Capitolo 40

Qualcuno aveva avuto la geniale idea di buttare un fiammifero ancora acceso su una busta della spazzatura. Il fumo intossicava l'intera area, e Mira si coprì il naso con il braccio. L'odore putrido dell'immondizia, mescolato all'olezzo di fogna che le rimaneva attaccato addosso, le fece risalire un fiotto di bile su per la gola. Le bruciò la trachea, ma la rimandò giù assieme a una maledizione.

Altair tirò un calcetto alla busta. Quella si rovesciò a terra e sparse carte e barattoli bruciacchiati.

Mira trattenne a stento l'istinto di mandarla a fanculo. Tanto a cosa sarebbe servito, a parte beccarsi una delle sue solite battutine di merda?

L'edificio in cui risiedeva Yunca comparve poco dopo. Un'intera parte di parete era stata tirata giù. Qualcuno aveva provato a tappare i buchi con dei pezzi di metallo, ma rimanevano degli spiragli qui e lì, abbastanza grandi da sbirciare all'interno. Una pila di cartoni vuoti sostava accanto all'entrata.

Altair si addentrò, avvolta da un insolito silenzio. Mira se ne sarebbe stupita, se il rumore costante delle dita dell'altra che tamburellavano sulle cosce o che schioccavano non le avesse dato tanto sui nervi. La vena sulla tempia pulsava allo stesso ritmo incostante dei movimenti di Altair.

Ripensandoci, forse era meglio quando sparava cazzate.

«Puoi stare ferma per un secondo?» Mira le afferrò il polso, costringendola a interrompere il ritmo del suo battere frenetico. Un'ondata di energia la investì in pieno; lasciò la presa e si allontanò, d'istinto.

La sensazione di prurito sui polpastrelli rimase. Non era del tutto spiacevole.

Altair la osservò, con quella sua aria scettica e divertita al contempo. «Non ci riesco, stronza sadica. Quale parte del fatto che sono iperattiva non hai capito?»

Mira le rispose con uno sbuffo. La seguì senza aggiungere altro, camminando fra i senzatetto che si fingevano addormentati.

Un uomo dalla faccia sporca di olio sollevò la nuca. Seduto a gambe incrociate, si rigirava un coltellino fra le dita. Mira ne seguì il movimento, il modo in cui lo infilava fra indice e pollice e lo faceva roteare. Possedeva la maestria di un giocoliere, o di qualcuno fin troppo abituato a tenere una lama fra le mani.

Lui incrociò il suo sguardo. Tirò le guance in un sorriso. Gli mancava un incisivo; il resto dei denti gli svettavano marci nella bocca, in un alternarsi di altezze che le ricordò le montagne russe.

Mira distolse l'attenzione, si concentrò sulla schiena di Altair, sulle pieghe della maglia che seguivano la curva della spina dorsale e sullo strappo che le lasciava scoperto un lembo di pelle. «Tu lo sai, perché Elettra conosce questa gente?» le chiese.

Altair si arrestò e attese che le si affiancasse. La stessa puzza di fogna che Mira si sentiva addosso la circondava, ma c'era anche qualcos'altro, al di là. Tempesta, sudore e ambra. Il miscuglio le dava la nausea. «Perché, non te l'ha detto?» Le rifilò una pacca sulla spalla. «A quella piace fare la misteriosa.»

«Come tutti quanti.» Mira si scostò la sua mano di dosso. «Ma quindi lo sai?»

Una scrollata di spalle. «Diciamo che quando l'ho incontrata non profumava di rose. Però adesso dimmi perché non dovrei pensare che hai una cotta per lei.» Accostò il viso al suo. Gli occhi le risplendevano di una fiamma verde, forte, selvaggia. Il respiro, altrettanto caldo, le sfiorò la punta del naso.

Mira la spinse via; l'altra non fece resistenza, rise soltanto. «Senti un po' chi parla. Tu mi sembri molto più vicina a lei di me.»

Altair si massaggiò la spalla colpita. Allargò le labbra in un sorriso strano, sbilenco. «Diciamo che abbiamo avuto modo di conoscerci.»

