Capitolo 41

Davanti casa sua trovò soltanto Eugene e un paio di altri colleghi di cui non ricordava il nome. Attendevano davanti al portone, si scambiavano parole veloci, si aggiravano con le pistole strette fra le mani. Gli sguardi vagavano fra le strade, cercavano oltre i lampioni accesi.

Mira li affrontò a viso aperto. Le bastarono un paio di calci per metterli al tappeto. Loro non spararono mai, si limitarono a puntarle le pistole addosso, tremanti.

Ti avevo detto di farci attenzione, non di attaccarli. Parole della piccola Elettra immaginaria che, chissà quando, le si era accampata nella testa. Viveva lì, dentro il suo cranio. Quando ci si fosse trasferita, Mira non ne aveva la più pallida idea.

Trafficò con le chiavi, cercando quella giusta. Il tintinnio risuonava con vigore nel silenzio. La inserì nella toppa, ed eccola lì, un'Altair in miniatura che le spuntava sulla spalla.

Non rompere i coglioni, è stato divertente, rispondeva alla finta Elettra.

Mira spiaccicò entrambe sotto un dito gigante. Quelle rispuntarono dal nulla in una nuvola di vapore.

Stava impazzendo. Cazzo, se stava impazzendo.

Raggiunse il proprio appartamento; trovò la porta aperta, la maniglia saltata. La spinse e scivolò all'interno, dove il nero di un mobilio fin troppo minimalista la accolse nella sua normalità. Respirò l'odore di casa, con un retrogusto di pino appena accennato, dovuto al profumo per ambienti regalatole in un'offerta tempo addietro.

Con i fulmini a circondarla attese sulla soglia. Tese le orecchie ma, oltre il crepitare delle proprie saette, l'unico rumore che colse fu il ronzare del frigorifero in cucina. Chiunque si fosse intromesso all'interno doveva essersene andato.

L'Elettrina nella sua testa le intimò di fare attenzione. L'Altair sulla spalla saltò su e gridò qualche frase sconnessa. Mira batté le palpebre un paio di volte, nella speranza che quelle due sparissero. Una speranza vana. Alla fine si arrese e, in un sospiro, si addentrò in casa.

Recuperò una manciata di vestiti dall'armadio. Li appallottolò in una borsa, senza perdere tempo a ripiegarli. Tanto erano già tutti spiegazzati. Di certo nei bassifondi non si sarebbero scandalizzati per una maglietta non stirata. Dal comodino prese una pistola. Richiuse la borsa e la portò in cucina, dove raccattò un paio di piatti già pronti dal frigo – i resti di un'insalata di riso, della pasta al forno da riscaldare e della carne arrosto riposta in una vaschetta.

Non sapeva quanto tempo avrebbero trascorso nei bassifondi. Di sicuro però non avrebbe mangiato merda in scatola trovata nei cassonetti.

Sbatté lo sportello con troppa forza e le bottiglie all'interno tintinnarono.

Se ne accorse mentre si piegava a riprendere la borsa. La sollevò di qualche centimetro da terra. Qualcosa dietro di lei si mosse.

Veloce.

Troppo veloce.

Mira lasciò la presa sulle cinghie, e una mano le coprì la bocca. Reggeva un fazzoletto. Sentì un odore dolciastro.

Richiamò i fulmini, senza successo. Si addormentarono, uno dopo l'altro. Una manciata di istanti e Mira perse coscienza.

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Riaprì gli occhi a fatica. Le palpebre le pesavano, qualcosa le teneva incollate. Capì che si trattava di lacrime solo quando spuntò il primo spiraglio. La luce bianca del neon sul soffitto le ferì le retine, causando altre lacrime, che le rimasero bloccate agli angoli degli occhi.

Le pareti dello stomaco erano due magneti: si attraevano e si stringevano, schiacciando gli organi all'interno; poi si respingevano, e le budella si districavano tutte insieme, in una fisarmonica sanguinolenta. Della Tempesta non rimaneva nulla, se non il vago sentore di un'energia che prima la inondava e che, ormai, era evaporata. Cercò un rimasuglio, un unico fulmine solitario ancora vivo dentro di lei. Tutto ciò che ottenne fu il sapore della bile che risaliva lungo la gola e cercava una via d'uscita.

Ne sputò un po'. Il liquido giallognolo imbrattò il pavimento ai suoi piedi.

Tentò di muoversi. Un clangore. Poi qualcosa di freddo le si conficcò nei polsi, glieli tenne fermi e la spinse indietro. Delle manette. Delle stupide, fottutissime manette.

Un colore le comparve nella visuale. Blu. Blu, composto di fili di tessuto che si intrecciavano fra loro. La divisa della polizia. Mira strizzò gli occhi e scosse la testa.

