Capitolo 37
«Dovremmo affrontarlo.»
Vega sedeva alla sua scrivania, imbacuccato nel suo travestimento da investigatore ordinato in giacca e cravatta. La osservò dal basso, le mani premute contro un foglio pieno di scritte per tenerlo fermo. La foto del vecchio direttore della S.d. svolazzava appesa alla parete dietro di lui; un mucchio di segni rossi lo collegavano con altri appunti, altre foto di gente che Mira non riconobbe nemmeno.
Andavano avanti nelle indagini senza di lei. Ovvio che fosse così. Eppure scoprirlo così le causò un debole guizzo di fulmini nel petto.
«Chi?» Vega incrociò le dita delle mani e ci poggiò sopra il mento.
Mira lanciò un'occhiata verso la porta. Lo schermo del computer di Norton emetteva un bagliore soffuso. Di lui o degli altri però nessuna traccia. «Drake. Sa qualcosa, dovremmo scoprire quanto.»
«Senza offesa, ma credo sia un'idea di merda.»
Mira reclinò la testa e sbuffò. «Ne hai una migliore?» lo sfidò, il mento sollevato.
Lui impiegò un'eternità a rispondere. Come se la domanda per lui non avesse nemmeno un senso, e gli ci volesse del tempo per trasformarla in una frase di senso compiuto. Mise via il foglio che aveva di fronte e prese un altro fascicolo. «No,» ammise. «Ma è comunque un'idea di merda.»
«Se non vuoi partecipare, non farlo. Ci vado io.»
«Cos'è che speri di ottenere?» Vega tirò la sedia indietro. Quella stridette contro il pavimento.
«Non lo so, ma qualcosa dobbiamo fare.»
«Elettra cosa ti ha detto?»
Mira abbassò le sopracciglia. Elettra non le aveva detto proprio niente, si era limitata a evitare l'argomento. Era troppo impegnata ad auto commiserarsi sui suoi errori per preoccuparsi di dar loro una direzione. Eppure non aveva tutti i torti. La pressione delle aspettative altrui doveva essere schiacciante. «Niente, si è rotta.»
L'espressione di Vega si rabbuiò un istante di troppo. Crollò, e negli occhi scuri comparve una nuvola grigia. «Non credo comunque dovremmo fare niente di troppo avventato,» disse, ma questa volta esitante, senza nemmeno sollevare lo sguardo.
La porta cigolò. Mira fece scattare il collo nella sua direzione, dove Drake apriva e chiudeva l'anta, l'orecchio teso ad ascoltarne il lamento scricchiolante. «Ha bisogno di un po' d'olio.» Abbozzò un sorriso tranquillo.
Né Mira né Vega dissero nulla. Nel silenzio rotto solo dal debole frusciare delle pale del ventilatore da soffitto, Drake mosse un paio di passi dentro la stanza. Piano, con movimenti controllati. Si massaggiava il polso.
«Bentornata,» disse a Mira. Lo schermo rimasto acceso di Norton gli illuminava i denti.
«Ho visto che avete fatto ricerche, senza di me.» Alzò la mano a indicare i collegamenti fra gli indizi alle spalle di Vega. Sebbene nessuno di quelli lasciasse intuire l'identità di Altair o di chiunque altro di loro.
Drake seguì la traiettoria della mano e annuì. «Ah, quello. Sì, ma non ha portato a niente di utile.» Andò alla propria scrivania, si chinò ad aprire un cassetto. «Però abbiamo comunque fatto qualche passo in avanti. Grazie a questo.» Buttò un libro sulla scrivania, dalla copertina rigida decorata con un'esplosione di colori caldi.
Un orologio sospeso nel nulla, circondato da effetti magici e detriti spaziali. Il titolo, Quantum Clock, spiccava al di sotto, in caratteri cubitali e dorati. Sopra invece, eccolo, il nome dell'autrice: Margaret Nim.
Mira incrociò le braccia. La stava prendendo in giro. Aprì la bocca, pronta a mandarlo a quel paese, quando notò Vega e la sua mascella contratta. Richiuse le labbra.
