Ahiga e Ahanu IV

Era passata una settimana dalla notte in cui Ahiga e Ahanu avevano trovato la moglie di Serge Roux a vagare nella foresta come una delle anime erranti dei vecchi racconti; sette giorni in cui, per un tacito accordo, i due fratelli non si erano più avvicinati alla fattoria e ai suoi abitanti.
Nelle calde giornate di metà estate aspettavano la maturazione del mais e qualcosa di più indefinito: un cenno, o un messaggio, che palesasse quali fossero le intenzioni di Roux.

Tuttavia, i loro discorsi si erano soffermati soprattutto sulla sua sposa, che non aveva esitato a uscire per cercarlo a notte fonda e che gli aveva salvato la vita nonostante il litigio che li aveva separati. Quale fosse stato il motivo della discordia rimaneva un mistero per i due fratelli, dato che Keme era rimasta ferma nel suo proposito di non far menzione di cosa fosse accaduto l'ultima volta che si era avvicinata alla fattoria del padre.
Non mancava, nei loro pensieri, anche una buona dose di preoccupazione per le ferite che le divoravano la pelle; la piaga del vaiolo aveva attraversato diversi villaggi, lasciandosi alle spalle una scia di lacrime e disperazione e centinaia di morti.

Quando perciò videro le figure di Serge e della donna apparire sul sentiero che conduceva al villaggio, Ahiga e Ahanu si scambiarono un'occhiata incerta, poiché non avrebbero saputo dire se da quell'incontro sarebbe nato qualcosa di buono o se, al contrario, la rottura con Serge Roux sarebbe diventata definitiva.

«Awakyuh!» li salutò Serge, non appena ebbe superato la palizzata di legno che proteggeva il villaggio. 
Parlava la loro lingua senza incertezze, come se non fosse passato neppure un giorno da quando viveva in mezzo a loro. Anche la luce determinata che brillava nello sguardo rammentava ai due il ragazzo che era stato un tempo, più che l'uomo che era poi diventato.

Ahiga lo studiò a lungo e si stupì di come apparisse sobrio e ordinato con la barba ben fatta e i capelli pettinati con cura; pareva perfino più in salute ora che la pelle non era gonfia e arrossata dal vino e le rughe d'espressione sul suo viso si erano fatte meno marcate. 
Ahanu si soffermò invece su Marion, che procedeva a piccoli passi dietro al marito e aveva l'aria spaurita di una lepre che abbia fiutato un pericolo. Era la prima volta che Ahanu la poteva osservare da vicino e alla luce del sole colse nuovi dettagli sotto la pelle deturpata, lo scintillio intelligente degli occhi scuri, i riflessi più chiari delle ciocche che erano scivolate oltre il bordo della cuffietta lungo la camminata. Le dita erano così strette attorno al manico di una cesta intagliata da essere bianche e rigide come quelle di un morto.

Se si fossero incontrati in tutt'altro luogo, in un altro tempo, con molta probabilità non l'avrebbe degnata di una seconda occhiata, perché era il genere di persona che scivolava attraverso le pieghe della vita facendo il minimo rumore possibile. Era nata dall'altra parte del mondo, in una città così grande e lontana che lui faticava anche solo a immaginare, e doveva essere abituata a vedersi intorno facce simili alla propria, con la pelle bianca e lineamenti delicati.
E invece s'incontravano lì, in un ambiente in cui anche la maniera con cui Marion ruotava la testa per scrutare il villaggio appariva estranea; un luogo, indovinò l'uomo, che le incuteva soggezione, se non un vero e proprio terrore.
Si chiese come apparissero ai suoi occhi le lunghe case della sua gente, disposte in file parallele e circondate da ampi campi di mais, e cosa pensasse del gran numero di persone che andavano e venivano tra di esse, impegnate nelle loro faccende quotidiane. 

«Vorremmo parlare con Chosovi» disse Serge, questa volta in francese, a beneficio della moglie.
Il tono della voce era tranquillo, le spalle rilassate, le mani appoggiate con noncuranza sul bordo della cintura; eppure sia Ahiga che Ahanu colsero l'ansia nascosta dietro quelle parole. A distanza di dieci anni, l'opinione della loro madre era ancora l'unica che importasse per Serge Roux.

