Find your Fire
Faceva freddo.
Un fottuto freddo da far tremare e battere i denti.
La luna se ne stava lassù, senza calore, come un lampione fuori misura.
Per l'ennesima volta Erik sospirò, portandosi la sigaretta alle labbra, mentre ogni tanto si risistemava dietro all'orecchio sinistro una ciocca dei suoi capelli neri e ribelli.
Gli si stavano congelando le mani, oltre alla punta del naso che cercava disperatamente di nascondere nel bavero della pelliccia.
Erik si sollevò spegnendo la sigaretta con la punta della scarpa, avviandosi verso la tavola calda dietro l'angolo.
Entrando, la sensazione di grigio avvolgeva il piccolo bar ricoperto da un parquet finto.
Una lampadina soffusa, ormai stanca del suo essere stata utile, si stava per spegnere, lasciando al buio anche quegli angoli che sino a quel momento aveva illuminato.
L'odore di tabacco e la musica troppo alta, impediva a Melvin, il cameriere, di prendere correttamente le ordinazioni.
Come una roulette, tentava la sorte col suo sorriso smaliziato, stretto in un classico paio di jeans che ormai facevano parte della storia di quella piccola tavola calda.
Alla parete dietro al bancone, si soffermava incerta, l'insegna semplice, nel suo essere fuori moda, del locale.
Niente rettangoli con scritte e luci rotonde, solamente una linea rossa con sfumature nere che componeva in corsivo semi-elegante, la parola "Minor".
Impossibile non notarla.
Strana, particolare nel suo essere sola in quel muro apatico.
Erik ordinò velocemente un caffè macchiato, attendendo che il giovane cameriere gli servisse la bevanda.
Il volto pallido appoggiato sulla vetrata del locale, attirò l'attenzione di Melvin che spesso si perdeva nella contemplazione dei suoi occhi tanto chiari, ma così spenti.
Erik ringraziò il cameriere portando le mani attorno alla tazzina, cercando di scaldare le mani il più possibile.
«Si sente bene?» la voce sussurata di Melvin, fece distogliere l'attenzione di Erik dalla bevanda.
«Si» cercò di sorridere invano.
Il ragazzo osservò rapito i gesti del cliente, come se in ogni cosa facesse ci mettesse un pizzico di magia, rendendo tutto così perfetto.
Aprì delicatamente la bustina dello zucchero alla cannella versandolo direttamente nella tazzina.
Erano anni che Melvin viveva in quel piccolo bar; passava ore e ore a pulire il pavimento e a servire al bancone.
A servirlo.
Erik si portò il liquido alle labbra, facendo una lieve smorfia nel constatare l'amarezza ancora accentuata del caffè.
«Le serve altro?» chiese Melvin sorridendo gentilmente.
«No, grazie»
Osservò il giovane allontanarsi sorridendo impercettibilmente.
I capelli biondo cenere del cameriere, erano legati elegantemente in una crocchia disordinata.
Afferrò distrattamente il taccuino, mentre una piccola fotografia scivolò sul tavolino.
Il sorriso si spense così come la luce nei suoi occhi.
Una foto.
Una foto era tutto ciò che gli rimaneva.
Una foto che Erik teneva dentro quel portamonete.
Una foto sulla quale piangeva ogni notte.
Nessuno sapeva chi raffigurasse quella fotografia perché nessuno l'aveva mai vista.
Ma anche se l'avessero vista, non avrebbero potuto dire di chi si trattasse.
Erik aveva incontrato Kristopher per caso.
L'incontro era stato abbastanza rocambolesco.
Kristopher stava leggendo un giornale al tavolino del bar, sorseggiando la camomilla dalla sua tazza.
Erik gli aveva urtato il braccio facendo rovesciare qualche goccia della tisana sui suoi pantaloni.
L'aveva guardato indispettito, agitando la testa con disappunto, alzandosi frettolosamente per tornare a casa a cambiarsi i pantaloni e potersi presentare decentemente al lavoro.
Il mattino dopo, Erik lo rivide nuovamente seduto al suo tavolino.
Decise di farsi perdonare offrendogli una tazza di tisana, accortosi che non aveva ancora nulla sul tavolino.
Kristopher stavolta l'aveva guardato sorpreso, non indispettito.
Si era incantato nel vederlo.
Ad Erik, erano sempre piaciuti gli occhi azzurri. Se gli avessero chiesto come dovesse essere il suo ragazzo ideale, probabilmente avrebbe risposto: "occhi azzurri o comunque chiari".
