Marion XVIII

Avevano viaggiato per due giorni e due notti senza mai fermarsi e ora Marion non sarebbe riuscita a fare un altro passo, neanche se vi fosse stata in gioco la sua stessa vita: accasciata al buio all'interno di una delle lunghe case degli Irochesi, fu costretta ad ammettere che le gambe non l'avrebbero mai retta nella fuga.

Si strinse meglio in grembo Keme che, anch'essa esausta, era scivolata in un sonno beato e profondo. Questo la rincuorava un poco – almeno alla bambina erano state risparmiate quelle lunghe e silenziose ore di tormento, che lei aveva trascorso ad angosciarsi col pensiero del destino tremendo che di certo le attendeva.
Il fatto che le avessero condotte lì per poi lasciarle sole nell'oscurità quasi completa non faceva altro che rintuzzare la sua disperazione.

"Di certo staranno discutendo del nostro destino in questo stesso momento, forse a pochi passi da quella porta. E chi può dire cosa ne sarà di noi?"

Più della morte, che aveva ormai incontrato diverse volte sul suo cammino, Marion temeva la violenza di quei selvaggi; temeva, soprattutto, di non avere la forza necessaria per difendere né sé stessa né la bambina.
All'improvviso un uomo entrò nella casa e alla luce della fiaccola che portava Marion lo riconobbe come il capitano dell'assalto, colui che le aveva rapite. Keme, svegliata dal tramestio di voci che si udivano oltre l'uscio, si lasciò sfuggire un gridolino spaventato.
"È giunta l'ora" pensò Marion e d'istinto si fece il segno della croce prima di alzarsi a fronteggiare il nemico.

L'uomo s'inginocchiò a pochi passi da loro, scrutandole con il suo sguardo profondo e decifrabile: gli occhi neri si soffermarono prima sulle cicatrici di Marion e poi si posarono sulla bimba, che strinse i pugni con fare bellicoso.
A quella vista, il viso del selvaggio si distese in un sorriso ferino e mormorò qualcosa nella sua lingua, chiaramente divertito.
Marion avvertì invece che Keme s'irrigidiva accanto a lei; se avesse potuto guardarla in viso, era certa che avrebbe visto l'espressione dura e rabbiosa che la rendeva tanto simile a suo padre.

«Cosa succede?» mormorò, impaurita, quando Keme si abbarbicò alle sue gonne con un singulto.
Per la prima volta da che la conosceva Marion vide il suo viso distorto da un autentico, assoluto terrore; e pensò che avrebbe dato volentieri la vita, lì su due piedi, se fosse servito a toglierle quell'ombra dal viso.

«Mi portano via» singhiozzò la bambina. «Non farmi portare via, Marion, non lasciarmi da sola.»

Marion la sollevò tra le braccia e raddrizzò il capo, nascondendo il timore dietro le labbra serrate e lo sguardo serrato.
"Non ho intenzione di supplicarti di nuovo" pensò, squadrando il selvaggio dall'alto in basso.
«È mia figlia» disse, scandendo bene ogni parola. «Dove va lei vado anche io.»

Con sua grande sorpresa, l'uomo le rispose in un francese forbito, seppure storpiato dall'accento irochese.
«Si vede che la bambina non è tua. Ora le daremo da mangiare e da bere e cureremo le piaghe dei suoi piedi. Poi le daremo una nuova casa in cui sarà felice, in cui la sua famiglia la sta già aspettando con gioia...»

«La sua famiglia siamo io e mio marito, che di certo ci starà già cercando!» lo interruppe Marion. «Non ha bisogno di nessun altro. Ve lo ripeto: andremo insieme incontro al nostro destino, quale che sia.»

L'uomo scosse la fiaccola in un chiaro segno d'impazienza.
«Tu non sei degna» spiegò. «Il villaggio è pronto ad accogliere la bambina, ma non te. Su di te le madri non si sono ancora espresse: tu porti il male sulla tua pelle e non vogliamo che esso si diffonda tra di noi. Dammi la bambina, così che possa essere messa alla prova e accolta presso la nostra gente.»

Se anche ci fosse stata una minima scintilla di dubbio nell'animo di Marion – scaturita dal fatto che quell'uomo si esprimeva in maniera ragionevole e pacata – quelle parole la spensero del tutto.
«No» sbottò, pur sapendo che tanta ostinazione era inutile, perché altri selvaggi si erano già affacciati sulla porta.
"No, no, no" pensò, barcollando all'indietro. Attraverso il velo di lacrime che le era calato sugli occhi non vedeva che figure indistinte che tendevano le braccia avide verso di lei.
Urlò con quanto fiato aveva in gola e si aggrappò a Keme con una ferocia che non credeva di poter covare nel suo animo – ma non poté nulla contro la determinazione degli Irochesi, che la atterrarono per poi separarla a forza dalla bambina.

