, perfettamente in ordine, identici a quelli maschili che aveva conosciuto di straforo con Scorpius, se non per la presenza di alcuni elementi femminili: i cuscini colorati di rosa e viola nel primo letto, i nastrini lucidi appesi al secondo baldacchino, e un'inquietante bambola di pezza con cuciture a "X" al posto degli occhi, nell'ultimo in fondo. Qualcosa suggerì a Rose che quello fosse il letto dello Sparviero, e corse a frugare nel suo baule.

"Ma cosa sto facendo?" Si disse a un tratto. Aveva già tirato fuori gran parte del guardaroba invernale di Orella - ormai era sicura che fosse lei, per via della grossa taglia di gonne e maglioni. "Io sono una strega, posso fare meglio di così. Accio Bacchetta!"

Se l'Invincibile era in quella stanza, poteva trovarsi ovunque. Dopo avere pronunciato l'Incantesimo di Appello non accadde nulla, e Rose pensò di avere fallito o che la stecca non potesse essere Evocata. Poi qualcosa di legnoso e sottile s'intrufolò nella sua mano aperta, e la vide: era una bacchetta, ed era perfetta! Sembrava una produzione dalla bottega degli Olivander.

"Rose Weasley. Che sorpresa trovarti qui." Orella Flint era alle sue spalle, massiccia, ingrugnita e minacciosa con le sue sopracciglia unite. "Tu non sei degna di indossare la divisa di Slytherin. Bel tentativo, però. Mi ridai la bacchetta? Ce l'ho da quando avevo undici anni, ci sono affezionata."

Non posso crederci! Il mio incantesimo è già scomparso? Pensò Rose, disperata. Ma quando si toccò i capelli vide che erano scuri. La Trasfigurazione era ancora attiva. "Come sapevi che ero io?"

"Non ho mai visto la tua faccia prima d'ora." Sbottò Orella. "E ho sentito dire che Rose Weasley si aggirava per i corridoi. Se ci aggiungiamo che hai pure scavato nel mio baule in cerca di una bacchetta, direi che rimangono ben poche altre opzioni su chi sei davvero."

La grossa Slytherin approfittò nel momento di stupore di Rose per toglierle di mano la bacchetta Evocata per sbaglio.

"Ora non facciamo storie. So cosa vuoi, ma non possiamo parlarne qui dentro. Andiamo fuori, e sappi che ti conviene seguirmi di tua spontanea volontà."

La personalità spigolosa di Orella era così ipnotica che Rose non ebbe altra scelta che obbedire. Attraversò con lei la Sala Comune di Slytherin e si lasciò guidare oltre il passaggio segreto, verso una destinazione ignota.

*

Rose era andata via da poco. Draco era sceso nel suo laboratorio sotterraneo per dare un'altra occhiata al contenuto del libro di Clodoveo. Sfogliò per l'ennesima volta il vecchio manoscritto e ripassò le fasi della Pozione della Resurrezione. L'intruglio doveva cuocere a fuoco lento per un altro mese, prima di poter essere usato. Le istruzioni dicevano che doveva essere versato sul cadavere o sulle ossa del defunto, mentre si pronunciava una formula complicata.

Solo un altro mese, ma se Rose avesse portato a termine il piano, la Bacchetta sarebbe stata in mano sua già quella sera stessa. Si sentiva in fibrillazione. Aspettava quel momento come un bambino la notte di Natale. Poi, un suono assordante esplose tra i suoi timpani, e lui si portò le mani alle orecchie per coprire il frastuono.

"Padrone! Padrone!" Strillò la vocina di Aiden, in preda al panico, apparso in quel momento. "Ci stanno attaccando!"

"I Figli di Salazar hanno fatto scattare i miei allarmi! Che branco di idioti, eppure lo sapevano... ora avranno una bella sorpresa."

Draco si Materializzò al piano terra, giusto in tempo per spiare dalla finestra e vedere Harry Potter avanzare nel suo vialetto, seguito da una squadra di Auror. Erano stati puntualissimi. I suoi allarmi erano collegati all'Ufficio Auror, ed era previsto un loro sopralluogo in caso di Violazione Magica. Aspettò che bussassero alla sua porta prima di aprire. Aveva paura che i Figli di Salazar tentassero un altro attacco. Si ricordò allora di non avere fatto in tempo a nascondere il libro e le traduzioni, per quanto fosse improbabile che qualcuno riuscisse a raggiungere i sotterranei prima di lui.

"Non aspettavo te personalmente, Potter." Commentò Draco, aprendo la porta e permettendo l'accesso ai cinque Auror. Tra di loro c'era anche Teddy Lupin, che lo salutò con un sorriso di forzata cortesia. "Devi proprio annoiarti, laggiù al Ministero."