Una voce canticchiava una nenia fastidiosa. Una canzone che non conosceva.

«Sei davvero incredibile.» Drake si accucciò davanti a lei, i gomiti poggiati sulle ginocchia. Ce n'erano tre, tre Drake dal profilo tremolante, che si muovevano all'unisono. «Avrei davvero voluto evitare di arrivare a questo punto, ma non mi hai lasciato molta scelta.»

Mira aveva la testa pesante, la lasciò ciondolare di lato. Focalizzò l'attenzione su di lui, sui tre volti identici che le si avvicinarono, finché non si riunirono in un'unica, solida figura. Respirò il suo fiato, vicino com'era. Si concentrò sulla punta del naso, pensò di azzannargliela. Il corpo non le rispose.

«Sei magnifica, Mira, davvero. Peccato che a volte sei troppo ottusa.»

«Sei tu,» mormorò lei. Le parole le si impastarono sulla lingua. «Sei tu la spia della S.d.»

Lui non le rispose. La osservava, la testa inclinata, come se avesse di fronte la più curiosa delle creature.

Mira mandò giù una palla di saliva. Le si bloccò nella gola per un attimo, e spinse fra le pareti fino a farle male per scendere. «È così che hai avuto tutte quelle informazioni,» borbottò. «Su Altair, su tutti quanti. Non hai avuto nessuna illuminazione casuale. Te le ha date la S.d.»

«Ah, Altair.» Drake allargò le labbra in un sorriso malinconico. «Hai detto che ti ha raccontato del nostro piccolo incontro, vero?»

Desiderò cancellargli quel ghigno dal volto. Desiderò fracassargli le nocche sul naso fino a spappolargli le ossa. Invece tutto quello che riusciva a fare era tremare. «Cosa mi hai fatto?»

«Cloroformio per stenderti. Poi ti ho imbottita con queste.» Drake agitò un barattolo di plastica. Due pillole rosse si scontrarono fra di loro. «Le tenevi sul comodino. Servono ad addormentarti i fulmini, no?»

Mira contrasse la mascella, i denti digrignati. Li sentì incrinarsi, eppure non allentò la stretta. Quante cazzo gliene aveva date? Era fortunata a essere ancora viva.

Gli occhi di Drake la agganciarono. Emanavano un calore tanto intenso che temette l'avrebbero bruciata. Eppure, non riuscì a distogliere lo sguardo. Le iridi di lui rilucevano di un qualcosa, qualcosa di diverso dalla Tempesta; qualcosa di altrettanto selvaggio, altrettanto infinito.

«Mi dispiace,» le sussurrò. Si rialzò con un sospiro teatrale, spezzando l'incantesimo che l'aveva stregata. Sollevò il piede, e Mira chiuse gli occhi e abbassò il capo, come una patetica ragazzina indifesa. Non arrivò nessun colpo. Il tonfo che seguì la convinse a controllare: Drake si era poggiato alla parete, si tirava su i calzini.

Mira approfittò della sua lontananza per strattonare le manette. Quelle le ferirono i polsi. Erano attorcigliate a qualcosa di solido, di fermo. Forse il termosifone.

«Mi dispiace,» ripeté Drake. «Non è per una questione personale. Cerco solo di salvare la città.»

Salvare la città, certo. «Distruggendo la cupola? Lasciando entrare la Tempesta?»

Drake tornò a inginocchiarsi davanti a lei. Il modo in cui la osservava le provocò una scarica di brividi. Lo sguardo gli cadde sulle labbra di lei e si risollevò l'istante successivo. «Mira, io non sono Alex. Non vi odio. Non sono contro di voi, non sono contro di te. Possiamo guadagnarci tutti da questa faccenda.» Le piazzò due dita sotto al mento. «Sei la creatura più fantastica che abbia mai conosciuto. Così instabile. Così fragile. Mi hai colpito subito, sai?»

«Smettila.» Le pareti dello stomaco non si respingevano più. Si scontravano l'una contro l'altra. Mira scrollò la testa, ma Drake la tenne ferma. Chiamò i fulmini. Al loro posto arrivò solo un altro conato di vomito. Lo rimandò giù, ma le bruciò la gola.

«Avrei tanto voluto che scegliessi noi. Che scegliessi me.» Le sfiorò il naso con il proprio. «Non hai idea di quanto tempo è, che cerco di raggiungerti. Sei sempre stata lontana, ma pensavo di poterti trovare. Invece poi ti è bastato, quanto? Un paio di mesi e ti sei sciolta per tre ibridi qualsiasi.»

Che cazzo ne sapeva, lui?

Che ne sapeva di lei, di Elettra, di Altair o di Vega?

