CAPITOLO 3 "Cenere di Ricordi" (Kel)

Apro lentamente le palpebre come se farlo fosse uno dei compiti più difficili che abbia mai dovuto portare a termine, una luce accecante mi bagna il viso lumeggiando nella stanza, porto una mano alla fronte alleviandone il fastidio. Ruoto il capo affondando nel morbido cuscino che mi circonda il viso, era da parecchio che non sentivo la sensazione di qualcosa di morbido e ora come ora non so come sentirmi al riguardo. Strofino la guancia sulla fodera chiara del cuscino, senza alcuna intenzione di alzarmi.

Mi ritrovo steso su un letto chiaro e disordinato circondato da pareti in legno scuro. Alla destra del letto una scrivania con alcuni libri, un oloschermo e altre cianfrusaglie varie, al centro una finestra enorme ricopre quasi l'intera parete.

Buchi di trama caratterizzano il pensiero della notte precedente. Mi torna alla mente il viso del sith coperto di sangue, il coltello conficcato nel suo collo, la mano mozzata ancora fumante affiancata ai corpi dei cloni stesi sul pavimento... l'espressione di Neeve... e poi buio, come quando in un sogno non sai dove sei ne perché, riconoscendo solo l'inesplicabile fatto che esisti. Ma quello da poco vissuto non poteva essere un sogno, a parte che non stessi ancora sognando. "Non siamo in un film Kel" mi ripeto frenando l'immaginazione.

Alzo lo sguardo sull'imponente finestra circolare che si innalza ai piedi del letto cercando di ricordare qualcosa; innumerevoli sfumature di verde e azzurro compongono il meraviglioso dipinto naturale che si intravede al di fuori di essa. Campi sterminati di vegetazione color smeraldo si estendono per migliaia di chilometri, enormi alberi troneggiano sulle pianure deserte toccando il cielo con le vaporose fronde e sfumando fra le nuvole schiarite dalla luce dorata del sole. Seguo le venature chiare del legno. Scorgo alcuni volatili dalla grandezza considerevole se comparati ai corpi scuri delle enormi piante perenni. Si librano nell'aria in stormi dalla forma geometrica formati da centinaia di esemplari, liberi come nessun uomo può mai dire di essere stato. Il gruppo di "uccelli", se così possano essere denominati, cambia posizione sfoggiando un manto colorato capace di rifrangere la luce solare come stelle mattutine.

Tutto su questo pianeta appare in netto contrasto con i grigi palazzi, le lunghe
autostrade e le migliaia di macchine su Coruscant che, seppur strabilianti e sinonimi dell'ingegno umano, non possono nulla in confronto alle meraviglie paesaggistiche di un pianeta totalmente libero dall'egoismo e dall'avidità umana.

Intravedo un groviglio di coperte emarginate ai confini del giaciglio su cui mi trovo, avvicino una mano sfiorando il morbido e caldo manto che le ricopre. Ruoto le dita tra i riccioli scuri e una sensazione di nostalgia mi stringe lo stomaco. Passo in rassegna la stanza accorgendomi di conoscere già quella camera e tutto il pianeta su cui si trova.

"Tutto questo era... cenere".

Alzo le lenzuola, come sapessi già dove cercare, trovando proprio sullo scheletro del letto un incisione. Osservo per qualche secondo le lettere incastonate nel legno, ordinate a formare un nome, il mio nome.
Lascio andare il materasso che crolla con un tonfo. Tengo i piedi sul letto avvicinandomi al muro alle mie spalle come cercando rifugio da un pericolo.

Sto ancora cercando di farmi passare l'indigestione causata da tutti quei ricordi recuperati dal dimenticatoio quando, tutto d'un tratto, sento una voce rimbombare dal piano inferiore. Una voce a me sconosciuta ma dal tono familiare.

"Kel! Scendi!".
Rimango immobile per qualche istante come sperando che il silenzio possa nascondere la mia presenza. Mi alzo lentamente dal letto avvicinandomi alla porta socchiusa. Rimango di fronte alla maniglia incerto sul da farsi, incredulo o forse troppo confuso perché il mio cervello possa elaborare un azione senza prima rimuginarci almeno il tempo necessario a capire cosa stia per fare.