In che senso?, fu il suo primo pensiero. Mira aggrottò la fronte e si sfregò l'unghia vicino all'orecchio. «Tu e lei? Davvero?» Le riusciva difficile immaginarle. Nella sua mente, Elettra e Altair occupavano due aree del tutto distinte: una reggeva lo scettro dell'ordine, l'altra indossava la corona del caos.

«Che c'è, sei gelosa?» Altair le batté il dorso della mano sul petto. «Di me, o di lei?»

Mira buttò fuori tutta l'aria dal naso. Si svuotò i polmoni, e solo quando i fulmini smisero di arrampicarsi sulle pareti dello stomaco osò voltare lo sguardo nella sua direzione. «Nessuna delle due. Non sono affari miei con chi andate a letto.»

«Non ci sono andata a letto.» Le saette le diedero un ultimo, disperato colpo nello stomaco. «Mi ha dato un due di picche. Contenta?»

«Te lo sei meritato.» Mira la superò. La risata di Altair la inseguì; serrò le nocche fino a sbiancarle.

Come una statua, Yunca sostava nella stessa posizione del giorno prima, accanto al fuocherello acceso. Solo che questa volta nessuno gli stava vicino. Nessuno sventrava animaletti di pezza nelle vicinanze. Il bagliore delle fiamme gli si rifletteva sulla testa pelata, gli donavano un colorito più dorato.

Altair le ostruì la vista, con le braccia spalancate e l'ennesimo sorrisetto fastidioso. «Guarda che se ti incazzi così comincio a crederci davvero.»

«Fanculo.» Mira la aggirò, le mani affondate nelle tasche.

«Puoi dirlo, sai? Tanto lo so che hai scelto noi perché non puoi starmi lontana.»

«Cosa?» Questa volta si voltò. «Ci tieni così tanto a farti prendere a calci nel culo?»

Un nuovo manrovescio sul braccio. «Sarebbe una sensazione nuova, quella di che riesci a prendermi a calci in culo.»

«Lascia stare. Non ho nemmeno capito perché ci parlo con te.» Mira scosse la testa, rassegnata. Conversare con Altair era la cosa più inutile del mondo: sapeva rispondere solo prese in giro e tamarrate.

Mosse un paio di passi verso Yunca, ma una mano agguantò la sua. La forza della Tempesta sotto la pelle di Altair le fece sobbalzare i fulmini nel petto; li sentì avvolgerle il cuore, risalire su fino a raggiungere la gola. Altair la costrinse a voltarsi. «Hai capito come controllarli?»

Mira si morse la lingua. «Perché, hai qualche consiglio geniale?»

«Non ho nessuna voglia di aspettare tre ore mentre fai la figura della scartina.» La lasciò andare, portando via con sé l'energia delle saette. «Ma se tu ti diverti, fai pure, perdi pure tutta la cazzo di giornata, sai quanto me ne frega?»

Nonostante le sue parole, Mira notò un'ombra calarle sullo sguardo. Perfino il sorriso vacillò. All'improvviso, la sua farsa da menefreghista le sembrò palese. Qualsiasi cosa ci fosse oltre la scorza da testa di rapa dietro cui si nascondeva, Altair la proteggeva bene, perché la sensazione durò meno di un secondo, poi le sopracciglia si alzarono e il sorriso tornò a sfidarla.

Eppure non le diede più alcun fastidio.

Mira rilassò i muscoli. «Va bene, che grande consiglio hai da darmi?» Si stupì di scoprire che la maggior parte del veleno nella propria voce fosse sparito. Evaporato nel nulla.

Altair agitò una mano in aria. «Non pensarlo come un combattimento. E cazzo, non pensare di dover inscatolare i fulmini. Pensalo come...» Fece una pausa. «Come se fossero delle catene, e tu volessi liberarti.»

Che stronzata. «Cosa devo pensare come fossero delle catene?»

