Capitolo 5

Le voci coprivano la canzone che Elettra stava ascoltando. Oscurare la confusione del bar non le riusciva mai facile: le tante voci, i rumori delle tazzine e dei bicchieri, i sussurri, le macchine che macinavano il caffè; era impossibile fingere che non ci fosse nessuno, oltre il buio che la circondava.

Uno dei locali più rumorosi di Nuova Folk, La luna di notte, era diventato da qualche mese la sua tappa giornaliera. Lì, il frastuono e il via vai era tanto esagerato che nessuno avrebbe mai fatto caso a una come lei. L'unico difetto era la musica: concentrarsi sulle note richiedeva un certo impegno.

A giudicare dalla profondità del timbro, il cantante era un uomo di colore. Elettra inspirò a fondo, si godette la melodia malinconica, in cui una rabbia celata si faceva strada fra le parole. Immaginò di camminare sotto la pioggia. Le gocce fresche le bagnavano le guance, mentre i tuoni la cullavano con la loro forza.

La tazza di caffè non scottava più. Elettra ne assaggiò un sorso. Amaro, pensò, oltre che freddo. Si era dimenticata di aggiungere lo zucchero.

Qualcuno, accanto a lei – qualcuno di non troppo giovane, senza denti – leggeva il giornale ad alta voce. Un biascichio appena accennato. «Un'ibrida... presidente... ucciso a sangue freddo...»

Elettra non comprese altro, ma tanto le bastava. Allungò una mano a cercare le bustine dello zucchero e ne rovesciò l'intero contenuto nel caffè. Si lasciò scappare solo un sospiro non appena udì il signore sputare con disprezzo le parole Figlia della Tempesta.

«Desidera altro?»

Elettra per poco non si rovesciò il contenuto della tazzina addosso. Si voltò in direzione della voce. Non conosceva l'aspetto della nuova cameriera, per questo spesso la immaginava con una divisa da ninja, data la sua capacità di sgattaiolarle vicino senza fare rumore.

«No, grazie, sono a posto così.»

Non udì né una risposta né dei passi, e rimase immobile a chiedersi se la cameriera fosse ancora lì oppure no. Alcuni secondi più tardi, riconobbe la stessa voce porre la stessa identica domanda a qualche altro tavolo, e si rilassò. Dubitava si sarebbe mai abituata al suo modo di fare. Se soltanto avesse avuto il visore, avrebbe potuto evitare di saltare in aria ogni singola volta.

Sorseggiò ancora il proprio caffè. Troppo dolce, questa volta.

Le campanelle appese alla porta tintinnarono. Elettra sorrise: la pesantezza della camminata del nuovo arrivato, il ritmo preciso fra un passo e l'altro, le erano ben familiari. Anche lui la faceva pensare alla tristezza della pioggia e alla rabbia della Tempesta.

Alzò la testa, rivolta nel punto preciso in cui il nuovo arrivato si lasciò cadere sulla sedia, di fronte a lei. Odorava di sandalo e dell'aria di fuori.

«Ely, dobbiamo parlare,» le disse.

Elettra terminò il caffè in tutta calma. «Buongiorno anche a te,» rispose.

Uno scricchiolio della sedia di Vega le annunciò il suo avvicinamento. Il tavolo le vibrò sotto le braccia quando lui ci si poggiò sopra. «Si può sapere che ti è saltato in mente?»

«Vuoi farmi la predica,» constatò lei, mettendo da parte la tazza vuota.

«Altair mi ha detto che ti sei fatta scoprire.» Ecco qual era il problema. Elettra aveva sperato volesse lamentarsi perché si era scordata di lasciare il cibo al gatto. «Un'agente ha chiesto informazioni sul tuo visore a Keira. Lo sapevi che ti hanno vista?»

Mentire, a quel punto, sarebbe stato facile. Si sarebbe evitata una ramanzina inutile.

«Sì,» rispose invece. Nel silenzio, sentì il rammarico di lui strisciarle lungo le braccia.

«Una stronzata del genere me la sarei aspettata da Altair. Ma da te? Perché cazzo l'hai fatto? Come hai fatto a non accorgerti che qualcuno...»

«L'ho fatto apposta.» Bastò la verità a zittirlo del tutto. Nel buio, lui si illuminò di scintille. Durò solo qualche attimo.

Vega mandò giù il groppo di saliva. «Sei impazzita? Perché cazzo hai...?»

«Mi stava guardando lei,» spiegò Elettra, e sperò che bastasse a fargli capire. In mezzo alla clientela del bar, con la cameriera capace di nascondersi ai suoi sensi, di più non poteva sbilanciarsi.

«Quindi è per lei che hai fatto una stronzata à la Altair?»

