Marion XVI

Québec vestiva a festa e sotto il sole di mezza estate pareva una città più pulita e vivace di quanto fosse in realtà.
Coloni e servi, preti, magistrati, nobildonne e prostitute si erano riversati in strada per festeggiare il buon esito di un anno di lavoro, per fare affari e brindare in compagnia. Appena entrati in città Serge, Marion e Keme erano stati inghiottiti da una folla talmente allegra che avevano dovuto stringersi l'uno all'altro per non venire separati.

Suo marito aveva deciso di pernottare in città, un lusso a cui Marion non l'avrebbe mai creduto incline – specialmente in quei giorni, in cui poteva quasi vedere la tensione che serpeggiava tra loro. Ma l'uomo pareva deciso a non badare a spese in quell'occasione, importante tanto per la sua famiglia quanto per gli affari della fattoria, e le aveva affidato Keme per andare in cerca di un posto in una locanda.
Per fortuna, almeno la bambina sembrava averle perdonato le parole taglienti che le aveva rivolto e si era comportata in maniera inappuntabile durante tutto il viaggio: nel vederla ridacchiare deliziata davanti a una bancarella di dolci approntata da alcune monache, Marion non riuscì a trattenere un sorriso.

«Ne vuoi uno?» domandò, frugando nella scarsella che portava al fianco alla ricerca di qualche moneta.
Gli occhi scuri di Keme scintillarono d'entusiasmo e la donna ne fu contagiata, tanto che finì per comprare un intero cartoccio di pralines dolcissime e appiccicose. Lei e Keme stavano appunto gustando le mandorle caramellate sedute sul muretto di una fontana, quando Marion udì un'esclamazione sorpresa alle proprie spalle.

«Marion Fournier? Siete proprio voi?»

Voltandosi, ebbe difficoltà a dare un nome al volto della giovane donna che si era chinata verso di lei con un moto di stupore. Aveva lineamenti anonimi, incorniciati da piccoli boccoli biondi che sfuggivano al velo, e una boccuccia troppo piccola per le guance paffute che la sormontavano; non era una gran bellezza, fatta eccezione per gli occhi, che erano d'una sfumatura di blu talmente profondo da virare sul violetto lungo i bordi. Fu quello sguardo, velato di malcelata inquietudine, che Marion riconobbe: era un'altra fille du Roi, avevano compiuto la traversata insieme.

«Mademoiselle Roussel! Che piacere incontrarvi qui!»

Quella arrossì e accarezzandosi con soddisfazione il ventre un poco ingrossato mormorò:
«Sono madame Clement, ora.»

«Ma certo» si affrettò a replicare Marion, mortificata. «Felicitazioni, per le nozze e il bambino.»

Il sorriso della donna s'allargò.
«È atteso per gli inizi dell'anno nuovo, a Dio piacendo. Il mio signor marito non sta più nella pelle dalla gioia, sapete.»

Accennò col capo a un uomo che, a qualche passo da loro, stava discutendo amabilmente con dei missionari gesuiti: aveva di certo superato i cinquant'anni ed era curvo come un vecchio chiodo, ma portava i capelli brizzolati legati in un codino ordinato e abiti inamidati che gli conferivano un'aria rispettabile.
Al suo fianco, Serge Roux sarebbe parso un criminale.
Marion si vergognò di quel confronto, che le era salito spontaneo alla mente insieme alla consapevolezza che suo marito non si sarebbe affatto rallegrato alla notizia di un figlio in arrivo – e, anzi, avrebbe fatto di tutto perché il suo grembo rimanesse vuoto, troppo spaventato dai fantasmi di Adélaïde e Yarhata.
D'istinto, sotto lo sguardo curioso di madame Clement, Marion si strinse Keme al petto mentre la bambina continuava a ingozzarsi di pralines e ignorava la loro conversazione.

«Ho saputo che anche voi vi siete sposata. Dovrei chiamarvi madame Roux ora, nevvero?» continuò la donna dopo qualche istante di silenzio.
I suoi occhi si erano adombrati e a quel punto Marion seppe, senza un'ombra di dubbio, che le voci sul conto di suo marito erano ancora vive e presenti a Québec. Avrebbe preferito essere inghiottita dal selciato all'istante, piuttosto che sostenere l'espressione impietosita di quella donna.

«Dovreste, sì. Ora perdonatemi, ma temo che si stia facendo tardi e mio marito mi aspetta alla locanda per pranzare.»

Fece per andarsene, tenendo saldamente Keme per mano, quando madame Clement le afferrò una manica del vestito e avvicinò il viso al suo.
«Mio marito è amico dell'Intendente, sapete? Se mai aveste bisogno di aiuto, vi prego, non esitate a venire da me. Si trova una soluzione a tutto, anche al matrimonio...»