Altair infilò le mani nelle tasche dei pantaloni. Le mancava un bottone, alla scollatura della maglia. Le si apriva più del necessario, e al di sotto si intravedeva il nero del reggiseno. Mira distolse subito gli occhi. «I fulmini del vecchio.»

«E come dovrei liberarmi?» I suoi, di fulmini, le scoppiettavano nel petto, intrecciati gli uni agli altri in una danza selvaggia.

«Non pensare di doverlo prendere a calci per farlo smettere.»

«Non ha un cazzo di senso.»

Altair alzò entrambe le braccia, gli occhi rotearono al soffitto. «Porca troia, provaci almeno.» Ma il secondo dopo rideva, e dei brividi attraversarono le braccia di Mira. «Non ha un senso, spiegata sembra una roba astratta del cazzo.»

«Tu hai imparato così?» Mira si morse il labbro, quasi volesse rimangiarsi la domanda.

«A me è toccata la terapia d'urto.»

Se lo fece bastare. Dubitava avrebbe ottenuto una risposta più dettagliata.

Yunca scelse quel momento per accorgersi della loro presenza: il suo sguardo le attraversò di colpo, una stilettata che ghiacciò le viscere di Mira. La danza selvaggia dei fulmini si interruppe, un istante; poi ricominciò, più intensa e folle di prima. Lui si sfregò le mani davanti al fuoco, si concesse qualche altro momento per fingere di essere ancora solo. Quando si alzò, la gamba gli cedette e barcollò di lato, una smorfia gli deturpava il volto.

Appariva così fragile. Eppure gli bastava toccare Mira con un solo dito per piegarla. Farsi battere da una creatura malaticcia come quella la feriva nell'orgoglio. Non poteva accettarlo.

Yunca zoppicò verso di loro. Le dita di Altair le si conficcarono nella spalla. La sospinsero in avanti, e Mira le scoccò un'occhiataccia; in risposta ottenne una strizzata d'occhio.

«Chi si rivede.» Yunca sventolò una mano in direzione di Altair. «La nostra campionessa in carica di mancanza di autocontrollo. O forse dovrei dire, ex campionessa.»

«Ti vedo di merda, vecchio,» lo salutò lei.

«Non sono più giovane come una volta, purtroppo. Colpa di voi giovinetti che mi fate invecchiare prima del tempo.»

Altair schioccò la lingua. «Io mi ti ricordo sempre decrepito.»

Yunca scosse la nuca. La luce del falò lo bagnava da dietro, e il viso avvolto nell'ombra nascondeva un sorrisetto. «E tu sei sempre la stessa maleducata.»

«La ghiacciolina mi ha mandata a chiederti un favore.»

«Un altro?»

Altair scrollò le spalle, come a dire "che cazzo ci vuoi fare?". «La polizia ci sta attaccata al culo, abbiamo bisogno di un posto dove stare.»

Lui si prese del tempo per riflettere. Si passò la mano sulla testa pelata, lasciando una macchia nera lungo la pelle. «Non posso impedirvi di stare qui, no?» La questione si chiuse così, con un suo sospiro a suggellare il patto.

Poi mosse un passo, titubante, verso Mira. Sollevò le dita, come a volerle accarezzare una guancia, ma le arrestò a mezz'aria. «Sei pronta? Questa volta non ci andrò piano.»

Il giorno prima c'era andato piano? Mira scivolò via dal suo raggio d'azione, vittima di un istinto che la pregava di stargli lontana. Non voleva provarlo ancora, il dolore che i suoi fulmini le causavano, il caldo della sua pelle contro la propria.

No, non era pronta. Per niente. Le ci era voluta un'intera nottata, per tornare a sentire la Tempesta come al solito. Le saette dentro di lei erano state agitata, le scricchiolavano sottopelle senza sosta, eppure troppo calme, perché per convincerle a uscire aveva impiegato ore. Non le rispondevano, se ne stavano rintanate in un anfratto buio, spaventate.

Era così che si sentiva Elettra, ogni giorno della sua vita? Era questo il controllo?

Cercò Altair, impegnata a picchiettarsi la coscia. No. Forse stava sbagliando tutto.

