Capitolo 34
Ed eccoli, gli occhi cangianti che la tormentavano nei momenti più assurdi. Gli stessi occhi che sognava nei suoi incubi. Quelli che la riportavano a un periodo che voleva solo dimenticare.
Keira si tormentava la pelle della mano. La pizzicava fra il pollice e l'indice e la tirava, fino a sentire il dolore.
Per come la vedo io, il coltello dalla parte del manico ce l'hai tu.
Qualsiasi parte del coltello stringesse, Keira era sicura non fosse l'elsa. Eppure, le parole di Mira le avevano acceso un barlume di speranza nel petto.
Paula, di fronte a lei, sorseggiava il suo tè con tutta la calma del mondo. Una ciocca di capelli le finì fra le labbra, ma si preoccupò di toglierla – con una lentezza esasperante – solo quando ebbe riposto la tazza sul piattino. La scansò appena, e nel giro di cinque minuti sarebbe stata di nuovo fuori posto.
«Allora.» Prese un pasticcino – lo reggeva con le unghie finte e tanto lunghe che avrebbe potuto usarle per sventrare qualcuno – e lo inzuppò nel tè. «Ho sentito che sei evasa di galera, ultimamente.»
Ed ecco che arrivava la prima ondata di veleno. Keira era sicura di vederlo, il pungiglione che oscillava sotto il tavolo.
«Qualcosa di simile.»
«È per questo che hai quella ridicola parrucca?» Diede un morso al biscottino. «I capelli rossi non ti stanno bene. O forse è il caschetto che è orribile.»
La tua faccia di merda è orribile.
Keira rimase con la pelle tirata fra le dita e si costrinse a respirare. Com'era che quella donna le faceva dimenticare anche come si inspirava?
«Mi hai invitata qui per prendermi per il culo?»
«Calmati. Sei sempre stata troppo irruenta. Uguale a tuo padre.»
Soltanto guardarla le bruciava le retine. Keira distolse l'attenzione, cercò i movimenti meccanici di un uomo che si portava la tazzina di caffè alle labbra, all'altro capo del bar. Non paragonarmi a lui, avrebbe voluto dirle, e sputarle in faccia tutta la bile rabbiosa che le si accumulava nello stomaco da anni.
Ma non ci riuscì. Non stringeva nessun manico, lei: Keira sentiva solo la lama di quel fottuto coltello premerle contro la gola.
«Stessa identica tendenza a schierarvi dalla parte sbagliata,» continuò sua madre. Sollevò gli occhi, quei maledetti occhi, e le mostrò un sorrisetto elegante. «Chissà da dove viene la fissazione di proteggere persone che non hanno davvero bisogno di protezione. Tuo padre amava fare la parte dell'eroe. Ho sempre pensato che lo facesse solo per camuffare la sua vera faccia.»
«Smettila.» Keira lo sibilò a denti stretti. Se ne pentì subito dopo, all'alzata di sopracciglio di sua madre. Riprese a tormentarsi la pelle della mano, già arrossata, e diede un calcio alla gamba del tavolo. La tazza di tè traballò. Alcuni schizzi sporcarono il finto legno.
«Nervi tesi?»
Mille possibili risposte le solleticarono la punta della lingua. Mille difese, mille accuse, mille spiegazioni, mille piagnistei. Non ne pronunciò nemmeno una. Si pentì di non aver pregato Mira o Altair di accompagnarla, di carbonizzare Paula Green come se non fosse stata altro che una criminale qualsiasi di bassa lega nascosta tra i vicoli della città.
«La situazione non si mette bene, per te e i tuoi amichetti.» Paula immerse il pezzetto minuscolo del pasticcino nella tazza. E ne prese un morso ancora più piccolo. Quanto ancora voleva farlo durare, un cazzo di biscottino?
Keira accavallò le gambe. «Mi hai riempita di chiamate perché volevi minacciarmi?»
Un nuovo sorrisetto. La sola vista delle labbra di sua madre che si tendevano da un lato le mandò una scarica di adrenalina furiosa nel cervello. «Non lo farei mai, e lo sai benissimo.» Certo, come no. «Ascoltami, Keira. Finora sono stata paziente, pensavo che prima o poi avresti capito.»