"Ci sono punti deboli, in questa proprietà? Falle nella struttura difensiva?" Domandò Harry, con fare indagatore. Era andato dritto al sodo.

Anche i suoi colleghi si stavano guardando intorno, e uno di loro si avvicinò alla finestra per sbirciare sul giardino già oscurato dal tramonto del Sole. Teddy gli rivolse un altro strano sorriso forzato.

"Non credo." Rispose Malfoy a Harry. "Ho distribuito i miei incantesimi in modo uniforme, sono stato molto attento. Controllate fuori, piuttosto, chi mi ha attaccato potrebbe essere ancora qui!"

"Hai parecchi nemici tu, eh?" Esclamò Teddy, facendogli l'occhiolino.

Draco lo guardò perplesso. Aveva sempre saputo che il figlio di sua cugina fosse un ragazzo bizzarro, ma dalle poche volte che lo aveva incontrato se l'era figurato molto più professionale sul lavoro. Anche Potter sembrava diverso, determinato più del dovuto a risolvere il caso.

"Già che sei qui, Potter, vorrei che fossi tu in persona a catturarli." Lo stuzzicò Draco. "Non escluderei che acciuffare questi criminali possa aprirti un mondo di cui non immagini neanche l'esistenza."

Harry annuì leggermente col capo. Non sentì il bisogno di fare altre domande e ordinò ad un paio dei suoi uomini di uscire in giardino per effettuare i controlli, intanto che lui e gli altri si assicuravano che la mura interne del Manor non fossero state violate.

"Te l'ho detto, Potter, qui dentro perdi solo tempo! È impossibile che siano riusciti a entrare, dovete cercarli fuo..."

Non completò la frase, perché Harry Potter lo aveva appena Schiantato. Draco continuò a scivolare sul pavimento liscio per diversi metri prima di fermarsi. Si tirò su ansimando, la bacchetta già stretta in mano.

Stentava a crederlo, eppure non c'era altra spiegazione: quella non era una delegazione del Ministero. Era stato lui stesso a volere che Dorian riferisse al gruppo, da parte sua, che gli unici a entrare al Manor sarebbero stati gli Auror. I Figli di Salazar lo avevano preso alla lettera.

"Mi avete ingannato." Fu costretto ad ammettere, a bocca aperta, fissando i tre Auror che avevano già puntato le loro bacchette contro di lui. "Avrei dovuto riconoscerti subito, Albus. Hai preso le sembianze di tuo padre e hai fatto scattare l'allarme di proposito. Immagino che qualcuno di voi avrà disattivato il segnale al Ministero. Forse la vostra amica Stella."

"Lei non è l'unica su cui poter contare. Anch'io ho accesso al Ministero, hai presente? Sto studiando per diventare Auror. Quale mestiere migliore, per uno come me? Sono la mia stessa spia." Rispose Harry. "E sì, io e i ragazzi ti abbiamo proprio fregato."

I tre avversari pronunciarono degli incantesimi, ma nessuno di loro riuscì a colpirlo, perché Draco si Smaterializzò in tempo.

Doveva affrettarsi a nascondere le sue preziose carte e a proteggere la Pozione, ma quando riapparve nel laboratorio scoprì che il libro e le traduzioni non erano più sul tavolo da lavoro, dove lui le aveva lasciate. Il Mago si sentì mancare, e mentre cercava una soluzione udì un fruscio di fogli alle sue spalle. Si voltò, e nell'angolo accanto alla porta riconobbe uno degli Auror che il finto Harry aveva spedito fuori.

Quell'uomo bruno, di media altezza, stava sfogliando il libro di Clodoveo con grande interesse.

"La prima volta che Scorpius ci ha mostrato questo libro, ho pensato che fosse il più noioso e inutile ricettacolo di polvere che avessi mai visto." Disse l'intruso. "Insomma, Bacchette Invincibili? E come le costruiamo? Che ne sappiamo noi di bacchette? L'ho creduto uno dei soliti deliri di onnipotenza di Scorpius e ho dato per scontato che la missione sarebbe stata un completo fallimento. Non mi dispiace avere avuto torto."

"Toglimi una curiosità, Dorian." Disse Draco. Lo aveva riconosciuto da qualcosa nel modo di parlare e della postura. "Sei sempre stato dalla loro parte o hai deciso all'ultimo momento che fare il doppiogioco non ti conveniva più?"

Dorian reagì con un ghigno. Pronunciò una formula, e il libro, con le traduzioni che sbucavano ai margini, scomparve nel nulla. Lo aveva trasferito lontano, dove Draco non avrebbe più potuto riprenderlo.

