Capitolo 33

L'uscita di Nuova Folk era minuscola, in confronto all'immensità della città: una singola porta scorrevole le cui ante separavano le due estremità della cupola. L'altezza non superava i quattro metri, la larghezza era appena sufficiente perché ci passasse un camion. Al di là del vetro, la pioggia cadeva più pigra del solito, poche piccole gocce.

Accovacciata sul bordo di un tetto vicino, Elettra dava dei colpetti allo schermo del visore. La vista le sfarfallava, e i due poliziotti di guardia – un uomo e una donna – venivano inghiottiti dal buio a intervalli irregolari.

«Che palle.» Poco più in alto, Altair batteva con insistenza le unghie contro la cisterna su cui si era arrampicata. «Perché cazzo non possiamo stenderli e basta?»

«Lo sai il perché.»

L'altra sbuffò, ma non aggiunse nuove lamentele. Entrambe aspettavano, una aggirandosi su e giù lungo il tetto, l'altra il più immobile possibile, concentrata sui due poliziotti, sul momento in cui avrebbero cacciato la solita bottiglia di vino pregiato comprata mentre si dirigevano lì. La stessa bottiglia dal collo lungo e stretto che Elettra si era premurata di avvelenare il momento prima che la poliziotta la scegliesse. Un veleno leggero, sufficiente per stordirli per un paio d'ore.

Il poliziotto puliva la canna della pistola, seduto su una sedia di plastica. La collega colpì il tavolino davanti a lui con la bottiglia piena. Un paio di risate, poi entrambi si versarono da bere. Un paio di minuti di chiacchiere, poi entrambi rovesciarono le teste all'indietro, addormentati in posizioni innaturali.

«Porca troia, era ora.» Altair non attese oltre. Si lanciò di sotto, le braccia allargate e il busto proteso in avanti. I fulmini le danzavano addosso, la ricoprivano di un'elegante energia distruttiva.

Elettra la imitò. Atterrò pochi secondi dopo, a pochi passi dai poliziotti e il lieve russare che usciva dalle loro labbra. Si avvicinò all'uomo, la mano protesa per prendergli la chiave magnetica appesa al collo, ma la vista le tremolò. Il visore si accendeva e spegneva a una velocità esagerata.

Indietreggiò, d'istinto. Qualcosa non andava. Funzionava davvero male negli ultimi tempi.

«Come cazzo fanno a cascarci tutte le volte?» Altair tirò via la chiave magnetica dal collo dell'agente. La passò sul dispositivo accanto alla porta.

Elettra spense il visore una volta per tutte. L'oscurità la avvolse. Soltanto il bagliore dei tuoni al di fuori e i fulmini che coprivano Altair spezzavano la monotonia delle tenebre. «Sembra assurdo, ma ci vuole una certa intelligenza per capire che fare le cose sempre allo stesso modo porterà sempre lo stesso risultato.»

«Che coglioni.»

Un suono metallico. Le porte si aprirono. Un lampo squarciò il cielo mentre Altair varcava la soglia di Nuova Folk. Elettra la seguì, piano, a tentoni, verso il regno luminoso della Tempesta.

«Quindi andate d'accordo tu e lei, adesso?» le chiese.

Altair picchiò il dito contro lo schermo del telefono. «Chi?»

«Mira.» Le aveva raccontato del pomeriggio trascorso insieme, a darsele di santa ragione. L'aura energica che la circondava aveva sprizzato vitalità, mentre gliene parlava.

Ottenne uno sbuffo. «Col cazzo. Solo che mi sta meno sulle palle di quanto pensavo.» La luce intermittente dei fulmini la illuminava dall'alto. La pioggia le cadeva sulla testa, le appiattiva i capelli e le percorreva i lineamenti del volto, le forme del corpo.

Elettra reclinò il capo e dischiuse la bocca. Le gocce le calarono sulla lingua. Avevano un sapore forte, naturale. Di libertà. «Andiamo, dillo e basta che ti piace.»

«Stronza.» L'ombra di un sorriso le tratteggiò le labbra. Durò poco più di un istante, poi i suoi fulmini si agitarono. «Sai quanto ci ho messo a ripulirmi da quella merda che mi ha messo nei capelli? Quattro lavaggi ho dovuto fare. Quattro. E ora ho la testa che prude come quella di un marmochietto coi pidocchi.»

«Che merda ti ha messo nei capelli?»

Altair borbottò qualcosa, ma il rombo di un tuono coprì le parole. C'era un che di sbagliato, nel modo in cui la sua energia, come un vulcano, sputava lapilli di stizza. E se con una mano reggeva il telefono di fronte a sé, a riprendere la desolazione fuori da Nuova Folk, l'altra restava nella tasca.

Qualcosa la tormentava. Elettra si morse la guancia. Avrebbe voluto chiederle quale fosse il problema, aiutarla, perché l'agitazione dei fulmini di Altair scuoteva anche i suoi. In quel mondo vuoto però, fatto di rovine di edifici e terra bagnata, di alberi dal tronco spezzato e segnali stradali ormai cancellati, le mancava il respiro.

I tuoni spaccavano l'oscurità nel cielo a metà. Rischiaravano le sinuose silhouette di grattacieli privati di mezza facciata, di resti di automobili rovesciate, di vecchi distributori rotti e vuoti. Li inondavano con il loro bagliore.

Elettra tese le braccia verso l'alto, cercò la pioggia. Le gocce d'acqua trasportavano un senso di inquietudine, una rabbia gorgogliante. Non era solo Altair, anche la Tempesta stessa aveva qualcosa di insolito.

Alcune saette piombarono nel suolo, a pochi passi. Il terreno le tremò sotto i piedi e, per un attimo, il mondo divenne troppo luminoso. Poi, le creature vennero avanti, una dopo l'altra. Informi, delle copie vaghe di esseri umani. Si muovevano a scatti, in gesti esagerati, rabbiosi.