Mira levò il mento e annuì. Non dovevano vedere la sua esitazione. Non davanti a un vecchio decrepito come quello. Poteva farcela, dopotutto ci riusciva Altair.

Yunca tese entrambe le mani. Mira si irrigidì, i fulmini le impazzirono, presero a vorticarle nello stomaco. Il sapore di succhi gastrici le inondò la gola. Attese, immobile, che il freddo dei polpastrelli di lui le ferissero le guance. Sobbalzò quando accadde.

Chiuse gli occhi. Non le comandò. Le scariche si sollevarono e basta, le fasciarono il corpo. Le saette schizzarono in avanti, cercarono Yunca. Persero la loro forza a metà tragitto, si afflosciarono, private della voglia di lottare.

Il mondo attorno scomparve. Altair divenne poco più di una presenza lontana, il rumore dei suoi passi si affievolì fino a dissolversi. La luce gialla del falò si mescolò a quella dei fulmini, aggrovigliati gli uni agli altri.

Il sangue le colava fra le dita. Mira allentò le stretta dei pugni. Il fastidio pungente delle ferite durò poco.

Prese un respiro profondo. Fermatevi, ordinò ai suoi stessi fulmini. Ma quelli continuavano ad attaccare, volevano penetrare le difese di Yunca. Tastavano, schizzavano ovunque, solo per bloccarsi nel momento esatto in cui quelli di lui li toccavano.

Fermatevi. Fermatevi.

Divenne una preghiera. Neanche quella aiutò.

«Ora cerca di bloccarmi.» Il sussurro di Yunca le suonò distante. Il suo respiro però le carezzò la pelle.

Le saette le risalirono lungo le braccia. Non le donarono il senso di piacere a cui era abituata. Era come se una miriade di insetti le zampettasse addosso; la pungevano, la mordevano.

Non erano le sue, si rese conto. Non erano le sue, ecco perché le davano la nausea.

Chiamò a raccolta le proprie a ingaggiare battaglia. Quelle di Yunca si strinsero alle sue e le tennero ferme, le bloccarono. Come delle catene.

Mira aprì la bocca e la frustrazione le uscì dalle labbra in un grido bollente. Mosse la testa, tentò di scrollarsi di dosso le mani di lui, ma perfino il corpo non le rispondeva più.

Non pensare di doverlo prendere a calci per farlo smettere.

La voce di Altair le risuonava nella testa. Le apparve la sua figura, la maglia stracciata, la scollatura troppo vistosa, e le ciocche della chioma scarlatta che le ricadevano sulle spalle. Le strizzava l'occhio, le dita a mimare uno sparo di pistola. Fin troppo realistica, per essere solo la sua immaginazione.

Mira aprì gli occhi di scatto, e Altair svanì in un nube di fumo. Al suo posto, Yunca la fissava, troppo vicino. Le rivolse un cenno d'assenso. La stava incitando. Poteva farcela.

La vena sulla tempia batteva a un ritmo frenetico, rischiava di scoppiarle.

No. Stava sbagliando tutto.

Liberati, le disse l'Altair nella sua testa.

E allora Mira smise di combattere. Ritirò i propri fulmini. Li fece divincolare da quelli di Yunca e li richiuse dentro di sé. Gli insetti fastidiosi ripresero la loro avanzata, le attraversarono le braccia, conquistarono le spalle. Mira si concesse un respiro. Poi un secondo. Un terzo.

L'esercito di creaturine zampettanti si arrestò. Le scoppiettarono sulla pelle, una a una. Le immaginò gridare, no. Fu sicura di udire il loro lamento.

Yunca spalancò le palpebre. Le labbra si dischiusero in una domanda muta.

I suoi fulmini si infilarono sotto i vestiti di Mira, le penetrarono nei pori della pelle. Un brivido di piacere la scosse mentre li sentiva scendere nelle viscere, dove si mescolarono ai suoi. Si unirono alla danza selvaggia.