Poi, però, aveva incontrato lui, con quei suoi capelli neri e gli occhi color nocciola, quella mattina di sette anni fa.
Erik non poteva dimenticarsi di Kristopher.
Il suo ricordo lo faceva sempre piangere un po', ma andava bene così.
Si ricordava la prima volta che gli aveva accarezzato i capelli e il suo cuore aveva martellato così forte che aveva pensato che se lo avesse baciato sarebbe morto all'istante.
Perché si, Erik era innamorato perdutamente di Kristopher.
Si era innamorato del suo sorriso, della sua dolce risata, delle guance che arrossivano teneramente, della piccola fossetta sulla sua guancia destra.
Si era innamorato dei suoi splendidi occhi, di quegli occhi maledettamente belli.
Si sentiva mancare ogni volta che il suo sguardo incrociava quello di Kristopher.
Le gambe tremavano, la testa iniziava a girare, un qualcosa gli stringeva lo stomaco.
E pensare che bastasse scambiarsi un breve sguardo per essere incapace di muoversi e respirare.
Erik si era innamorato delle sue attenzioni, dei loro momenti insieme, delle sue mani sulle spalle, sui suoi fianchi.
Si era innamorato nel vedere che tutto ciò lo faceva solo con lui. Scherzava con lui, guardava solo lui. Ma la vera cosa che l'aveva fatto innamorare, oltre agli occhi, era la sua risata.
Non c'era spettacolo più bello.
Le sue labbra si incurvavano dolcemente, gli occhi si socchiudevano, mentre quella fossetta mandava a puttane il suo cervello.
Si era innamorato di lui tanti anni fa, ma ogni volta che guardava quella foto, si rendeva conto che non aveva mai smesso di amarlo, nonostante Kristopher non ci fosse più.
Erik avrebbe desiderato un semplice "visualizzato" a tutti i pensieri, ai messaggi e desideri che gli aveva mandato in questi anni, là in alto.
Si accorse di star piangendo solo quando una piccola mano delicata si posò sul suo viso.
Erik rivide Kristopher negli occhi preoccupati di Melvin.
Lo rivide camminare sulla battigia a contemplare il tramonto solo per poterlo equiparare all'alba.
Rivide tutti i baci stupefacenti, dai più strani ai più scontati.
Per i primi giorni era stato così strano non ricevere un suo messaggio, il suo solito "Buongiorno amore".
Ogni tanto guardava il telefono e sperava ancora di vedere accendersi lo schermo.
Erik sentiva la sua mancanza, lo logorava piano piano, e si rendeva conto solo in quei momenti quanto fosse impotente di fronte alla morte.
Non doveva andare così.
Quel giorno doveva essere con lui e non sul posto sbagliato al momento sbagliato.
Non si era mai avvicinato alla sua tomba piangendo.
Lui non era lì, non viveva lì.
Kristopher per Erik, era come un diamante nella neve, splendente.
Era la pioggia gentile in autunno.
Lui sapeva prenderlo con le sue parole, sapeva tenerlo con sé tramite i gesti piccoli e quotidiani.
Lui non era un modello col fisico perfetto, intellettuale, attivista politico o imprenditore ricco.
Lui era un semplice ragazzo di ventidue anni che sapeva qual'era il limite della sua libertà.
Ed è vero che capisci l'importanza di una persona solo dopo averla persa.
"Il sole era alto nel cielo".
Era così che cominciavano molte favole.
Erik però non voleva raccontare alcuna favola.
Voleva solo ricordare.
Voleva ricordare quel ragazzo che esattamente sette anni prima si stava divertendo con i suoi amici.
Voleva ricordare quando decisero di salire su una stupida moto, per ragioni che solamente loro conoscevano.
Voleva ricordare quella macchina che correva troppo velocemente.
Dello strazio che scorse dentro di lui, dopo aver concretizzato che la vita del suo fidanzato, era stata interrotta da un maledetto schianto sull'asfalto.
E lui avrebbe voluto tornare indietro a quel giorno.
Anziché andare dai suoi genitori, nonostante il caldo, avrebbe voluto correre da lui.
Avvertirlo, fermarlo.
E mentre lui sorrideva ancora, ignaro di cosa sarebbe successo di lì a poco, il sole era alto nel cielo e nemmeno lui aveva potuto fare nulla per evitarlo.