Esseri nati dalla Tempesta. Creati a immagine e somiglianza di persone. Erano come ricordi sbiaditi, plasmati da una creatura superiore seguendo memorie lontane.

Qualcosa la colpì alla spalla. Altair, con il telefono. «Reggilo.» Un fascio di fulmini e saette, ecco come si presentava adesso. Una vera figlia della Tempesta.

«No.» Elettra la scansò con la mano. «Lasciali a me. Non abbiamo tempo da perdere con loro, ti ricordo che fra un paio d'ore gli agenti si sveglieranno.»

«Eh? Ma che palle!» Nonostante tutto, Altair si fece da parte.

Elettra allungò le dita verso le creature. Un pizzicore le tormentò le dita. Uno degli esseri si lanciò in salto su di lei, entrambe le braccia sollevate; dai polpastrelli di Elettra uscirono delle saette che lo intercettarono al volo. Si aprì un buco fra i lampi che componevano l'essere, un gigantesco buco nero che risucchiava il mondo dentro di sé.

Altre quattro creature giunsero dai lati. Elettra batté il tacco a terra. Il terriccio umido si spaccò in due. Proiettili folgoranti viaggiarono fra le fenditure e si innalzarono verso l'alto, in un boato assordante.

«Ripeto: che palle.» Il profumo di ambra di Altair le arrivò alle narici. I suoi capelli le solleticarono la spalla scoperta.

«Te l'ho detto, non abbiamo tempo di dare spettacolo.»

«Che stronzata. Come se riprendere quelle specie di ologrammi di merda servisse a qualcosa.»

Forse non ancora, ma Keira avrebbe scoperto la verità sulla Tempesta. Studiando le riprese, avrebbe trovato qualcosa.

Prima che Elettra potesse risponderle, una luce lontana attirò la sua attenzione. Non aveva una forma, era solo un'enorme sfera lucente fra gli edifici. Non rimaneva immobile, si muoveva, avanzava, e si avvicinava a una velocità allarmante.

Afferrò la manica della giacca di Altair, la tirò a sé. Uno strattone, e l'altra si liberò subito. «Adesso che cazzo c'è?»

Elettra indicò la luce. «Non la senti?»

Un'esplosione di rabbia e fulmini che camminava. Il cuore stesso della Tempesta, palpitante; il cuore della Tempesta, fonte della sua forza ma anche muscolo fragile.

«È un tizio,» rispose Altair. La sua figura si perdeva nell'immensità del bagliore ormai troppo vicino. «Nudo,» fece una risatina, «ben messo, tra l'altro.»

E allora lo vide anche Elettra. Un uomo, non molto alto, vestito con nient'altro che fulmini. Non possedeva un vero volto, perché i suoi lineamenti si sfaldavano e si protendevano come i raggi del sole. Inghiottiva ogni cosa, attorno a lui il mondo perdeva consistenza. Avanzava e basta, il capo chino, le gocce di pioggia gli scivolavano sulla nuca.

«È un ibrido?» chiese Elettra in un soffio spaventato. Mai prima di allora si era ritrovata di fronte un'energia tanto immensa.

Altair comparve di nuovo, accerchiata dalle sue stesse saette. «Se è qui per farsi pestare, è il benvenuto.»

«Altair, non credo sia una buona idea.» Possibile che non si rendesse conto? Possibile che non sentisse la gravità schiacciarla, al cospetto della forza di quell'ibrido?

L'uomo le raggiunse. Si fermò a pochi metri davanti a loro e sollevò la testa. Elettra alzò una mano a schermarsi gli occhi. Poi arrivarono gli ologrammi: immagini sfocate, oltrepassate dalle gocce di pioggia. Persone prive di volto. Qualcuno legato su una barella; altri abbigliati con lunghi camici che lo fissavano. La scena si dileguò subito dopo.

Altair era rigida. «Che cazzo era?»

Elettra non lo sapeva. Cercò una risposta nel cuore della luce infinita di fronte a sé, nell'ibrido sconosciuto. Non trovò nulla oltre a una crescente rabbia che le si insinuò nel petto e lì mise radici. «Chi sei?» chiese allora. Un grido nel frastuono della Tempesta. Dei punteruoli invisibili le si conficcarono negli occhi, e fu costretta a chiuderli. Una lacrima le scivolò giù sulla guancia sinistra.

L'ibrido levò il palmo. Giunsero altre immagini, confuse, troppo veloci: uomini in cravatta che litigavano sulle scale di un grosso edificio; una figura rannicchiata per terra; lampi continui di luce.

«Adesso mi ha rotto le palle.» Altair gli corse incontro. Gli ologrammi scomparvero al suo passaggio e, al loro posto, sorse un muro di fulmini avvinghiati l'uno all'altro. Circondò l'ibrido, e Altair impuntò i piedi per evitare di sbatterci contro. «Tutta questa merda non ha un cazzo di senso.»

«No,» concordò Elettra. Il terreno le tremava sotto i piedi. «Non ce l'ha.»

Ma la pioggia divenne più fitta e i tuoni ruggivano tanto forte da assordarla. Il muro di saette si disintegrò da solo. Al di là però non c'era più l'ibrido, né la luce che lo circondava. Non rimaneva altro che il buio.

Cosa avevano appena visto?

Elettra strinse le dita di una mano in una morsa. Non lo sapeva. Eppure, non riuscì in alcun modo a scrollarsi di dosso la sensazione che quell'ibrido le avesse lanciato una richiesta di aiuto.

Note:

Se c'è un po' di confusione su cosa sia appena successo, è tutto normale. La spiegazione ci sarà fra due capitoli esatti, giuro XD

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