«Anęhęh!» strillò la piccola.
E sebbene non comprendesse il significato di quella parola, Marion capì che si stava riferendo a lei, perché incontrò i suoi occhi scuri oltre il groviglio di membra che la immobilizzavano sul terreno e vi vide riflesso tutto l'affetto che Keme provava nei suoi confronti. Anche il selvaggio che la teneva in braccio parve esitare.
«Andumęh» ripeté Keme, con voce più decisa, senza distogliere lo sguardo dal suo. «Undumęšrawastih

Poi l'uomo la portò via e Marion pensò d'impazzire quando la vide sparire oltre la soglia: si agitò con così tanta furia che gli altri selvaggi, per buona misura, presero una corda e la legarono a uno dei pali che sostenevano la struttura dell'abitazione.
Solo la rabbia e il dolore rimasero a farle da compagnia nella penombra, per un tempo così lungo che la donna a un tratto si chiese se non fosse già morta e sul punto di ricevere il giudizio divino. Ma il dolore che continuava a trafiggerle il corpo le confermò di essere ancora intrappolata nelle sue spoglie terrene.
Negli istanti prima di essere sopraffatta da un sonno tormentato, tra i suoi pensieri confusi emerse il viso serio e scavato di suo marito.

"Dove sei? Keme ha bisogno di te. Io ho bisogno di te.
Dove sei, Serge?"

A svegliarla fu la fame: una lancinante fitta allo stomaco che le fece aprire gli occhi su un ambiente un poco meno buio di quello in cui si era addormentata. Dall'esterno, infatti, filtravano pallidi raggi di sole, a indicare che la sua terza notte di prigionia era trascorsa; non appena provò a muoversi le spalle le dolsero per la posizione innaturale a cui i legacci la costringevano.

La speranza che qualcuno potesse venirle a salvare, con cui Marion aveva tentato di farsi coraggio fino a quel momento, l'abbandonò all'improvviso: realizzò di essere prossima a una morte violenta e umiliante, forse anche alla tortura – e le avrebbe dovute affrontare da sola.
Allora dal fondo del suo animo riaffiorarono le domande che aveva tentato di soffocare per sei lunghi anni e le contemplò con rabbia, senza avere più il timore di risultare blasfema o ingrata agli occhi del Signore.

"Perché non mi ha ucciso il vaiolo?" si chiese. "Perché ho dovuto soffrire così tanto, abbandonare la mia terra, sopportare tutto questo solo per morire per mano di uomini senza Dio? Se proprio dovevo patire questa sorte, allora avrei voluto morire a Parigi: almeno così avrei avuto il conforto di padre Bérnard e la consolazione di essere seppellita accanto alla mia famiglia..."

Il pensiero che al suo corpo sarebbero stati negati gli ultimi sacramenti e una cristiana sepoltura minacciò di farle perdere i sensi, perciò Marion nascose il capo tra le ginocchia, respirò profondamente e provò a rievocare nel dettaglio i volti dei suoi cari.
Era con loro che voleva trascorrere i suoi ultimi momenti.

Pensò al profumo dolce di sua madre e al profilo di suo padre, che pareva fosse stato appena abbozzato da un blocco di granito. Cercò tra i suoi ricordi gli occhi verdi e intelligenti di Benoît, la complicità che li aveva uniti durante le ore di lavoro nella conceria, la sua voce profonda che la chiamava ma jolie.
E pianse quando scoprì di non riuscire più a rammentare i lineamenti infantili di Catherine: a ogni tentativo, alla figura sbiadita e lontana di sua sorella si sovrapponeva sempre quella più vibrante di Keme.
Ai margini della sua coscienza gli occhi grigi di Serge la scrutavano e parevano chiamarla. Marion sapeva che per presentarsi a Dio con animo sereno avrebbe dovuto affrontare anche la dolorosa miscela di sentimenti che suo marito le suscitava, eppure tentennava, indecisa.

