Capitolo 4: Ritorno a scuola

La mattina successiva, sebbene fossi ancora infastidito dall'idea di incontrare Teresa e Asha, non potei evitare di andare a scuola. 

Quel giorno dovevo andare a un' interrogazione d'inglese, in più c'era anche laboratorio artistico con la professoressa Spina, una materia che adoravo. 

L'aula del laboratorio era una stanza arredata con disegni e quadri di diversi stili, tavoli con sopra diversi fogli e colori e in cui si respirava sempre odore di pittura. Il caos la faceva da padrone lì e alla nostra professoressa faceva piacere. 

Diceva sempre che il caos doveva stimolarci a creare. Questo suo pensiero era rispecchiato dai suoi capelli di quattro colori diversi e dai suoi vari tatuaggi sulle braccia magre. 

Mi sentivo sempre bene quando andavamo in quell'aula con lei. 

Dopo il laboratorio, affrontai con tranquillità l'ora di inglese, che trascorse in maniera divertente. 

La professoressa Noce, una giovane donna dai capelli ricci ramati e occhi verdi, che adorava spruzzarsi litri e litri di profumo alla pesca, fece facce al limite del ridicolo, mentre Alessio provava a pronunciare delle frasi. 

Qualcuno, tra cui Teresa, non riuscì a trattenersi e rise di gusto. Asha invece per l'imbarazzo si passò più volte una mano sugli occhi. 

Durante tutta la giornata, Teresa provò più volte di parlarmi, ma non appena si toccava l'argomento Asha o elementari la allontanavo.

All'uscita da scuola lei tentò di avvicinarsi a me, ma la evitai grazie a una corsa rocambolesca. 

Purtroppo non bastò a scoraggiarla. A pochi metri da casa, il mio telefono squillò di nuovo, dopo diversi mesi.

Era lei.

Non avevo intenzione di rispondere, ma conoscevo abbastanza bene Teresa da sapere quanto fosse testarda. Dopo aver emesso un sonoro sbuffo cliccai sul tasto verde.

«Pronto! Mirco, ci sei?» domandò Teresa ad alta voce dall'altro capo del telefono.

«Teresa, non ho voglia di litigare» risposi seccato, dopo aver accostato il telefono al mio orecchio.

«Aspetta!» urlò così forte da farmi allontanare dal cellulare.

«Perché dovrei?» domandai mentre pensavo di aver sbagliato a risponderle.

«Ho dato ad Asha il tuo numero, volevo solo dirti questo» disse con rapidità, prima di chiudere la chiamata.

Panico, confusione e rabbia presero il sopravvento e mi spinsero a fiondarmi dentro casa, per chiudermi nel bagno vicino camera mia. 

Dopo diversi minuti uscii, ma non prima di aver vomitato. 

Pensai a una mare di domande mentre ero in piedi sulle scale. 

"Perché ora?" "Che faccio?" "Dovevo parlare in privato con Asha fin dal primo giorno?" "Dovrò cambiare scuola?"

Mia madre, vestita con un tailleur blu, comprato da poco, e con i capelli castani raccolti in uno chignon, si accorse del mio insolito comportamento e sulle scale mi chiese:

«Tesoro hai preso la febbre? Oppure mangiato qualcosa di scaduto a scuola?»

«No, ho solo avuto una brutta reazione a un brutto scherzo» dissi con i pugni chiusi e a denti stretti. 

Dentro di me provavo un panico attanagliante. I ricordi del passato si erano rifatti vivi con prepotenza e minacciavano di farmi morire. Ero terrorizzato.

Per qualche secondo, lei si irrigidì e mi fissò terrorizzata.

«Non è come pensi. Non sono preso di mira» affermai mentre con le braccia mimavo di fermare la sua immaginazione.

«Mirco... ti prego, dimmi la verità» disse dopo aver nascosto il viso nell'incavo delle mani.

«L'ho fatto» affermai seccato, ma in preda alla paura.

Anche se con espressione dubbiosa mia madre sembrò credermi.

«Il pranzo è pronto e in tavola.»

Finito di mangiare una spaventosa versione di cucina orientale, a base di okonomiyaki formati da verdure e spezie assurde, uscii di casa e mi diressi al condominio dove viveva Teresa. Ovvero un enorme edificio a sei piani, verniciato di un rosa pallido e con piccoli balconi con terrazzo. 

Ci misi circa un quarto d'ora, per arrivare a destinazione e suonare al campanello. 

