Marion XXI
Marion non rammentava un momento della sua vita in cui era stata inoperosa: nella bottega di suo padre il lavoro non era mai mancato e nelle sue memorie di bambina si vedeva trottare accanto alla madre, impegnata in questa o quella faccenda. Persino all'ospizio per indigenti, quando non aveva un soldo né un lavoro, si era messa prontamente al servizio delle monache.
Per lei, un po' come per tutta la sua famiglia, i calli sulle dita e sui palmi delle mani erano una piccola fonte d'orgoglio e di soddisfazione.
Eppure osservando Henri che lavorava nei campi e la piccola Keme che gli si affaccendava attorno non riuscì a trovare la forza per sollevarsi dal recinto delle pecore contro cui si era adagiata.
Era in preda al dolore da giorni oramai – da quando era arrivata la notizia che suo marito era disperso, quasi certamente morto, e Jeannette era fuggita. La disperazione si era trasformata in un malessere fisico che le chiudeva lo stomaco davanti al cibo, toglieva forza alle sue braccia e le mozzava il fiato quando meno se lo aspettava.
La fattoria, che fino a pochi mesi prima era rifiorita sotto la rinnovata energia del padrone e gli sforzi di tutti, rischiava di andare di nuovo e definitivamente in malora ora che a mandarla avanti erano solo un ragazzo, una donna e una bambina.
A volte era certa di scorgere la chioma bionda di Serge dietro un angolo della stalla, o china sul pozzo, o in mezzo al gregge belante. La notte sognava i suoi occhi grigi spezzati dal rimorso e dalla tristezza, che parevano chiederle scusa, ed era certa che prima o poi quelle illusioni l'avrebbero condotta sulla strada della follia.
Come se il peso sulle sue spalle non fosse abbastanza pesante, due giorni prima un prete gesuita sbarcato da poco in Nuova Francia e diretto a Ovest per evangelizzare gli amerindi di quelle regioni aveva cortesemente allungato il suo viaggio per consegnarle una lettera di padre Bernard.
Marion l'aveva letta e riletta fino a consumarsi gli occhi, sforzandosi di dare un senso compiuto alle lettere che si susseguivano sulla carta a comporre parole e frasi colme d'affetto. Non aveva potuto non pensare a quanto leggere e scrivere venisse facile a suo marito, e aveva provato una nuova e dolorosa fitta al cuore. Ora custodiva la missiva nel borsello che portava legato in vita e ogni tanto, quando durante le faccende quotidiane la profonda malinconia la costringeva a fermarsi, la sfiorava con le dita da sopra la stoffa: non aveva bisogno di aprirla per rammentarsi delle parole del suo confessore.
Mia buona Marion – aveva scritto padre Bernard – voglio innanzitutto ringraziarti per la tua affettuosa missiva: essa è giunta qui a Parigi da pochi giorni, ma è mia speranza che nei mesi intercorsi affinché essa attraversasse l'Oceano nulla sia cambiato nella tua nuova vita, se non in meglio.
Ti ringrazio anche per la premura con cui ti sei informata delle mie condizioni, che sono buone: la fede in Nostro Signore mi dà forza; ma è soprattutto il saperti sana, salva e maritata che mi riempie il cuore di commozione e di gioia. Anche le consorelle di Sant'Orsola, a cui ho portato il tuo affetto e i tuoi saluti, godono d'ottima salute e ti augurano ogni bene.
Mi dicesti che tuo marito è un possidente e dalla maniera forbita in cui scrive ne ho dedotto che sia anche un uomo di una certa cultura. Me ne compiaccio: sei una donna pia e onesta e non nutrivo dubbio alcuno sul fatto che avresti trovato un compagno degno di te.
Dev'essere stato il Signore a ispirarti questa scelta.
Prego ogni giorno affinché voglia concederti anche un'unione feconda, così che tu abbia, in questa vita come nella prossima, tutta la felicità che i tuoi buoni meriti ti hanno guadagnato.
In alcuni punti l'inchiostro era stato sciolto dalle sue lacrime: Marion non poteva pensare a padre Bernard, alle buone sorelle di Sant'Orsola o a Parigi tutta, in verità, senza che la sua tristezza si sciogliesse in un pianto amarissimo.
