Capitolo 8: Ritrovata Serenità
Rebecca non mi aveva detto in modo preciso che era presa di mira, ma per me era chiaro che fosse così.
Nonostante i miei numerosi tentativi di saperne di più, lei continuò a tergiversare oppure a trincerarsi in un mutismo snervante.
Qualche minuto dopo, stufo di quel comportamento, abbandonai il mio interrogatorio e chiamai mio padre per venire a prendermi.
«Hai chiamato tuo padre perché ti ha dato fastidio il mio atteggiamento?» chiese la ragazza in evidente preoccupazione.
La risposta era chiara e sebbene nella mia testa si affollassero centinaia di risposte, alla fine me ne uscii con una scusa banale.
«Perdonami, ma sono un po' stanco. So che non abbiamo fatto molto, ma spero tu ti sia divertita.»
Rebecca non sembrò convinta dalla mia affermazione, ma con un muso lungo accettò la mia scelta e mi salutò.
Quasi dieci minuti dopo, mio padre arrivò nelle vicinanze per riportarmi a casa.
«L'appuntamento è andato bene?» mi chiese lui, poco dopo essere entrato nell'auto.
«No. Spero che la pizza saprà consolarmi» risposi, mentre osservavo il paesaggio muoversi dal finestrino.
«Esagerato. Quanto potrà essere andata male?»
Dopo aver roteato gli occhi, con sguardo adirato e con i denti digrignati rimasi in silenzio, finchè mio padre con una tranquillità disarmante non fece un'altra domanda.
«Non è che fai così solo perché non ti ha dato un bacio?»
«È meglio se stai zitto e pensi al tuo matrimonio a pezzi!» risposi acido.
«Senti un po' ragazzino, è meglio se la pianti con questa storia. Io e tua madre siamo solo un po'-»
«Un po'?» domandai sconcertato, senza lasciargli il tempo di finire il suo discorso.
«Sai che c'è? Non è una cosa importante, si sistemerà tutto. Non lascerò che quindici anni di matrimonio vengano rovinati da una crisi!»
«Certo» risposi con un riso sardonico.
«Tu pensa solo a come rimediare con Rebecca. Spero che non sia -»
«Ferma la macchina!» urlai inalberato interrompendolo.
«Cosa?» domandò sorpreso e con gli occhi fissi su di me.
«Ferma la macchina» ripetei più lento e scandendo le parole.
«Dovrei fermarmi in mezzo la strada?»
«Vedo che hai capito.»
«Mirco... scusa, non voglio forzare nulla, ma non hai idea di quanto potrebbe esserci utile la ragazza. Il signor Toscano ha un notevole peso e un'ottima reputazione tra i suoi lavoratori. Inoltre non si è ancora schierato per le elezioni.»
«Ti sei bevuto il cervello?» chiesi sbalordito.
«Semmai sei tu che si è bevuto il cervello! Ma porca miseria, l'hai vista? Qualsiasi cosa tu le abbia fatto devi rimediare» disse celere, per poi aggiungere: «Non ti pentirai di averla al tuo fianco.»
«Non decidi tu chi devo frequantare» affermai a pugni chiusi.
«Lo so. Mi spiace se sono sembrato petulante. Credimi se dico che se quella ragazza fosse stata una cozza non ti avrei mai chiesto nulla.»
«Racconterò tutto alla mamma, sappilo» dissi poco dopo con gli occhi puntati sul suo volto, che si contorse in una smorfia di disappunto.
Il resto del viaggio proseguì in un silenzio carico di tensione, finché non arrivammo a casa.
«Ascoltami molto bene. Per il tuo compleanno non volevo farti regali, ma visto come mi sono comportato stavo pensando di regalarti un po' di soldi» asserì l'uomo, dopo aver bloccato le portiere.
«Fai sul serio?»
«Parlo di mille euro. Pensaci sopra» replicò lui serio, dopo essersi sporto verso di me.
«Immagino che se parlo non avrò nulla... mi va bene, tutto quello che voglio e farti smettere di essere così -»
«Maledizione! Mi spiace! Scusami! Non ti chiederò più nulla. Sei il mio unico figlio. Ti prego, non farlo» mi interruppe disperato e con le mani congiunte.
Dopo aver contemplato la sua pateticità, con un sorrisetto di scherno dissi:
«Terrò la bocca chiusa, ma se nomini Rebecca o il signor Toscano le racconto tutto. Ora usciamo.»