«Chi è?» mi chiese una voce di donna dall'altro capo del citofono.

«Salve signora Tecchi, sono Mirco Tremi, avrei bisogno di parlare con sua figlia.»

«Ah Mirco! Certo, ti apro subito» rispose concitata la donna.

L'ascensore era occupato perciò dovetti salire due rampe di scale per arrivare davanti alla porta giusta.

Arrivato al portone giusto credetti di essere prossimo alla morte. Il cuore pompava a più non posso e le tempie pulsavano in maniera quasi insopportabile. 

Dopo pochi secondi, di fronte al portone, mi decisi a bussare ma mentre la mano era a metà strada la porta si aprì.

«Ciao Mirco, da quanto tempo!» affermò la madre di Teresa, mentre mi abbracciava e invadeva le mie narici con un profumo alle fragole.

Era ancora un'avvenente quarantenne, alta quanto me e magra, con un viso ovale e pulito in cui erano incastonati due occhi color nocciola. Rispetto all'ultima volta in cui l'avevo vista era cambiato solo il suo colore di capelli, passato dal nero a un rosso cremisi.

«Mamma, chi è?» chiese la voce di Teresa dal soggiorno

«È Mirco!» le rispose ad alta voce mentre io camminavo a passi lenti verso il soggiorno.

Per poco non le venne un colpo quando mi vide. In un certo senso venne anche a me, trovandola in tenuta sportiva.

«Cosa ci fai qui?» domandò con un fil di voce, dopo essere saltata in piedi.

«Dobbiamo parlare» gli risposi con le braccia conserte.

«Dobbiamo?» chiese con evidente fastidio.

«Certo.» 

Lei dopo aver sbuffato e scosso la testa, alzò le mani in segno di resa.

«In camera mia» affermò, per poi dirigersi con ampie falcate verso la sua camera.

Prima di allora non ero mai stato nella camera da letto di una ragazza, perciò ebbi qualche incertezza prima di entrare.

Le pareti bianche con dei poster di boy band attaccati e il pavimento di parquet catturarono la mia attenzione per qualche secondo. 

Chiusa la porta, Teresa iniziò a parlare.

«Prima che tu mi uccida, ascolta quello che ho da dire» affermò, dopo essersi seduta su un letto pieno di cuscini di varie forme.

«Sono tutto orecchie» dissi a braccia conserte. 

«Ieri ho provato a torchiare Asha con pochi risultati. Ho solo scoperto che lei non prova odio nei tuoi confronti, non più almeno» raccontò mentre si sgranchiva le dita. 

«Questo non spiega nulla!» affermai a denti stretti e con gli occhi spalancati.

"Ma in che senso non mi odia?" pensai, poco dopo.

Teresa mentre si attorcigliava una ciocca di capelli con il dito indice continuò a parlare.

«Le ho dato il tuo numero perché poteste riavvicinarvi, mi ha detto che eravate uniti, ma poi avete tagliato i ponti.»

«Ha saltato molte parti.»

Rabbia e vergogna montarono dentro di me.

«Lo so, prima o poi scoprirò tutto» asserì sorridendo e con una mano stretta a pugno.

"Perché devi essere così?" pensai odiandola.

Dopo un lungo respiro, decisi di confessarle il mio passato.

«Ti racconterò in breve quello che è successo fra noi.»

Teresa incuriosita si mise sull'attenti e mi guardò con intensità e con le mani strette sulle ginocchia, finché non ripresi a parlare.

«Nei primi mesi di quinta elementare ci eravamo avvicinati molto, eravamo diventati buoni amici, ma poi ho mandato tutta all'aria.»

Lei con un sopracciglio inarcato e la bocca semiaperta rimase immobile per qualche secondo.

«Non può essere tutto qui» disse decisa e con una smorfia di delusione.

"Purtroppo hai ragione" pensai mentre la voglia di mentire si faceva sempre più forte.

«Asha venne bullizzata dal quinto anno, quando si trasferì nel nostro istituto, uno dei bulli...»

«Continua.» 

Era fatta. Sentii che da un momento all'altro avrei perso l'unica amica che avevo, tuttavia ciò non mi fermò. Non volevo continuare a nascondere il mio passato.

«Ero io» ammisi infine con lo sguardo rivolto al pavimento.

Per pochi secondi tra di noi calò un silenzio carico di tensione che venne interrotto solo da una sfuriata indignata di Teresa.

«Come hai potuto essere così crudele? Perché? Non puoi averlo fatto sul serio!»