Poi i due scorsero il padre che, forse allertato dalle voci, si era affacciato da dietro la casa e ora stava venendo loro incontro e nel loro intimo tirarono un sospiro di sollievo: nessuno di loro aveva ereditato il talento di Sašęndwat nell'arte della diplomazia e nessuno come lui sapeva condurre un discorso spinoso come quello che li attendeva.
Quand'erano bambini si erano spesso chiesti cosa avesse spinto quell'uomo mite e taciturno a sfidare ogni convinzione pur di sposare una donna autoritaria, chiacchierona e spietata come la loro madre.
Che fossero molto più simili di quanto l'apparenza lasciasse intendere l'avevano scoperto solo diversi anni dopo, quando avevano iniziato a partecipare alle assemblee del villaggio: allora avevano visto il loro quieto padre trasformarsi sotto i loro occhi in un oratore capace di imporre il proprio pensiero a chiunque senza mai alzare la voce o perdere il sorriso.

Spesso per arrivare al fulcro di una questione prendeva sentieri di cui solo lui intravedeva la fine, cosa che poteva trarre in inganno chi non lo conoscesse. Ahiga trattenne a stento un sorriso nel vedere che Serge, sebbene rispondesse con sincerità alle numerose domande che il vecchio gli fece sulla fattoria e sulla vita che vi si conduceva, non nascose la sua impazienza e non abbassò mai la guardia. A differenza di Ahanu, loro due avevano impiegato anni per comprendere i meccanismi che regolavano la mente di Sašęndwat e come potessero essere aggirati.
"È bello vedere che alcune cose sono immutabili" pensò. "Anche se Yarhata è morta, anche se adesso accanto a lui c'è una straniera."

Dopo una futile chiacchierata che parve durare in eterno, il vecchio fece un cenno distratto in direzione di Marion. 
«Chosovi non vuole parlare con te, Serge» disse, abbozzando un sorriso di scuse. «Però converserà con piacere un poco con tua moglie: è molto ansiosa di incontrarla.»

Lo sguardo di Ahanu volò d'istinto sulla donna, curioso di scorgere la sua prima reazione; ma ovviamente Marion non aveva inteso nulla di ciò che era stato detto e anzi, la sua inquietudine era cresciuta man mano che la conversazione si prolungava. Perciò si fece avanti, ignorò la fronte corrucciata di Serge e le tese una mano con fare gentile.
«Mia madre vorrebbe conoscervi» mormorò, in francese. «Ma le sue vecchie ossa si stancano in fretta e a quest'ora preferisce riposare dentro casa, al riparo dalla calura. Vorreste essere così cortese da raggiungerla lì?»

Per un istante, Marion rimase immobile, costernata; poi lanciò un'occhiata fugace al marito, per sincerarsi che fosse d'accordo, e trasse un lungo respiro che le fece vibrare le narici come ali di una farfalla impazzita.
«Se poteste farmi strada, ne sarei onorata.»

Ahanu obbedì; poteva sentire lo sguardo pieno di scherno del fratello sulla nuca mentre si avvicinava alla soglia di casa ed esortava Marion ad avventurarsi oltre.
"Ti mancano solo il colletto rigido e il bastone e saresti tale e quale ai gran signori di Québec" gli avrebbe detto Ahiga se fossero stati soli.
Invece lo udì rivolgersi a Serge con tono tagliente:
«È gravemente malata: sei sicuro che non spargerà la moria nel villaggio?»

«È successo sei anni fa. È guarita e non è più contagiosa.»

Un attimo prima di inoltrarsi nella penombra, Marion si aggrappò al suo braccio con così tanta forza che Ahanu pensò che non l'avrebbe più lasciato andare.
"Ora sverrà" si disse. "Oppure alzerà le gonne e si darà alla fuga."
Invece lei lo sorprese ancora, perché raddrizzò la schiena e si voltò per fargli una riverenza, sobria e modesta come era nella sua natura.

«Vi ringrazio. Anche oggi siete stato molto gentile con me.»

Fu qualcosa negli occhi bruni, o forse nella peculiare scelta di parole, che fecero capire ad Ahanu che neanche la donna si era dimenticata del loro incontro notturno, per quanto breve e colmo d'angoscia.
Tornò dagli altri uomini con l'animo più turbato di quanto sarebbe stato disposto ad ammettere, ma non ebbe modo di rifletterci, perché l'argomento della conversazione catturò appieno la sua attenzione.

«Abbiamo bisogno di quel tratto di foresta» stava spiegando suo padre, con lo stesso tono che avrebbe usato con un cavallo un po' bizzoso. «Per accendere il fuoco, per riparare le nostre case quando iniziano a rovinarsi...»

