Capitolo 3
Una nuvola di fumo sgattaiolò fuori dal garage e si alzò verso l'alto, dove si scontrò con la cupola. Il movimento placido delle ventole lo dissipò. Ciò che restava avrebbe viaggiato fino a trovare i condotti di aerazione e se ne sarebbe uscito all'esterno, assieme alla pioggia e ai fulmini e alla maestosità dei fulmini.
Mira si avvicinò all'entrata e sostò sulla soglia. Altro fumo la colpì dritto negli occhi; tossendo, li chiuse, ma ormai le bruciavano. Quando li riaprì si asciugò le lacrime.
Lucidata e perfetta, in mezzo a un mucchio di attrezzi buttati alla rinfusa, se ne stava immobile una moto rosso scuro. Ogni pezzo che la componeva luccicava, comprese le gomme, e Mira avrebbe detto che fosse nuova e mai utilizzata, se non fosse stato per lo specchietto che penzolava da un lato e la marmitta accartocciata su se stessa. Chiunque avesse utilizzato quel gioiello, doveva essersi scordato dove fossero i freni.
La faccia di una donna fece capolino da sotto la moto. Riconoscerne i lineamenti risultò impossibile, e non solo a causa degli occhiali protettivi che le ricoprivano metà viso: la pelle era completamente incrostata di nero. Guardò in direzione di Mira, tuttavia finse di non notarla. Afferrò una chiave inglese da terra e tornò a concentrarsi sul veicolo.
Mira sentì la palpebra fremerle. Si portò una mano davanti alle labbra e si schiarì la gola, per attirare l'attenzione e sfogare i nervi. Rilassò subito i muscoli, perché l'altra balzò in piedi. Peccato solo che, anziché andarle incontro, si piantò una mano sul fianco e si guardò attorno in cerca di qualcosa, e un fulmine ballerino scombussolò lo stomaco di Mira. La strana donna si fece largo fra un ammasso di scatole vuote, fino a raggiungere un ripiano sepolto dagli attrezzi più disparati. Prese qualcosa da lì e tornò al lavoro.
Mira si premette le labbra una contro l'altra e inspirò a fondo. Norton avrebbe dovuto avvertirla che si sarebbe ritrovata davanti un soggetto del genere, almeno si sarebbe preparata a dovere. Qualche minuto in più a godersi l'energia scorrerle lungo il corpo le avrebbe concesso la pazienza di sopportarla, forse. Invece si era vestita in fretta e furia e si era precipitata fuori a cercare quel benedetto posto. Dopo la serata precedente, le mancava solo interrogare una svitata per completare il quadro.
Quando Mira tornò al presente, si ritrovò un paio di occhi cangianti addosso. Una cicatrice le attraversava il sopracciglio, creando due piccole linee bianche a separare i peli.
«Sei tu McRaven?» Mira avanzò di qualche passo. Se l'altra avesse di nuovo fatto finta di nulla e si fosse mossa a rovistare ancora, giurò a se stessa di stenderla con un pugno dritto sul naso.
Quella si pulì le mani sul giubbotto impellicciato e sporco. «Dipende da chi la cerca.»
«Questo sarebbe un sì?»
«Ho detto che dipende da chi la cerca. Potrei essere McRaven come potrei essere McGigia.»
La fronte di Mira si increspò. Neanche il sospiro che ne seguì bastò a scacciare l'elettricità nervosa che la invadeva. Non era affatto sicura che quella tipa sarebbe arrivata indenne al termine della conversazione. «Sono un'agente di polizia,» e cacciò il distintivo dalla tasca per mostrarglielo. «Sono qui per porti delle domande.»
«Sì, questo l'avevo capito.» McRaven fece un gesto distratto con la mano, a indicare la divisa blu scuro dell'altra. «Ce l'hai scritto ovunque, non è che non lo vedo.» Si abbassò a terra per poggiare l'attrezzo che teneva in mano. Nell'atto, il giubbotto sbottonato regalò un'ampia vista sul suo seno prosperoso. Mira roteò gli occhi e si voltò dall'altra parte, per rispetto di se stessa più che di quella svitata. «Sì, sono McRaven,» annunciò finalmente. «Ma puoi chiamarmi Keira.»
Bene. Per lo meno si facevano passi avanti. «Mira,» rispose.
Keira annuì con un certo entusiasmo. Con entrambe le sopracciglia inarcate e la testa inclinata, la squadrò dall'alto in basso. «Senti un po', per caso sei impegnata più tardi?»
Mira sbatté le palpebre, senza capire.