La tiro verso di me trovandomi davanti una scala a chiocciola dello stesso legno di cui è fabbricata l'intera casa. Un odore di verdure bollite e carne arrosto impregna l'intera abitazione. Il cibo del tempio Jedi non tiene confronto.

Scendo le scale, uno scalino alla volta, aspettandomi un nemico ad ogni passo sul legno scricchiolante, il cuore esplode nel petto. Osservo le pareti piene di quadri colorati raffiguranti laghi, montagne, frutti dalla colorazione vivace ed esotica ma soprattutto, persone, molte persone anche di specie diverse alcune a me totalmente sconosciute. Immagino le loro vite a distanza di anni da quelle foto, come i loro visi pimpanti e felici ora siano solo un'ombra rugosa di ciò che erano.

In particolare un piccolo quadro rettangolare attira la mia attenzione, lo prendo in mano scostandolo dal chiodo a cui è affisso.

Rappresentati nell'immagine vi sono un uomo e una donna insieme ad
un bambino. I due adulti, come fuse sulla pelle, indossano delle maschere totalmente bianche e prive di alcuna espressione facciale. L'uomo con un braccio cinge il fianco della donna, riconoscibile come tale solo dalla capigliatura folta, mentre con l'altro tiene un bimbo, unico con ancora un volto sulla faccia, ma non un volto qualsiasi. Quel volto lo conosco anche fin troppo bene, lo ammiro con un pizzico di invidia avendo dimenticato cosa si provi ad indossarlo realmente. La mente entra in uno stato di totale subbuglio, se dovessi descrivere quel che sto provando, sentendo e vedendo in questo momento, probabilmente mi spedirebbero dritto al manicomio senza pensarci due volte.

"Mamma, Papà..." bisbiglio nel dubbio che chiunque mi avesse chiamato prima potesse ancora sentirmi. Riconosco nel quadro le loro figure, provo a ricordare i dettagli che un tempo caratterizzavano quei visi ormai per me totalmente anonimi. Una timida lacrima mi riga il viso facendosi strada fino al mento al pensiero di non ricordare che aspetto avessero.

Poso il quadro continuando la discesa per la rampa di scale. Arrivo al piano terra dove un arco concede l'accesso ad un ampia stanza composta da cucina e soggiorno. Intravedo una donna di spalle davanti ad uno dei banconi, si muove frettolosamente mettendo mano in ogni scaffale o cassetto che le capiti a tiro. Afferra un coltello iniziando ad affettare una verdura scura dalla forma bizzarra. Davanti a lei si trova una pentola fumante piena di una qualche minestra viola e rossa.

Faccio un passo all'interno della stanza facendo scricchiolare un'asse sul pavimento.
"Oddio Kel,mi hai fatta spaventare!" sussulta la donna. "Vai fuori, tuo padre ha bisogno di te con la trebbiatrice e mentre ci sei prendi anche un mazzetto di fiori Lhit'lat" continua lei prendendo le fette appena tagliate e gettandole all'interno del calderone. Mi muovo con cautela all'interno della stanza manetendo una certa distanza dalla donna.

"Mamma?" Pronuncio, al limite della pazzia, non so cosa stia succedendo ne come tutto questo possa essere possibile, non so come distinguere la realtà dalla fantasia e, cosa peggiore, non riesco a capire se questo sia un male o meno.
"Si?" Risponde senza voltarsi, versando poco dopo un cucchiaino di spezie all'interno della minestra.
Gli occhi si fanno lucidi, non so se per tristezza o felicità. Prima di riuscire a capirlo la logica si impone sulle emozioni, così come d'addestramento, riportandomi alla realtà.
"Tutto questo non è vero" mi ripeto mentre centinaia di voci sussurrano parole a me incomprensibili, sento l'aria diventare pesante la mente cede sotto la pressione di questo mondo. "Devo andare via, tutto questo non è reale" borbotto uscendo dalla porta sul retro.