Il giorno dopo sarebbe stato l'anniversario di morte di Kristopher.
Sette anni di dolori, di ferite ancora aperte, e di quelle lacrime che ancora scendevano.
Melvin lo scosse per un braccio cercando di attirare la sua attenzione.
Riusciva ancora a sentire il terrore e la paura che aveva provato.
I pianti disperati di quel giorno.
«Erik.»
Cosa avrebbe dovuto dire?
Melvin non si poteva spiegare quanto avrebbe voluto stringerlo tra le sue braccia.
Sentì due labbra poggiarsi sulla sua bocca.
Erano calde, morbide e leggermente umide.
Spalancò gli occhi.
L'oblio in cui era caduto si dissolse nell'aria.
Il profumo del caffè ormai freddo e il rumore della musica si diffusero nel suo corpo.
Allontanò il corpo di Melvin dal suo.
«Che fai?» Annaspò avendo trattenuto il respiro.
«T-tu eri...»
«Lasciami stare.» Si alzò tendendogli una banconota da cinque euro.
«Non l'hai nemmeno bevuto.» Sussurrò abbassando lo sguardo e rifiutando i soldi.
«Perché piangevi?» chiese.
Erik si toccò il volto sentendo le guance leggermente umide.
Non rispose.
Scappò.
Cos'erano quelle sensazioni alla bocca dello stomaco?
Melvin sapeva. Tutti sapevano.
Erik era forte perché anche se era crollato, si era spezzato, sfumato, piegato o consumato, non aveva mai mollato la presa.
Il cameriere ricordava gli sguardi, gli abbracci tra Erik e Kristopher.
Erano amore puro.
Ma quanto può fare male l'indifferenza?
Melvin lo sapeva.
Si era innamorato di Erik dal primo momento in cui aveva messo piede in quel piccolo locale, stretto nel suo maglione bianco, aveva sorriso al cameriere, ordinando un semplice caffé zuccherato.
Rimasto solo, Melvin, decise di riprendere a lavorare, inconsapevole che qualcuno lo stesse aspettando al di fuori.
****
Erik aveva dovuto lottare contro i suoi sensi di colpa.
Si accese una sigaretta controllando l'orologio da polso.
Era ancora turbato dai ricordi.
Sentì una porta chiudersi alle sue spalle, seguita da un' imprecazione.
«Cazzo, si congela.»
Voltandosi, Melvin incontrò le iridi scure di Erik, che lo raggiunse a grandi falcate.
«Mi dispiace.»
«N-no, io... non...» cercò di allontanarsi di qualche passo sentendo le guance andare a fuoco.
«Non avrei dovuto parlarti in quel modo.»
Sospirò.
«Ti va di parlare ora?»
Era la prima volta dopo anni che qualcuno gli chiedeva di parlare di Kristopher.
«Mi sento così solo.»
Melvin poggiò la mano sulla spalla destra di Erik come ad incoraggiarlo.
«Era tutto per me.»
«Ne sei ancora innamorato?»
«Come potrei non esserlo? Al solo pensiero tremo.»
«E se ora ti dicessi che se vorrai non sarai mai più solo? Che metterei sempre e per sempre il tuo sorriso prima del mio? Cosa faresti?»
Erik sgranó gli occhi.
Il cuore cominciò a battere fortemente nella sua cassa toracica.
«Non sono come vorresti che io sia.»
«Non sei perfetto, ed è questo che mi piace.»
«Non riuscirei a sopportare un'altra perdita.»
«Non dovrai farlo. Lasciati andare. Basta pensare.»
Melvin si sollevò sulle punte dei piedi abbracciandolo.
«Se vorrai non sarai mai più solo.»
Sussurrò baciandolo sulla guancia coperta da un leggerissimo strato di barba.
Quanto è difficile lasciarsi andare? Tanto. Probabilmente, in amore lo è ancora di più. Dare sfogo ai sentimenti, lasciarsi andare alle emozioni, aprirsi e donare tutto ciò che si ha ad un'altra persona è tremendamente complicato, soprattutto se si ha sofferto tanto in passato. La paura di lasciarsi andare è ciò che lo faceva chiudere a riccio, che non faceva esternare i suoi sentimenti. Può essere una forma di difesa, certo, ma in fondo l'amore vuol dire anche coraggio, fiducia, generosità.
Questo, Erik, lo avrebbe scoperto a poco a poco.
Fine.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top