Capitolo 25

Altair inspirò a pieni polmoni l'odore della Tempesta. L'odore della libertà. A ogni tuono, la cupola sopra di loro tremava e si incrinava; a ogni tuono, la voce della Tempesta le rimbombava nelle orecchie, con il suo timbro possente.

Sorrise. Era invincibile. I fulmini le scorrevano addosso, le scoppiettavano sulla pelle e i vestiti.

Puntò la pistola a doppia canna sulla creatura più vicina. Le mancava già la testa. Quella ridicola imitazione di un figlio della Tempesta le provocò una risata. Cazzo, se erano grotteschi quegli affari.

I proiettili esplosero sui fulmini che componevano la creatura. Le lasciarono intatta solo la parte inferiore, un paio di gambe saltellanti. Altair sollevò un sopracciglio, un mezzo ghigno sulle labbra. Le tornò in mente un ricordo lontano, di quando da piccola guardava un cartone animato davvero stupido in cui i personaggi non avevano né un busto né una testa. Quando erano felici, saltellavano sulle chiappe.

Chissà, magari prima o poi anche quei figli della Tempesta usciti male si sarebbero messi a dare culate sul pavimento.

Quasi non se la sentì di farlo fuori.

Ma premette il grilletto.

Anche l'ultima traccia della creatura svanì in uno scoppio di fulmini.

Un pensiero fugace la attraversò. Gli agenti. Non doveva farsi vedere. Merda.

Si voltò a controllare che quelli non avessero intenzione di colpirla con i loro guanti spara-onde-rompicoglioni. Invece li trovò stesi a terra, privi di sensi. Soltanto Mira era cosciente, inginocchiata. Faceva smorfie e tratteneva a stento dei versi ambigui. Sembrava una che tratteneva una puzzetta nel bel mezzo di una scopata.

«Per l'ennesima volta, potresti evitare di farti scoprire?» Elettra comparve dal nulla. Affiancò Altair. I suoi bei capelli sempre ordinati avevano perso la messa in piega.

«Che rottura di palle.» Altair sbuffò.

I fulmini le mandarono una scarica nello stomaco. Rispondevano a un'energia in movimento alle sue spalle. Altair gettò la pistola da parte e piantò un pugno folgorante sulla non-faccia della creatura dietro di lei. Le saette di lei lottarono contro quelle della cosa. Un paio di scintille volarono in aria. Poi lo scontro terminò in uno scoppio di fulmini.

Il pavimento ne rimase bruciato. Della creatura più nessuna traccia, solo quella chiazza scura sull'asfalto ad attestarne l'esistenza.

Altair schioccò la lingua. Un ammasso di scartine. E lei che aveva sperato di divertirsi davvero, per una volta. Dopo la chiamata di Elettra, che l'aveva avvertita della situazione, la Tempesta dentro di lei si era ringalluzzita. Invece quei mostri ridicoli erano buoni solo come riscaldamento.

Un'altra delle cose le si lanciò addosso; le braccia spalancate, il corpo un crepitio continuo. Cosa cazzo sperava di fare? Abbracciarla?

Altair le rifilò un calcio al volo. La testa della creatura esplose in aria; ciò che ne restava volò lontano e urtò il pavimento in un tonfo sfrigolante. Si rialzò in piedi nonostante tutto.

Ignorandolo, Altair indicò Mira. Un'energia immensa, che increspava l'aria, la circondava. Emanava scariche di fulmini che salivano verso la cupola, come a volersi ricongiungere con la Tempesta. «Quella che problemi ha? Sta orgasmando da mezz'ora.»

Le tremavano le braccia al cospetto di un potere tanto immenso. Le sue saette spingevano per raggiungerla. Per un attimo, Altair arrivò a chiedersi se Mira non fosse la Tempesta stessa in forma di persona.

Elettra si accucciò accanto a Mira. Nonostante la mancanza di visore, sapeva benissimo dove guardare. Certo, ovvio. Mira doveva essere una vera e propria lampadina ambulante, per lei.

Fece per toccarle una spalla, ma una scintilla le scoppiò sulle dita. Portò la mano al petto, mordendosi il labbro. «Mira, mi senti?»

L'altra scosse il capo. Mostrò i denti, stretti in una morsa. Poi emise un piccolo gemito.

«La Tempesta ci sa fare.»

«Altair, per favore.»

«Cosa? Guarda che è lei a scoparsi la Tempesta, mica io.» Da un lato la invidiava. Dall'altro, solo starle vicino le scombussolava i fulmini e, oltre a una piacevole scarica di energia, le lasciava anche un fastidioso prurito sottopelle.

Chissà che cazzo si provava, a stare al posto della pazza sadica.

La maschera di ghiaccio di Elettra si frantumò. Lei rise appena. «Credo stia accumulando tutta l'energia.»

Altair si portò una mano sul fianco. «Hai fatto la scoperta della merda. L'avevo capito.»

«Se continua così rischia di esplodere.»

Emise un fischio. «Quindi cos'è, una specie di bomba a orologeria?»