"Vi ringrazio, ma sto benissimo lì dove sono" avrebbe voluto replicare Marion, anche se non era del tutto vero. Ma nel tempo che impiegò a ragionare su quelle parole la donna si era già allontanata, dopo aver lanciato un'ultima occhiata perplessa a Keme.
La vide avvicinarsi al marito, per prenderlo sottobraccio e mormorargli qualcosa all'orecchio con affetto, e senza preavviso alcuno lacrime bollenti le bagnarono le ciglia.

Colta da una smania incontrollabile, strattonò Keme lungo le vie della città, tra case sconosciute che torreggiavano su di loro, in mezzo alla calca che si faceva ogni istante più soffocante. Non sopportava più quel cicaleccio ameno, gli occhi che di certo la seguivano ad ogni passo, i sussurri maligni che dovevano correre di bocca in bocca da quando Serge Roux aveva messo piede in città – insieme alla sua sventurata, sfregiata, vecchia moglie.
Si fermò solo quando le gambe presero a tremarle così forte che fu costretta ad appoggiarsi a un muro per sostenersi; e nel frattempo il cuore e la mente le venivano straziati da quel desiderio che non era riuscita in alcun modo a soffocare e che si faceva ogni giorno più distante – la speranza di avere di nuovo una famiglia numerosa e unita e felice...

Keme le stava tirando i lembi della gonna, preoccupata.
«State bene, Marion? Perché piangete?»

Marion fece un respiro profondo e ricacciò i singhiozzi in fondo alla gola.
«Non è nulla.»
"È tanto cara" pensò, specchiandosi nelle iridi scure e sagaci della piccola. "Però non è figlia mia, come il mio signor marito tiene a ricordarmi. L'amerò mai davvero come amerei un frutto del mio ventre?"
Quel pensiero le inumidì gli occhi ancora di più e con uno scatto Marion prese in braccio la bambina e nascose il viso contro l'incavo della sua spalla. Profumava di zucchero ed erba fresca e avvertire il suo respiro contro la pelle la tranquillizzò.

"In ogni caso, dovrò accontentarmi e tenere per me questi pensieri – che non verrebbe mai nulla di buono a costringere Serge Roux su una strada che non gli piace."
Con la gola chiusa e le mani che ancora tremavano per l'agitazione, Marion si fece coraggio e tornò a mescolarsi ai cittadini in festa.

Suo marito era di ottimo umore. Aveva trovato un letto presso un'osteria poco distante dal municipio e Marion aveva celato a stento la propria sorpresa: si era infatti convinta che nessuno avrebbe ospitato di buon grado un uomo dalla così dubbia reputazione e al cui seguito viaggiavano una donna butterata e una bambina meticcia.

"Dobbiamo essere una vista ben strana" pensò quella sera, cupa, mentre sedeva nella grande sala che occupava l'intero pian terreno della locanda.
Il frastuono di tutte quelle persone intente a bere e mangiare le stava dando alla testa e lo scranno di legno le premeva dolorosamente contro la schiena.

Roux pareva, stranamente, del tutto a suo agio: stava discorrendo con un signore che possedeva un birrificio nei dintorni di Montréal e che desiderava allargare il proprio giro d'affari, incentivato anche dalle agevolazioni che Jean Talon aveva promulgato proprio in quei giorni.
«Se non fosse per gli Irochesi che scorrazzano in ogni dove faremmo ottimi affari, sapete?» stava dicendo in quel momento suo marito. «La mia fattoria dista solo cinque giorni di viaggio da Montréal.»

Nel frattempo giocherellava col boccale che aveva davanti, girandolo ora da un lato e ora dall'altro, affascinato dai ghirigori che comparivano sulla schiuma. Era il terzo da ché si erano seduti e Marion l'aveva pregato in silenzio di smettere di bere; tuttavia, monsieur Debussy amava la compagnia e continuava a offrire un giro di birra dopo l'altro.

«Non me ne parlate» sbuffò Debussy. «Tre anni or sono sfuggii a malapena all'orribile destino a cui andarono incontro due miei amici fraterni, catturati insieme a molti altri sotto le porte della città – a un passo dalla salvezza! – e trucidati in maniera barbara... È proprio vero che, al pari degli inglesi a cui s'accompagnano, quei selvaggi non conoscono affatto la pietà cristiana!»
Si fece un veloce segno della croce e per un istante sul volto gioviale scese un'ombra di assoluto terrore che lo fece apparire fragile, nonostante la giovane età e la stazza imponente.