«Potremmo anche conversare meglio a pranzo, no?» continuò McRaven.
Mira distolse lo sguardo per un attimo. Cercava una telecamera, qualsiasi cosa che potesse spiegare la situazione. «Provarci con un ufficiale di polizia mentre ti sta ponendo delle domande è un reato. Lo sai, vero?»
«Però, hai l'autostima alta. Non ci stavo provando, solo che rispondo meglio alle domande con lo stomaco pieno. E, vedi questa moto? È da questa notte che ci sto lavorando, ho saltato sia cena che colazione. Sono sicura che anche il modo in cui guida quella pazza sia un reato.»
«So che ti occupi anche di innovazioni tecnologiche,» cambiò discorso Mira. Prima arrivava al punto, prima poteva andarsene. Prima se ne andava, meno rischiava di stampare la suola della scarpa sul volto di quella svitata. «Produci anche qualcosa come dei visori?»
«Visori?» Keira afferrò un asciugamano buttato accanto ai suoi piedi e lo utilizzò per pulirsi il viso alla bell'e meglio. «Io costruisco un sacco di cose. Dovresti essere un po' più specifica.» Con un veloce gesto della mano, estrasse una sigaretta dalla tasca del giubbotto e se la portò alle labbra. La accese e inspirò a fondo. Sbuffò un'ondata di fumo direttamente sul viso di Mira, che lo scacciò con la mano.
«Mi assento due minuti, e già fai la cascamorta con la prima che capita.»
Mira si girò di scatto. Alle sue spalle, una ragazza poco più alta di lei, altrettanto bionda, la fissava con un'espressione corrucciata. La superò con il mento sollevato, il portamento di una principessa altezzosa, e andò ad appoggiarsi contro la moto.
«Uh, la biondina è tornata!» McRaven le passò la sigaretta che teneva fra le dita. La nuova arrivata le scansò la mano con delicatezza.
«Lo sai che mi fa schifo il fumo. Puzza di pattumiera.»
«Sei tu che sei sempre troppo esagerata.»
«No. Chiedilo a chiunque. E comunque, guarda che ormai fumare è fuori moda.»
«Sai cos'è fuori moda? La tua fidanzata che si lamenta del fumo. E comunque, dovresti mostrare un po' di rispetto. Non lo vedi che c'è un'agente qui con noi?»
La nuova arrivata rivolse appena un'occhiata a Mira. «Sai, ho sempre pensato che la divisa della polizia sia orribile. Avrebbe bisogno di un tocco di stile in più. Avrebbe bisogno... di lustrini.»
«Lustrini?», ripeté Keira.
«Lustrini.»
«Ma si può sapere che ti dice la testa?»
L'altra lasciò cadere l'espressione impenetrabile per concedersi una risatina. «È esattamente quello che mi chiedo ogni volta che ti vedo con quel giubbotto. Ma cos'hai, le tette in fiamme, per caso?»
Fantastico. La follia era appena raddoppiata. Una volta tornata in stazione, un bel ceffone a Norton non l'avrebbe tolto nessuno. Almeno la prossima volta imparava ad avvisarla, prima di mandarla nella tana di due pazze snervanti da sola.
«Insomma, posso farvi delle domande o devo arrestarvi?» sbottò.
Le due si girarono nella sua direzione quasi all'unisono. «Biondina, te l'ho detto che devi portare rispetto a un'agente.»
«La biondina si chiama Evelyn,» si lamentò la diretta interessata. «Comunque sì, ti chiedo scusa. Anche se è normale che non provi particolare simpatia per una che prova a sedurre la mia ragazza, ti pare?»
«Sedurre chi?» Mira per poco non fece partire un fulmine di troppo; lo sentì schizzarle sottopelle, lungo la schiena. «Sono qui per interrogarvi.»
McRaven scoppiò in una risata. Gettò a terra il mozzicone di sigaretta che teneva fra le mani, che rotolò fino ai piedi di Mira. «Però, sai, è strano che tu sia sola. Di solito non vi muovete in due?»
«Ero l'unica stronza disponibile.»
«Non ci saremmo offese se ci avessero mandato qualcuno di gentile,» disse Evelyn.
Mira non la degnò di una risposta. La fissò e basta, con una vena che le pulsava sulla tempia.
«Eve, smettila di farla innervosire, su.» Keira circondò le spalle dell'altra ragazza con un braccio. «Non mi va di sprecare una giornata dietro le sbarre, ho un sacco di cose da fare.»