Ma la cosa che più la preoccupava era che nascondere a Keme le gravi condizioni in cui versavano si faceva ogni giorno più difficile: la bambina aveva compiuto sei anni da poche settimane, ma in lei non c'era quasi più nulla dell'allegria che l'aveva sempre animata.
La guerra, il padre lontano e la sparizione di Jeannette avevano gettato un'ombra inquieta nel suo sguardo e Marion era decisa a salvarla dall'isolamento della fattoria, che sembrava condurre tutte le donne che l'abitavano verso un fosco destino.
"Andremo insieme a Henri a Québec non appena il tempo si farà un poco più mite" decise.
"Dobbiamo rifornirci di carne secca e magari di un po' di pesce sotto sale, se ne hanno in questo periodo dell'anno: la dispensa è quasi vuota e non possiamo campare di stenti fino al raccolto primaverile!"
Un pensiero le attraversò la mente veloce e leggero come un fringuello, mentre si batteva i palmi delle mani sul grembiule e tornava al lavoro.
"Perché fermarsi a Québec? Perché non tornare in Francia?"
Sulle prime, tentò di far resistenza a quel pensiero: in fin dei conti, suo marito era ancora dato per disperso, non per morto.
Sapeva, tuttavia, che aggrapparsi alla speranza di un suo ritorno alla lunga rischiava di arrecarle un gran dolore – e Marion non era certa di poterne sopportare altri nella sua vita. L'incertezza sulla sua sorte, in quel senso, si era rivelata una benedizione.
Parigi l'avrebbe accolta nel suo abbraccio fatto di palazzi e vicoli oscuri, così diverso dall'ostile immensità delle colonie: avrebbe tenuto al sicuro lei e Keme per sempre.
Non v'era pericolo di incursioni indiane, o di alluvioni o di periodi di magra, a Parigi.
"Ma ci sono le malattie, questo sì" pensò, sfiorandosi d'istinto una guancia ruvida.
Quel tarlo la perseguitò per tutta la giornata. Quando la sera riuscì infine a chiudere gli occhi, sognò padre Bernard e la chiesa di Saint Étienne-du-Mont e la sua vecchia casa incassata tra quelle degli altri conciatori della rua.
Si svegliò nel cuore della notte, col cuore pesante, e rimase ad ascoltare le stridule grida degli uccelli notturni fino all'alba.
Il giorno dopo ricevette una visita così straordinaria che quando Keme venne ad annunciarla tutta allegra Marion pensò che la stesse prendendo per il naso:
"Non è possibile che Chosovi sia venuta fin qui!"
Invece la vecchia indiana, accompagnata da Ahiga e da suo figlio Atironta, l'aspettava con pazienza davanti alla porta della fattoria.
Per qualche momento Marion fu incapace di emettere un suono, poiché un'inspiegabile inquietudine le aveva serrato la bocca e paralizzato le membra: lo sguardo di Chosovi era grave e pareva deciso anche questa volta a scavarle a fondo nell'anima.
"Che sappia leggere nel pensiero?" si domandò, spaventata. "Perché si è presentata proprio oggi, dopo che ho meditato sul proposito di andarmene?"
Prima che potesse invitarli a entrare, Chosovi fece un gesto verso Henri, che fissava perplesso il terzetto di amerindi dal pozzo su cui si era affacciato per dissetarsi.
«Chiedete a lui ciò che abbisogna fare» ordinò al figlio e al nipote.
«Sono venuta per chiacchierare un po', figlia di Re, ma queste vecchie ossa reclamano un sedile più comodo del dorso di un mulo. E non mi spiacerebbe gustare qualcosa di caldo nel frattempo: quando soffia il vento dal nord il gelo fa presto ad arrivare al cuore e a fermarlo.»
Marion frastornata, si spostò di lato per lasciarla entrare in casa; ma prima di seguirla, non vista, si fece un veloce segno della croce.
Si soffermò giusto un istante per osservare Henri che parlottava accigliato con i due amerindi, poi serrò le labbra ed entrò.
