Principio

-Che diavolo sta facendo?- così aveva urlato a Chester Chambers quando quello lo aveva toccato con l'indice sulla testa. Si era premuto il palmo della mano sul punto che quel pazzo scatenato aveva tastato e si era alzato con foga, trascinando la sedia indietro talmente violentemente che aveva emesso uno squittio desolato dell'unica rotellina malfunzionante.

-Esca subito dal mio ufficio o chiamo la polizia!- Gli aveva gridato poi, la mano ancora sul capo quasi a tenersi una parrucca che non portava. -Mi ha messo le mani addosso! Lei mi ha messo le mani addosso! La denuncio, io giuro che...-

Ma poi si era bloccato. Sulla faccia di Chester Chambers non c'era nessuna espressione di paura e neanche quella deturpante maschera di malessere che lo aveva accompagnato fin da quando era entrato qualche ora prima nell'ufficio pareva appartenergli più. Sembrava che gli si fosse scollata dal viso e che ora i suoi lineamenti denotassero, in qualche modo, sollievo. I suoi occhi si erano distesi e saettavano ammiccanti dal soffitto fino alla porta che conduceva al corridoio. Era stato in quel momento, Jackson lo ricordava bene, che l'uscio si era aperto e la sua segretaria ne aveva fatto capolino richiamata dalle sue grida, trafelata e con in volto un'espressione preoccupata. Sembrava chiaramente dire "Signor Law, spero davvero che non sia successo nulla di grave altrimenti so già che lei farebbe saltare la mia testa" e, Jackson, sicuramente lo avrebbe fatto perché era stata lei a fare entrare quello svitato senza preavviso e senza uno straccio di appuntamento .

Come a specchio di quelli che erano stati i suoi pensieri, la segretaria si era messa le mani fra i capelli vicino alle orecchie e le aveva tenute così, quasi che già temesse di veder rotolare il suo capo per il pavimento di lì a poco. Jackson aveva pensato a qualcosa di meno "risolutivo" e più incentrato su di un piano lavorativo del termine ma, meravigliandosi della sua pungente ilarità in un simile frangente, l'idea di un licenziamento dal tronco e non solo in tronco, lo aveva divertito veramente tanto. E mentre la segreteria entrava e Chester Chambers sorridente gli passava accanto infilandosi per il corridoio con lo sguardo perso nel vuoto sopra di sé, aveva immaginato entrambe le loro teste appoggiate agli angoli del tavolo come amuleti portafortuna. Una volta aveva letto che, in Polinesia, le teste di alcuni defunti vengono imbalsamate e tenute come buon auspicio per...

-Signor Law.- aveva detto la segretaria con lo sguardo rivolto all'uomo in giacca sportiva ormai lontano, distogliendo Jackson da macabre visioni. -Va tutto bene? Ho sentito che urlava e ha detto qualcosa riguardo alla polizia.- Aveva un tono di voce tremante e rispecchiava tutti i suoi venticinque, inesperti, anni. Si era tolta le mani dai capelli, forse meno impaurita adesso sulla possibilità di perdere la testa visto che la causa del fracasso si era allontanata.

-Sono stato aggredito.- aveva detto Jackson con il tono di voce leggermente arrochito dalla sfuriata di qualche secondo prima. Si era tolto la mano dai capelli anche lui e si era osservato il palmo con curiosità ma, com'era prevedibile, il tocco del pazzo scatenato non aveva sortito nessun effetto macroscopico o di rilevanza. Sentiva ancora una leggera pressione nel punto in cui era stato colpito ma niente di più. Oltre le sue dita aveva visto il gatto dorato scintillare nella luce del pomeriggio morente, seduto sulle zampe posteriori e sul muso ombre che gli davano un'aria divertita, quasi si stesse sganasciando dalle risate. Non sei servito maledettamente a nulla aveva pensato e, per un attimo, l'idea di rimpiazzarlo con una testa mummificata gli era parsa quanto mai corretta (magari quella di Chester Chambers), ma la sua segretaria aveva interrotto nuovamente il flusso dei suoi pensieri.

-Vuole...- La ragazza si era fermata un attimo, probabilmente indecisa se chiedergli di dover chiamare un'ambulanza o la polizia. La sua testa, ancora attaccata al corpo (fortunatamente), propense per la prima scelta alla fine. -Vuole che le chiami un medico?-

Jackson aveva sollevato gli occhi su di lei e, sebbene lo avesse sfiorato un sentimento d'odio verso quella donna che aveva contribuito a dare manforte al forse più brutto imprevisto che gli era mai capitato negli ultimi anni, aveva scoperto che l'essersi liberato del suddetto così facilmente (a parte la "toccata e fuga" apparentemente senza senso che gli aveva riservato), gli aveva infuso un senso di tranquillità che lo aveva calmato quasi del tutto. Sì, quasi, perché il led dello schermo, imperturbabile e leggermente assillante, continuava a invitarlo con i suoi muti e insistenti richiami a recuperare l'oroscopo perso in mattinata, lasciandogli in corpo ancora una certa inquietudine. Ma fortunatamente, per liberarsi della segretaria e occuparsene una volta per tutte, sarebbe bastata solo qualche parola pronunciata con gentilezza.