Marion smise di ascoltarli quando la conversazione tornò per l'ennesima volta sul prezzo dell'orzo.
"Del resto non è che faccia poi molta differenza" si disse, infastidita. Avrebbe potuto essere un tutt'uno con il muro alle sue spalle, tanta era la considerazione che suo marito le aveva prestato quel giorno.
Spinse lontano da sé il piatto e il pasticcio di carne che aveva sbocconcellato durante la serata, lasciando vagare lo sguardo tra i tavoli pieni di gente.
L'allegria dilagante della festa sembrava decisa a tenersi alla larga da lei, che da quando aveva incontrato madame Clement aveva il petto serrato da un'angoscia senza nome. E in più, l'orribile sensazione che gli sguardi di tutti la seguissero si era fatta più forte con il passare delle ore.

"È solo una sciocca suggestione! Solo questo, solo questo. Nessuno sta parlando di me, in questo momento, sono tutti così felici..."

Ma poi, quasi avesse udito i suoi pensieri, un uomo seduto a pochi passi di distanza si sporse per porgere alla servetta il boccale affinché glielo riempisse, e incontrò il suo sguardo.
Con un sussulto, Marion riconobbe l'espressione arcigna di monsieur Anthime Legrand.
Il funzionario non si curò affatto di nascondere il suo interesse e anzi mantenne gli occhi da mastino fissi su di lei, Keme e Roux.
Quando lo aveva incontrato alla fattoria aveva avuto l'illusione che la sua bugia e i segreti di suo marito potessero restare nascosti tra quelle quattro mura; ma ora che sapeva la verità su Adélaïde, ora che la carnagione scura di Keme brillava come bronzo sotto le luci della locanda, Marion si sentì nuda ed esposta come mai prima.

Non si fermò a ragionare su quell'orribile sensazione: si alzò in piedi, nascondendo Keme tra le pieghe della sua gonna.
«Vogliate scusarci, ma siamo entrambe molto stanche. Ci ritiriamo» mormorò, indirizzando un tremulo sorriso a Debussy.
Suo marito, per fortuna, era distratto dal suo interlocutore e già brillo, perciò non notò né il pallore del suo viso né la fretta con cui attraversò il salone per guadagnare le scale.
Solo quando chiuse la porta della camera alle sue spalle, infatti, Marion riuscì a calmare il proprio cuore in tumulto e a sentirsi al sicuro.

Un tonfo sordo la fece balzare a sedere sul letto, interrompendo un sonno inquieto e dominato da incubi in cui Legrand arrestava lei e Jeannette.
Qualcosa aveva sbattuto pesantemente contro la porta e dalle basse imprecazioni che filtravano da dietro lo stipite Marion intuì che si trattava di suo marito. Si strinse nello scialle e scese rapida dal letto per farlo entrare prima che svegliasse Keme.
Lo spettacolo che le si presentò davanti non appena ebbe varcato la soglia era ben misera cosa: accasciato in maniera scomposta lungo il muro, Roux aveva il naso e le guance scuri come prugne; e quando alzò gli occhi lucidi verso di lei e sorrise, alle narici le arrivò una forte zaffata di malto.

«Moglie mia!» esclamò, con voce troppo alta e troppo allegra per quell'ora della notte. «Te ne sei andata presto e ti sei persa la parte più bella della serata!»

«Così sveglierete vostra figlia e tutti gli ospiti.»

«E a chi importa? Diamine, dovrebbero ben svegliarsi e stare a sentire che la fortuna ha finalmente girato dalla parte di Serge Roux.»

«Parlate più piano!» gli intimò nuovamente Marion, avanzando nel corridoio e chiudendosi la porta alle spalle. «Volete che tutti a Québec vengano a sapere dei vostri affari?»

«Sì!» rispose lui con un ghigno. «Così, per una volta, potranno sparlare di qualcosa che non siano le mie nozze.»
In fondo al corridoio una porta scricchiolò e suo marito scoppiò a ridere.
«Non avete sentito bene? Ve lo ridico a voce ben più alta, allora: il mio orzo verrà venduto a peso d'oro a Montréal e voi tutti potrete abbassarvi le rhingrave e baciarmi gli stivali!»

Marion si sentì arrossire fino alla punta delle orecchie e d'istinto si coprì il viso con le mani; non tanto per nascondersi – non v'era nessuno nel corridoio oltre a loro – quanto per non essere costretta a osservare il marito mentre s'ingegnava a diventare lo zimbello della città.
«Vi state coprendo di ridicolo!» sibilò tra le dita.

D'improvviso, tutta l'allegria svanì dal volto di Roux, sostituita da un'espressione assorta; le labbra, prima curvate in un sorriso, si strinsero in una smorfia di fastidio.
«E tu questo non lo puoi sopportare, nevvero?»
Come se avesse rotto un argine invisibile, la sua rabbia si riversò in un'invettiva sferzante e crudele come solo i suoi discorsi da ubriaco potevano essere.
«Sei fin troppo veloce nei tuoi giudizi, Marion. E, Cristo, se l'avessi saputo... Non m'importa del vaiolo, non m'importa di quello che mi nascondi – perché so che c'è qualcosa che non mi dici... È il tuo sdegno che non sopporto! Se solo avessi saputo che pedante, saccente, moralista pretaiola mi stavo mettendo in casa, non ti avrei mai sposata. Soprattutto, non ti avrei mai permesso di avvicinarti a Keme.»