«Quei due ragazzi che ho incontrato due giorni fa erano due miei compagni di elementari ed erano gli altri due bulli.»

«Perché... perché?» domandò con una mano sulla sua fronte.

«Ero un idiota, ma ho pagato per i miei sbagli!» affermai con una mano sul petto.

«Come?» chiese Teresa con faccia disgustata.

«Dopo l'ennesimo scherzo crudele, intervennero le nostre famiglie e il preside. Prima che Asha potesse accusarci, mio padre mi fece trasferire in un'altra scuola, credo successe anche a Valerio e Andrea.»

Teresa, scesa dal letto, si avvicinò con lentezza verso di me.

«Ti sembra di aver pagato?» chiese con voce carica di astio.

«Prima di frequentare il tuo stesso istituto, ho cambiato scuole medie due volte perché venivo bullizzato, inoltre mi sono dovuto trasferire con tutta la famiglia in questo quartiere» ammisi con gli occhi chiusi e a bassa voce.

«Non... ne avevo idea» affermò a bassa voce.

«Ti ho risparmiato alcuni dettagli, ma ti ho detto la verità. Non posso chiamare Asha e lei non dovrebbe chiamare me. A dire il vero non dovremmo neppure stare seduti vicini. Io... Non so che fare ora!»

«Però è strano. Lei non mi è sembrata turbata quando le ho dato il tuo numero, al massimo un po' sorpresa» commentò lei con una mano sul mento.

«Cercherò di parlarle domani. Le chiederò scusa e continueremo le nostre vite» asserii con finta convinzione.

«Certo» rispose fredda e a braccia conserte, poco dopo.

«Io... Ora devo andare» dissi abbattuto per poi darle le spalle.

Un istante prima di uscire dalla stanza, la mano di Teresa si poggiò con forza sulla mia spalla destra.

«Teresa devo andare» asserii con un fil di voce.

«Anche se ne hai passate tante e sei cresciuto ti avverto lo stesso» affermò decisa, per poi stringere con forza la spalla, «non osare farla soffrire» continuò più aggressiva.

Non mi faceva tanto male, ma percepivo con chiarezza il suo disprezzo e credevo anche di meritarlo, perciò mi limitai a restare in silenzio e a poggiarle piano una mano sulla sua.

Dopo qualche secondo, lei mollò la presa e io uscii da casa sua. 

Quella sera ero in preda allo sconforto e non riuscii a disegnare nulla, nonostante i vari tentativi. Stavo per alzarmi dalla sedia, quando ricevetti un messaggio da un numero che non conoscevo.

Era Asha.

"Ciao. Non so se in questi anni sei maturato, ma voglio concederti la possibilità di farti perdonare."

Per poco non feci cadere il telefonino. Ero pieno di emozioni diverse: stupore, tristezza e gratitudine.

Mi sentii più leggero.

Con una rapidità sconcertante mi alzai e la chiamai.

«Asha! Io... Grazie. Farò del mio meglio» enunciai con le lacrime agli occhi e voce pregna di amarezza.

«Ti sento strano, stai piangendo?» mi chiese sorpresa.

«Forse. A domani» dissi sollevato, per poi chiudere celere il cellulare.

«Mirco con chi stavi parlando?» domandò mio padre apoena fuori dalla porta di camera mia.

«Una compagna di scuola» risposi, dopo essermi asciugato gli occhi.

«Non credo. Hai gli occhi lucidi, deve essere qualcuno di importante» disse con le mani sui fianchi e con sguardo indagatore.

«Era una compagna di scuola» mi impuntai.

«Teresa Tecchi? Vedo che la cotta che ti eri preso alle medie non è passata. Se fossi in te non mi ci ossessionerei.»  

«Non era lei, puoi andare ora» affermai con le mani alzate.

Lui rimase in silenzio per qualche secondo con gli occhi fissi su di me.

«Spero che non ti sia cacciato in un guaio, altrimenti dovrò toglierti dalla scuola che hai scelto» disse con un dito puntato verso di me, prima di voltarsi e andarsene.

Il peso che si era volatilizzato poco prima, ripiombò con forza e mi gettò di nuovo nello sconforto.

La cena fu più pesante del solito, nonostante mio padre avesse preso delle pizze e non si fosse pavoneggiato come al solito. 

Una volta andato a dormire, prima di addormentarmi, scorsi mia mamma alla porta.

«Non permetterò che tuo padre ti rovini i sogni. Dormi tranquillo» disse per poi chiudere la porta.

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