Yunca le sfilò le mani di dosso, allontanò le dita tozze e gelide. Barcollò all'indietro, inciampò e quasi rovinò a terra, ma non le scrollò mai gli occhi di dosso.

Mira sostenne il suo sguardo. Le saette le risalirono in superficie. Scoppiarono, come una miriade di petardi scintillanti, a un palmo dal naso di Yunca. Ansimando, Mira si aggrappò all'ultimo barlume di energia che le restava in corpo, lo costrinse a restarsene dov'era. Le oppose resistenza, ma alla fine si quietò.

Gli occhi di Yunca sembravano sul punto di uscirgli dalle orbite. Così grandi, con le pupille che tremavano.

Una tensione li separava, due campi elettrici che si respingevano a vicenda. Un fischio li attraversò, spezzò l'equilibrio o, forse, la sua mancanza.

Mira sentì un braccio posarsi sulle sue spalle. Altair la tirò a sé. Sapeva ancora di Tempesta, e Mira chiuse gli occhi per un attimo, a godersi la sua forza così vicina. Così piena, quando lei si sentiva così vuota.

«Però, che cazzo hai combinato?»

Yunca aggrottò la fronte, e le rughe divennero più profonde. «Ha assorbito i miei fulmini.»

Altair fischiò ancora. «Questa sì che è una figata.»

«Ma non li sa controllare,» continuò lui, il tono grave. «E non lo saprà fare mai. Non può.»

Mira abbassò la testa. Le punte delle scarpe erano sporche, macchiate di un liquido marrone. Aveva fatto solo quello che lui le aveva chiesto. L'aveva fermato. Perché non andava bene?

Altair le tolse il braccio di dosso. Si allontanò di un paio di passi; la sua energia la seguì. Oltre all'odore della Tempesta, tornò anche la zaffata di fogna. «Che cazzo vuol dire che non può? Riprovate, no?»

Yunca scosse il capo con tanta forza da perdere l'equilibrio. «No, io mi tiro fuori. Non ne voglio sapere più niente.»

«Ma dai.» Nello sguardo di Altair, puntato su Mira, c'era qualcosa di diverso. Oltre il sopracciglio inarcato, oltre quel senso di divertimento che la caratterizzava, sorgeva qualcos'altro. Rispetto? «Andiamo, vecchio, non fare il cagasotto.»

Yunca ciondolò fino alla sedia davanti al falò. Ci sprofondò sopra. «Fate quello che volete, venite a stare qui se dovete. Ma tenetemi fuori. Non ho mai visto niente del genere.»

Mira serrò i pugni. «Ti dà così fastidio quando ti fanno assaggiare la tua stessa medicina?»

Lui sbuffò dall'angolo della bocca, ma non accolse la provocazione. Strofinò i palmi vicino al fuoco, come se non l'avesse nemmeno sentita. La sua fragilità non la infastidiva più, non ora che conosceva il modo per contrastarlo. Il suo cipiglio, però, quello sì che le risvegliava la danza ancestrale di fulmini sotto la pelle. Le labbra increspate, la fronte corrugata: glieli avrebbe cancellati volentieri a furia di pugni.

«Lascialo perdere.» Altair le si parò davanti. Cancellò Yunca dalla sua vista. «Togligli il controllo, e non è altro che una mummia decrepita che aspetta di crepare.»

Forse aveva ragione, però Mira non riusciva a togliersi dalla testa la sua espressione contrariata. «Che facciamo adesso?» sbuffò alla fine.

Altair si picchiettò la nocca sulla fronte. «Passiamo alla prossima fase, suppongo.»

«Io faccio un salto a casa a prendere qualcosa. Non voglio tenermi gli stessi vestiti per quattro mesi.»

Per tutta risposta, Altair ammiccò. «Sai andarci da sola o ti serve l'accompagnamento?»

Mira rispose schioccando lalingua, infastidita. Si accorse di avere i muscoli tanto contratti da non riuscire nemmeno a muoversi. Si riempì i polmoni del puzzo dei bassifondi, rilassandosi quel poco che bastava per camminare fuori di lì.

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