«Quantum Clock, il libro che dovevo regalare a mia nipote.» Drake lo riprese, sfogliandone le pagine. «L'avevo accompagnata a un evento speciale dedicato in una libreria. Pensavamo di incontrare l'autrice, invece lei non c'era, abbiamo trovato solo l'editore. A quanto pare, non vuole farsi vedere in pubblico, e nemmeno lui sa di preciso come sia fatta. L'unica cosa di cui era sicuro è che l'autrice sia una non vedente.» Agitò il libro davanti a sé.
Mira attese, senza capire.
«E allora mi è tornato in mente. È stato un collegamento di fortuna, sai, una cosa che ho notato per puro caso. Ma io questo nome l'avevo già sentito.» Drake afferrò il libro con entrambe le mani. «Nim. Un nome che per qualche motivo il mio cervello continuava a collegare al caso. Allora ho fatto qualche ricerca, ed eccola che spunta ovunque: Nim Almond. Una ragazzina di sedici anni, che qualche anno fa ha fatto parecchio scalpore.»
Il nome non suonò alcun campanello nella testa di Mira, non di per sé. Il cognome però non poteva essere una coincidenza. Lo stesso di Altair.
Una parente?
Vega si alzò in piedi. La cravatta era allentata, come se avesse sciolto il nodo nel tentativo di riprendere a respirare. «Mi sembra un po' poco per saltare a delle conclusioni. Sono solo coincidenze.»
Drake schioccò le dita. «È quello che ha pensato anche Norton all'inizio. Se non fosse che abbiamo deciso di fare alcune ricerche e, be', a quanto pare la madre di Nim ha ammesso di aver avuto un'altra figlia. Anche se ha giurato e spergiurato fosse morta. Ah, a proposito, sapete che in famiglia i capelli rossi sembrano ricorrere spesso?»
Dei collegamenti folli, a cui la polizia si era aggrappata solo per disperazione. Eppure, da qualche parte conducevano, perché la reazione di Vega aveva affondato la mano sulla scrivania e spingeva fino a sbiancarsi le nocche, come se volesse sfondarla.
Mira sciolse le braccia, osò muovere un passo verso Drake. «Quindi? Credete che Margaret Nim sia Altair Almond?» Non ce la vedeva di certo, seduta a battere lettere su uno schermo per produrre frasi di senso compiuto, ancora e ancora, ogni giorno fino alla fine di un'intera serie di libri.
«No, crediamo che Margaret Nim potrebbe essere quella che tu chiami la platinata.» Drake si passò la mano fra i capelli e posò di nuovo il libro. Lo lasciò lì, nell'ombra, dimenticato. «Ma non è questo il punto.»
Sfoggiava il suo sorrisetto finto come una spada scintillante. Si preparava a giustiziarli. Insinuava qualcosa, Mira glielo leggeva dallo sguardo, dal modo in cui la adocchiava.
«Non molti giorni fa, Eugene ci ha detto una cosa interessante. Di averti incontrata in compagnia di una ragazza dai capelli rossi, una tua amica. Diceva che eravate parecchio affiatate.»
Altair. Certo. Lei e la sua stupida mania di fare sempre come cazzo le pareva.
«Però mi è sembrato strano, proprio nel luogo in cui gli ibridi avevano appena ucciso delle persone. Non so, non avevo mai sentito questa Monica. All'inizio mi sono incazzato, perché non me ne avevi mai parlato.» Drake non lasciò mai vacillare il suo sorriso, gli restava stampata in faccia come se fosse stato disegnato con un pennarello indelebile. Le increspature sulla fronte però tradivano un'emozione diversa, vera. «Ma poi ho capito. Dalla descrizione, ho pensato di conoscerla. Una come lei, sai, con quei modi, non si scorda.»
Mira abbassò il mento per scrutarlo dal basso. Cercò i fulmini dentro di lei, quel leggero crepitare ancora stanco dopo la giornata di addestramento con Yunca. Deboli, eppure c'erano, un'energia vaga e appena accennata a cui si aggrappò con tutte le proprie forze. «È per questo che l'hai affrontata?»