«Capito cosa?»
«Non lo vedi?» Il resto del biscottino le restava intrappolato fra le dita mentre le agitava in aria con l'aspetto della perfetta maestrina. «I tuoi amichetti ti stanno solo usando. Ti mettono in pericolo. Hanno lasciato che ti prendessero.»
Le venne quasi da ridere. Si morse l'interno della guancia per trattenersi. «Non è stata colpa loro. È stato un mio errore.»
Paula increspò le labbra, in quel suo classico sguardo che chiedeva "ma davvero?" «Ha poca importanza di chi sia stato l'errore,» disse invece. «Non cambia il fatto che la partita di scacchi sta per arrivare alla sua conclusione. E non saranno i tuoi amici a fare scacco matto.»
Keira strinse le braccia a sé. Stava omettendo qualcosa, questo era ovvio. «Perché ne sei così convinta?»
Paula batté l'indice sul tavolo. «Ho cercato di proteggerti fino ad ora, ma ormai non posso più. State tirando troppo la corda.» Ripose il mozzicone del biscottino sul piattino. «Abbiamo le informazioni. E abbiamo l'arma per combattervi.»
Un groppo di saliva le si espanse nel palato. «L'arma per combatterci?»
«Ci sono soggetti parecchio pericolosi, nel vostro gruppo.» Si riferiva soprattutto ad Altair. Dopotutto nessuno più della S.d. conosceva la vera portata della sua rabbia. Keira si chiese quanto sapesse, sua madre, di Elettra, Vega e Mira, se fosse a conoscenza della potenza di ognuno di loro. «Ma adesso non dobbiamo più temere nessuno. Non con la mia invenzione.»
La cameriera passò nelle vicinanze, lasciando una scia al gusto di cannella. Entrambe si zittirono, entrambe con lo sguardo rivolto sulla figura minuta della cameriera che si allontanava verso un altro tavolo.
Poi Keira prese un sospiro. «Che genere di invenzione è?»
«Non posso divulgare informazioni.» Paula picchiettò un'unghia contro la tazza, dove restava ancora del tè, ormai freddo. «A meno che, certo, tu non decida di accettare la mia offerta.»
La sedia le scomparve da sotto le gambe. Keira si aggrappò al tavolo, con il terrore crescente di cadere. Ma non cadde mai, perché in realtà la sedia c'era ancora: ne tastò lo schienale, cauta. «Quale offerta?»
«Entra nella S.d.» Una pausa, e le sue ciglia sfarfallarono. «Ti prenderebbero a occhi chiusi, e se dovessero fare resistenza ci penserei io a convincerli. Cancellerebbero le tue accuse, potremmo darti quello che ti serve: un alibi, un ottimo avvocato, quello che serve, e tu saresti al sicuro.»
Non riesce a smettere di cercarti. Ha più bisogno lei di te che tu di lei.
Queste le parole di Mira. Le erano suonate tanto giuste, tanto sagge, da aprire uno spiraglio di fiducia nel suo cuore caduto nella disperazione. Eppure adesso, con sua madre lì di fronte e la sua promessa di una vita più facile, Keira non capiva più come avesse fatto a crederci.
Scosse la testa, forse per scacciare i pensieri, forse per negare le parole di sua madre. «E da quando in qua ti importa di me?»
«Lo sai che mi importa. Non ho mai dimostrato il contrario.»
Keira abbozzò un sorriso amaro. No, infatti. A Paula importava di lei, in quanto pedina. «Certo. Ti importa eccome. Specie dopo la morte di papà. Ti importava così tanto di me...» Che non ti sei fatta problemi a usarmi per sfogarti, pensò, ma non trovò il coraggio di dirlo ad alta voce.
Il palmo della madre aderì al tavolo. «Sei davvero così convinta che sia solo io la cattiva della storia?»
No. Paula non era l'unica cattiva della storia. Così come Keira di sicuro non era la buona. E per questo la odiava ancora di più.