Inciampo crollando sulla terra fredda di un enorme campo largo almeno un paio di chilometri. Mi tolgo della terra dal viso bagnato di lacrime. Voglio solo camminare, dimenticare tutto quello che ho appena visto e cercare un modo per andarmene. La luce del sole batte sulla testa scaldando lentamente l'intero corpo. Ad ogni passo la temperatura aumenta esponenzialmente fino a farsi cocente, alzo la maglietta da entrambi i lembi rimanendo a petto nudo. Abituato al clima mite e fresco di Coruscant, questo, sembra meraviglioso e al tempo stesso una maledizione.
Ripenso alla figura in cucina, la sua voce era diversa da quella che ricordavo. Mi chiedo se fosse davvero lei, se forse io mi possa essere immaginato tutti questi anni un mondo immaginario in attesa di risvegliarmi qui dove ero destinato a rimanere.

Il paesaggio appare ancora più meraviglioso visto da vicino. Enormi montagne alte migliaia di chilometri circondano l'intera pianura in cui mi trovo, la pietra che le compone è rosso sangue misto a rocce vulcaniche nere come la notte. Seguo la linea discontinua del monte toccando con gli occhi una cascata d'acqua chiara, di un'azzurro mai visto. La sorgente della cascata precipita all'interno di un lago dello stesso colore dove centinaia di creature si dissetano, alcuni sono enormi altri invece ricordano animali da pascolo o da compagnia. Il caldo si insinua all'interno della pelle toccando con mano gli organi vitali. Sento l'ultimo strato di fresco abbandonare il corpo dopo una stregua lotta per la sopravvivenza. L'orizzonte si fa meno chiaro fino a diventare un groviglio di linee ondulate. Un ombra mi sfiora le suole della scarpe, mi getto a terra notando le pareti di un capanno in legno malandato. Mi rifugio sotto la sua ombra.

"Che ne dici Kel? Mi aiuti o continui a rimanere lì spiaggiato come un animale marino in via di decomposizione?" La voce, che sembra essere di un'uomo, arriva da sotto un vecchio e rugginoso veicolo agricolo. Tiene in mano un'oggetto con cui smuove dei piccoli bulloni in metallo, non saprei dire con esattezza cosa stia facendo.
"...Papà?" Chiedo iniziando a vedere doppio per il troppo calore. Spalanco e chiudo gli occhi velocemente per essere sicuro di non essere vittima di un allucinazione.
"Kel che ti prende? Sembri proprio sconnesso oggi e intendo più del solito. Forza alzati e vieni qui".
Mi rimetto in piedi a fatica tornando sotto il sole bollente.
"Passami quel cacciavite e il cavo rosso accanto" chiede con quel fare gentile che quasi non si adatta alla sua stazza.
"Papà come fai ad essere qui?" Domando mentre con la mano gli passo l'attrezzo richiesto sotto il veicolo.
"Di che stai parlando? Sono qui perché ho camminato".
"No aspetta non è quello che intendo. Tu e la mamma...voi... voi siete morti. Questo non è reale, VOI non siete reali" urlo. Il cuore inizia a bruciare al suono di quelle parole, forse per rabbia o forse per il calore di questo stramaledetto pianeta. Mio padre smette di muoversi, la macchina sputa fumo e scintille prendendo fuoco.
"Papà!" Grido prendendolo per i piedi. "Papà, esci di lì!". Le fiamme iniziano a sfiorare la fusoliera. Tiro con tutta la forza che mi rimane in corpo. Inizio a intravedere il suo volto, lo stesso volto visto precedentemente in foto, una maschera bianca incollata sulla pelle. Lascio la presa impaurito solo per trovarmi stretto nella sua. Le braccia dell'uomo mi si avvinghiano alla vita tenendomi attaccato al mezzo in fiamme. Mi stringe sempre di più, sento le ossa del corpo toccarsi le une con le altre, sicuro che di li a poco inizieranno a rompersi. Prendo un respiro profondo prima di trovarmi troppo vicino al fuoco per farlo. Con le mani allontano il viso anonimo dell'uomo portandolo più vicino alle fiamme. Spingo con tutta la forza che mi rimane nelle braccia affaticate dalla mancanza di ossigeno fino a che il suo viso non viene investito da una vampata di fuoco. Allenta la presa dandomi la possibilità di divincolarmi e allontanarmi dal veicolo in fiamme che decide di esplodere sbalzandomi tre o quattro metri indietro. Finisco con la faccia sul terreno coperto di terra e cenere.
Guardo l'incendio spandersi consumando il capanno e tutto il suo interno, cerco tracce di quell'uomo. Provo ad avvicinarmi ma l'incendio divampa ancora di più tenendomi a distanza.
Corro verso l'orizzonte il più rapidamente possibile cercando di allontanarmi da tutto. Lo scenario si svuota di tutta la sua bellezza passo dopo passo allungandosi in un ciclo che pare infinito, vedo gli stessi alberi e le stesse montagne piùe piùvolte di seguito. Un forte mal di testa mi costringe a piegarmi a terra. La terra sotto i piedi diventa legno, il cielo un tetto dello stesso materiale così come le montagne che mutano in solide pareti. Vedo mia madre girata di spalle con la faccia diretta verso un muro. Mi ritrovo a casa steso sul pavimento.