Nel frattempo, Vega aveva aggirato la scrivania. Si piazzò al suo fianco, tanto rigido che, se avesse provato a muoversi, si sarebbe spezzato.
Drake non diede retta a nessuno dei due. Continuò a schioccare le dita, annuendo. «Poi abbiamo fatto un altro pensiero. Abbiamo cercato altri appartamenti a nome di Evelyn Moore, e indovinate?» Allargò il suo sorriso. «Abbiamo scoperto che ha un contratto per un appartamento, così l'abbiamo tenuto d'occhio. E, sorpresa, secondo voi chi ci abita? Vi do un indizio: ha i capelli rossi e non si chiama Monica.»
«Merda.» Mira si acciaccò la lingua. Una sola settimana lontana dal lavoro, e quegli stronzi avevano collegato tutti gli indizi sbagliati. Lo sapeva che sarebbe successo.
I fulmini dentro di lei emisero un crepitio. Le si accesero nello stomaco e la manovrarono: non si accorse di avanzare di un passo, né della mano che si alzava a mostrare le scintille. Lo sguardo curioso di Drake la confuse ancora di più. Pensò di colpirlo, di ucciderlo in quel momento e tagliare il problema alla radice.
Ma una mano la afferrò per il gomito. La tirò indietro, e i fulmini si dissolsero. «Mira, fermati.» Il fiato di Vega le solleticò l'orecchio.
Soltanto allora Drake si decise a indietreggiare, i palmi levati in aria. Ma continuava a osservarli con quello sguardo indagatore.
«Perché non mi avete detto niente?» sbottò Vega. Strinse le dita attorno al gomito di Mira fino ad affondarle le unghie nella giacca.
«Perché onestamente ti ho sempre trovato sospetto. E se c'è una cosa che ho imparato nella vita è fidarmi del mio istinto. Mi spiace, amico.» Solo che non era vero, che gli dispiaceva. Lo si leggeva nella sua espressione, troppo gioviale, troppo tranquilla per essere sincera. Qualsiasi cosa si celasse al di là del suo sorriso, Mira la detestò con ogni briciola del proprio corpo.
«Dove sono gli altri adesso?» gli chiese.
Drake allungò il palmo in direzione della porta. «Sono andati ad arrestarle.»
Dalla merda alla brace. «Tu perché sei ancora qui?»
Finalmente, lui esitò. Il sorriso gli vacillò fino a disintegrarsi. Scosse la testa, gli incisivi affondati nel labbro. «Volevo parlare con te. So che sei loro alleata, ora. Lo capisco. Insomma, loro sono come te, ed è una cosa che noi non condivideremo mai, ma...» Si rattrappì all'improvviso. «Sei sempre la nostra Mira.»
Lei schioccò la lingua. «Non sono vostra.»
«No, certo.» Drake sospirò, poi lanciò un'occhiata a Vega. «Tu sei l'ibrido mancante, vero?»
Vega lasciò andare il gomito di Mira. Le rimase un caldo formicolio, lì dove la teneva. «Lo sapevate?»
«No. Non all'inizio. È diventato ovvio però, nel vedervi parlare.» Trasportava la propria attenzione dall'uno all'altra, il sorriso di nuovo smagliante ma i pugni serrati. «Dal modo in cui vi scambiate occhiate.»
Quali occhiate? Poteva anche aver trovato la pista giusta, ma tante delle cose che diceva non avevano il minimo senso.
Mira sbuffò. I fulmini ripresero a corroderle le pareti dello stomaco. «Quindi, che vuoi fare ora? Arrestarmi?» Perché non glielo avrebbe permesso. Non se ne sarebbe di certo stata ferma e buona ad aspettare che le mettesse le manette addosso.
Drake però scosse la testa. «Non abbiamo detto niente ad Alex. Stiamo ancora cercando di convincerla che non sei nemmeno un'ibrida.»
«Perché?»
«Abbiamo bisogno del tuo aiuto,» ammise lui. «Aiutaci a prenderli, e io e Norton ti promettiamo che potrai mantenere il posto e vivere come sempre. Essere una di noi.»