Trovò Chosovi già seduta attorno al vecchio tavolo di legno, i lineamenti ossuti distesi in un largo sorriso: Keme sedeva sulle sue ginocchia e le stava raccontando qualcosa, parlando fittamente nella loro lingua.
Marion avvertì i denti della solitudine chiudersi con forza sulla propria carne.
«Chiacchierare?» mormorò.
Il tono fu più freddo di quanto intendesse e Keme si azzittì. Per nascondere l'imbarazzo, la donna voltò loro le spalle e si affrettò a mettere una pentola d'acqua a bollire sul fuoco.
«Vi piace l'aglio? Spero di sì. Purtroppo in questa stagione non c'è molto altro e...»
«Chiacchierare, sì. Abbiamo alcune cose di cui parlare» la interruppe Chosovi. «Qualsiasi cosa metti in quella zuppa andrà bene, ma sbrigati.»
Obbedì, docile come una bambola di pezza: curiosità, preoccupazione e sospetto s'agitavano nella sua mente mentre mescolava aglio, salvia e una manciata di avvizziti semi di zucca avanzati dall'autunno. Nessuna di quelle emozioni riuscì a trovare la strada verso la bocca e fu Keme a rompere il silenzio.
«Nonna, posso mostrare le mucche ad Atironta?»
Chosovi le rispose in francese, in uno slancio di cortesia che Marion apprezzò in silenzio:
«Tuo cugino non è qui per giocare, anyęah, ma per aiutarvi nei lavori pesanti.»
La lieve esitazione nella sua voce e la veloce occhiata che le lanciò suggerì a Marion che qualsiasi cosa la vecchia indiana avesse da dirle, non voleva rivelarlo davanti alla nipote. Allo stesso tempo, vedere la gioia spegnersi sul volto della bambina le procurò un dolore fisico e insopportabile al petto.
«Keme, perché non ti fai aiutare da tuo cugino a mungere le bestie? Ormai sei molto brava e puoi farlo anche senza di me.»
A quel complimento la faccia della piccola s'illuminò d'orgoglio e Marion sorrise in risposta. La osservò correre fuori con cuore più leggero, anche se questo significava affrontare Chosovi da sola.
"Ora veniamo a noi" pensò. "E al vero motivo della vostra venuta."
L'altra donna, tuttavia, all'improvviso sembrava non avere più fretta di parlare con lei: lasciò che il silenzio si espandesse nella stanza mentre con lo sguardo ne scrutava ogni angolo, attenta e pensierosa.
Marion, come durante il loro primo incontro, a un certo punto non resse più quel mutismo.
«Siete stata molto... molto gentile» balbettò. Poggiò le mani sul tavolo e quasi immediatamente le ripose di nuovo in grembo.
«A far venire i vostri parenti a coltivare i nostri campi, intendo. Mi dispiace di avervi però arrecato disturbo: di certo avrete da fare con...»
La voce le si affievolì: non aveva idea di come gli amerindi impiegassero il proprio tempo.
«I nostri campi sono già pronti per la semina» le spiegò la vecchia. «E questa proprietà un giorno passerà a Keme, dunque non vedo perché non dovremmo aiutarvi. A meno che, ovviamente, tu non sia gravida di un maschio.»
Marion si alzò in piedi così velocemente da rovesciare la sedia e boccheggiò, incerta tra l'irritazione e il disagio.
«Dunque non lo sei...» commentò la vecchia, nascondendo a stento un sorriso.
«Io non sono mio marito» sibilò Marion, ricomponendosi.
Le mani, tuttavia, continuarono a tremare anche quando rialzò la sedia dal pavimento e vi si accomodò sopra.
«Non tollero, come a lungo lui ha tollerato, che v'intendiate dei fatti miei. Ora ditemi cosa siete venuta a fare qui, ché all'idea che questa visita sia dovuta solo al vostro buon cuore non ci credo neanche un po'!»
Chosovi annuì con uno scatto della testa e una luce triste nelle iridi scure; il cuore di Marion si contrasse, presagendo sulla punta della lingua l'amarezza della conversazione che le aspettava.