-No Margot, niente ambulanza. Grazie lo stesso.-

-Ma...- aveva incominciato a dire lei e Jackson aveva girato attorno alla scrivania e le era andato incontro con un sorriso accondiscendente e una mano protesa a indicare la strada verso la porta. -E' sicuro?-

-Sicurissimo, Margot. Ora vai, chiudi l'ufficio.- le aveva detto continuando ad ammiccare, il mento puntato al corridoio oltre il quale era scomparso Chester. Per un attimo Jackson se lo era immaginato andare a bussare alla porta di un collega e annoiarlo col suo sogno della corda o quel che cavolo era. Che idiozie, che idiozie! Tutto tempo perso, ecco cos'era stato.

-Va bene signor Law, buona serata allora.- aveva detto Margot e lui le aveva chiuso la porta alle spalle sostituendo il sorriso che gli aleggiava sul volto da uno di circostanza a uno che preannunciava un piacere maledettissimamente agognato. Un sorriso quasi malizioso.

Aveva acceso lo schermo col tocco di un indice tremante di contentezza e aveva digitato talmente veloce le parole sul motore di ricerca che aveva dovuto cancellarle e riscriverle almeno tre o quattro volte. Si era trovato perfino a ridere perché invece di "pronostici", aveva scritto "pornostrici" e la cosa gli aveva fatto allargare il sorriso malizioso che aveva ancora sul volto. In ogni caso, dopo i numerosi tentativi, era riuscito ad azzeccare l'esatta combinazione di lettere e aveva aperto il sito che, a prima vista, come al solito, sembrava curato da un bambino di a malapena dieci anni.

"Pronostici stellari" non aveva dalla sua un look accattivante, su questo Jackson conveniva ogni volta che lo mostrava agli amici fidati (era un segreto), ma la sua forza era nell'azzeccare sempre le previsioni giornaliere. Ed in fondo è a quello che puntano i siti di oroscopo, o no? Chi se ne frega dei fronzoli e delle grafiche, il contenuto è la cosa importante e su questo Jackson non transigeva (un po' meno nell'aspetto "esteriore" della sua vita fatta di capsule d'oro ai denti e case di duemila metri quadri, ma questo non era importante in quel momento).

Aveva scorso, con la rotellina del mouse, fino al segno che gli apparteneva, un toro blu in campo bianco che, stranamente (fin troppo), assomigliava a quello ricamato sul taschino della camicia di Chester Chambers. Jackson si era un attimo paralizzato a quella scoperta, sollevando il labbro superiore in un ghigno di sorpresa che gli aveva sconvolto il sorriso malizioso. C'era una sottile ironia in tutta quella faccenda e, la tal cosa, lo rendeva leggermente inquieto. In ogni caso stava finalmente per liberarsi dell'angoscia derivata dalla routine andata in malora e questa sensazione, effettivamente poco celata nei suoi occhi brillanti, era più forte dell'inquietudine. Ad essere sincero, nel momento in cui il suo indice si era sollevato per cliccare sul simbolo stilizzato del toro, la sensazione di sollievo e piacere che aveva provato si era avvicinata così tanto ad orgasmo che se ne era un po' vergognato.

Giornata di scoppiettanti avventure per voi amici del toro! Ottima posizione astrale con Giove dominante e pronto a sorreggere le vostre decisioni e insicurezze. La luna favorevole suggerisce un finale di giornata col botto!

Jackson aveva riletto più volte quell'oroscopo cercando in tutti i modi di far quadrare gli eventi della giornata secondo le parole virtuali impresse in comic sans. Il botto c'era stato di certo: Chester Chambers era stato una bomba ad orologeria che gli era stata recapitata espressamente al suo ufficio. Per il resto non aveva il benchè minimo senso e di certo la fortuna che Giove avrebbe dovuto riservargli grazie alla sua posizione dominante non si era affatto vista. Aveva alzato le spalle e piegato le labbra all'ingiù leggermente contrariato. Il led verde dello schermo, adesso, più che un dito mosso in modo suadente, gli era sembrato puntato dritto verso lui a indicarlo per farsene beffa.