Mira ritrasse il collo nel tentativo di allontanarsi. Si vergognava a starsene lì, incapace di ribellarsi, ad ascoltare le sue stronzate. «Cosa... dovremmo guadagnarci?» Ansimava. Non respirava bene. Ingerire mezzo barattolo di quelle pillole non si stava rivelando una bella esperienza.

Drake le carezzò il labbro con il pollice. Mira chiamò a raccolta le poche forze che le restavano, gli conficcò gli incisivi nella carne. Lui non si mosse. La osservò soltanto. Il sapore del sangue le colò sulla lingua. «La S.d. non ce l'ha con voi, non per forza. Vuole solo togliersi quell'incompetente di Valley dai coglioni e prendere il potere della Tempesta.»

Mira gli sputò le gocce del suo stesso sangue in faccia.

Lui si ripulì la fronte e la punta del naso. La manica della maglia si macchiò di rosso. «Vogliamo costruire un luogo migliore in cui vivere.» Allargò le braccia e si illuminò in un sorriso. «Tu non hai mai desiderato vedere il sole? Scoprire com'era il mondo, quando non c'era bisogno di una cupola a proteggerci il culo? Poter vedere le stelle?»

Le pareti dello stomaco le si separarono all'improvviso. Si distesero e si rilassarono. I pugni però le si chiusero. Lo immaginò agonizzate fra i fulmini.

Non sapeva come sarebbe stato il mondo senza la Tempesta, e l'idea di scoprirlo le causava una sensazione strana, un senso di inquietudine. Come sarebbe stato vivere senza la Tempesta? E se il vuoto che percepiva dentro di sé a causa delle pillole fosse stato solo l'assaggio di quello che sarebbe stato?

Serrò gli occhi, scrollò la testa. Cancellò il pensiero. Non importava, si disse, perché non sarebbe mai successo. La Tempesta non si poteva fermare.

«Vedi,» Drake le lisciò la guancia con il pollice ferito; il sangue le scaldò la pelle, «tu credi di averne bisogno. Per questo sei così fragile, perché credi di non essere altro che un ammasso di fulmini vagante.»

«Sta' zitto.» Mira si voltò dall'altro lato. «Non sai niente di me.»

«Sì che lo so, invece. Non ti sei mai accorta di me, ma io ti osservavo sempre. Ogni giorno. Io ti amo, Mira.»

Che assurda, gigantesca stronzata.

Si passò la lingua fra le labbra, girandosi a guardarlo di nuovo. Era pronta a dirglielo, che era solo un pazzo, un patetico stronzo. Era pronta, ma lui premette le labbra contro le sue e le tolse la possibilità. La lingua guizzò a cercare quella di lei. Le infilò le dita fra i capelli, la strinse a sé con troppa forza.

Aveva lo stesso sapore del caffè, con quel retrogusto amaro.

Mira agitò le braccia, debole. Drake non la lasciò andare. La assaporava con foga, le mozzava il respiro. Sarebbe morta così, pensò, soffocata dal bacio della morte di un bastardo che aveva sempre creduto innocuo.

Poi le sue dita scivolarono via, le afferrarono una ciocca di capelli. La portò via con sé quando si separò da lei; Mira avvertì il bruciore sulla nuca, assieme a una sensazione umidiccia.

Drake si portò il trofeo al naso. Annusò la ciocca a fondo, come fosse la più prestigiosa delle droghe. La luce nei suoi occhi brillava violenta, ma forse Mira adesso sapeva cos'era: follia, oppure la disperazione di un uomo che si credeva innamorato. Forse entrambe.

Ridicolo, come un pazzo come lui fosse stato bravo a fingersi ciò che non era.

«I tuoi amici non potranno fermarci.» Drake si rimise in piedi. «E sei una folle, se credi che possano capirti più di quanto ti capisco io.»

«Tu non hai capito proprio un cazzo.»

Drake scoppiò in una risata. «Sei tu che non vuoi capire,» le rispose. «Ma non importa. Capirai. Ti dimostrerò che sei molto di più, che non è la Tempesta a renderti quella che sei.» Le lanciò la ciocca di capelli biondi ai piedi, accanto alla pozza di succhi gastrici. «Quando tornerò, lo vedrai da te. E allora potrai unirti a me, in un mondo nuovo.»

La lasciò con quelle parole, sparendo via. Batté la porta di casa uscendo.

Mira si abbandonò contro il muro. Aveva ancora il sapore di lui sulle labbra e, dentro, il vuoto.



Note:

Mi fa ridere come mi riesca difficilissimo scrivere di scene in cui i personaggi si baciano, tranne quando si tratta di un amore totalmente folle e malato. Mah. Che poi Mira penso avrebbe preferito farsi pestare a sangue, e forse anche questo mi ha aiutata XD In ogni caso, siamo nelle fasi finali. Ormai sta per scoppiare il caos.

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