«O quello, o un kamikaze.» Elettra si passò una mano fra i capelli, li scompigliò ancora di più. «Non sono sicura che sopravvivrà all'impatto.»

Altre creature si avvicinarono. Non vedevano proprio l'ora di morire, quelle stronze. Un paio di calci, e quelle sparirono. Le altre barcollavano verso di loro, ancora distanti. Altair le osservò uscire una dopo l'altra dalla torre, un esercito patetico e infinito. Vicine le une alle altre, creavano un bagliore accecante nel buio, che spariva solo all'arrivo di un tuono della Tempesta.

Altair sollevò il medio verso di loro. Poi si abbassò accanto a Elettra, il capo inclinato da un lato mentre guardava la smorfia di Mira. «Quindi? Che facciamo? Aspettiamo e vediamo se schiatta?»

«Credo dovremmo fermarla.» Elettra però non si mosse. Si massaggiava le dita, lì dove prima le scintille di Mira l'avevano colpita. La pelle in quel punto era arrossata.

Mira sollevò il volto. Incontrò Altair, di fronte a lei. Le sue iridi lucenti riflettevano un grido muto. Una richiesta di aiuto? Ridicolo. Eppure la sensazione che la stronza sadica le chiedesse soccorso le risaliva sulla bocca dello stomaco e, come un verme sgusciante, le agitava la coda nella pancia.

Altair tirò un sospiro. Balzò in piedi e sollevò una gamba. La faccia di Mira attirava il colpo, lo chiedeva, lo aspettava.

«Aspetta!» Elettra la costrinse a riabbassare il piede.

Lei roteò gli occhi. «Cosa? Hai detto tu di fermarla.»

«Ma non così. Tu per evitare che una bomba esploda la prendi a calci

Non trattenne una risatina. «Perché no?»

Elettra si rialzò. Scosse la testa, le labbra tirate. Non si capiva se stesse sorridendo o trattenendo una bestemmia. Forse entrambe. «Stupida io a chiedertelo.»

«Se perde i sensi magari non esplode.»

Mira allungò una mano ad afferrarle la caviglia. Altair la lasciò fare, il sopracciglio inarcato, ma il tocco dell'altra le mandò una scarica elettrica lungo la gamba. Un miscuglio di dolore e piacere pulsante le risalì fino alla nuca.

Si liberò con uno strattone. «Merda,» sibilò, una mano ai capelli. La pelle sulla testa le era diventata una grattugia.

Elettra le sfiorò la spalla. «Stai bene?»

«Sì. Anche se quella stronza deve smetterla di provarci con me.»

Nonostante la confusione le velasse il volto, Mira reclinò il capo per guardarla. Articolò una risposta muta con le labbra. Un chiaro e semplice «vaffanculo».

«Perdendo i sensi potrebbe peggiorare,» disse Elettra, ignorando entrambe.

«Quindi che facciamo? La ammazziamo?»

Elettra le diede un buffetto sulla spalla. «Aspetta, fammi provare una cosa.» Lisciò l'orlo del maglione e si inginocchiò. «Mira, ascoltami. Non è facile, ma puoi controllare tu i fulmini. Segui le mie istruzioni, d'accordo?»

Le sembrava davvero il momento per le sue lezioni di merda sul controllo? Altair sbuffò. Si voltò con il gomito a coprirsi il volto; lo abbatté sulla nuca di una creatura troppo vicina. La privò della testa, poi le conficcò un pugno nello stomaco e, con un calcio, gli spazzò via le gambe.

«Chiudi gli occhi.» Le indicazioni di Elettra le facevano da sottofondo, mentre Altair massacrava anche il resto delle cose. «Fai un respiro profondo. Concentrati sui fulmini. Prova a immaginare di rinchiuderli in una scatola.»

Una ginocchiata e anche un'altra creatura cessò di esistere. Altair lanciò una veloce occhiata in direzione delle altre due: Mira si reggeva con le mani premute a terra, gli occhi chiusi; Elettra se ne stava a distanza, il busto sporto in avanti. Certo, che insegnasse metodi per reprimersi a una già repressa di suo. Davvero un'ottima idea.

«Chiudili dentro una scatola, così poi fanno boom,» le gridò, dopo aver spaccato la non-faccia di una creatura.

«Fanno boom comunque.» L'irritazione circondava la voce di Elettra come un filo spinato. «E poi controllo e repressione non sono sinonimi.»

«Nel tuo caso sì.»

L'altra non le rispose. Sussurrò qualcosa a Mira, che Altair non comprese nella furia della battaglia. Al contrario, il gridolino soffocato di Elettra lo sentì forte e chiaro: arrivò mentre Altair affondava la suola nel busto di una creatura, lanciandola lontano.

I fulmini di Mira crepitavano ovunque. Permeavano l'aria intorno a lei, rombavano con più ferocia di prima. Alcuni si scagliavano contro Elettra; lei si era avvolta in una barriera protettiva costituita dalle proprie saette. Aumentò la distanza che la divideva da Mira, per sottrarsi alla sua furia.

Altair le diede un colpetto di gomito sulla spalla. «Fammi indovinare, non è servito a un cazzo.»