L'aveva spento pigiando sull'interruttore laterale e poi si era riseduto con uno sbuffo della vera pelle con cui era ricoperta la poltrona d'ufficio. In quel momento solo il suo riflesso si intravedeva sullo schermo opaco, una sagoma scura nella luce dorata del sole che compiva il suo ultimo sforzo nel solcare il cielo. Si era osservato passandosi una mano sul capo dove Chester Chambers l'aveva toccato, neanche fosse Re Mida e sperasse di trasformarlo in una statua d'oro. Che gli stava succedendo in quella giornata strana? Dove diavolo era l'influsso di Giove che avrebbe dovuto raddrizzare tutti gli imprevisti che lo stavano tartassando? Si era grattato il cuoio capelluto con fare pensoso. La sensazione del tocco di Chester Chambers era scomparsa e nulla presagiva che pochi minuti prima avesse subito (e qui la sua mente aveva esagerato un po') un'aggressione in piena regola. Ancora non riusciva a darsi una spiegazione del fatto che quel pazzo lo avesse toccato deliberatamente sul capo. Mi dispiace per ciò che sto per fare, signor Law. Mi dispiace davvero, così aveva detto. Ma perché? Quale era il motivo? Cosa aveva fatto esattamente?

Il sole allora era stato coperto da una nube passeggera cancellando l'ombra del suo riflesso sullo schermo e, quasi fosse stato un segnale, anche l'alone di perplessità che gli era calato sugli occhi nella sua eccessiva ricerca di una spiegazione razionale si era eclissato un attimo dietro il pensiero della cena, della routine che era stata finalmente recuperata e dei suoi riti serali che lo aspettavano a braccia aperte. Si era ripettinato i capelli scombinati dall'analisi di qualche minuto prima e se n'era ritornato a casa, sebbene una sensazione di irrequietezza non lo avesse quasi mai abbandonato ma si fosse solo leggermente celata dietro la patina monotona del ritorno alla quotidianità. Quella sensazione di inquietudine era cresciuta però, pian piano, arroventandogli le membra e ora, al suo culmine, lo faceva girare e rigirare fra le lenzuola come se queste stessero prendendo fuoco e con loro le sue stesse carni.

-Si può sapere che diavolo hai?- La voce di Betty era ancora aggrappata al sonno eppure, fra le sue note, Jackson udì una sincera preoccupazione più che un tono di rimprovero o fastidio. O almeno così gli parve. Aveva leggermente alzato la testa e Jackson ne poteva chiaramente vedere la matassa di capelli castani arruffati dalle due ore passate sul cuscino.

-C'è qualcosa che non va.- Fu il suo commento mentre si bloccava con una gamba a mezz'aria sotto il piumone come colto in flagrante da un genitore durante una marachella. La coperta si era gonfiata in corrispondenza del suo ginocchio e aveva preso la forma di una minuscola tenda da campeggio.

-Che diamine significa "c'è qualcosa che non va"? Sono le...- Betty sporse il braccio da sotto le coperte, non la vedeva in volto poiché i capelli lo celavano nel buio ma intravide la mano pallida muoversi e cercare a tentoni la sveglia sul comodino accosciato alla sua parte di letto. Persa ancora nel sonno, riuscì ad afferrarla solo dopo averla mancata per almeno tre volte di parecchi centimetri.

-...è mezzanotte meno un quarto. - concluse con la voce arrochita. -Fatti una tisana o conta le pecorelle oppure...-

-Betty, è più complicato di così.- Jackson la interruppe rilasciando la gamba con un sentimento di frustrazione nei confronti della moglie che sicuramente non avrebbe tentato di celare. Dannazione, tutta quella manfrina sull'essere uniti nell'amore e nella malattia eccetera eccetera e lei gli diceva di contare le pecore per lasciarla dormire? No, no e poi no. Uniti anche nell'insonnia doveva essere aggiunto al contratto di matrimonio, altro che. Il piumone si afflosciò sui loro corpi, ricoprendoli e spargendo un soffio freddo che a Jackson parve quasi un sussurro gelido sul collo. Non gli piacque per niente.

-Io... Mi sento irrequieto.- disse, lasciando un po' la frase in sospeso mentre il suo sguardo aleggiava in una non ben precisata parte del soffitto buio. Dalle tapparelle chiuse solo minuscoli puntini di luce si infrangevano sulle pareti, assomigliando ad occhi accusatori che lo scrutavano corrucciati. Quale era il capo d'imputazione che quei mille giudici gli avevano affibbiato? La routine era stata recuperata, i riti fortunati ripresi come di consuetudine, eppure, nel profondo dell'animo, Jackson era ancora straziato da un dubbio senza volto e che prendeva le sembianze di quegli sguardi roventi.

