Ahanu II
"Che cosa sto facendo?"
Ahanu si era posto spesso quella domanda negli ultimi mesi, da quando l'istinto aveva preso ad avere sempre più spesso la meglio sulla ragione. Erano stati quei sentimenti e quelle emozioni che non avrebbe mai voluto confessare neanche a sé stesso a guidarlo prima contro gli Irochesi per salvare Marion e Keme e poi nel bel mezzo di quella guerra sciagurata, che non aveva avuto né capo né coda.
Tuttavia non era mai stato così indeciso come in quel frangente: e quell'indecisione lo riempiva di vergogna, mentre il suo animo veniva dilaniato da due spinte contrastanti.
"Che cosa sto facendo?"
Da un lato, i valori con cui sua madre e suo padre l'avevano cresciuto – nelle orecchie gli risuonavano le loro voci che lo ammonivano sulla slealtà e sulle terribili punizioni che gli dèi scatenavano contro chi veniva meno alla parola data. Non voleva essere avido oltre misura, né voleva venir tacciato di slealtà, e il solo fatto di prendere in considerazione il tradimento lo gettava nello sconforto.
Dall'altro lato, però, c'era una catena più forte dell'acciaio che lo legava a Marion, la donna con cui non aveva scambiato più di una manciata di parole e che pure ossessionava i suoi pensieri; per lei, lo sapeva, avrebbe rinnegato qualsiasi altro rapporto, che fosse d'amicizia o di parentela.
"È qui che sta il cuore di tutti i miei affanni" ragionò, fermandosi a riposare, esausto, contro un tronco. Il cavallo che conduceva per le briglie drizzò le orecchie, incuriosito da quell'arresto improvviso.
"Non so se ciò che sto facendo le arrecherà gioia o dolore."
Osservando il volto esanime di Serge, adagiato contro il collo del cavallo, concluse che non avrebbe saputo la risposta prima di giungere alla fattoria.
Quel pensiero lo angosciava.
Quando aveva trascinato via l'amico ferito dal campo di battaglia aveva assecondato la propria inclinazione – la stessa che ora lo scongiurava di abbandonarlo al suo destino, in modo che Marion venisse liberata da un matrimonio che aveva mostrato di non gradire.
Ahanu sbatté ripetutamente la testa contro il tronco e digrignò i denti, furioso con sé stesso e con gli dèi che l'avevano messo davanti a una scelta così difficile.
"Ho almeno altre due settimane di viaggio prima di giungere a Québec; forse anche più, se dovrò continuare a cambiar strada per evitare d'incappare negli Inglesi."
La sua idea iniziale era stata quella di ricongiungersi col grosso della spedizione di Courcelles, ma col passare dei giorni si era reso conto che mentre lui aggirava Nuova York nascondendosi nei boschi, l'esercito francese aveva attraversato il fiume in tutta fretta, inseguito dai nemici. Gravato dall'amico incosciente e delirante, non era riuscito a riguadagnare il tempo perduto e ora era costretto a muoversi col doppio della cautela per non cadere nelle mani degli Irochesi o degli Inglesi.
Lanciò un'occhiata al braccio di Serge: l'aveva fasciato con cura, ma le bende erano di nuovo sporche di sangue.
"Potrebbe non vivere così a lungo e sollevarmi dal mio dilemma molto prima."
Neanche quel pensiero riusciva a dargli un po' di sollievo: l'amicizia che li univa aveva radici così profonde che Ahanu era certo che avrebbe perso una parte di sé stesso se Serge fosse morto. Era stato un compagno di giochi durante l'infanzia, l'amico più fidato in tempi di pace e in tempi di guerra e l'unico, insieme ad Ahiga, ad aver amato Yarhata quanto lui.
«Quanto vorrei essere in grado di odiarti» mormorò, serrando forte le dita sulle briglie del cavallo.
«Vorrei tante di quelle cose che... Mah, lasciamo stare. Tu sei in mano a Tarenyowagon e posso solo sperare che la sua visione possa aiutarti a gettare un po' di luce sulla tua vita e sul tuo futuro. Sono io il disgraziato, io che son solo in territorio nemico e non ho nessuno – né dio, né uomo – a cui chiedere consiglio.»
L'unica persona a cui avrebbe volentieri domandato aiuto era sua madre; ma sapeva bene, anche senza averla consultata, che Chosovi sarebbe inorridita nell'apprendere che un altro dei suoi figli desiderava sposarsi al di fuori del popolo dei Wyandot. Per essere una straniera ella stessa, nutriva un'innata diffidenza nei confronti degli uomini e delle donne bianche e la tragedia che aveva colpito la sua famiglia pareva averle dato ragione.
"Non è possibile alcun futuro felice, per me, ché anche se Serge morisse non è affatto certo che Marion possa ricambiare il mio amore."
Non avrebbe pianto, perché era un uomo fatto — un guerriero, per giunta, che non poteva concedersi di abbassare la guardia. Tuttavia sfogò il suo dolore in un urlo silenzioso, con il cavallo e la foresta come unici testimoni; e si sentì rinfrancato come se avesse dormito per giorni. L'angoscia scemò e lasciò il posto, almeno per il momento, a una più pacata rassegnazione. Si riscosse, accorgendosi con un poco di apprensione d'aver sonnecchiato più del dovuto.
«Forse Tarenyowagon sta parlando a entrambi, dopotutto» mormorò con voce roca.
Poi si alzò in piedi e riprese il cammino.
NOTE STORICHE
• Tarenyowagon è il dio dei sogni degli Uroni, una delle massime entità che veneravano in quanto:
1) era in grado di donare visioni rivelatrici; il nome (che è la versione irochese perché quello Wyandot non ci è noto) significa appunto "il Rivelatore" o "Colui che crea la Visione"
2) aveva un potere diretto sull'anima quando il corpo era malato o ferito o quando la persona dormiva.
Il capitolo è proprio mini, lo so 😅
È che nelle intenzioni originarie era solo la prima parte di un doppio aggiornamento che doveva venire dopo il capitolo di Marion che pubblicherò la prossima settimana (e che invece è bello corposo).
Alla fine ho deciso che era meglio separarli per non sbilanciare troppo la narrazione verso ciò che sta accadendo alla fattoria (spoiler-non-spoiler: Marion quando ci si mette è una lagna tanto quanto il marito 🙄)
Dite un po': contenti che Sergetto non sia morto, anche se sembra stare più di là che di qua)? 😂😅🙈
Enjoy ❤️
Crilu
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