Una proposta che non si aspettava. Mira assottigliò gli occhi, indietreggiando appena. Ancora la sentiva, la Tempesta, spingere per uscire fuori, ricoprirla, uccidere. Sfogarsi. Più tentava di tenerla a bada – con i respiri, come provava a dirle Yunca – più quella aumentava d'intensità.
Avrebbe potuto vivere una vita normale? La solita, vecchia vita, inscatolata in una realtà che la stringeva e la schiacciava ogni giorno un po' di più?
Sarebbe stata al sicuro, certo. Lontana dai rischi dei piani sconclusionati di Elettra o dai calci di Altair.
Vega la superò, un fascio di fulmini gli illuminava le dita. Li concentrò in un solo punto, fino a creare uno scudo fatto di intricate ragnatele elettriche. «E secondo te io che faccio, me ne sto a guardare?»
Drake mantenne la testa dritta, nonostante il sudore gli colasse a grandi gocce lungo la fronte. «Mira,» la pregò, «aiutaci. Aiutami a sconfiggerlo, abbiamo bisogno di te. Siamo i tuoi compagni.»
Ma non lo erano. Non lo erano mai stati.
Furono i fulmini stessi a prendere una decisione. Mira li lasciò fluire in una corrente scoppiettante lungo il corpo. Alzò il braccio e li fece esplodere di fronte a sé: scatenò uno scoppio di saette che si scontrarono con le scrivanie, surriscaldarono il computer fino a farlo saltare in aria e scagliarono Drake contro il pavimento.
Lo sentì gemere dal dolore, ma la furia della Tempesta che le urlava nelle orecchie ne attutì il suono. Così lo guardò soltanto, ammaccato, puntellarsi sui gomiti. Negli occhi gli rilucevano delle lacrime incapaci di uscire.
Vega la prese per il braccio. «Andiamocene, prima che arrivino gli altri.» La condusse verso la finestra.
Saltarono una dopo l'altro, infrangendo il vetro. Le schegge le si conficcarono nella giacca e nelle dita, con cui si proteggeva il volto. I fulmini la difesero dal dolore, e tutto ciò che avvertì fu il loro formicolio sulla pelle, lì dove il sangue la bagnava.
Il fischio dell'aria le vibrò nelle orecchie. Poi arrivò il pavimento, duro e compatto. Mira atterrò in ginocchio, trattenendo a stento un'imprecazione. Produsse un tonfo assordante, subito seguito da quello di Vega, che atterrò al suo fianco.
La rialzò di peso. «Dobbiamo aiutare Ely e Altair.»
Mira lo udì appena. Il sangue le pompava nelle orecchie. Annuì. «Vega?» gli chiese, mentre lui le faceva strada. Dalle finestre della centrale si affacciarono gli agenti, decine, le pistole puntate.
Lui sollevò lo scudo, la protesse da un paio di proiettili. «Cosa?»
«Elettra è Margaret Nim?»
Vega inarcò il sopracciglio. «Sì.»
«Elettra e Altair sono sorelle?»
A questa domanda, lui scoppiò a ridere. Un suono strano, che le giunse ovattato. «Cazzo, no. Grazie al cielo no.»
Si allontanarono dalla centrale, si addentrarono nei vicoli più bui della città. Gli scoppi dei proiettili dietro di loro cessarono.
Mira seguiva il passo di lui, a metà fra una camminata veloce e una corsa. «Allora che correlazione c'è?»
«Una persona importante per entrambe. Ma è una storia lunga. Se vorranno, te la racconteranno loro. Ora andiamo.»
Note:
Per tutti quelli che non hanno ancora letto nulla del prequel, sappiate che mi sono limitata ad accennare per evitare di ripetermi e limitare gli spoiler (anche se immagino sia abbastanza palese). Le due storie nel tempo sono diventate una cosa sola nella mia testa. Non può esistere questa senza il prequel e viceversa, quindi niente... abbiate pazienza se un po' di cose qui rimangono senza spiegazione, la trovate semplicemente nell'altra storia, in caso dovesse interessarvi XD
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