«Lo so bene e per questo sono andato in città a chiedere – anzi, a implorare l'Intendente affinché riducesse la quota di legname che devo alla Corona. Gli ho spiegato che le mie terre terminano sulla riva del fiume e che non posso abbattere tutti gli alberi, ma a Québec non hanno voluto sentire ragioni!»

«Ma la terra da questo lato del fiume non ti appartiene!» sbottò Ahiga, le labbra serrate per la stizza.

«È pure segnato sulle tue carte! Non è vero, a'istęh? Diglielo!»

Serge lanciò ad Ahanu un'occhiata implorante.
«Non so cos'altro fare, mi dispiace. È che quel bastardo di Legrand mi alita sul collo come un cane da quando Adélaïde è morta! Si tratta di scegliere tra questo e l'accusa di tradimento.»

«Il villaggio è vecchio» azzardò Ahanu. «Fra un po' verrà il tempo di demolirlo e costruirne uno nuovo. Potremmo spostarci più a nord...»

«Più a nord di quanto ci abbiano già spinto gli Haudenosaunee?» replicò suo padre. C'era una certa durezza nella sua voce e l'eco di un passato fatto di battaglie e imboscate.

Ahiga e Ahanu erano dei bambini quando il loro popolo aveva perso la guerra, ma ricordavano bene la fuga disordinata verso le terre della tribù della loro madre, che li aveva accolti e protetti mentre il resto della loro nazione veniva braccato senza pietà dagli Irochesi. Ricordavano con fin troppa precisione la fame, il freddo e il terrore che li avevano accompagnati in quel lungo viaggio senza ritorno; e ancora allora, dopo quasi trent'anni, quelle feroci tribù continuavano a osservarli, attendendo pazienti il giusto momento per riprendere la caccia.

Nessuno seppe replicare a quella constatazione e i quattro uomini restarono a scrutarsi in silenzio. Ahanu inspirò piano l'aria tra i denti e tentò di scacciare la malinconia che gli appesantiva il petto, ma non ci riuscì: Serge avrebbe fatto a modo suo, lo sapeva, e nessuno al villaggio lo avrebbe fermato.
Un po' perché erano affezionati al ricordo del ragazzo che avevano conosciuto e un po' perché aveva detto la verità, da lì a un paio d'anni quelle vecchie case e i loro terreni quasi sterili sarebbero stati abbandonati.
Però quel legame esile e consumato che legava Serge Roux alla loro famiglia si sarebbe spezzato e nessuno avrebbe potuto ricomporlo – né la loro formidabile madre, né Keme e neanche Marion con la sua tenacia e volontà.
"Niente è immutabile" pensò Ahanu, fissando il profilo cupo e assorto di Roux.
"Neanche l'amicizia dura per sempre."

NOTE STORICHE

• I villaggi degli Uroni erano più grandi di quanto si pensi nell'immaginario comune: potevano accogliere fino a 1600 persone, che vivevano nelle tipiche case lunghe (che si estendevano per circa 24 metri) — sul "come" ci vivessero mi soffermerò meglio nel prossimo capitolo.

• Altra parentesi sul linguaggio dei Wyandot, questo sottogruppo degli Uroni che ho scelto come protagonisti per la mia storia: i termini con cui si indicano parentele non sono dei nomi (es. padre, madre, fratello...) ma dei verbi. Ed è una cosa che io trovo bellissima perché per esempio, quando in questo capitolo Serge apostrofa Ahiga e Ahanu con "awakyuh" gli sta letteralmente dicendo "voi siete i miei cognati" — cosa non scontata visto che è già alla moglie numero tre.

awakyuh [ah-wah-kyooh]
aw- = prima persona plurale (noi, più di due)
-akyu- = radice verbale (essere cognati)
-h  = stativo

• Similmente a'istęh [ah-ah-ee-stenh] vuol dire "tu sei mio padre" ed è uno dei termini usati quando si parla direttamente con il genitore.

• Haudenosaunee è il nome con cui si identificavano le cinque tribù della lega irochese. Vuol dire "popolo delle lunghe case" — perché ironicamente gli Irochesi e buona parte delle tribù degli Uroni condividevano il modo con cui costruivano i propri villaggi.

Questo dev'essere il capitolo più lungo che abbia scritto dal punto di vista di Ahiga e Ahanu e anche se è stata dura iniziarlo, è uscito meglio di quanto sperassi 😝

Spero non sia troppo denso d'informazioni (mi sono resa conto ora che le note storiche sono lunghissime 🙈)!

Curiosi di scoprire cosa ha in serbo Chosovi per Marion?

Enjoy ❤️

  Crilu

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