«Non dite assurdità!» protestò Marion, raggelata. «Io voglio bene a quella bambina.»

«Anche se è una selvaggia?»
Il tono di Roux grondava di sarcasmo e il cuore di Marion si contrasse sotto i suoi occhi accusatori.

«L'ho chiamata così una volta sola, quando l'avete udito. Ed ero spaventata, pensavo che le fosse accaduto qualcosa, che non l'avremmo mai ritrovata!»

Fino a quel momento non si era accorta di star gridando al pari di suo marito e che qualche avventore notturno si era affacciato sulle scale per assistere a quel furioso litigio, in aggiunta a tutti quelli che di certo stavano origliando dall'interno delle camere.
Ma oramai era talmente impelagata in quel gioco di recriminazioni e bassezze che non avvertì neanche una stilla d'imbarazzo.
Anche Roux si era infervorato e si era tirato in piedi a fatica pur di fronteggiarla meglio.

«Fai tanto la modesta e la ritrosa, ma è una menzogna. Tu non credi mai davvero di essere nel torto: hai una giustificazione per ogni tua azione – che è sempre buona e giusta e fatta come Dio comanda!
È questo? È il supporto del Signore che ti dà il diritto di sentirti tanto migliore di noi altri poveri diavoli?»

«Io non ho la pretesa di giudicare nessuno e tantomeno di farlo nel nome del Signore!» balbettò lei, presa in contropiede.

«Ma lo fai, lo fai, lo fai! Mi hai giudicato sin dal primo istante che mi hai visto, quella sera al municipio. Mi hai guardato... E ciò che hai visto ti ha disgustato come se fossi stato io quello coperto di cicatrici!»

"È la verità" pensò Marion, sgomenta, e non ebbe il coraggio di contraddirlo.
Il silenzio, rotto solo dal respiro affannato di Roux, non era quieto come quello che avevano imparato a condividere alla fattoria. Era invero un silenzio molto triste e gravoso, come quello che scendeva d'inverno sui cimiteri innevati; e v'era sospeso in esso un senso di perdita che le fece spuntare le lacrime agli occhi per la seconda volta nell'arco di quella giornata.

«Questo matrimonio non ci porterà da nessuna parte.»

La voce di suo marito era solo un sussurro stanco, ma riecheggiò nelle orecchie di Marion come una sentenza ineluttabile. Decisa a non concedergli la soddisfazione di vedere quanto profondamente l'avesse ferita, raddrizzò le spalle e fece un passo indietro.
«Mi trovate perfettamente d'accordo» replicò, chiudendogli la porta in faccia.

Aspettò qualche istante, dritta e tremante quanto un giunco, convinta che di lì a poco sarebbe entrato per rimproverarla, forse addirittura per batterla e rimetterla al suo posto. Invece lo sentì alzarsi e allontanarsi senza emettere un suono.
Solo allora si lasciò scivolare a terra e prese a singhiozzare in silenzio, la testa nascosta tra le ginocchia serrate, finché il sonno non la vinse.

NOTE STORICHE

Le pralines altro non sono che mandorle avvolte nello zucchero sciolto; nacquero agli inizi del XVII secolo come evoluzione delle nocciole caramellate medievali e si ha nozione di esse nella Louisiana francese dell'epoca. Ho perciò immaginato che i coloni le avessero importate anche più a Nord.

• Una delle prime proposte di Talon per rilanciare la Nuova Francia fu quella di promuovere la produzione di birra, anche se con scarso successo.

• In questo momento la città di Montréal non è stata fondata neanche da vent'anni, ma gli Irochesi l'hanno presa d'assalto e razziata più volte. Debussy si riferisce a un episodio del 1662, quando una brigata di 250 Irochesi rapì 10 coloni.

rhingrave indica un tipo di calzoni da uomo in voga nella seconda metà del '600. Ringrazio tantissimo hoelravenspur per avermi aiutato a dare una forma convincente al turpiloquio di Serge 😂🥰

È stato un capitolo lunghissimo da scrivere, oltre che, immagino, da leggere. Purtroppo non ho trovato un buon punto per dividerlo a metà senza farne uscire due troppo corti :/
E ovviamente non sapevo come chiuderlo, ma vabbè — si aggiunge alla lunga lista di cose da sistemare in revisione 😝

La festa non è stata un successone, come avevate credo previsto, ma il peggio deve ancora arrivare 🙈

-1 alla terza parte 😱

Enjoy ❤️

Crilu

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