Capitolo 12: Rivelazioni

La mia domanda, posta con troppa enfasi, turbò Rebecca per qualche momento, facendola ammutolire.

«Avanti parla!» le intimai con voce bassa e carica di astio. 

Senza ottenere risposta, dopo qualche attimo, mi limitai a sospirare per poi chiederle scusa.

«Non me la sono presa, sono solo... rimasta sorpresa dalla tua reazione» affermò Rebecca, pochi secondi dopo le mie scuse.

Avrei voluto parlarle di come mio padre avesse rovinato la nostra famiglia e della sua ossessione verso di lei, ma preferii glissare su un argomento più felice. 

«Tra due giorni sarà il mio compleanno, ti va di esserci?»

«Accidenti. È vero» commentò a bassa voce.

«Sarà alle 20:00, a casa mia e con pochi invitati. Non ho programmato qualc-»

«Ok» asserì gioiosa interrompendomi.

«Fantastico, spero non ti annoierai.»

«Che regalo vorresti?» mi chiese con le braccia dietro la schiena, mentre si avvicinava con lentezza verso di me.

«Niente che tu possa darmi purtroppo» asserii mesto.

«È così costoso?» domandò stupita e divertita.

«Non è un oggetto. Riguarda... non importa» risposi per poi grattarmi la testa e posizionare i miei occhi sul monumento.

«Sembra essere qualcosa di molto personale, spero solo non sia grave.»

Pochi istanti dopo, riposizionai i miei occhi nei suoi color ambra caldi e stupendi.

«Spero che fino a ora tu non ti sia annoiata» affermai con un sorriso forzato.

«Figurati! Abbiamo ancora tempo, ci sono di sicuro altri -»

Prima che potesse finire di parlare, la mia risata sovrastò i flebili rumori che ci circondavano.

«Scusa e che... credimi se ti dico che avremo fatto meglio a farci un giro in centro» affermai, dopo essere tornato serio. 

«Sei un po' troppo duro su questo quartiere. Sono sicura che c'è tanto da vedere qui.»

«E tu troppo gentile» commentai a capo chino.

Qualche ora dopo, passate a chiacchierare e a girare senza meta, ci congedammo nei pressi di casa mia, con la promessa di rivederci al mio compleanno.

Dopo aver rimuginato più del dovuto sul da farsi, chiamai Giulia per invitarla al mio compleanno. 

Non avevo considerato fosse a lezione, anzi ero certo che avesse saltato come me un giorno di scuola. Mi sbagliavo.

«Ciao Giulia, ti ho disturbato?»

«Mirco! Come mai mi hai chiamato proprio ora?» eruppe l'altra voce sorpresa.

«Volevo chiederti una cosa, ma se sei impegn-»

«Sono nel bagno della mia scuola. Sono corsa qui, quando ho visto la chiamata. Spero sia urgente» mi interruppe lei seccata.

«Scusami, ero convinto avessi saltato scuola anche tu.»

«Avrei voluto, comunque cosa volevi chiedermi?» domandò più allegra.

«Sai che il mio compleanno è alle porte. Mi chiedevo se ti andasse... se... insomma... voglio di- »

«Ci sarò. Dove festeggerai?» mi interruppe.

«Ci sarai! Sono super felice. Festeggerò a casa. Passa per le 20:00.»

«Ok, ci vediamo!» mi salutò energica prima di chiudere la telefonata.

Pochi minuti dopo, ritornai a casa, senza però trovare nessuno.

Il panico che stava prendendo il controllo, si diradò, dopo aver visto un biglietto a quadretti appeso con un magnete al frigo della cucina.

"Mirco, spero non ti sia spaventato nel non trovare nessuno in casa. Ti ho lasciato dei panini nel frigo, mangiali appena arrivi senza aspettarci. Nel momento in cui starai leggendo questo biglietto io e tuo padre staremo parlando con il nostro terapeuta. Spero che tu capisca e che tutto questo si risolva. Ti voglio bene."

Rilessi quel biglietto una dozzina di volte, mentre con la mente ritornavo a quando ero bambino.

I ricordi delle mie vacanze estive, i sorrisi dei miei genitori, il tempo passato a giocare con mia cugina, la prima volta che parlai con Asha, i primi scherzi e poi... la goccia che fece traboccare il vaso. 

Prima che le lacrime potessero scendere, lo squillo del mio cellulare mi ridestò dai pensieri. 

«Ciao Mirco. Scusa se ti ho chiamato, volevo solo sapere se stavi bene» asserí Asha. 

«Asha! Io... sì, oggi ho saltato scuola a causa di una vecchia amica.»

Pochi secondi dopo Asha riprese a parlare.

«Una vecchia fiamma?»

«No! Ma che dici?» 

«Imbarazzato?» chiese divertita.

«No! Non c'è nulla fra noi, è solo una vecchia amica con cui ho riallacciato i rapporti.»

«È una tua abilità o è solo un caso?» continuò.

Dopo un lungo e teatrale sospiro le risposi.