Mira non si era mai sentita tanto impotente in vita sua. Dove non arrivavano le sue risposte brusche, una bella minaccia di solito bastava; peccato che dopo l'ultima volta si era beccata un richiamo di troppo. Se ci teneva al lavoro, la pistola doveva restare nella fondina. Sperava solo di non perdere il senno prima di ottenere una qualche informazione utile da quelle due.
«Va bene, va bene,» sbuffò Evelyn. «Che vuoi?»
Finalmente. «Ieri un'ibrida con uno strano visore ha ucciso un civile davanti ai miei occhi ed è fuggita.» Mira raddrizzò la schiena.
Keira fece scivolare la mano dalla spalla di Evelyn. «Potresti descrivermi il soggetto in questione?»
«Capelli bianchi, abbastanza agile, sembrava una bambola.» La stronza platinata. Il solo pensiero di quella faccia da cazzo le provocò un brivido. Al loro prossimo incontro, gliel'avrebbe fatta pagare.
McRaven si allontanò dalla moto e da Evelyn e si chinò a rovistare di nuovo fra le scatole piene di oggetti inutili. Borbottava qualcosa fra sé e sé, una specie di canzoncina in rima. Alla fine si rialzò con un apparecchio fra le mani: un visore. Spento, senza alcuna luce che gli illuminasse lo schermo, sembrava un modello antiquato di quello della platinata. «Era qualcosa tipo questo?»
Mira annuì, gli occhi incollati sull'apparecchio. «Sì, molto simile. Quindi è opera tua?»
«Probabile. Sono l'unica abbastanza intelligente da creare un gioiellino del genere, qui.»
Pazza e megalomane. Mira evitò di commentare. «Ma a cosa serve?»
McRaven ripose il visore sul sedile della moto e le rivolse le spalle. «Serve a vedere.» Scansò alcune scatole da un mobile nascosto sul fondo della stanza, rivelando lo schermo acceso di un computer. Picchiettò la tastiera, e soltanto dopo tornò a guardarla.
«Vedere che cosa?»
«Tutto quanto.» Keira si appoggiò alla moto, accanto a Evelyn. «Non tutti sono così fortunati da poter vedere la mia bellezza, sai?» L'altra le rifilò un buffetto sulla spalla, così aggiunse: «O la sua.»
«Aspetta, mi stai dicendo che è cieca?»
Ottenne solo un cenno d'assenso col capo, che tuttavia la lasciò senza parole. Aveva dato per scontato che il visore servisse a mostrare mappe o una realtà aumentata o chissà cosa, non certo che donasse la vista. Senza quell'affare addosso, la platinata non sarebbe stata nemmeno una vera minaccia.
In un prossimo incontro, a quello doveva puntare Mira.
«Ma come funziona?» chiese subito dopo.
«No, non domandarglielo,» disse Evelyn, ma Keira aveva già iniziato a parlare.
«Ha dei sensori che si attaccano alla retina. Il visore scannerizza l'area circostante e manda degli impulsi ai sensori. Questi, a loro volta...»
«No, no, non intendevo questo.» Mira agitò una mano in aria per zittirla. «Intendevo, cosa vede. Come.»
«Ah. Non ne ho la più pallida idea.»
«Ma non l'hai costruito tu?»
«Sì, ma io ci vedo già. Con me non funziona.»
«Sapevi di aver venduto l'oggetto a un'ibrida?» Una domanda stupida, ma doveva fare un tentativo.
«E che ne so io di a chi ho venduto cosa? Anche volendo, non posso mica ricordarmi tutti.» Appunto.
Come se qualcuno potesse dimenticarsi di una come la platinata. Non era certo una tipa che passava inosservata. Mira tenne il commento per sé, per il momento sapeva abbastanza. Voleva solo andarsene. «Per oggi finiamola qui. Non siete sospettate, per adesso, ma non cercate di nascondervi, potremmo avere altre domande in futuro.»
«Noi rimaniamo qui.»
«Fossi in te proverei a mettere dei lustrini, sono carini,» le urlò Evelyn.
Mira bloccò il passo a metà, i fulmini le scoppiettavano sottopelle. Poggiò di nuovo il piede, piano. Non disse una sola parola, perché solo l'idea di parlare rischiava di farla esplodere. Con le vene che ancora pulsavano e le dita formicolanti, lasciò quel luogo.
Note:
Ed eccoci qui, dopo il delirio! Keira ed Evelyn sono e restano fra i miei personaggi più assurdi di sempre, e le amo per questo, anche se la peggiore deve ancora arrivare xD Voi che ne avete pensato?
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top