Mio padre con espressione provata e con un flebile gesto del capo acconsentì.
La mamma non fece troppe domande sul mio incontro con Rebecca, grazie ai numerosi interventi di mio padre.
A cena come promesso mangiammo delle pizze e senza neanche sentire fiatare mio padre.
La sera, prima di andare a dormire, mia madre in evidente preoccupazione mi chiese di parlare.
«Mirco, oggi è successo qualcosa di grave?»
«No. Non proprio» dissi seduto sul letto.
«Ti va di parlarne?» chiese con una mano sulla mia spalla, dopo essersi avvicinata con una lentezza snervante.
«Riguarda Rebecca. Mi ha fatto una confessione e non so... »
«Cosa?» domandò qualche attimo dopo, mentre mi accarezzava la testa e io pensavo a cosa dire.
«Io non so proprio come aiutarla» ammisi a fatica e mesto.
«Ha difficoltà con i suoi genitori o è ancora in lutto per la sorella?»
«No. Lei ha problemi seri con i suoi compagni di classe, almeno così ho capito» confessai in un sussurro.
«Tesoro... sicuro ti abbia detto proprio questo?»
«Sì. Non ha detto che è vittima di bullismo, ma voleva intendere quello» asserii con le mani che stringevano le ginocchia.
In seguito alla mia dichiarazione, mia madre prese un lungo respiro e con tono dolce affermò:
«Sei dolce a preoccuparti per lei, ma Rebecca deve chiedere aiuto alla sua famiglia. Suo padre può benissimo proteggerla, come il tuo ha fatto con te alle elementari e alle medie.»
Quella affermazione provocò un brivido che mi attraversò la schiena. I ricordi delle sfuriate di mio padre uniti agli sguardi derisori e agli scherzi dei miei ex compagni si accalcarono nella mia mente, dandomi un profondo malessere.
Ero tentato di rivelarle cosa mi aveva detto papà ma mi trattenni.
«Cosa c'è?» chiese la mamma notando il mio sgomento.
«Niente. Credo tu abbia ragione.»
«Tuo padre, oggi ha fatto il bravo?»
«Non ha detto o chiesto niente di inopportuno» mentii con poca convinzione.
«Sicuro?» chiese a braccia conserte.
«Sì. Forse vuole sul serio rimettere a posto le cose, mi ha pure promesso un bel regalo per il compleanno.»
«Sai, da giovane era simile a te» confessò mesta.
«Ah sì?»
«Sì, questo fino alla morte di tuo nonno. Tu avevi tre anni, io avevo perso il lavoro da poco e in più il fratello di tuo padre ereditò quasi tutto.»
Rimasi attonito da quella confessione. Era una storia che non conoscevo e che metteva mio padre sotto una luce diversa.
«Se si comporta così è perché vuole il meglio per noi, mi rendo conto che non dovrei giustificare il suo comportamento e ti chiedo scusa a nome suo per tutte le volte che ti ha fatto soffrire.»
«Non serve che tu chieda scusa.»
«Inoltre ti prometto che se tuo padre dovesse anche solo fare una battutina o una richiesta che ti metterà a disagio, gli farò rimpiangere di avermi presa per moglie.»
«Grazie» dissi con le lacrime agli occhi e sottovoce.
Un istante dopo mia madre mi abbracciò. Il tutto durò pochi secondi, ma fu comunque un gesto capace di rasserenarmi.
Il giorno successivo, fui in grado di affrontare la giornata scolastica senza la minima preoccupazione. Neanche quel burbero del professor Bironzo riuscì a minare la mia serenità.
Finite le lezioni, appena uscito dal cancello, Teresa con espressione sospettosa si avvicinò a me e a quasi due passi da me mi chiese:
«Cosa hai preso?»
«Io? Che... cosa vuoi dire?» domandai confuso.
«Droghe. Altrimenti non mi spiego come tu sia stato così allegro» asserì con un mano sul fianco e l'altra a sistemarsi una ciocca di capelli.
Fu più forte di me ma risi di gusto. Ero un po' irritato dalla sua affermazione, ma ero più felice per via di mia madre.
«Oggi sarò puntuale non preoccuparti» risposi, per poi andarmene in compagnia di un venticello gelido, che trasportava qualche foglia marrone.
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