«I miei sono in terapia, hanno iniziato oggi. Forse divorzieranno.»

Il silenzio, a quel punto, fece capolino e si impose con tutta la sua forza per quasi un minuto.

Mentre osservavo il grosso orologio argenteo appeso al muro di fronte a me, mi maledissi per avergliene parlato.

«È terribile... stai bene?» mi chiese dispiaciuta.

«No... la cosa peggiore è che non sarei dispiaciuto se divorziassero.»

«Sul serio?» domandò stupita.

«Mio padre negli anni è diventato insopportabile, se non fosse stato per la mia cocciutagine e per mia madre non mi avrebbe nemmeno lasciato iscrivere alla nostra scuola.»

«Mi spiace. Se vuoi parlarne meglio ci sono sempre, almeno a orari decenti.»

Dopo aver entrambi riso per un po', mi venne in mente di fargli una domanda che forse mi avrebbe permesso di aiutare Rebecca.

«Posso farti una domanda un po' pesante?»

«Solo se non riguarda religioni» mi rispose seria.

«Riguarda l'amica di cui parlavamo prima. Non se la passa molto bene» dissi con la mano sinistra serrata in un pugno.

«È malata?»

«No. È presa di mira da alcune sue compagne e non so co-»

«Mirco, aspetta» mi  interruppe per poi chiudere la chiamata.

L'idea che l'avessi messa a disagio si impose con prepotenza nei miei pensieri, spingendomi a mandarle diversi messaggi di scuse per alcuni minuti.

Una sua nuova chiamata interruppe quel malsano gesto e fece mancare un battito al mio cuore.

«Scusa, il cellulare si era scaricato» eruppe Asha tranquilla.

«Non c'è problema» risposi con eccessiva enfasi.

«Riguardo alla situazione con la tua amica, l'unica cosa che posso dirti è che lei deve chiedere aiuto.»

Un sospiro carico di rassegnazione uscì dalla mia bocca.

«Non era la risposta che volevi?» 

«Lo immaginavo. Tu hai fatto così del resto» affermai deluso.

«Ti sbagli. Però, forse se l'avessi fatto subito le cose non sarebbero andate in quel modo.»

«Mi spiace tanto per... tut-»

«Lascia stare, rivangare il passato non fa bene a nessuno» mi interruppe, per poi aggiungere: «è meglio che tu non ti faccia coinvolgere da questa storia.»

Pochi secondi dopo le risposi.

«Voglio provare ad aiutarla. Devo farlo.»

«È ammirevole» commentò Asha, mentre dal sottofondo si sentiva una canzone a me estranea.

«Sai, alle medie ho avuto anche io... problemi con dei compagni e ho dovuto cambiare anche istituti e abitazione.»

Per un po' Asha non disse nulla, mentre io mi concentrai sul mio battito cardiaco.

«È orribile» asserì infine sottovoce.

«Il karma» le risposi.

«Ci credi sul serio?» domandò seria.

«Direi di sì» risposi, dopo qualche attimo di incertezza.

«Non credo a questo tipo di cose. Nel mondo c'è tanta di quella gente cattiva eppure non mi pare ci sia tutta questa giustizia karmica» affermò con una punta di irritazione.

«In effetti è vero. Forse allora vale solo per alcuni.» 

Subito dopo, un sospiro seccato fece capolino dall'altro lato del telefono.

«Asha?»

«Per il tuo compleanno è tutto apposto? Verrò insieme a Teresa.»

«Sì, certo, è sempre a casa mia per le 20:00.»

«Capito. Stammi bene» affermò per poi chiudere la telefonata.

Chiusa la chiamata, mi poggiai con le spalle al muro e mi accasciai con lentezza verso terra.

Rimasi in quella posizione, finché non ho sentito la porta di casa aprirsi.

«Mirco! Siamo tornati!» urlò mia madre.

Rimessomi in piedi, sono corso subito da loro con il cuore colmo di speranza.

Mio padre in evidente fastidio, si tolse la cravatta e le scarpe che aveva, nel frattempo, mia madre si stava togliendo allo specchio appeso al muro vicino all'ingresso, gli eleganti orecchini che mio padre le aveva regalato anni fa. 

«Come è andata?» chiesi trepidante di attesa.

«Non molto bene tesoro. Tuo padre non ne vuole prop-»

«Vedi di piantarla! È stata solo la prima volta. Andrà meglio la prossima» la interruppe mio padre con un dito puntato verso di lei.

«Mirco, vai sopra. Io e tuo padre dobbiamo parlare» mi ordinò mia madre gentile ma seccata.

«Va bene» dissi sottovoce.

«Guarda come lo hai demoralizzato!» affermò mio padre, mentre salivo le scale.

«È colpa tua! Non ti rendi con-»

«Mia? L'ho proposto io di andare da un ter-» la interruppe mio padre per poi essere interrotto da mia madre.

«Sei insopportabile! Egocentrico! Villano e... anche»

«Cosa?» chiese mio padre in tono di afida.

«Un pessimo padre» asserì mia madre con astio.

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