Elettra si concesse una risatina. «Dovevo incontrarla,» spiegò.

«Stai scherzando? Quindi ci hai parlato?» Gli tremò la voce, come se la sola prospettiva lo terrorizzasse.

«Dovevo farlo,» disse lei. Il tavolo oscillò ancora sotto i suoi gomiti, e seppe che l'altro si era accomodato contro lo schienale.

«Quella è una pazza,» le fece notare lui. «E pericolosa.»

«Sì. Lo so.» Era stata lei a scoprire di Mira, dopotutto. La misteriosa Figlia della Tempesta imbucata nella polizia, che le era capitata davanti per caso. Aveva sentito la sua energia, totalmente fuori controllo, incrociandola per strada.

«E quindi? Che ci hai risolto a parlarle?»

«Non molto,» gli concesse. «Credo abbia un qualche problema di dipendenza dal suo stesso potere. Mi sembrava fin troppo felice di usare i fulmini.»

Nonostante l'aspetto da perfetto agente di polizia, Mira nascondeva – e neanche tanto bene – l'indole di una bestia fuori controllo. Considerato tutto, come facesse a mantenere il segreto di essere un'ibrida con i suoi compagni di squadra, per Elettra era un vero mistero.

«Ti prego, non dirmi che abbiamo trovato un'altra Altair,» disse Vega.

Elettra ripose le mani sul grembo. «Ti assicuro, non lo è.» Lo sentì lasciarsi andare a un sospiro sollevato. «È peggio.»

«È possibile?» sbottò lui. L'aria gli uscì dal naso tutta insieme. Stava sorridendo. «Ma adesso che hai intenzione di farne di lei? Non vuoi mica reclutarla? Di pazzi non ne abbiamo già abbastanza?»

Elettra ancora non conosceva la risposta alla domanda. Aveva creduto di sì, ma una come Mira rischiava di causare più danni da alleata che da nemica. Per il momento forse lasciar perdere e cercare di non incrociarla ancora sarebbe stata la soluzione migliore.

«Comunque hai rischiato troppo,» continuò Vega. Lei sollevò la testa nella direzione della sua voce. «E devi stare attenta, potrebbero riconoscerti adesso che sanno...»

«Rilassati.» Elettra si sporse sul tavolo. Allungò le mani, alla ricerca delle sue; le trovò dopo alcuni tentativi o, per meglio dire, la raggiunse lui. «Cercano una tipa con i capelli platinati e un visore, o sbaglio? Dimmelo tu, vedi qualcuno del genere qui dentro?»

Le dita ruvide di Vega accarezzarono quelle di lei. «No, ma sanno di dover cercare una donna cieca, adesso.»

«Ho tutto sotto controllo.» Scivolò via dal suo tocco e si appoggiò contro lo schienale. Per il momento non rischiavano ancora nulla, ne era sicura. Il difficile sarebbe arrivato adesso. «Hai saputo come l'hanno presa alla S.d.? Ho sentito che il vicedirettore adesso è nel pallone.»

Lui tamburellò le dita sul tavolo. «Sì, così si dice. Ma a quanto pare, ha affermato di voler portare avanti gli obiettivi del vecchio direttore.»

«Quindi siamo al punto di partenza.»

«A quanto sembra,» disse Vega. «A proposito, Altair ha detto che è tutto pronto.»

Elettra afferrò il bordo della sedia mentre si raddrizzava. «Perfetto.» Per il momento dovevano procedere con il loro piano. Degli obiettivi della S.d. si sarebbero dovuti occupare in un secondo momento. La prossima missione aveva la precedenza.

Non che fosse entusiasta, di mandare Altair in un'operazione così delicata, ma lei aveva insistito. Perciò Elettra era costretta a restare indietro, di guardia, e lasciare che fossero lei e Vega a occuparsi della questione. E anche se forse quella coppia non rappresentava la scelta migliore, costringere Altair a starsene buona e fare quello che le veniva chiesto era impossibile.

Poteva solo sperare che non combinassero casini.

«Che facciamo, se qualcuno ci vede?» chiese Vega.

«Ve li tengo lontani io. Nella peggiore delle ipotesi, soltanto Altair dovrebbe essere a rischio. Mi basterà convincerla a coprirsi.»

«Vuoi dirle di usare il casco?»

«No,» sorrise lei. «Avevo in mente qualcos'altro.»



Note:

Abbiamo visto più da vicino Elettra, e lasciate che vi dica una cosa: scrivere dal punto di vista di una persona cieca è veramente... strano. Comunque, spero che questo capitolo vi sia piaciuto.

A proposito, che ne pensate di Elettra fino a qui?

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