«La notizia che mio figlio e Serge Roux sono dispersi in guerra è giunta alla fine anche alle mie orecchie.»
«Mi dispiace, avrei dovuto avvertirvi io stessa. Io... Io non ci ho pensato» ammise la donna, arrossendo di vergogna.
«Lo immaginavo. E dunque ho pensato che fosse giunto il momento di rispondere alla tua domanda.»
Marion trasecolò: era impossibile, per lei, seguire il corso dei pensieri della donna che aveva davanti.
«Quale domanda?»
«L'altra volta mi chiedesti perché ti ho affidato Keme. Ebbene, non l'ho fatto solo perché la bambina aveva bisogno di una madre, ma anche perché tu avevi bisogno di una figlia.»
"E questo cosa vorrà dire, esattamente?"
Le parole di Chosovi, storpiate dall'accento, non avevano fatto altro che innervosirla ancora di più.
«Prendermi cura di mio marito secondo voi non era un compito già abbastanza gravoso?»
La vecchia le lanciò un'occhiata che le parve divertita, ma quando le rispose il suo tono era severo.
«C'è di più in un figlio, oltre che pulirlo, amarlo e insegnargli le vie del mondo. Crescere un figlio è come piantare il mais in autunno quando si è vecchi come me: sai che forse non lo vedrai maturo in estate, ma la speranza ti spinge comunque a lavorare la terra e a spargere i semi.»
Fece una pausa.
Le rughe sulla sua fronte parevano incise con lo scalpello, come se tirar fuori quelle parole fosse stato più faticoso del viaggio fatto per arrivare alla fattoria.
«Quando ti ho vista per la prima volta, avevi un bisogno disperato di sperare in qualcosa che ti fosse più vicino del tuo Dio nel cielo e io te l'ho dato. Ora non puoi portarmela via.»
"Ma allora legge davvero nel pensiero!" pensò Marion, turbata.
«Come...?»
«Te l'ho già detto: anch'io ho passato gran parte della mia vita sola in terra straniera.
So cosa significa avere nostalgia di casa.
Ma Keme... Questa terra è l'eredità dei suoi genitori – di entrambi, sia di Roux che di mia figlia. Non potrai mai cambiare la sua natura, non più di quanto tu possa trasformare il procione in agnello. Non sarà mai felice, lontano da qui.»
Quelle parole le suonarono bizzarramente familiari.
"Potresti essere felice, lontano da qui" le aveva detto suo marito, usando esattamente lo stesso tono disperato. All'epoca era convinta che avesse torto, ma ora non riusciva più a districarsi tra i propri sentimenti.
Si prese la testa tra le mani.
«Mi state confondendo!» sbottò. «Forse allora praticate davvero la stregoneria!»
«Che sciocchezze, ragazza! L'unica artefice del tuo smarrimento sei tu! È questo ciò che accade alle persone che non mettono ordine nei loro pensieri quando è il momento adatto: si ritrovano poi immersi fino al collo nelle loro stesse bugie.»
«Cosa intendete, di grazia?»
Chosovi la guardò con immensa pietà e altrettanto immenso fastidio:
«Ah, ammettilo una buona volta: ami quell'ubriacone lavativo di Roux, nevvero?»
Marion replicò con foga, d'istinto, senza soffermarsi a riflettere su quella domanda che la terrorizzava:
«No. Voglio dire, ho imparato a stimarlo e lo onoro come marito, ma...»
Tacque, poiché tutte le frasi che le salivano alle labbra le parevano vuote, oppure troppo semplici pe descrivere il suo complicato rapporto con Serge Roux.
"Che forse è morto, portandosi nella tomba il bandolo della matassa."
Sentì che gli occhi le prendevano a pizzicare in maniera insostenibile e non tentò neanche di frenare le lacrime.
«Io... Io non lo so... Non so più niente. So che sento la sua mancanza e tutto è diventato così triste e così difficile che... Non ce la faccio... Non sono in grado.»
Con sua grande sorpresa, la vecchia si allungò sul tavolo per stringerle le mani: era cosa ben strana e di certo un poco disgustosa vedere quella pelle rovinata dal sole e dalla vecchiaia intrecciarsi con le cicatrici tonde del vaiolo. Eppure Marion si commosse al tal punto che non riuscì più a emettere un suono.