Betty fece il tipico verso che fanno le donne quando gettano le pupille indietro con estrema teatralità mostrando il bianco della sclera. Ci mancava poco che avesse portato perfino il mento in fuori e la testa indietro seppur si trovasse in quella posizione, sdraiata su un fianco. Jackson la immaginò farlo perfino con le palpebre chiuse e pesanti di sonno appoggiate sulla flanella del cuscino, ma la tal cosa non lo mise certo di buonumore in quel frangente, anzi, lo irritò un po'.

-Che c'è Jackie?- gli chiese lei nuovamente e stavolta la sua voce suonò molto più assonnata di prima e in un certo qual modo seccata, se è possibile capire il tono di una voce che si trova in equilibrio tra lo stato di veglia e l'abisso dei sogni.

Jackson continuò a osservare i minuscoli puntini che costellavano le pareti. Ogni tanto un'auto passava sulla lontana strada e si illuminavano di un bianco più intenso in corrispondenza dei fari, sembravano ammiccare maligni nell'oscurità acuendo la sensazione d'inquietudine che serbava dentro.

-Vedi- fece dopo essersi portato due mani al volto ed essersi strofinato le palpebre più tirate che mai. -Oggi c'è stato un cliente imprevisto.- Fece una pausa per aspettare che Betty gli rispondesse, poi, quando quella grugnì un assenso che suonava come un "mmh" interrogativo, per cinque minuti buoni le raccontò la storia di Chester Chamber, riserbandosi però per ultima la faccenda relativa alla sua routine leggermente deviata rispetto al suo usuale percorso.

-...e in più la mia routine è andata in malora perché...- Jackson si interruppe e voltò lo sguardo verso il rilievo della moglie sotto la coperta: si alzava e si abbassava come un mantice in funzione in una fucina. Alzò un sopracciglio, corrucciato. -Betty, mi stai ascoltando?-

Sua moglie per tutta risposta emise un sonoro respiro assonnato, di quelli che si suole fare quando si è stati appena svegliati dal dormiveglia e che suonò stranamente simile a un grugnito suino.

-Betty!-

-Uhm? Sì, sì, ti ascolto!- disse lei scuotendosi, quasi che là sotto, oltre il piumone, un cavo elettrico le avesse toccato la pelle scoperta delle gambe dandole una scossa. -Un filo dorato, sì. Beh, che vuoi che ti dica, sono del parere che tutti i fili vanno seguiti fino ad arrivare all'estremità a cui sono legati.- La sua lingua intorpidita incespicava sulle consonanti.

-Che vuol dire seguire...- Jackson si interruppe sollevandosi di scatto. Trascinò con se lenzuola e il piumone, lasciando scoperta la sua parte di letto tiepida e qualche decina di centimetri della schiena di Betty. Il pigiama blu a righe rosse risaltò in contrasto alle lenzuola candide. -Ripetilo un attimo.- le disse e il suo sguardo era rivolto al muro opposto al letto, i pallini luminosi che lo squadravano divertiti come se gli leggessero il cuore. Nella sua mente, applausi di incitamento accompagnavano il silenzio che si interpose fra la sua domanda e la risposta della moglie.

-Ho detto- rispose lei e la sua voce era mezza soffocata dal cuscino -di andare alla fonte, di capire dove questo dannato filo si è dipanato e...-

Ma Jackson già non ascoltava più. La sua mente correva a briglia sciolta, senza fermarsi, e i suoi pensieri incominciavano a macinare strada neanche fossero Forrest Gump nella sua maratona verso la costa degli Stati Uniti. E proprio come in una scena del film, Jackson sentì i ferri dell'irrequietezza che avevano costretto la sua mente per tutta la serata sciogliersi e rompersi, permettendogli di andare più forte, di toccare a malapena il suolo nella loro corsa. Sentì perfino, proprio come nel film, l'incitamento di Jenny e i suoi pensieri sotto quello sprone galopparono, e galopparono, ma non in avanti: indietro! Perché era lì che doveva andare, al principio di tutto, dove tutto era iniziato. Come aveva fatto a non pensarci? Doveva ritornare dove la sua buona stella era nata dozzine di anni prima, dove il filo, il suo filo fortunato, si era dipanato. Non quello stupido filo che Chester Chambers vedeva ma il suo, quello vero, quello che lustrava ogni giorno e faceva in modo che non s'impigliasse. Doveva tornare al principio, solo quello gli avrebbe dato la tranquillità che cercava, lo sentiva.

Sorrise e senza ascoltare nemmeno i lamenti di Betty sul freddo e sulla sua sciatica recidiva dato che era rimasta scoperta dal suo impeto giulivo, si mise in piedi e corse fuori dalla stanza fino al telefono appoggiato sul mobiletto color ciliegio vicino all'anticamera del salotto.

Gli servivano solo due cose adesso: un taxi e la sua personale fortuna, tenuta sotto chiave all'interno della cassaforte a qualche camera di distanza.

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