«Ha assorbito troppa energia. È diventata una Tempesta in miniatura.» Elettra sollevò il dito a indicare un punto imprecisato alle spalle di Mira. «Allontaniamo gli altri. Non abbiamo altra scelta che lasciarla così e sperare che non distrugga mezza città.»

«Bella merda.»

«Se abbiamo fortuna, ci toglierà almeno il problema di quelli.» Accennò alle creature che continuavano a uscire dalla torre a ritmo costante.

Altair scrollò le spalle. «E se abbiamo sfiga?»

Elettra le si aggrappò al braccio. Rinchiuse la manica della giacca fra le dita. «Siamo tutti fottuti.»

Bella merda elevato alla seconda.

Altair si stiracchiò le braccia sulla testa. Raccolse la propria pistola e raggiunse i corpi degli agenti privi di sensi. Uno dei tre era sicura di averlo già visto. Un colosso, addormentato con un braccio ripiegato sotto la schiena. Forse l'aveva già affrontato? O magari ci era andata a letto? Scrollò le spalle perché, tutto sommato, non gliene fregava più di tanto.

Lo raccolse da terra e se lo issò sulla schiena come un sacco di patate. Nonostante la stazza, pesava meno di quanto si sarebbe aspettata.

Mira intanto la guardava. Ancora con quella espressione supplichevole. Altair le mostrò il medio.

Elettra raccattò il secondo uomo della squadra, più basso e dal fisico asciutto – o forse sarebbe stato meglio dire essiccato. «Quella portala tu.» Accennò alla donna, caduta con la faccia sul terreno.

Altair alzò il sopracciglio. «Che è successo? Ti ha rubato la borsa ai saldi?»

«La zuffa più o meno è stata quella.» Non attese oltre, si allontanò di corsa.

Con uno sbuffo, Altair si coricò anche l'ultima stronza in spalla e la seguì. Mira lanciò un grido, un'artigliata sulla schiena. Altair non si voltò. Si raddrizzò e accelerò.

Avvenne quando si riunì a Elettra. Arrivò prima l'elettricità. La investì da ogni direzione. Fece scattare gli allarmi delle macchine ancora parcheggiate per le strade deserte. Un idrante saltò in aria, e un getto d'acqua si sollevò vero l'alto.

Poi fu il turno del rumore. Il boato di una Tempesta che reprimeva la frustrazione da anni, o forse secoli.

Altair lasciò cadere gli agenti a terra. Mugolarono, ma li ignorò.

La luce era accecante. Filamenti di saette, ragnatele infinite, si protendevano verso i palazzi. Si schiantavano contro la cupola dall'interno, e altrettanti fulmini rispondevano da fuori, come attirati dal loro richiamo.

Cazzo, se era figo.

«È bellissimo.» Elettra ancora reggeva l'altro agente fra le braccia. Lo teneva come una principessa in pericolo.

«Lo vedi anche da qui?»

L'altra sorrise appena. «Lo vedrei anche dall'altro capo della città.»

Lo spettacolo durò troppo poco. Perse d'intensità, i fulmini si ritirarono, dei rami protesi che scivolavano via. Un cumulo di saette si concentrò nel ventre di Altair, formò una sfera vorticante che spinse, nel tentativo di fuggire assieme a quei rami.

Poi anche la luce si spense.

Altair strinse i pugni. «Sarà ancora viva, la pazza sadica?»

«Non ne ho idea. Spero di sì.» Elettra la spintonò con il fianco, sorpassandola. Adagiò la principessa al terreno e gli tastò il collo. «Perché, sei preoccupata?»

«Quella stronza mi deve ancora una rivincita.»

«Sì, certo.» Lo sentì, il sorriso sul volto dell'altra, non ebbe alcun bisogno di vederlo.

Altair scrocchiò le nocche. «Che facciamo? Andiamo a controllare?»

«Stanno per svegliarsi.» Elettra tolse le dita dal collo della principessa.

«Quindi?»

«L'hanno vista. Sanno che è un'ibrida.» Le si avvicinò, la testa china.

Vero. L'imbecille ci teneva, a non far scoprire ai colleghi quello che era davvero. Altair infilò una mano in tasca, dove trovò le chiavi della moto ormai distrutta. La strinse contro il palmo fino a provare un piacevole formicolio sulla pelle. «La portiamo via?» chiese allora.

«No. Restiamo in disparte e guardiamo che succede.»

Alzò le braccia in aria. «Che cazzo vuoi che succeda? Proveranno ad ammazzarla.»

Elettra chiuse le palpebre. «E se sarà così, interverremo.»

Una decisione senza un fottuto senso. A meno che, certo, Elettra non sperasse in un miracolo perché non voleva rinunciare a un'alleanza con un'agente di polizia. O forse pensava fosse solo quello che desiderava Mira, una seconda possibilità, prima di lasciare del tutto la realtà che non le apparteneva.

Una stronzata, certo, ma non stava ad Altair decidere per lei.

Ilcolosso emise un grugnito. Rotolò su un fianco. Altair ed Elettra siallontanarono prima che lui riaprisse gli occhi.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top