"Ho paura" si disse, in un guizzo di completa onestà. "Ho timore di ciò che potrei scoprire su di lui, su di me... su di noi... ora che non c'è più tempo per sanare i torti e appianare le divergenze."
Il cuore le batteva così forte nel petto che per qualche istante Marion non riuscì a udire altro suono oltre a quello. Poi comprese che in realtà quegli schiocchi assordanti provenivano dall'esterno ed erano, con molta probabilità, spari di moschetto.
"Cristiani o altri selvaggi? Amici o nemici?"

Mentre il tramestio aumentava e agli spari si mischiavano grida di spavento e dolore, l'inquietudine di Marion aumentò fino a mozzarle il respiro.
"Dove hanno portato Keme? È ferita, o morta? O forse è fuggita... Ma non siamo alla fattoria, non conosce questi luoghi alla stessa maniera."
Tese le braccia allo spasimo pur di riuscire ad alzarsi in piedi e guardarsi attorno.
"Devo uscire da qui e trovarla. Mi serve qualcosa con cui tagliare questa corda."
Era ancora intenta a cercare uno strumento utile allo scopo, quando udì un tonfo sopra la sua testa, seguito da un crepitio: dopo pochi istanti, dal tetto di frasche prese a levarsi un fumo denso e scuro.

"Un incendio!"

Già le prime fiamme guizzavano qua e là sul soffitto, divorando con avidità le travi di legno mentre Marion, gettati al vento tutti i suoi propositi razionali, strattonava con foga la corda nel tentativo di allontanarsi dal fuoco.
«Aiuto!» chiamò a gran voce – ma non pareva esservi nessuno in grado di sentirla e quel grido ebbe solo l'effetto di riempirle la gola di fumo.
Una foglia cadde dall'alto, appiccando il fuoco alla cuffia che le copriva il capo e Marion si dibatté in preda al terrore.
"Non così, no, non così, non così, per favore..."

Una seconda fitta di dolore, al polso questa volta, le procurò lacrime di commozione: era finalmente riuscita a liberarsi dalla corda e subito si strappò la cuffietta di dosso e la gettò lontano. Si passò più volte le mani tremanti sulla testa alla ricerca di qualche scintilla, ma con sollievo trovò solo cute dolorante e capelli bruciati.
L'intera casa era ormai invasa dal fumo e dal fuoco e l'uscita era solo una pallida linea di luce in fondo alla nebbia a cui Marion tese le braccia mentre barcollava in avanti.
"È troppo lontana. Oh... Pater nostrum, qui es in cælis, sanctificetur Nomen Tuum..."

Il petto le bruciava per lo sforzo di respirare. Marion si lasciò cadere in ginocchio nella casa che crollava, a pochi passi dalla salvezza.

"... dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris..."

Le parve di scorgere l'alta figura di un uomo stagliarsi oltre l'uscio – un'immagine fugace quanto il fumo che la circondava.

"...et ne nos inducas in tentationem..."

Per un istante, aveva pensato che fosse suo marito. No, aveva sperato che fosse suo marito: se fosse venuto a salvarla, allora avrebbe potuto congedarsi serena dal mondo terreno. Poiché sapeva di essere stata amata di nuovo, anche solo un poco, anche nella maniera brusca e contorta che era l'unica che Serge conoscesse...

"... sed libera nos a malo..."

Ma nessuno venne a strapparla all'abbraccio delle fiamme e Marion si rannicchiò su sé stessa e chiuse gli occhi.

"Amen."

NOTE STORICHE

Gli Irochesi avevano il costume di accogliere i prigionieri di guerra nella propria tribù, a patto che superassero un rituale d'iniziazione e si dimostrassero ubbidienti e disposti ad integrarsi. Si trattava soprattutto di donne e bambini, in misura minore anziani: gli uomini erano più frequentemente torturati a morte. Sembra che alcuni raid Irochesi avessero lo specifico scopo di "rimpinguare" i loro villaggi, spopolati dalle guerre.

• Anche gli Irochesi, come i Wyandot e gli Algonchini, avevano una società improntata al femminile: le decisioni più importanti erano prese da un consiglio di matriarche.

Anęhęh = mamma!
Andumęh = lei è mia madre
Undumęšrawastih = lei è una buona madre.

Ho detto che avremmo rivisto Keme e Marion, non che sarebbero rimaste insieme o che si sarebbero salvate... 😈🙈
Ammetto anche di aver giocato un po' un colpo basso con i dialoghi di questo capitolo ma ehi, sono in sessione e in qualche modo dovrò pur sfogarmi 😂

Idee su cosa stia succedendo al di fuori della casa e sul destino di Marion?

Enjoy ❤️

Crilu

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