"Ti avevo già detto che non avevo alcuna intenzione di morire per Scorpius." Ammise il ragazzo. "Mi dispiace, Draco. C'est la vie."

Dorian alzò la bacchetta contro di lui. Draco stavolta attaccò per primo, ma il ragazzo fu abbastanza agile da abbassarsi e lasciare che l'incantesimo si schiantasse contro il muro. Si rialzò in fretta, gridando: "Bombarda!"

Draco si nascose dietro al tavolo, tuttavia il bersaglio dell'attacco non era stato lui: il calderone che ancora cuoceva a fuoco lento esplose in mille pezzi. Si gettò per terra, ma venne comunque coperto da grumi di sangue rappreso.

Urlò.

La Pozione della Resurrezione era appena andata distrutta, insieme al calderone che la conteneva. I resti della vipera ben cotta erano esplosi anch'essi, e un pezzo di carne era finito per terra, proprio davanti a lui. Si alzò, constatando che persino gli scaffali entrano intrisi di sangue. Dorian, in fondo alla stanza, ne era rimasto ugualmente sporcato.

Il resto dei finti Auror piombò nel laboratorio pochi istanti dopo. L'esplosione aveva forse indicato loro la strada.

"Ben fatto, Dorian." Esclamò Albus, che vestiva ancora i panni di Harry Potter, ammirando lo spettacolo sanguinario sparso per il sotterraneo. "Ora posso chiamarti fratello."

Draco barcollava. Non aveva più il suo prezioso libro. Non aveva più la Pozione. La sua vista era offuscata, i suoi pensieri si erano appiattiti. Soltanto un'altra volta, in vita sua, si era sentito così lucido nello sconforto. Non ascoltò nemmeno le parole di Albus che lo minacciavano di tornare a prendersi la sua vita se da quel momento in poi non li avesse lasciati in pace. Non badò al piccolo Aiden, che da solo e senza bacchetta sfidava gli intrusi a duello, ricevendo in cambio delle grasse risate. Ne fu a malapena consapevole quando i Figli di Salazar andarono via, lasciandolo da solo in quel laboratorio che per la seconda volta era stato un campo di battaglia. Non si soffermò a osservare il sangue gocciolare dalle pareti, e ignorò la vocina di Aiden che cercava di dirgli qualcosa che lui semplicemente non voleva ascoltare. Risalì le scale, con l'unico pensiero di raggiungere il prima possibile il terrazzo dell'ultimo piano.

*

Rose fu accompagnata in una piccola aula umida dei Sotterranei di Hogwarts. C'erano una serie di candele accese sopra la cattedra. Le loro luci creavano ombre inquietanti sulle pareti; una di queste aveva le forme di un ragazzo. Guardò meglio: c'era veramente qualcuno nella stanza, con lei e Orella: Trevor si mordeva le unghie, lo sguardo che da solo non riusciva a esprimere il rimorso che lo struggeva dall'interno.

"Inserire Nott nel nostro gruppo è stato uno dei tanti errori di Scorpius." Iniziò col raccontare Orella. "Ma anche l'unico che potessimo giustificare. Quel pidocchio ci aveva scoperti. Poteva diventare un problema, invece è stato Vincolato. Custodirà i nostri segreti per sempre, come tutti noi. O così credevamo. Ora sappiamo che è riuscito trovare un modo per spiattellarti gli affari nostri senza crepare sul colpo. Doveva morire, per quello che ha fatto, ma noi gli abbiamo concesso un'altra possibilità. Doveva scriverti quella lettera, pregandoti di non tornare, così che tu effettivamente tornassi. I buoni sono fin troppo prevedibili."

Rose passò lo sguardo da Trevor a Orella, chiedendosi perché mai lui non scappasse. Poi si ricordò che non aveva nessun altro posto dove andare.

"A che scopo portarmi qui? A cosa vi servivo?"

Orella alzò leggermente le grosse sopracciglia, in senso di scherno.

"Allontanarti dal Manor era già una ragione sufficiente. Proprio in questo momento, Albus sta incontrando in privato il tuo amante. Alcune cose potrebbero non essere più al loro posto, quando tornerai alla vostra alcova." Rose si sentì raggelare; la Slytherin ridacchiò perfida e continuò: "Siamo qui perché c'è qualcuno che vorrebbe incontrarti. Qualcuno che siamo soliti chiamare Sparviero."

Orella si voltò verso uno degli angoli più bui della stanza. Una figura si fece avanti. Quando Rose la riconobbe, i suoi muscoli si irrigidirono, agghiacciati.

*

Fun fact: il finto Teddy è in realtà Aster, che cerca di fare il simpaticone senza riuscirci.

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