«Forse non sono stata la migliore delle madri,» ammise, e il cuore di Keira accelerò, provocandole una fitta. «È vero. Questo non significa che tutto quello che è successo sia solo a causa mia.»
Nessuna scusa. Nessun "mi dispiace".
«Non entrerò nella S.d. Né ora, né mai.»
L'espressione di Paula mutò. Le labbra si ridussero a una linea piatta, gli occhi si abbassarono. Se prima a caratterizzare la sua presenza era una vaga essenza dolceamara, adesso di dolce non restava neanche l'ombra. «Quindi preferisci farti uccidere piuttosto che allearti con me?»
Fece per prendere la tazza, ma Keira la agguantò per prima e la avvicinò a sé. Si era raffreddata da chissà quanto, eppure era ancora mezza piena.
Paula strinse l'aria nuda fra le dita. «Se avevi sete potevi ordinare. Anziché rubare il mio.»
Meritava che glielo gettasse addosso. Avrebbe potuto farlo. Avrebbe dovuto. Invece Keira la fece scivolare sul tavolo, fra le grinfie della madre. «Vorrei che mi lasciassi in pace.»
«Cerco solo di aiutarti.»
«Non lo voglio, il tuo aiuto.»
«Quindi te la cavi da sola? A fare cosa? A sballarti fino a mandare a puttane tutti i piani dei tuoi amichetti?»
Passava all'attacco.
Centinaia di piccoli spilli le si conficcarono ovunque: nelle spalle, nel petto, sul cranio. Keira sopportò in silenzio. Chiuse gli occhi, respirò a fondo, con i pugni tanto stretti sul grembo da sentire la pelle tirarle sulle nocche.
Ma andava bene così. Poteva farcela. Mira aveva ragione. Sua madre non aveva il coltello dalla parte del manico. Fino ad allora, Keira se l'era puntato addosso da sola, vittima del controllo di Paula. Ma senza il suo burattino, un burattinaio non era nessuno.
«Quello che faccio nella mia vita non è affare tuo,» disse alla fine. E allora la vide, Paula Green, la madre di cui era sempre stata terrorizzata, disintegrarsi. Durò solo una manciata di secondi, ma le regalò un piacevole brivido lungo la schiena.
«Stai facendo un grosso errore.» Sua madre prese un sorso di tè. Si sforzava di apparire composta; il mignolo però le tremava.
Keira sporse il busto in avanti. L'altra abbassò le sopracciglia, a disagio. Le piacque vedere il suo vero aspetto, amava mettere a nudo la piccola e vuota Paula Green. «Non mi interessa la tua opinione. Se hai altro da dirmi, fallo, altrimenti me ne vado.»
«Rovinerai tutto, lo sai, vero? Per te, per i tuoi amici e per la tua ragazza.»
Quelle parole la spinsero indietro, a nascondere le mani fra le cosce e rimpicciolire sperando di sparire. Le faceva ancora male. Le avrebbe sempre fatto male, tutto il veleno che la madre le riversava addosso. L'aveva cresciuta così, dopotutto: con un miscuglio di terrore reverenziale per la donna che chiamava mamma e un bisogno disperato del suo affetto.
Però scoprì di poter sopravvivere ai suoi attacchi. Scoprì che il suo veleno la consumava ma non la uccideva.
Così Keira si alzò e batté una mano sul tavolo. «Preferirei morire piuttosto che tornare a fare il tuo burattino. Ma grazie per l'avvertimento.» Le tolse la tazza da davanti, ancora. Questa volta trovò il coraggio: gliela rovesciò in testa.
Fra le risate divertite deiclienti e le scuse borbottate dalla cameriera, fece la sua uscita di scena.
Note:
Ho cercato di rendere meglio l'arco narrativo di Keira, che prima si vedeva principalmente tutto in questo unico capitolo, ora ho cercato di farla arrivare a questo punto in maniera meno repentina. Spero di esserci riuscita. Anche se la sua storia non è ancora finita, tranquilli che presto avrete l'intera backstory.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top