"Mamma! È successo qualcosa a Papà" Urlo, non so per quale motivo toccandole la spalla. Quelle parole mi suonano familiari.
La pentola inizia a bollire piu forte generando un rumore insopportabile. Lei si volta prendendomi la testa fra i palmi e lanciandomi in terra. Le osservo il volto, bianco come la neve. Un fumo scuro fuoriesce dal calderone bollente impadronendosi della stanza. La donna tiene in mano una spada color turchese muovendosi verso di me. Indietreggio tastando con le dita la cintura in cerca di un'arma. Il fumo ormai rende impossibile vedere a più di un palmo di distanza. L'aria mi soffoca mentre cerco nella stanza, ormai priva delle stesse finestre, qualcosa che possa aiutarmi. Respiro a fatica mentre la donna non sembra accorgersi di nulla, il volto non lascia trasparire alcuna emozione che sia essa positiva o negativa. La donna alza la spada in aria, pronta a fendere un colpo, alle sue spalle un fuoco divampa fino al soffitto.

Qualcuno bussa, il fumo schiarisce in direzione della porta d'entrata. La donna rivolge l'attenzione al rumore abbassando la lama incandescente. Cammina verso l'ingresso con calma e tranquillità come avesse dimenticato o ignorasse ciò che sta accadendo. La vorrei fermare, vorrei urlare ma la bocca è cucita da parte a parte. La porta si spalanca ammaccando il muro a cui si affaccia. Fuori, la meravigliosa giornata vista poco prima sembra solo un bel ricordo. Tuoni e saette illuminano il cielo scuro di rosso, fulmini scarlatti fanno risuonare l'intera pianura. La donna alza la spada parando il colpo di un'altra spada laser brandita da un avversario invisibile. L'arma del nemico, dal rosso diventa blu, come quella della donna. Una mano le afferra la caviglia prima che possa sferrare un colpo facendola cadere testa a terra. Tenta inutilmente di liberarsi vibrando colpi in aria. Il colore blu della spada, che prima contrastava il cielo sanguinante, svanisce in una nuvola di fumo mentre viene trascinata fuori.

Vedo la porta, il cammino sembra sicuro, per quanto sicura possa essere una casa in fiamme. Potrei fuggire ma non riesco. Travi cadono dal soffitto in fiamme, le pareti scricchiolano mentre vengono consumate dal fuoco, il fumo mi brucia la trachea, il calore mi ustiona la pelle nuda, il calderone si rovescia a terra, i pilastri portanti crollano su loro stessi, le pareti si sgretolano. L'odore di legno bruciato, il sapore sul palato di cenere e morte, pensavo... anzi, speravo di non dover sentire più nulla del genere. Alzo lo sguardo sul tetto vedendo l'intera casa crollarmi addosso.
"Kel! Kel!". Urla una voce dal cielo. Chiudo gli occhi rimanendo per terra, sdraiato fra le fiamme, accettando silenziosamente il destino affidatomi dalla forza.

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