«Sei una donna forte. Sei in grado di fare qualsiasi cosa tu decida. Se vorrai tornare in Francia, non ho il potere di oppormi – ma non porterai Keme con te, questo no. Tuttavia, credo che tu abbia ancora bisogno di lei e anzi: ne hai bisogno ora più che mai. Resta, Marion.»
Capì che era una preghiera, nonostante Chosovi l'avesse pronunciato come un ordine.
"Aspetta con me" parevano supplicare i suoi occhi. "Non lasciarmi da sola a portare questa croce, questa speranza che si fa ogni giorno più pesante – ché potrebbero tornare tra un giorno, tra un anno... Oppure mai."
All'improvviso vide chiaramente aprirsi davanti a sé due strade: comprese che la decisione andava presa in quel momento, mentre era seduta a quel tavolo e la zuppa bolliva sul fuoco e dall'esterno giungeva la voce squillante di Keme.
Realizzò che quella bambina, che pure non aveva portato in grembo, le ispirava più forza di quanto la memoria della sua passata felicità avrebbe potuto mai fare... E a malincuore allentò la presa sul ricordo della casa avita, di Parigi e di tutto ciò che vi aveva lasciato.
"Su questo Chosovi ha ragione: abbiamo bisogno l'una dell'altra e io non posso abbandonarla come hanno fatto i suoi genitori, né posso tradire la sua fiducia e strapparla alla sua famiglia per gettarla in una città che non conosce, dove tutti la guarderanno con sospetto – più di quanto farebbero con me medesima.
Devo tenere bene a mente il motivo per cui sono partita: non v'era più posto per me, laggiù.
È questa la casa che il Signore mi ha dato, è qui che devo stare."
Aveva fatto più volte quel ragionamento, nell'anno appena trascorso, ma non aveva mai sentito quella consapevolezza farsi strada nella propria carne, pervaderà fino a mettere radici dentro le sue ossa.
"Il mio posto è qui. È qui" si ripeté, meravigliandosi di come quelle parole la rendessero leggera e intraprendente.
Non si concesse perciò di sperare nel ritorno di Serge, poiché era certa che avrebbe minato il proposito di sostenere Keme con le proprie forze.
Chosovi, che aveva osservato in silenzio il suo dibattito interiore, parve soddisfatta da ciò che le lesse sul viso e con non poca difficoltà si alzò per mescolare la minestra sul fuoco.
«Sai, mi sono spesso chiesta se avessi fatto la cosa giusta nell'affidarti Keme. Non ero sicura che avessi tutta la tempra necessaria e il mio timore era che non avresti mai imparato ad amarla come merita – come una vera madre farebbe.
Il desiderio di avere un figlio tuo ti si leggeva in faccia e avevo paura che finisse per accecarti come accadde a quella sciagurata ragazza che Roux aveva preso in moglie prima di te.»
Marion si morse le labbra: non le avrebbe mai rivelato che pure lei aveva nutrito quella vergognosa convinzione, quando a Québec aveva visto il ventre gonfio delle altre filles du Roi.
Chosovi assaggiò la zuppa e mormorò un verso d'apprezzamento nella sua lingua.
«Sono grata al dio che ti ha messo sulla strada di mia nipote, Marion.
Davvero, davvero grata.»
È un capitolo lunghissimo, lo so 🙈 però se l'avessi diviso in due avrei avuto in mano due mini aggiornamenti in cui si parla molto e si pensa troppo (soprattutto Marion 🙄) ma in cui andando a stringere c'era poca sostanza.
Inoltre è così lungo anche perché è stato l'ultimo capitolo "difficile" da scrivere, data la quantità di film mentali e dubbi e decisioni pesanti che bisognava affrontare 😝
Un momento di cedimento si perdona a tutti, ma Marion se ci si mette è lagnosa da scrivere 😂
In compenso che ne pensate della sua (piccola) apertura nei confronti di ciò che prova per Serge? 😍
Enjoy ❤️
Crilu
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